Centro Francescano di ascolto
Giustizia: Livio Ferrari; volontari, da che parte vogliamo stare?
Seac Notizie, 19 novembre 2007
Diciamolo francamente, senza falsi pudori: il volontariato è stanco di essere spettatore impotente di quanto avviene nelle carceri italiane. A oltre un anno dall’insediamento del Ministro Mastella, oltre all’indulto - una misura necessaria e dovuta - nulla è mutato. Le leggi che producono carcerazione impropriamente (Bossi-Fini, Fini-Giovanardi, ex-Cirielli) non sono state toccate e si è ormai buttata al vento l’opportunità di maggiore vivibilità per questi luoghi della vendetta sociale.
Il volontariato è amareggiato dall’incontrare in carcere per la maggior parte persone che fanno fatica nella quotidianità (ex-psichiatrizzati, senza dimora, ex-tossicodipendenti, etc.) e vedere che la risposta penale nei loro riguardi continua senza risoluzioni di sorta. Sono esseri umani che scontano periodi lunghissimi di reclusione per reati quali l’oltraggio alle forze dell’ordine, risse, piccoli furtarelli, per quella impossibilità di avere un comportamento sociale dentro la norma, per troppi anni di emarginazione e devianza che li hanno irrimediabilmente leso nella loro integrità psichica. Ma dobbiamo per sempre accanirci contro di loro, non possiamo pensare ad interventi sociali che portino alla creazione di "luoghi di attenzione e di passaggio" (li chiamerei) dove incontrare questi esseri umani e dar loro "spazi di respiro" attraverso i quali evitare che possano continuare a perpetrare azione negative nei riguardi della società ma anche verso se stessi!
Addirittura si ritorna a parlare di nuove carceri, quando rispetto alle 207 attuali ne basterebbe poco più di un quarto per le persone veramente pericolose e per coloro che fanno parte della criminalità organizzata, le restanti potrebbero essere tranquillamente dismesse. Anche la Commissione Pisapia, sulla riforma del codice penale, non ha dato sinora segnali di una reale e vera riduzione della pressione carceraria rispetto all’esecuzione penale. L’art. 27 della Costituzione parla di pena rieducativa e non cita il carcere per l’esecuzione, perciò non possiamo associarlo sempre e comunque per tutti quei reati di cui si rendono protagonisti persone che fanno fatica a vivere, a condurre una vita normale.
Dobbiamo invertire la rotta "americanizzante" intrapresa nell’ultimo decennio, dopo la Simeone-Saraceni, e ridare significato all’esistenza di tante persone attraverso una riforma complessiva e al passo con i tempi delle politiche sociali, che assieme al fallimento della 328 sono ancora organizzate come trent’anni fa.
È urgente anche investire economicamente, da parte dello Stato e dell’imprenditoria in quelle parti d’Italia dove la povertà impera e la malavita (mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita) spadroneggiano e creano situazioni di illegalità in collegamento con pezzi della politica. Ridurre la criminalità, togliere la manovalanza minorile dalle strade della devianza, è un obiettivo primario che deve darsi questo Parlamento attraverso azioni culturali ed economiche. Attenzione, però, che la sicurezza non si determina con l’aumento delle forze dell’ordine né con l’impiego dell’esercito, ma con la possibilità per le persone che vivono nei territori italiani attualmente più degradati di vivere dignitosamente e non dover soccombere ai ricatti e al degrado che la povertà e l’emarginazione determina.
C’è un’infinità di problemi che l’universo della giustizia, della pena e dell’esecuzione penale ha sommato in questi anni e sicuramente non sarà possibile risolverli tutti in una volta, ma affrontarli sistematicamente sì, questo è un obbligo oltre che un dovere.
Ricordiamo poi le molteplici problematiche che sono vissute da ragazzi, uomini e donne dentro gli istituti penitenziari italiani: i bambini in carcere con le mamme, i giovani adulti abbandonati ad una esecuzione penale inclemente, i drop out, i malati di aids, i malati cronici, i tossicodipendenti, i senza dimora, i malati psichici, etc. Persone che hanno bisogno di risposte penali diverse dal carcere, soprattutto di carattere sociale, da ripensare all’interno di un sistema sanzionatorio che sappia comprendere l’errore, le diversità, la drammatica fatica di vivere che investe la fragilità umana. Bisogna ridisegnare percorsi di pace che tocchino le coscienze e i cuori di ognuno, che ridiano significato all’incontro, all’ascolto e all’abbraccio con l’altro, senza perdere di vista la parte negativa, gli errori e il dolore prodotto, ma nell’ottica della riconciliazione e della restituzione del danno e contro l’attuale atteggiamento retributivo e vendicativo.
