L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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giovedì 22 novembre 2007

INTERVENTI CONFERENZA NAZIONALE UEPE ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI n.1

Le misure alternative alla detenzione tra proposte di riforma e istanze di sicurezza: Il contributo del Servizio Sociale”
di Franca Dente Vicepresidente Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali

Oggi con la Conferenza su “Le misure alternative alla detenzione tra proposte di riforma e istanze di sicurezza: Il contributo del Servizio Sociale” il CNOAS ha voluto raccogliere tutti i soggetti che a vario titolo sono coinvolti nella organizzazione e gestione dell'area dell'esecuzione penale esterna, per offrire un'occasione di dibattito su un tema – quello dell'inserimento della Polizia Penitenziaria nel controllo delle persone ammesse alle misure alternative – sul quale, negli ultimi sei mesi, molto si è parlato, scritto e discusso con una polarizzazione su due posizioni, quella dei favorevoli e quella dei contrari che, ci sembra, non riescano a fare passi avanti per superare tale polarizzazione.

Abbiamo, quindi, ritenuto utile rendere possibile un confronto fra tali contrapposti punti di vista, augurandoci che l'iniziativa odierna possa rappresentare l'avvio di un processo di riflessione che includa tutte le voci e che possa concludersi con l'individuazione di alcuni elementi di condivisione, sulla cui base elaborare un progetto comune.

Fra queste diverse voci c'è anche quella dell'Ordine professionale degli assistenti sociali che, se lascia ad altri più autorevoli e competenti esperti i ragionamenti sulla legittimità dell'uso di un decreto ministeriale per modificare disposizioni di legge e sulla legittimazione normativa di un ruolo esterno della polizia penitenziaria, intende analizzare e “monitorare” il processo di cambiamento che si prefigura, per verificarne la ricaduta sull'operatività degli assistenti sociali che in tale processo, da più di trenta anni, rivestono un ruolo centrale.

La principale preoccupazione dell'Ordine, cioè dell'ente cui compete esponenzialmente il compito di tutela della professione, è che i cambiamenti che si ipotizzano possano incidere in senso potenzialmente negativo sul mandato professionale degli assistenti sociali del settore penale.

Certamente per poter valutare tale processo dobbiamo considerare tutti i vari aspetti della complessa questione della gestione delle misure alternative, sia come strumento di inclusione sociale, sia come elemento di ricostruzione del tessuto comunitario, vulnerato dal reato, in un'ottica che sia di rafforzamento della sicurezza dei contesti di vita dei cittadini.

Come molti dei soggetti coinvolti in questo dibattito hanno sostenuto e sostengono anche l’Ordine Nazionale ha maggiormente incentrato la sua attenzione alla misura alternativa dell’Affidamento in prova al Servizio Sociale.


In sintesi le ragioni che sottostanno a tale preoccupazione sono:

§ La ratio che è stata alla base della previsione normativa che ha introdotto l’affidamento, ruotava attorno all'idea che si potesse coniugare un percorso di reintegrazione sociale della persona condannata, alla garanzia di un controllo efficace di tale percorso, mediante un “trattamento” che non fosse meramente custodialistico, ma attuato in un ambito comunitario e svolto secondo la competenza professionale del servizio sociale. In altri termini, il legislatore ha individuato nella professione di assistente sociale l'elemento caratterizzante della misura stessa, che viene applicata sul presupposto che il trattamento relativo sia svolto secondo la competenza e la metodologia di intervento dell’assistente sociale. Partendo dal presupposto che il soggetto affidato abbia un interesse primario ad impegnarsi nella partecipazione al programma stilato al momento della concessione della misura, in funzione della sua risocializzazione, si ritiene che anche il controllo sull’aderenza alle prescrizioni sia in grado di assumere un significato “positivo” all’interno della struttura complessiva dell’affidamento in prova. In quest’ottica, l’approccio professionale dell’assistente sociale viene individuato come lo strumento più adeguato per l’instaurazione di un rapporto in cui il controllo presenta delle caratteristiche di specificità e differenza rispetto alle forme di controllo tipiche del custodialismo, in quanto: si svolge comunque secondo metodi, tecniche e finalità che fanno riferimento ad un rapporto duale operatore-utente, i cui elementi fondanti sono la fiducia e la responsabilità di ciascuno dei soggetti della relazione. In tale ottica il controllo si realizza come verifica non unilaterale, ma relazionale del percorso complessivo del soggetto.

