L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

mercoledì 14 novembre 2007

Assistente Sociale Uepe Roma

Intervento presentato in occasione Conferenza Nazionale Uepe del 7.11.2007 dall'A.S. Uepe Roma Marina Riga
Polizia Penitenziaria negli Uepe: sfida da raccogliere o ipotesi killer per il Servizio sociale?

La prospettiva aperta dalla bozza di decreto, per come la si conosce oggi, impedisce di pensare ad un futuro del Servizio Sociale negli Uepe, a meno che il Servizio sociale “acconsenta a vivere una vita non sua”.
E’ stato detto: gli assistenti sociali hanno paura di perdere potere. Io credo che proprio di questo si tratti, della paura molto fondata di essere depotenziati, incapacitati, se trascinati in una trasformazione così radicale, direi violenta, di questi Uffici.
Questa occasione, di cui ringrazio l’Ordine Nazionale, è preziosa per riflettere su chi siamo come professionisti, di che potere dovremmo essere depositari, in che modo l’Amministrazione Penitenziaria sta delineando, e condizionando, il nostro futuro utilizzo.

La professione di assistente sociale
Nella sua forma moderna il Servizio sociale nasce in Italia con le Istituzioni democratiche, dopo la caduta del regime fascista.
La professione ha sempre avuto un versante operativo-metodologico ed uno di natura politica, nel senso più ampio e alto del termine. Ciò significa che ogni assistente sociale sa che il proprio intervento quotidiano e personale è impiantato dentro un disegno più ampio e dà attuazione ad una specifica politica sociale.
Quando nel 1946, durante il convegno di Tremezzo, vennero tracciate le prime linee direttrici dei nuovi servizi sociali e della nuova professione di a.s., si individuò il bisogno di una ampia e solida cultura umanistica e civico-politica. Questo perché non si pensava all’a. s. passivamente dentro una cultura, ma invece a una professione che contribuisse a mutarla, quella cultura.
Con questo spirito, negli anni ‘50 e ‘60 gli a.s. che lavoravano dentro le Istituzioni si accorgevano che la reale cultura degli Enti assistenziali non era quella dichiarata, ma invece nel quotidiano prevaleva l’atteggiamento dell’apparato burocratico preesistente all’avvento della democrazia. Questo richiama, credo, delle analogie alla mente di chi sta osservando oggi il servizio sociale nella giustizia. E inoltre: allora gli as tentarono di farsi carico di cambiare dall’interno la politica e la prassi delle istituzioni. Erano pochi, lavoravano prevalentemente alla produttività del servizio, non erano inseriti nei quadri dirigenti, non avevano concretamente potere per promuovere i cambiamenti necessari. Successe che alcuni si adattarono perdendo identità professionale, altri si isolarono,o furono isolati, senza poter produrre significative osmosi per il resto delle istituzioni. Per fortuna, la crescita democratica del Paese non era interamente affidata a loro!
Nel successivo mezzo secolo di storia sono accadute molte cose, per noi ora è interessante pensare a quelle relative alle diversità di oggi, nel settore giustizia, rispetto ai vincoli con cui dovettero allora fare i conti quei colleghi: siamo molti di più, anche se ancora non certo abbastanza, abbiamo un Ordine e un Albo professionale, abbiamo ottenuto il riconoscimento del titolo di laurea di primo e secondo livello, molti hanno avuto accesso alla dirigenza nel settore della giustizia. Eppure, eppure UEPE…urge esprimere più energia!
I sentimenti diffusi di inutilità, di irrilevanza, di disconoscimento (questi termini sono ripresi dalla circolare/studio sul benessere organizzativo, e dovrebbero interrogare le responsabilità di ciascuno dei livelli decisori),ebbene questi sentimenti, che già da tempo si vivono tra gli as di ogni ordine e grado della giustizia, alimentano una sempre minore incisività del nostro operare, si trasformano in una spirale che cresce su sé stessa, funzionano da forza centrifuga o si trasformano in conflittualità interna e sterile, quando non esplodono in forma di malattia.
Certo, qualcuno ha ottenuto una congrua monetizzazione di questo disagio, ma questa è un’altra storia…e soprattutto non assolve ma aumenta le responsabilità degli assistenti sociali più “ricchi” nel promuovere sviluppi innovativi del servizio sociale che non ne snaturino l’identità, visto che è a quell’identità che questi fortunati debbono la loro fortuna. Sarebbe, a mio parere, loro dovere coltivare gratitudine e mettersi al servizio di questa identità.

