INDIRIZZO DI SALUTO
DEL DIRETTORE GENERALE RICCARDO TURRINI VITA
AL CONVEGNO ORGANIZZATO IN ROMA IL 7 NOVEMBRE 2007
DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ORDINE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI
1. Porgo innanzi tutto il mio saluto ed il mio ringraziamento per l’attenzione usata a questa porzione dell’amministrazione penitenziaria.
Ritengo si possa attendere dalla mia partecipazione a questo convegno una comunicazione sull’organizzazione degli uffici di esecuzione penale esterna dove prestano la loro opera tanti professionisti iscritti all’Ordine.
2. Mentre ponevo mente a questo indirizzo di saluto, si è presentato alla mia riflessione il tema assai vasto del professionista alle dipendenze della pubblica amministrazione.
In effetti, il tema del rapporto fra le norme dell’ordinamento professionale da un lato e dell’ordinamento della pubblica amministrazione dall’altro (in particolare la disciplina lavoristica), offre materia alla riflessione giuridica dando vita ad un rapporto che potremmo chiamare di specialità reciproca. La questione centrale mi parrebbe in ogni caso individuare quale sistema deroghi rispetto all’altro.
Mi sono quindi rivolto alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione per sapere se avessero prodotto un elaborato o affrontato il tema in un seminario ma i dirigenti contattati hanno escluso di averlo fatto.
Ecco, mi pare, un tema che potrebbe interessare i cultori di diritto amministrativo, e i professionisti dei vari Ordini.
3. Avvicinandoci al nostro discorso, prendo le mosse dall’articolo 1 della legge 23 marzo 1993 n. 84 che definisce la professione di assistente sociale. In particolare il comma 1 ed il comma 4 sono specialmente significativi per l’attività dei nostri uffici.
Al comma 1 si legge che…l’assistente sociale opera con autonomia tecnico‐professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio e può svolgere attività didattico‐formative.
Al comma 4 si precisa che…nella collaborazione con l’autorità giudiziaria, l’attività dell’assistente sociale ha esclusivamente funzione tecnicoprofessionale.
Queste parole esprimono la rappresentazione che lo Stato ha dell’assistente sociale, perché le guarentigie che vengono definite, così come le abilità professionali debbono essere recepite nell’amministrazione per ciò che sono, ed è qui che il ruolo dell’Ordine, sia pure nell’evoluzione di tale strumento che l’unificazione europea va imponendo, risulta centrale e vitale.
4. Per definire l’assetto a tendere dell’organizzazione degli uffici, penso utile per sommi capi definire la posizione dell’Amministrazione pubblica ed in particolare del nostro Dipartimento.
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Come noto, la nostra Costituzione immagina un’amministrazione pubblica equanime verso i consociati e disciplinata dalla legge. Ciò non crea una riserva esclusiva ma indica che i fini da perseguire sono fissati dalla legge; i poteri funzionali a tali fini sono anch’essi attribuiti dalla legge, mentre le forme organizzative (soprattutto i modelli procedurali) possono essere disciplinati con vari strumenti regolamentari.
Sono però convinto che una lettura del fine della legge debba sempre farsi congiuntamente con le norme di organizzazione degli ffici e soprattutto con quelle che quantificano e destinano risorse umane e finanziarie.
Dico questo non solo perché è evidente che indicare fini da perseguire senza risorse è velleitario e, vorrei dire, decettivo dell’opinione pubblica ma anche perché proprio dal punto di vista della sistematica giuridica la disciplina di una mteria omogenea si individua dalla integrazione delle norme di pari livello (leggi con leggi, regolamenti con regolamenti, ecc..). In altri termini, le vere priorità del legislatore emergono anche dal numero di funzionari specificamente ordinati ad una certa attività.
Scendendo all’ambito della discrezionalità amministrativa, che attiene alle varie opzioni possibili, dobbiamo anche osservare che indicazione degli obbiettivi prioritari generali compete all’indirizzo politico di governo e che a questo discendono degli strumenti (ad esempio il piano esecutivo d’azione) che ne costituiscono la declinazione operativa.
