UEPE Milano: Conferenza Nazionale Uepe 7.11.2007
Gli assistenti sociali dell'Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Milano partecipano con questo contributo alla Conferenza Nazionale UEPE:Il Servizio Sociale del Settore Penitenziario oggi
ALL’ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI
ROMA
ALL’ORDINE REGIONALE ASSISTENTI SOCIALI
MILANO
E, p. c.,
ROMA
ALL’ORDINE REGIONALE ASSISTENTI SOCIALI
MILANO
E, p. c.,
AL COORDINAMENTO NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI GIUSTIZIA
Riflessioni emerse dall’incontro tenutosi presso l’Uepe di Milano ai fini di un contributo per il Convegno che si terrà a Roma il 07/11/07 sul tema “ LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE ALLA LUCE DELLE RIFORME IN ATTO” .
In data 05/11/2007, presso l’UEPE di Milano e Lodi, si è tenuta una partecipata riunione tra il personale di servizio sociale per favorire un confronto sull’ ultima bozza (la quarta!) del decreto interministeriale oggetto dell’incontro DAP/ OOSS del 17/09/07.
Si sono presi in esame: ultima bozza del decreto interministeriale; verbale riunione del 17/09/2007; documento a firma del Dott. Tamburino Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza sul progetto di inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uepe; documento stilato dall’ Uepe di Milano nell’aprile 2007.
La proposta verso una riorganizzazione degli UEPE, che prevede l’introduzione del personale di Polizia Penitenziaria per il controllo delle misure alternative alla detenzione, benché da anni paventata, il 16 aprile 2007 è diventata una realtà (Bozza Decreto Ministeriale concernente l’intervento del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’Esecuzione Penale Esterna).
Emerge, dalla lettura dei documenti sopra citati, che le preoccupazioni esplicitate dagli operatori del servizio sociale (snaturamento della natura e del carattere di servizio sociale degli uffici) corrispondono tutt’oggi alla realtà. Di fatto l’amministrazione nel continuo proporre modifiche al decreto (ed il protrarsi dei disaccordi) non fa altro che evidenziare il senso di “smarrimento” della mission degli uffici così come pensata dal legislatore del ‘75, e confermata con altri provvedimenti legislativi, laddove ciascuna delle parti (dirigenza uepe e polizia penitenziaria, in particolare) non fa altro che rivendicare una propria visione delle finalità del servizio e di un proprio ruolo nell’organizzazione.
I contributi degli operatori dell’Uepe di Milano, qui sotto riassunti per punti nodali, sono frutto delle riflessioni emerse nell’incontro per cui si chiede all’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali di farsene chiaramente portavoce e promotore.
1. I cambiamenti in atto sviliscono nella sostanza il mandato istituzionale dell’assistente sociale. In questo senso, gli aa. ss. che sono entrati nell’amministrazione penitenziaria tramite concorso pubblico, convinti di esercitare appieno il proprio ruolo, si trovano ad operare in un contesto che si sta profilando differente rispetto alla scelta iniziale. Infatti, il concetto di “controllo” ha assunto una connotazione più squisitamente “poliziesca” in quanto taluni ritengono inadeguato e non più “sufficiente “ quello precipuamente svolto dal servizio sociale (peraltro va sottolineato che i controlli sui soggetti in esecuzione penale esterna sono già svolti dalle FF. OO dislocate nel territorio). Molti AA. SS. chiedono quindi di essere posti nelle condizioni di poter transitare presso altre amministrazioni con mobilità.
2. Il progetto dell’amministrazione non ha tenuto conto dei risultati positivi, statistiche alla mano, maturati nel corso degli anni dal Servizio Sociale Penitenziario, risultati importanti raggiunti con scarse risorse finanziarie e di personale. Gli operatori non comprendono perciò la ratio di una scelta che adduce questioni di “ sicurezza” allorquando l’affidamento in prova al servizio sociale si è configurato come una misura alternativa a bassissimo rischio di recidiva (al di sotto dell’ 1%), almeno nella fase di esecuzione.
