REDATTORE SOCIALE
Redattore sociale - Agenzia giornalistica quotidiana
13 novembre 2007
Giustizia: Uepe; gli assistenti sociali polemizzano con il Dap
Gli assistenti sociali che lavorano nel settore della giustizia polemizzano con il capo del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara. Oggetto della polemica è l’utilizzo della polizia penitenziaria nel controllo dei sottoposti alle misure alternative al carcere. È in corso infatti una sperimentazione, che vedrà coinvolti un centinaio di appartenenti alla polizia penitenziaria in diverse città e province, nel controllo dei sottoposti alle misure alternative.
Questo esperimento, aveva dichiarato Ferrara, dovrebbe far aumentare la concessione da parte dei Magistrati di Sorveglianza delle stesse misure alternative. Ma è proprio su questa linea e su un’affermazione che avrebbe fatto Ferrara nel corso di un convegno che gli assistenti sociali dissentono. "Abbiamo avuto modo di sentire dire a Ferrara - scrive Anna Muschitiello a nome del coordinamento nazionale degli assistenti sociali - che il ricorso alle misure alternative da parte dei Magistrati è limitato, perché esse sono considerate: "non pena".
Un’affermazione di questo genere, pronunciata soprattutto dal Capo del Dap, non può che lasciare amareggiati, perché fa un torto al duro e difficile lavoro che da oltre 30 anni, quotidianamente svolgono tutti gli operatori impegnati nella concessione/gestione delle suddette misure e che non sono solo gli assistenti sociali, ma anche: i Magistrati di Sorveglianza, gl’impiegati dei Tribunali di Sorveglianza, le Forze dell’ordine, il volontariato, i servizi territoriali, ecc. e soprattutto fa un torto alle migliaia di persone, sottoposte, attualmente, o che sono state sottoposte in passato, a queste misure, impegnate a conciliare responsabilmente la propria vita con le limitazioni della libertà, imposte loro.
Secondo gli assistenti sociali, confermare questa impostazione non aiuta a far crescere nell’opinione pubblica l’idea che il carcere non rappresenta l’unica risposta punitiva possibile e che una differenziazione di sanzioni possa addirittura essere più efficace. Per questo è anche pericoloso imboccare delle scorciatoie.
"Si è proprio sicuri - si domanda ancora Muschitiello - che introducendo la polizia penitenziaria nel controllo delle misure alternative, queste ultime aumenteranno? I Magistrati di Sorveglianza potranno concedere più misure alternative in presenza di una legislazione, come l’attuale, che riduce sensibilmente l’ammissibilità alle stesse?".
È ovvio dunque che i problemi non si possono affrontare a compartimenti stagni. Una delle questioni in campo, per esempio, è che non si può lasciare invariata la legge cosiddetta "Cirielli", che limita sensibilmente l’accesso alle misure alternative dei soggetti recidivi. Ma la domanda centrale, che sta a cuore al coordinamento degli assistenti sociali riguarda direttamente il ruolo di queste figure professionali.
"Se le misure alternative hanno avuto nei 32 anni della loro applicazione risultati positivi sulla recidiva, con il solo intervento del servizio sociale, come risulta da una ricerca commissionata dallo stesso Dap, perché cambiare? Come si pensa di far diminuire la popolazione detenuta se più della metà di essa è in custodia cautelare, quindi non può beneficiare di misure alternative?"
Il discorso si lega poi inevitabilmente alle risorse e alle scelte di fondo. Servono investimenti consistenti se si crede davvero nella linea delle misure alternative. E serve dare fiducia a una figura professionale come l’assistente sociale che in questi anni ha lavorato appunto per far crescere la cultura delle misure alternative. "Riteniamo quindi - conclude Anna Muschitiello - che se crediamo nelle misure alternative, si debba chiedere, piuttosto, di potenziare il lavoro degli operatori sociali, pensando a come farli integrare con le altre risorse del territorio, comprese quelle deputate al controllo".
Questo esperimento, aveva dichiarato Ferrara, dovrebbe far aumentare la concessione da parte dei Magistrati di Sorveglianza delle stesse misure alternative. Ma è proprio su questa linea e su un’affermazione che avrebbe fatto Ferrara nel corso di un convegno che gli assistenti sociali dissentono. "Abbiamo avuto modo di sentire dire a Ferrara - scrive Anna Muschitiello a nome del coordinamento nazionale degli assistenti sociali - che il ricorso alle misure alternative da parte dei Magistrati è limitato, perché esse sono considerate: "non pena".
Un’affermazione di questo genere, pronunciata soprattutto dal Capo del Dap, non può che lasciare amareggiati, perché fa un torto al duro e difficile lavoro che da oltre 30 anni, quotidianamente svolgono tutti gli operatori impegnati nella concessione/gestione delle suddette misure e che non sono solo gli assistenti sociali, ma anche: i Magistrati di Sorveglianza, gl’impiegati dei Tribunali di Sorveglianza, le Forze dell’ordine, il volontariato, i servizi territoriali, ecc. e soprattutto fa un torto alle migliaia di persone, sottoposte, attualmente, o che sono state sottoposte in passato, a queste misure, impegnate a conciliare responsabilmente la propria vita con le limitazioni della libertà, imposte loro.
Secondo gli assistenti sociali, confermare questa impostazione non aiuta a far crescere nell’opinione pubblica l’idea che il carcere non rappresenta l’unica risposta punitiva possibile e che una differenziazione di sanzioni possa addirittura essere più efficace. Per questo è anche pericoloso imboccare delle scorciatoie.
"Si è proprio sicuri - si domanda ancora Muschitiello - che introducendo la polizia penitenziaria nel controllo delle misure alternative, queste ultime aumenteranno? I Magistrati di Sorveglianza potranno concedere più misure alternative in presenza di una legislazione, come l’attuale, che riduce sensibilmente l’ammissibilità alle stesse?".
È ovvio dunque che i problemi non si possono affrontare a compartimenti stagni. Una delle questioni in campo, per esempio, è che non si può lasciare invariata la legge cosiddetta "Cirielli", che limita sensibilmente l’accesso alle misure alternative dei soggetti recidivi. Ma la domanda centrale, che sta a cuore al coordinamento degli assistenti sociali riguarda direttamente il ruolo di queste figure professionali.
"Se le misure alternative hanno avuto nei 32 anni della loro applicazione risultati positivi sulla recidiva, con il solo intervento del servizio sociale, come risulta da una ricerca commissionata dallo stesso Dap, perché cambiare? Come si pensa di far diminuire la popolazione detenuta se più della metà di essa è in custodia cautelare, quindi non può beneficiare di misure alternative?"
Il discorso si lega poi inevitabilmente alle risorse e alle scelte di fondo. Servono investimenti consistenti se si crede davvero nella linea delle misure alternative. E serve dare fiducia a una figura professionale come l’assistente sociale che in questi anni ha lavorato appunto per far crescere la cultura delle misure alternative. "Riteniamo quindi - conclude Anna Muschitiello - che se crediamo nelle misure alternative, si debba chiedere, piuttosto, di potenziare il lavoro degli operatori sociali, pensando a come farli integrare con le altre risorse del territorio, comprese quelle deputate al controllo".
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