Il volontariato deve comunque interrogarsi, rispetto a quanto sin qui evidenziato, sul suo ruolo ed apporto, sulle sue funzioni divenute in questi ultimi anni esageratamente di supplenza. Non è sufficiente pensarsi dentro atteggiamenti di solidarietà per esserlo veramente, potremmo anche tristemente scoprire che la nostra presenza serve magari a coprire le inadempienze e le ingiustizie di questo sistema carcere. Può darsi, altresì, che il nostro operare contribuisca a nascondere le contraddizioni legislative adottate in questi anni e, involontariamente, a contribuire a che tutto resti com’è, che poi è il contrario di quello che vorremmo succedesse. Perché la nostra presenza avrebbe l’ardire di contribuire a modificare alcune delle negatività che la privazione della libertà produce nelle persone e lenire la loro sofferenza per ridare significato e futuro a queste esistenze.
Dopo molteplici tappe di crescita che si sono prodotte negli ultimi vent’anni, attraverso il percorso aggregativo ed associazionistico, quello della formazione, dell’acquisizione del ruolo politico, della progettualità, della promozione sociale, sono convinto che nel 2007 il volontariato della giustizia sia sicuramente più maturo, pur in tutte le sue diversità, difficoltà e sfaccettature, a produrre un’analisi più compiuta e scevra da condizionamenti di personalismo, per scegliere come agire nell’immediato futuro.
Dobbiamo decidere se continuare nella buona azione fine a sé stessa e succube delle scelte altrui, parlamentari ed economiche che siano, o pensare a nuove ed efficaci strategie di impegno politico che, attraverso alleanze sociali forti e autorevoli, diano forza alle idee di riforma, che abbiamo abbastanza chiare, e che diventa urgente si traducano in realtà e far sì che il nostro operato ritrovi tutta la dignità e il ruolo profetico che lo ha sempre contraddistinto.
Livio Ferrari, Presidente del Centro Francescano di Ascolto
Seac Notizie, 19 novembre 2007
Diciamolo francamente, senza falsi pudori: il volontariato è stanco di essere spettatore impotente di quanto avviene nelle carceri italiane. A oltre un anno dall’insediamento del Ministro Mastella, oltre all’indulto - una misura necessaria e dovuta - nulla è mutato. Le leggi che producono carcerazione impropriamente (Bossi-Fini, Fini-Giovanardi, ex-Cirielli) non sono state toccate e si è ormai buttata al vento l’opportunità di maggiore vivibilità per questi luoghi della vendetta sociale.
Il volontariato è amareggiato dall’incontrare in carcere per la maggior parte persone che fanno fatica nella quotidianità (ex-psichiatrizzati, senza dimora, ex-tossicodipendenti, etc.) e vedere che la risposta penale nei loro riguardi continua senza risoluzioni di sorta. Sono esseri umani che scontano periodi lunghissimi di reclusione per reati quali l’oltraggio alle forze dell’ordine, risse, piccoli furtarelli, per quella impossibilità di avere un comportamento sociale dentro la norma, per troppi anni di emarginazione e devianza che li hanno irrimediabilmente leso nella loro integrità psichica. Ma dobbiamo per sempre accanirci contro di loro, non possiamo pensare ad interventi sociali che portino alla creazione di "luoghi di attenzione e di passaggio" (li chiamerei) dove incontrare questi esseri umani e dar loro "spazi di respiro" attraverso i quali evitare che possano continuare a perpetrare azione negative nei riguardi della società ma anche verso se stessi!
Addirittura si ritorna a parlare di nuove carceri, quando rispetto alle 207 attuali ne basterebbe poco più di un quarto per le persone veramente pericolose e per coloro che fanno parte della criminalità organizzata, le restanti potrebbero essere tranquillamente dismesse. Anche la Commissione Pisapia, sulla riforma del codice penale, non ha dato sinora segnali di una reale e vera riduzione della pressione carceraria rispetto all’esecuzione penale. L’art. 27 della Costituzione parla di pena rieducativa e non cita il carcere per l’esecuzione, perciò non possiamo associarlo sempre e comunque per tutti quei reati di cui si rendono protagonisti persone che fanno fatica a vivere, a condurre una vita normale.