3. Proporre che la sperimentazione sia fatta creando i “nuclei di verifica” allocati in sede diversa dall’uepe. Un’ipotesi, nel caso di sperimentazione, potrebbe essere di istituirli presso gli istituti penitenziari, dove sono già operativi i nuclei per le traduzioni, i piantonamenti in ospedale, le verifiche dei lavoranti all’esterno e dei semiliberi, dipendenti dai vari graduati della pol. pen. che già vi lavorano (non c’è bisogno che si spostino all’uepe!!!). Ragioni pratiche: disposizione di più mezzi (il carcere ha già un parco macchine adibito a questi fini ), maggior dislocazione sul territorio (occorre considerare che per i controlli sui soggetti in misura alternativa il personale dei nuclei dovrà spostarsi, partendo dagli Uepe, con le auto di servizio coprendo anche lunghe distanze, con un considerevole aumento dei costi per il consumo di carburante, usura dei mezzi, spreco di tempo ecc…!); servizio garantito nelle 24 ore: il servizio di controllo fornito dall’istituto penitenziario determinerebbe un risparmio sui costi per l’apertura a ciclo continuo degli UEPE; in carcere, sarebbe inoltre possibile concentrare tutta l’attività amministrativa e di polizia giudiziaria (es.: notifiche e altri atti) in un unico ufficio matricola. Rispetto a questo ultimo punto gli operatori dell’Uepe hanno espresso preoccupazione per il conseguente aumento dell’attività burocratica degli uffici (nell’ipotesi di istituire i nuclei di controllo) a fronte di personale amministrativo già numericamente carente in molte sedi.
4. Dall’analisi dell’ipotesi di sperimentazione (contenuta nella bozza di decreto) emergono almeno tre incongruenze fondamentali:
A) la sperimentazione è fittizia perché non basata su simulazione della realtà (cioè sul numero di utenti che saranno realmente in carico, considerando la situazione pre-indulto, e distribuiti sull’intero territorio di competenza); il sospetto è quindi che non si voglia davvero sperimentare il progetto ma piuttosto che si voglia creare una situazione “finta”, con l’unico scopo di dimostrarne, ad ogni costo, la fattibilità;
B) di conseguenza, il numero degli operatori di pol. pen. ipotizzati per la sperimentazione è assolutamente sottodimensionato. Questo comporterà, una volta reso fattivo il progetto, una continua richiesta di personale e di mezzi (da parte dei nuclei di verifica) che non solo saranno sempre insufficienti (basta fare qualche semplice calcolo), ma soprattutto sottrarranno risorse proprio al servizio sociale, sia come finanziamenti per progetti di inclusione (già oggi le risorse si sono assotigliate) sia in termini di assunzione di personale e incentivi (di servizio sociale e amministrativo). Questo punto desta allarme per il futuro del servizio sociale penitenziario. Si auspica che l’Ordine Nazionale si faccia portavoce della urgente necessità di implementare gli interventi di inclusione sociale e assistenziali che potrebbero anch’essi concorrere, in modo incisivo, sulla “sicurezza”. Siamo convinti che il solo controllo di polizia (di cui non si discute nel principio la validità) da solo non basti per garantire sicurezza se non affiancato da serie e incisive politiche di sostegno al reinserimento, sia a livello di governo centrale che locale (decenti borse lavoro, ormai inesistenti, estensione degli sgravi fiscali ai datori di lavoro che assumono affidati, reinserimento abitativo per le persone più emarginate, reale presa in carico degli utenti con disagio psichico -ormai emarginati dagli stessi CPS-, risorse per tossicodipendenti, ecc.);
C) Talune formulazioni delle norme contenute nel decreto sono troppo ambivalenti, indefinite e riflettono la necessità di poter disporre del personale a proprio piacimento, a seconda degli orientamenti del dirigente di turno, del comandante del nucleo di pol. pen e non da ultimo del magistrato. Vi è, sotto sotto, l’accoglimento della rivendicazione della pol. pen. di un ruolo “rieducativo”, non ben definito, a fronte di un paventato utilizzo della stessa per il solo controllo delle prescrizioni orarie (o sul posto di lavoro), ritenuto riduttivo e squalificante.