Quale potere
Il servizio sociale nasce al sistema della giustizia per “garantire l’integrazione tra diritti soggettivi e responsabilità sociali” anche nel corso di una esecuzione penale.
Il legislatore, nella definizione delle misure altenative alla detenzione, sposa l’idea del controllo come legame sociale, e lo affida a questa professione negli articoli di legge che conosciamo. A tutt’ oggi le cose stanno così.
Citando M. Pittaluga, il cui pensiero ho ampiamente utilizzato per questo intervento, non c’è nulla di più pratico di una buona teoria. Così, proverò a esplorare alcune delle molte dimensioni che ci sono nel ruolo dell’ass.soc.,; esse vanno, comunque, tutte ricondotte al “rispondere ad una richiesta di aiuto sia diretta che indiretta”.
Ci sono cose che andrebbero ritenute irrinunciabili da ogni assistente sociale.Provo ad accennarvi:

- è irrinunciabile per l’as dare l’opportunità all’utente di sperimentare la costruzione di un rapporto di fiducia ; l’as è un nodo di accesso, è ponte tra l’anonimato dell’istituzione e la persona viva e reale; è nodo di accesso del sistema astratto, terreno d’incontro degli impegni personali e degli impegni anonimi. La fiducia accordata al sistema esperto, infatti, è filtrata dal rapporto che si stabilisce con le persone concrete che rappresentano in quel momento l’istituzione. La teoria della costruzione della fiducia (Dunn) indica nel passaggio di fiducia dalla famiglia alle istituzioni la condizione prima di una convivenza civile. Questo riguarda fortemente il contributo della professione al tema, così centrale oggi, della sicurezza. Così come è strettamente attinente alla costruzione di sicurezza il saper dare un significato evolutivo ad un rapporto asimmetrico – cioè trasformare la relazione asimmetrica tra as e utente in un processo che aiuti la persona a badare a sé stessa, a riprendersi la responsabilità e il controllo della propria vita.

- - é irrinunciabile per l’as. provare a essere “estraneo di fiducia” (Pittaluga) per l’utente, per potersi proporre come altro significativo da cui avere informazioni emotive o cognitive utili per regolare il proprio comportamento (teoria della social reference di Emde e Feinman ).

- é irrinunciabile per l’as entrare in contatto con il significato che l’utente attribuisce alla sua storia, attraverso un clima della relazione in cui sia possibile ottenere indicazioni sulla concordanza tra lo stato intenzionale (rivelato dalle parole) e l’azione (rivelata dai fatti). Per questo il colloquio professionale dell’as non è un’intervista, ha bisogno di tempi e spazi specifici, di cadenze individualizzate, di un pensiero riflessivo che lo preceda, lo accompagni e lo utilizzi.L’Organizzazione deve sostenere e promuovere concretamente questo pensiero riflessivo, che ”intreccia” operatore e utente. Questo pare qualcosa di molto rilevante ai fini della sicurezza: utilizzare l’approccio intenzionale (Giddens, Nagel) significa infatti favorire nell’utente una riflessione sul proprio percorso e promuovere una rinegoziazione dei significati sociali del proprio agire.

- é irrinunciabile per l’as promuovere l’appropriazione, l’interiorizzazione da parte dell’utente di strumenti a lui utili attraverso lo scambio sociale, lavorando in quella che Vygotskij chiama zona di sviluppo prossimale.

Tutto questo non esaurisce certo, ma è fondante, tutte le altre dimensioni del lavoro professionale. Ho scelto qui di dargli rilevanza perché mi sembra l’aspetto minacciato dalle mutazioni che si profilano.


Il futuro alle porte
Come si può pensare che le condizioni di condivisione di spazi comuni negli Uepe e di interdipendenza tra as e polizia penitenziaria ,come prefigurato nella bozza di decreto, possano non incapacitare l’as nel suo pensare ed agire?
Come dice J. Hillman, solo se si identifica il potere con il controllo si ha il terrore di allentare il controllo pensando così di perdere potere. “Intrappolato da questo concetto in una vigilanza paranoide, in sforzi competitivi e in una leadership dimostrativa, non scoprirò mai il potere sottile della persuasione, dell’autorità, della generosità o della resistenza paziente”.
Il servizio sociale , se conosciuto, sostenuto e messo in condizione di operare con adeguate risorse, diventa uno strumento sottile e sofisticato, ma proprio per questo potente, per leggere e affrontare in modi efficaci e creativi problemi complessi, non ultimo quello della sicurezza; sapere che è soggetto a esautorazione di fronte a ruoli forti che ne vogliano dividere lo spazio -pur promettendo di non disturbare- deve far riflettere l’Amministrazione,ma anche l’Ordine professionale, e dare nome e responsabilità alle scelte.
Il problema, infatti, non sembra costituito tanto dalle “preferenze” della polizia penitenziaria, stanca forse di un carcere invivibile e in cerca di maggior riconoscimento e visibilità, quanto da un’Organizzazione che non si domanda come ottenere un incremento del potenziale di una sua risorsa, e neanche sembra preoccuparsi che azioni o azioni mancate lo depotenzino più o meno rapidamente.

ass.soc. Marina Riga