Dobbiamo invertire la rotta "americanizzante" intrapresa nell’ultimo decennio, dopo la Simeone-Saraceni, e ridare significato all’esistenza di tante persone attraverso una riforma complessiva e al passo con i tempi delle politiche sociali, che assieme al fallimento della 328 sono ancora organizzate come trent’anni fa.
È urgente anche investire economicamente, da parte dello Stato e dell’imprenditoria in quelle parti d’Italia dove la povertà impera e la malavita (mafia, ‘ndrangheta, camorra, sacra corona unita) spadroneggiano e creano situazioni di illegalità in collegamento con pezzi della politica. Ridurre la criminalità, togliere la manovalanza minorile dalle strade della devianza, è un obiettivo primario che deve darsi questo Parlamento attraverso azioni culturali ed economiche. Attenzione, però, che la sicurezza non si determina con l’aumento delle forze dell’ordine né con l’impiego dell’esercito, ma con la possibilità per le persone che vivono nei territori italiani attualmente più degradati di vivere dignitosamente e non dover soccombere ai ricatti e al degrado che la povertà e l’emarginazione determina.
C’è un’infinità di problemi che l’universo della giustizia, della pena e dell’esecuzione penale ha sommato in questi anni e sicuramente non sarà possibile risolverli tutti in una volta, ma affrontarli sistematicamente sì, questo è un obbligo oltre che un dovere.
Ricordiamo poi le molteplici problematiche che sono vissute da ragazzi, uomini e donne dentro gli istituti penitenziari italiani: i bambini in carcere con le mamme, i giovani adulti abbandonati ad una esecuzione penale inclemente, i drop out, i malati di aids, i malati cronici, i tossicodipendenti, i senza dimora, i malati psichici, etc. Persone che hanno bisogno di risposte penali diverse dal carcere, soprattutto di carattere sociale, da ripensare all’interno di un sistema sanzionatorio che sappia comprendere l’errore, le diversità, la drammatica fatica di vivere che investe la fragilità umana. Bisogna ridisegnare percorsi di pace che tocchino le coscienze e i cuori di ognuno, che ridiano significato all’incontro, all’ascolto e all’abbraccio con l’altro, senza perdere di vista la parte negativa, gli errori e il dolore prodotto, ma nell’ottica della riconciliazione e della restituzione del danno e contro l’attuale atteggiamento retributivo e vendicativo.
Il volontariato deve comunque interrogarsi, rispetto a quanto sin qui evidenziato, sul suo ruolo ed apporto, sulle sue funzioni divenute in questi ultimi anni esageratamente di supplenza. Non è sufficiente pensarsi dentro atteggiamenti di solidarietà per esserlo veramente, potremmo anche tristemente scoprire che la nostra presenza serve magari a coprire le inadempienze e le ingiustizie di questo sistema carcere. Può darsi, altresì, che il nostro operare contribuisca a nascondere le contraddizioni legislative adottate in questi anni e, involontariamente, a contribuire a che tutto resti com’è, che poi è il contrario di quello che vorremmo succedesse. Perché la nostra presenza avrebbe l’ardire di contribuire a modificare alcune delle negatività che la privazione della libertà produce nelle persone e lenire la loro sofferenza per ridare significato e futuro a queste esistenze.
Dopo molteplici tappe di crescita che si sono prodotte negli ultimi vent’anni, attraverso il percorso aggregativo ed associazionistico, quello della formazione, dell’acquisizione del ruolo politico, della progettualità, della promozione sociale, sono convinto che nel 2007 il volontariato della giustizia sia sicuramente più maturo, pur in tutte le sue diversità, difficoltà e sfaccettature, a produrre un’analisi più compiuta e scevra da condizionamenti di personalismo, per scegliere come agire nell’immediato futuro.
Dobbiamo decidere se continuare nella buona azione fine a sé stessa e succube delle scelte altrui, parlamentari ed economiche che siano, o pensare a nuove ed efficaci strategie di impegno politico che, attraverso alleanze sociali forti e autorevoli, diano forza alle idee di riforma, che abbiamo abbastanza chiare, e che diventa urgente si traducano in realtà e far sì che il nostro operato ritrovi tutta la dignità e il ruolo profetico che lo ha sempre contraddistinto.
Livio Ferrari, Presidente del Centro Francescano di Ascolto
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