Riflessioni emerse dall’incontro tenutosi presso l’Uepe di Milano ai fini di un contributo per il Convegno che si terrà a Roma il 07/11/07 sul tema “ LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE ALLA LUCE DELLE RIFORME IN ATTO” .
In data 05/11/2007, presso l’UEPE di Milano e Lodi, si è tenuta una partecipata riunione tra il personale di servizio sociale per favorire un confronto sull’ ultima bozza (la quarta!) del decreto interministeriale oggetto dell’incontro DAP/ OOSS del 17/09/07.
Si sono presi in esame: ultima bozza del decreto interministeriale; verbale riunione del 17/09/2007; documento a firma del Dott. Tamburino Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza sul progetto di inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uepe; documento stilato dall’ Uepe di Milano nell’aprile 2007.
La proposta verso una riorganizzazione degli UEPE, che prevede l’introduzione del personale di Polizia Penitenziaria per il controllo delle misure alternative alla detenzione, benché da anni paventata, il 16 aprile 2007 è diventata una realtà (Bozza Decreto Ministeriale concernente l’intervento del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’Esecuzione Penale Esterna).
Emerge, dalla lettura dei documenti sopra citati, che le preoccupazioni esplicitate dagli operatori del servizio sociale (snaturamento della natura e del carattere di servizio sociale degli uffici) corrispondono tutt’oggi alla realtà. Di fatto l’amministrazione nel continuo proporre modifiche al decreto (ed il protrarsi dei disaccordi) non fa altro che evidenziare il senso di “smarrimento” della mission degli uffici così come pensata dal legislatore del ‘75, e confermata con altri provvedimenti legislativi, laddove ciascuna delle parti (dirigenza uepe e polizia penitenziaria, in particolare) non fa altro che rivendicare una propria visione delle finalità del servizio e di un proprio ruolo nell’organizzazione.
I contributi degli operatori dell’Uepe di Milano, qui sotto riassunti per punti nodali, sono frutto delle riflessioni emerse nell’incontro per cui si chiede all’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali di farsene chiaramente portavoce e promotore.
1. I cambiamenti in atto sviliscono nella sostanza il mandato istituzionale dell’assistente sociale. In questo senso, gli aa. ss. che sono entrati nell’amministrazione penitenziaria tramite concorso pubblico, convinti di esercitare appieno il proprio ruolo, si trovano ad operare in un contesto che si sta profilando differente rispetto alla scelta iniziale. Infatti, il concetto di “controllo” ha assunto una connotazione più squisitamente “poliziesca” in quanto taluni ritengono inadeguato e non più “sufficiente “ quello precipuamente svolto dal servizio sociale (peraltro va sottolineato che i controlli sui soggetti in esecuzione penale esterna sono già svolti dalle FF. OO dislocate nel territorio). Molti AA. SS. chiedono quindi di essere posti nelle condizioni di poter transitare presso altre amministrazioni con mobilità.
2. Il progetto dell’amministrazione non ha tenuto conto dei risultati positivi, statistiche alla mano, maturati nel corso degli anni dal Servizio Sociale Penitenziario, risultati importanti raggiunti con scarse risorse finanziarie e di personale. Gli operatori non comprendono perciò la ratio di una scelta che adduce questioni di “ sicurezza” allorquando l’affidamento in prova al servizio sociale si è configurato come una misura alternativa a bassissimo rischio di recidiva (al di sotto dell’ 1%), almeno nella fase di esecuzione.