5. Se facciamo uso di questa struttura analitica, e ci portiamo al campo dell’EPE dobbiamo subito notare che due fonti normative si rilevano nel sistema vigente.
Dal 2000, l’articolo 118 del regolamento d’esecuzione, prevede che gli uffici locali siano strutturati in tre aree; quella in qualche modo titolare del cd processo di servizio è l’area del servizio sociale, alla quale la norma fa afferire anche eventuali altre professionalità.
Successivamente, con norma primaria, ovvero il novellato articolo 72 dell’ordinamento penitenziario, si è indicato come strumento organizzativo degli uffici un decreto ministeriale di natura regolamentare, munito quindi di forza superiore al normale DM e caratterizzato da una procedura aggravata per la sua emanazione.
Gli sforzi organizzativi del Dipartimento debbono oggi concentrarsi sul confronto fra la struttura descritta nell’articolo 118, i compiti attribuiti agli uffici dalla sviluppo della legislazione, e la definizione di una struttura organizzativa nuova come richiesto dall’articolo 72.
Rientra nella normale esperienza umana che non tutto quanto previsto e richiesto sia normalmente posto in opera: vistosamente, è il caso delle aree contabili necessarie per l’autonoma amministrazione degli uffici. Per esse, abbiamo affrontato il problema volendo essere eleganti, in modo "rapsodico".
6. Rispetto alla struttura che gli uffici debbono andare ad assumere, un’ulteriore variabile deve essere presa in considerazione, anche se essa non è realmente vincolante. Intendo riferirmi alle linee di fondo sulle quali i disegni di legge governativi vogliono impostare il sistema penale.
Occorre qui prendere atto che questi riguardano per lo più uno solo dei quattro sottosistemi di cui si compone il diritto penal (diritto penale "comune", diritto penale "minorile", diritto penale "del giudice di pace", diritto penale "delle persone giuridiche").
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Al diritto penale comune è stata prospettata nel disegno di codice penale della commissione Pisapia, una ricca varietà di pene che vanno dalle prescrittive alle detentive alle semidetentive alle pecuniarie fino alle interdettur principali.
Pur con la consapevolezza che nessun disegno complessivo di Codice è possibile giunga all’approvazione, vediamo confermato quel favore verso la pena non detentiva che, periodicamente criticata, specie in occasione di gravi evenienze criminali, pure rimane un’opzione concretamente mai cancellata dall’ordinamento.
Di ciò siamo consapevoli e non dobbiamo perciò farci un cruccio dei venti contrari.
Ampliamento delle tipologie di pena non detentiva significa ampliamento delle differenze dei soggetti ammessi e diversità di biogni, sia del condannato, sia della società rispetto a lui.
Dal mio insediamento nell’ufficio ho condiviso la scelta di un modello pluriprofessionale nella organizzazione futura degli uffci come del resto si ritrova in tutte le esperienze europee (dallo spip francese alla probation area inglese).
In sostanza, reputo che a seconda del tipo di misura alternativa, la nostra amministrazione debba proporre un professionista più attagliato. Come già potei sostenere alla Camera dei deputati, il ruolo del servizio sociale nella giustizia è garantito dall’esistenza dell’affidamento in prova del servizio sociale, non dal nome degli uffici.
Porgo degli esempi.
Richiamare all’amministrazione penitenziaria il controllo della detenzione domiciliare e proporsi un controllo più intenso dell semilibertà è ciò che si persegue con la sperimentazione tanto discussa di nuclei di polizia penitenziaria.
Le variazioni in tema di misura di sicurezza introdotte dalla Corte costituzionale potrebbero addirittura nel futuro consigliar la presenza di professionisti psichiatri.
