L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

lunedì 12 novembre 2007

COMUNICATO CASG

Segreteria nazionale
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ALLE DICHIARAZIONI DEI VERTICI DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA FATTE IN OCCASIONE DEL CONVEGNO "Giustizia penale ed equità sociale, il carcere dopo l’indulto"- REPLICA IL COORDINAMENTO NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI GIUSTIZIA

Interpretando il pensiero dei tanti assistenti sociali che in questi ultimi giorni hanno letto o sentito e condiviso le preoccupazioni espresse dal Capo del Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria, Cons. Ettore Ferrara circa il progressivo aumento della popolazione detenuta e l’auspicio che vengano ampliate le misure alternative alla detenzione, esprimo invece perplessità sulle dichiarazioni dello stesso Ferrara, il quale ritiene si possa ottenere questo obiettivo, inserendo la polizia penitenziaria nel controllo dei sottoposti alle misure alternative al carcere.

E’ infatti in programma su iniziativa del DAP l’avvio di una sperimentazione, che vedrà coinvolti un centinaio di appartenenti alla polizia penitenziaria in diverse città e province, nel controllo dei sottoposti alle misure alternative, e questo, a suo parere, ne farà aumentare la concessione da parte dei Magistrati di Sorveglianza perché in questo modo le stesse saranno rese “più credibili”.

Abbiamo avuto modo di sentirgli dire, inoltre, in un dibattito pubblico, che il ricorso alle misure alternative da parte dei Magistrati è limitato, perché esse sono considerate: “non pena”.

Un’affermazione di questo genere, pronunciata soprattutto dal Capo del DAP, non può che lasciare amareggiati, perché fa un torto al duro e difficile lavoro che da oltre 30 anni, quotidianamente svolgono tutti gli operatori impegnati nella concessione/gestione delle suddette misure e che non sono solo gli assistenti sociali, ma anche: i Magistrati di Sorveglianza, gl’impiegati dei Tribunali di Sorveglianza, le Forze dell’ordine, il volontariato, i servizi territoriali, ecc. e soprattutto fa un torto alle migliaia di persone, sottoposte, attualmente, o che sono state sottoposte in passato, a queste misure, impegnate a conciliare responsabilmente la propria vita con le limitazioni della libertà, imposte loro.

Come si può pensare di far crescere nell’opinione pubblica l’idea che il carcere non rappresenta l’unica risposta punitiva possibile e che una differenziazione di sanzioni possa addirittura essere più efficace, se gli addetti ai lavori, per primi, dimostrano di non crederci?

Queste affermazioni fanno nascere diversi interrogativi:

si è proprio sicuri che introducendo la polizia penitenziaria nel controllo delle misure alternative, queste ultime aumenteranno?
i Magistrati di Sorveglianza potranno concedere più misure alternative in presenza di una legislazione, come l’attuale, che riduce sensibilmente l’ammissibilità alle stesse?
lasciare invariata la legge cosiddetta “Cirielli”, che limita sensibilmente l’accesso alle misure alternative dei soggetti recidivi e facendo entrare in vigore l’emanando pacchetto sicurezza si limiterà l’accesso ad un numero sempre più alto di autori di reati di elevato allarme sociale, ciò non significa ridurre drasticamente l’area penale esterna al carcere?
come potranno essere concesse le Misure Alternative ai soggetti stranieri e italiani senza quei presupposti indispensabili quali: risorse abitative, lavorative e di supporto, che solo un complesso e articolato lavoro sociale può garantire?
se le misure alternative hanno avuto nei 32 anni della loro applicazione risultati positivi sulla recidiva, con il solo intervento del servizio sociale,come risulta da una ricerca commissionata dallo stesso DAP, perché cambiare?
come si pensa di far diminuire la popolazione detenuta se più della metà di essa è in custodia cautelare, quindi non può beneficiare di misure alternative?
come può un progetto tutto interno all’A.P. risolvere la questione del sovraffollamento carcerario che dipende da fattori tutti esterni, quali la legislazione penale, le leggi sull’immigrazione, sulle dipendenze ecc.?
se esiste un problema di insicurezza nelle città questo è addebitabile ai soggetti in misura alternativa? e comunque, è realistico pensare che l’inserimento di nuclei di 6/9 unità di polizia penitenziaria in città come Milano, Roma, Napoli possa di fatto aumentare la “sicurezza”?

E inoltre:

come si pensa di affrontare l’inevitabile aumento dei soggetti detenuti in carcere che seguirà alla legislazione vigente e la contemporanea diminuzione degli addetti della polizia penitenziaria operativi negli istituti?
Con quali risorse finanziarie si pensa di alimentare un apparato di controllo da creare ex novo e che si andrà ad aggiungere a quello già esistente sul territorio?

Riteniamo che, chi crede che le misure alternative abbiano un valore intrinseco come modalità di esecuzione della pena e che accompagnando le persone in un processo di responsabilizzazione e reinserimento sociale si realizza la condizione vera per evitare la recidiva, si deve chiedere, piuttosto, come potenziare il lavoro degli operatori sociali e come integrare le risorse del territorio, comprese quelle deputate al controllo.

Per il Consiglio Nazionale
Anna Muschitiello