3. Proporre che la sperimentazione sia fatta creando i “nuclei di verifica” allocati in sede diversa dall’uepe. Un’ipotesi, nel caso di sperimentazione, potrebbe essere di istituirli presso gli istituti penitenziari, dove sono già operativi i nuclei per le traduzioni, i piantonamenti in ospedale, le verifiche dei lavoranti all’esterno e dei semiliberi, dipendenti dai vari graduati della pol. pen. che già vi lavorano (non c’è bisogno che si spostino all’uepe!!!). Ragioni pratiche: disposizione di più mezzi (il carcere ha già un parco macchine adibito a questi fini ), maggior dislocazione sul territorio (occorre considerare che per i controlli sui soggetti in misura alternativa il personale dei nuclei dovrà spostarsi, partendo dagli Uepe, con le auto di servizio coprendo anche lunghe distanze, con un considerevole aumento dei costi per il consumo di carburante, usura dei mezzi, spreco di tempo ecc…!); servizio garantito nelle 24 ore: il servizio di controllo fornito dall’istituto penitenziario determinerebbe un risparmio sui costi per l’apertura a ciclo continuo degli UEPE; in carcere, sarebbe inoltre possibile concentrare tutta l’attività amministrativa e di polizia giudiziaria (es.: notifiche e altri atti) in un unico ufficio matricola. Rispetto a questo ultimo punto gli operatori dell’Uepe hanno espresso preoccupazione per il conseguente aumento dell’attività burocratica degli uffici (nell’ipotesi di istituire i nuclei di controllo) a fronte di personale amministrativo già numericamente carente in molte sedi.
4. Dall’analisi dell’ipotesi di sperimentazione (contenuta nella bozza di decreto) emergono almeno tre incongruenze fondamentali:
A) la sperimentazione è fittizia perché non basata su simulazione della realtà (cioè sul numero di utenti che saranno realmente in carico, considerando la situazione pre-indulto, e distribuiti sull’intero territorio di competenza); il sospetto è quindi che non si voglia davvero sperimentare il progetto ma piuttosto che si voglia creare una situazione “finta”, con l’unico scopo di dimostrarne, ad ogni costo, la fattibilità;
B) di conseguenza, il numero degli operatori di pol. pen. ipotizzati per la sperimentazione è assolutamente sottodimensionato. Questo comporterà, una volta reso fattivo il progetto, una continua richiesta di personale e di mezzi (da parte dei nuclei di verifica) che non solo saranno sempre insufficienti (basta fare qualche semplice calcolo), ma soprattutto sottrarranno risorse proprio al servizio sociale, sia come finanziamenti per progetti di inclusione (già oggi le risorse si sono assotigliate) sia in termini di assunzione di personale e incentivi (di servizio sociale e amministrativo). Questo punto desta allarme per il futuro del servizio sociale penitenziario. Si auspica che l’Ordine Nazionale si faccia portavoce della urgente necessità di implementare gli interventi di inclusione sociale e assistenziali che potrebbero anch’essi concorrere, in modo incisivo, sulla “sicurezza”. Siamo convinti che il solo controllo di polizia (di cui non si discute nel principio la validità) da solo non basti per garantire sicurezza se non affiancato da serie e incisive politiche di sostegno al reinserimento, sia a livello di governo centrale che locale (decenti borse lavoro, ormai inesistenti, estensione degli sgravi fiscali ai datori di lavoro che assumono affidati, reinserimento abitativo per le persone più emarginate, reale presa in carico degli utenti con disagio psichico -ormai emarginati dagli stessi CPS-, risorse per tossicodipendenti, ecc.);
C) Talune formulazioni delle norme contenute nel decreto sono troppo ambivalenti, indefinite e riflettono la necessità di poter disporre del personale a proprio piacimento, a seconda degli orientamenti del dirigente di turno, del comandante del nucleo di pol. pen e non da ultimo del magistrato. Vi è, sotto sotto, l’accoglimento della rivendicazione della pol. pen. di un ruolo “rieducativo”, non ben definito, a fronte di un paventato utilizzo della stessa per il solo controllo delle prescrizioni orarie (o sul posto di lavoro), ritenuto riduttivo e squalificante.
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