Ministro della Giustizia
RELAZIONE ANNUALE SULLO STATO DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA IL GUARDASIGILLI CLEMENTE MASTELLA ALLA CAMERA E AL SENATO
16 gennaio 2008. I numeri e la situazione della Giustizia italiana nei dodici mesi appena trascorsi e il bilancio di un anno e mezzo di lavoro alla guida del dicastero di via Arenula. La relazione annuale del guardasigilli Clemente Mastella al Parlamento
16 gennaio 2008. I numeri e la situazione della Giustizia italiana nei dodici mesi appena trascorsi e il bilancio di un anno e mezzo di lavoro alla guida del dicastero di via Arenula. La relazione annuale del guardasigilli Clemente Mastella al Parlamento
LA POLITICA PENITENZIARIA
Nelle carceri italiane erano presenti, il 7 gennaio 2008, 48.788 persone detenute, quasi diecimila in più della cifra minima toccata nel settembre 2006, pari a 38.326. E’ un dato elevato, ma tollerabile dal nostro sistema, che non avrebbe invece potuto sopportare le oltre 72.000 presenze che oggi si registrerebbero se non si fosse adottato il provvedimento d’indulto. Al cui proposito voglio ancora rimarcare la strumentalità delle polemiche condotte a lungo, con argomenti faziosi, contro la maggioranza e contro il Ministro della Giustizia. La situazione di oggi ci rende ancora ragione della indifferibilità di quella misura, mentre il tasso di recidivi presenti nelle carceri è pari al 42%, contro il 48% prima dell’indulto.
Nel corso del 2007 l’attività di recupero edilizio e ristrutturazione condotta dal DAP ha consentito l’acquisizione di 426 nuovi posti, e nel 2008 si conta di recuperarne altri 1980. La pianificazione del triennio 2009 - 2011 mira ad ulteriori 2400 posti, e per il periodo ancora successivo a 2579 posti, per un totale in incremento di 7385 posti, che porteranno un aumento complessivo della capienza tollerabile di oltre 11000 posti.
Tuttavia, una visione meramente quantitativa dei problemi penitenziari sarebbe miope, e non funzionale al bene prezioso della sicurezza. Dopo la detenzione, che comunque ha un termine, non possiamo riconsegnare alla società la stessa persona, magari ancor più esacerbata e pericolosa.
E’ perciò che l’ampiezza delle prigioni non esaurisce l’impegno dello Stato verso il condannato, che deve allargarsi alla vigilanza e al trattamento rieducativo. D’altra parte, la prigione non è l’unico immaginabile modo di custodire e rieducare la persona, ma solo quello più dispendioso e più sofferto.
Consapevoli di ciò, stiamo attrezzando la nostra Polizia Penitenziaria per gestire in proprio le fasi dell’esecuzione penale esterna, consistente in tutte quelle forme di trattamento alternative al carcere che obbligano il condannato all’osservanza di divieti o di comportamenti prescrittivi, e che quindi presuppongono la presenza di un’autorità vigilante, e controlli stringenti sul rispetto dell’esecuzione.
Nelle carceri italiane erano presenti, il 7 gennaio 2008, 48.788 persone detenute, quasi diecimila in più della cifra minima toccata nel settembre 2006, pari a 38.326. E’ un dato elevato, ma tollerabile dal nostro sistema, che non avrebbe invece potuto sopportare le oltre 72.000 presenze che oggi si registrerebbero se non si fosse adottato il provvedimento d’indulto. Al cui proposito voglio ancora rimarcare la strumentalità delle polemiche condotte a lungo, con argomenti faziosi, contro la maggioranza e contro il Ministro della Giustizia. La situazione di oggi ci rende ancora ragione della indifferibilità di quella misura, mentre il tasso di recidivi presenti nelle carceri è pari al 42%, contro il 48% prima dell’indulto.
Nel corso del 2007 l’attività di recupero edilizio e ristrutturazione condotta dal DAP ha consentito l’acquisizione di 426 nuovi posti, e nel 2008 si conta di recuperarne altri 1980. La pianificazione del triennio 2009 - 2011 mira ad ulteriori 2400 posti, e per il periodo ancora successivo a 2579 posti, per un totale in incremento di 7385 posti, che porteranno un aumento complessivo della capienza tollerabile di oltre 11000 posti.
Tuttavia, una visione meramente quantitativa dei problemi penitenziari sarebbe miope, e non funzionale al bene prezioso della sicurezza. Dopo la detenzione, che comunque ha un termine, non possiamo riconsegnare alla società la stessa persona, magari ancor più esacerbata e pericolosa.
E’ perciò che l’ampiezza delle prigioni non esaurisce l’impegno dello Stato verso il condannato, che deve allargarsi alla vigilanza e al trattamento rieducativo. D’altra parte, la prigione non è l’unico immaginabile modo di custodire e rieducare la persona, ma solo quello più dispendioso e più sofferto.
Consapevoli di ciò, stiamo attrezzando la nostra Polizia Penitenziaria per gestire in proprio le fasi dell’esecuzione penale esterna, consistente in tutte quelle forme di trattamento alternative al carcere che obbligano il condannato all’osservanza di divieti o di comportamenti prescrittivi, e che quindi presuppongono la presenza di un’autorità vigilante, e controlli stringenti sul rispetto dell’esecuzione.
In materia di custodia domiciliare, sia a titolo cautelare che di espiazione di pena, sta partendo in questi giorni la sperimentazione di 400 braccialetti elettronici, che assicureranno continuativamente la localizzazione della persona interessata sul luogo di detenzione e renderanno impossibili i comportamenti elusivi. La garanzia di efficacia derivante da questo controllo permanente consentirà alla magistratura di utilizzare con maggiore fiducia, e migliore profitto per le esigenze di tutela della collettività, le misure alternative alla detenzione in carcere.
Nell’accostarci ai problemi del carcere, vediamo quanto essi siano inscindibilmente intrecciati a quelli della funzionalità dell’apparato giudiziario. La lunghezza dei processi penali articolati in tre gradi di giudizio si pone come causa di due fenomeni negativi: la presenza eccessiva di persone non condannate con sentenza definitiva, e un eccesso di ingressi in carcere con brevissimo turn-over. Il tutto è aggravato da un diritto penale di concezione ormai datata, che considera il carcere la sanzione preferenziale di qualsiasi comportamento illecito.
La prigione non reca così alcun beneficio al singolo in termini rieducativi, e non protegge la collettività, minandone la fiducia nella capacità punitiva del sistema penale. La politica penitenziaria è perciò, per larga parte, politica del diritto e del processo penale.
Nell’accostarci ai problemi del carcere, vediamo quanto essi siano inscindibilmente intrecciati a quelli della funzionalità dell’apparato giudiziario. La lunghezza dei processi penali articolati in tre gradi di giudizio si pone come causa di due fenomeni negativi: la presenza eccessiva di persone non condannate con sentenza definitiva, e un eccesso di ingressi in carcere con brevissimo turn-over. Il tutto è aggravato da un diritto penale di concezione ormai datata, che considera il carcere la sanzione preferenziale di qualsiasi comportamento illecito.
La prigione non reca così alcun beneficio al singolo in termini rieducativi, e non protegge la collettività, minandone la fiducia nella capacità punitiva del sistema penale. La politica penitenziaria è perciò, per larga parte, politica del diritto e del processo penale.
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Relazione annuale sullo stato della Giustizia in Italia
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