La formalizzazione del lavoro di rete con gli enti locali e col volontariato nonché la collaborazione con le prefetture nelle cnferenze di servizi, già ora sollecitano personale esperto in diritto amministrativo e in procedure gestionali contabili.
Il limite strutturale che io vedo in questo sviluppo è quello che, per principio di buona amministrazione, raccomanda di non duplicare (come purtroppo spesso avviene) risorse professionali già esistenti altrove, quando queste ultime ovviamente accettino un lavoro integrato.
Dove invece riconosco la necessità di un approfondimento congiunto anche da parte dell’Ordine è nello sviluppo della prospettiv di équipe nella presa in carico dell’affidato in prova. Si tratta, in questo caso, di mettere capo a un prodotto congiunto e in ciò le specificità professionali hanno sicuramente diritto ad una attenta consideazione. Nella stessa linea dove abbiamo bisogno di un attento intervento di riabilitazione sociale, ho sostenuto che tale carattere debbano avere gli interventi disposti dal giudice nei casi di modesto spaccio (art 73, co 5 bis) di stupefacenti e più ampiamente nelle ipotesi di messa alla prova con sospensione del processo che sono contemplate nel progeto governativo di accelerazione del processo penale.
Si è ricordata la positiva ricerca sulla recidiva di persone affidate in prova che avevano terminato la misura con positivo giuizio. Questa analisi –voluta da chi parla Loro‐ produce una giusta soddisfazione.
Nondimeno, va ricordato che essa ha riguardato:
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a) soggetti con pregresso penitenziario (quasi sempre);
b) persone ammessa fra il 1995 ed il 1998;
c) un’osservazione post‐esito di 7 anni.
Voglio porre in luce che tale universo osservato non costituisce più un tipo rappresentativo della misura alternativa.
Concretamente, i limiti di bilancio e i tempi dell’amministrazione ancora nel medio termine permetteranno una sperimentazione attraverso conslenze, finanziabili attraverso adeguati progetti, e questo permetterà di mantenere quella flessibilità che è necessaria ad ogni sperimentazione.
In sostanza, il crescente ventaglio di pene alternative impone altre competenze, alcune nuove. L’intervento sul disagio ha ben poco da dire per quelle tipologie di pena sostitutiva o alternativa che si incentrano su un laoro di pubblica utilità, sostanzialmente ristoratorio.
Poiché rimane comunque la necessità costituzionale di assicurare allo Stato, e quindi al Ministero della giustizia, l’insieme della esecuzione penale, occorre attrezzarsi.
7. Come anche Loro noto, il consolidamento delle buone prassi ha portato ad una formalizzazione di alcune attività tipiche dell’assistente sociale nei rocedimenti giudiziari di sorveglianza.
Credo che nulla possa essere maggior segno di stima per una professione che riconoscerla capace di qualità del suo intervento: ed a ciò si è mirato e si continua a mirare con la definizione degli standard.
D’altra parte, la direzione generale come tutte le amministrazioni pubbliche è vincolata alla direttiva sulla qualità della PDCM (l’ultima è del 19 dicembre 2006), e deve quindi prevedere obbiettivi di miglioramento delle prestazioni, compiere un’auto valutazione da sottoporre a validazione esterna, e affinare secondo i propri doveri le linee di azione date dal dipartimento della funzione pubblica.
Sono consapevole delle difficoltà umane ed economiche che si pongono come remora ai fini indicati: controlli e verifiche non sono piacevoli.
Ha però voluto mostrare come il tema fonte di tante apprensioni sia per l’amministrazione solo una porzione di un più ampio disgno, nel quale a nostro sommesso avviso nulla è sottratto all’assistente sociale e molto è invece offerto all’affinamento professioale ed a un più vasto riconoscimento dell’opera sin ora svolta.
Concludo augurando un fecondo dibattito, ed invitando la presidente Cava o i suoi rappresentanti ad intervenire al convegno del 15‐16 novembre ove ancora ci tratteremo sul tema dell’esecuzione penale esterna.
Riccardo Turrini Vita
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