§ I positivi risultati ottenuti dal servizio sociale penitenziario nella gestione della misura dell’affidamento, oltre che su un metodo di intervento centrato sulla responsabilizzazione del condannato e sulla richiesta di una sua partecipazione attiva al programma di trattamento, di cui si controllano le modalità di svolgimento (controllo del processo), si sono basati sin dall’inizio su un tipo di organizzazione e di politica del servizio rispondente al principio, fatto proprio dalla legge di riforma penitenziaria, di “territorializzazione della pena”, cioè l’idea che i comportamenti devianti devono trovare soluzione e prevenzione in quello stesso ambiente in cui si sono manifestati, con la riappropriazione della gestione dei problemi della devianza, anche di quella con rilevanza penale, da parte della comunità. Su questa base, con la scelta di dislocare gli, allora, Centri di Servizio Sociale per Adulti in tutto il territorio nazionale, come unità amministrative autonome e distinte dagli istituti penitenziari, il legislatore volle affermare che queste strutture dovevano porsi in una logica di integrazione con il territorio, per rendere possibile anche l’attuazione del principio di territorializzazione della pena.
Il servizio sociale, ha impostato la propria pratica di intervento sull’attivazione della metodologia del lavoro di rete, sia per gli interventi rivolti al caso singolo, sia con una Politica del Servizio mirante all’inserimento dell’UEPE nel tessuto sociale circostante, mediante la creazione di una rete il più possibile ampia attraverso contatti formali con gli altri servizi e le altre agenzie del territorio (Protocolli d’intesa, Convenzioni, Co-progettazione su tematiche specifiche) e costruire un tessuto sociale accogliente, attrezzato e meglio rispondere agli obiettivi non solo di reinserimento del condannato ma anche di prevenzione primaria.
Allo stato attuale, la realtà organizzativa e le pratiche professionali del servizio sociale della Giustizia, consentono di dire che gli UEPE sono oggi, non solo diffusamente presenti nel territorio, ma operano in stretta collaborazione e coordinamento con gli attori istituzionali e non, e con le altre agenzie che si occupano della sicurezza dei territori di vita dei cittadini. Gli UEPE siedono ai tavoli tecnici che elaborano i Piani di Zona, vengono chiamati a far parte dei tavoli promossi dalle Prefetture per le questioni inerenti la sicurezza, hanno costanti rapporti di collaborazione con le agenzie della società civile (volontariato, cooperazione sociale, privato no profit) il cui impegno nelle politiche sociali e nel penitenziario ha acquisito un peso, anche normativo, centrale.

§ Le ipotesi di inserimento della polizia penitenziaria, sia nella prospettiva di collocazione all'interno degli UEPE, sia nella prefigurazione di un impiego a livello dei PRAP o dei Tribunali di Sorveglianza, potrebbero determinare uno snaturamento della misura dell'affidamento. Tali misure potrebbero subire una radicale trasformazione nel loro nucleo fondante, con una separazione fra le due funzioni quella di sostegno alla persona in esecuzione penale (assistente sociale) e quella di controllo dell’andamento del percorso della misura (polizia penitenziaria), introducendo, in tal modo, potenziali ma, facilmente prefigurabili, aspetti di ulteriore complessità organizzativa e gestionale, ma anche elementi di conflittualità nella gestione della misura stessa fra l'operatore sociale e le sue specifiche modalità di intervento e le funzioni di controllo esercitate, con modalità più fiscali e custodialistiche, dalla polizia penitenziaria. Ciò influirebbe negativamente sia sul piano della qualità, sia su quello dell’efficacia del sistema della gestione dell’affidamento.


I FATTORI DI CRITICITÀ

E’, tuttavia, necessario analizzare anche alcuni dei fattori che hanno determinato una condizione di crisi nel sistema penitenziario e, in particolare, nell’area penale esterna, e che rischiano di vanificare, in buona misura, i risultati conseguiti dal più generale sistema delle misure alternative alla detenzione:

§ La esponenziale crescita numerica e qualitativa delle misure alternative. Oggi siamo di fronte ad una situazione in cui l’universo penitenziario è articolato in due distinti, e quasi equivalenti, quanto a consistenza numerica, settori di esecuzione della pena: il sistema carcere con la pena detentiva e il trattamento intra-murario, e il sistema delle alternative alla detenzione. Ma, a ciò non è corrisposta, né una risistemazione normativa, né soprattutto una più equa distribuzione di risorse finanziarie, strumentali e umane fra i due settori.

§ La sostanziale modifica della natura delle misure alternative, a causa del succedersi, nel corso degli anni, di provvedimenti legislativi che hanno trasformato, in particolare l’affidamento in prova al servizio sociale, in una misura estremamente complessa, di difficile gestione, potendo esservi ammessi soggetti dalla storia delinquenziale anche lunga o condannati per reati la cui “natura” spesso configura situazioni che rendono particolarmente difficile l’intervento professionale dell’assistente sociale (ad esempio i reati dei cosiddetti colletti bianchi, soprattutto quelli di tipo finanziario, quelli connessi alla pedofilia, o anche alla criminalità organizzata di tipo mafioso), o soggetti inseriti in complesse situazioni ambientali, in cui è molto estesa la criminalità organizzata. E’ facilmente intuibile, che si è determinato un aggravamento dei compiti del servizio sociale.

§ Il cambiamento avvenuto nell’opinione pubblica, a causa dell’allarme sociale prodotto dalla microcriminalità, dalla trasformazione delle nostre comunità di vita sempre più multiculturali con la paura dello “straniero”, che fanno aumentare l’insicurezza sociale. Le richieste sembrano sempre più rivolte ad obiettivi di esclusivo contenimento e controllo, da effettuarsi con strumenti idonei, anche ricorrendo a controlli elettronici. Soprattutto nelle grandi città, sempre più sembra farsi strada la cosiddetta “tolleranza zero”.
§ La minore presenza di dirigenti di S.S. anche nel DAP, ufficio di esecuzione penale esterna, che ostacola di fatto la comprensione di tali ragioni.
§ Lo scarso investimento su politiche di prevenzione e di interventi sociale.

UNA VALUTAZIONE SUI RISULTATI

A fronte di queste considerazioni, vanno opportunamente presi in esame i dati sui risultati dell'affidamento, per comprendere se le ipotesi di riforma hanno un fondamento e motivazioni oggettive che rendano necessario il cambiamento organizzativo.

Tre gli aspetti di fondamentale interesse per la valutazione, in termini di efficacia con particolare riguardo anche al rapporto misure/assistenti sociali, della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale: il numero, le revoche, le recidive.

I risultati sono positivi, sia per quanto attiene la percentuale di revoche ( 6,06% dati rilevati dal sito del Ministero della Giustizia), sia per la recidiva (19% anni successivi 1998 sino a 2005). Tutto questo nonostante la crescita delle misure alternative sia stata costante ed esponenziale: in particolare, dal 1991, anno in cui le misure alternative erano complessivamente inferiori a 5.000, se ne è avuta la decuplicazione, avendo raggiunto quasi quota 50.000 nel 2005 e precisamente:

I dati statistici che ormai tutti conosciamo costituiscano, quindi, una dimostrazione dell’efficacia dell’intervento professionale del Servizio Sociale nell’affidamento in prova al Servizio Sociale e del sostanziale buon funzionamento del sistema penitenziario.

Quindi, la valutazione di tali dati consente di concludere che il sistema di implementazione della misura dell'affidamento, imperniato sulle modalità operative del servizio sociale, ha complessivamente funzionato nel raggiungimento del duplice obiettivo di rafforzare i processi di inclusione e coesione sociale, contribuendo attraverso il rispetto delle prescrizioni anche al rispetto della legalità e favorendo, in tal modo, una maggiore sicurezza dei contesti di vita dei cittadini.

Queste sono state anche le parole del Procuratore Giancarlo Caselli che, intervistato dopo la rapina a Siena dell'ex brigatista Piancone, ha difeso le misure alternative perché funzionano bene recuperando le persone alla convivenza civile, determinando così anche un aumento del livello di sicurezza nel nostro paese.

L'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali ha raccolto il disagio degli operatori degli UEPE, sia in occasione di un incontro nazionale tenutosi a Roma il 2 marzo 2007, sia perché sollecitato dai numerosi documenti, lettere e appelli ad esso pervenuti dalla maggioranza degli UEPE. Anche alcuni dei dirigenti hanno interpellato l'Ordine rispetto alla necessità di farsi portavoce di “tutti” i punti di vista espressi dagli assistenti sociali del settore (va, al riguardo, precisato che tutti i dirigenti degli UEPE sono assistenti sociali).

Il CNOAS, ponendosi l'obiettivo di assolvere il proprio compito di tutela della professione, è intervenuto attivandosi su più fronti, anche al fine di allargare l'area di riflessione: quello politico con un incontro avuto con il Ministro C. Mastella il 28 marzo 2007, quello più propriamente tecnico con l'incontro avuto il 16 maggio scorso con il Capo del DAP, Ettore Ferrara, e con il Direttore generale dell'E.P.E, Riccardo Turrini Vita (che era stato preceduto da un colloquio con il direttore generale del personale e della formazione, M.De Pascalis).

In queste diverse sedi, l'Ordine, facendosi portavoce delle varie istanze provenienti dal servizio sociale della Giustizia, ha ritenuto importante evidenziare alcune valutazioni, sia di metodo, che di merito.

L'Ordine, avendo riscontrato, sia nel Ministro, che nei vertici del DAP, la volontà di proseguire nel progetto di riforma e, pur convenendo su alcune criticità segnalate dai diversi interlocutori a supporto della necessità di rendere il sistema dell'esecuzione penale esterna ancora più efficace, ha ritenuto tuttavia di dover richiedere, in primo luogo, quantomeno il rinvio dell'inizio della sperimentazione, con la contestuale attivazione di una fase di riflessione-confronto con tutti i soggetti coinvolti nell'area penale esterna, per meglio valutare e individuare, in modo condiviso, le reali esigenze di riforma e gli interventi concretamente necessari.

In questo frangente di tempo si sono moltiplicate le dichiarazioni, i comunicati e le critiche contro l’idea di riforma del DAP da parte degli assistenti sociali dei vari UEPE, dei sindacati confederali e autonomi anche della polizia penitenziaria, del mondo del volontariato; si è aperto da tempo un blog su No alla sperimentazione di commissariati territoriali delle Polizia Penitenziaria.

Il DAP dal proprio canto ho rivisto il provvedimento tentando una mediazione senza riuscirvi e i dirigenti degli UEPE si sono progressivamente orientati in senso più positivo rispetto alla riforma.

In questo confronto va anche evidenziato il crescente bisogno di sicurezza della comunità e la peculiarità dei fenomeni che si devono governare.

Il Consiglio Nazionale ha sicuramente un forte attenzione alle prospettive della professione e alla suo mandato sociale e in modo particolare al senso e valore della misura dell’affidamento in prova al Servizio Sociale, perché parte da un costrutto ideologico di ricostruzione dei legami sociali e personali, da una visione etica di un’idea di sicurezza, e non da spinte corporative, ma ha anche la necessità di ascoltare le ragioni delle diverse posizioni e lasciare che interagiscono tra di loro, trovando punti di contatto e di collaborazione.

A questo fine è stata voluta questa giornata e a questo scopo organizzata la tavola rotonda, anche per agevolare un dialogo tra le parti e rispondere ad un giusto bisogno di consultazione manifestato da tempo dalle assistenti sociali.

Inclusione, coesione non sono parole ma concetti, presupposti ideologici e valoriali che sono alla base della professione, sono modus vivendi (professionale), forma mentis che puntano sulla responsabilità e sulle risorse delle persone.