L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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sabato 26 gennaio 2008

Social news

Gennaio 2008
Prevenire la criminalità. Le radici della delinquenza

Le esperienze traumatiche possono incidere pesantemente in quelle scelte di vita che alla fine si rivelano sbagliate, deleterie per chi le attua. La prevenzione andrebbe fatta attraverso una maggiore preparazione scolastica o professionale per migliorare l’accesso al mondo del lavoro, contrastando le cause dell’abuso di stupefacenti e quelle di una crescente povertà

è fuor di dubbio che le cause che di solito spingono una persona a compiere un crimine possano essere molteplici. Tuttavia, non escludendo la possibilità di scelte individuali “professionali” nel campo della delinquenza, ritengo siano predominanti fattori socio-economici quali la povertà, la mancanza di lavoro, il basso livello di istruzione, la tossicodipendenza e, non da ultimo, il contesto di provenienza, spesso caratterizzato da notevole multi problematicità. Abbandono o perdita di almeno un genitore in età infantile, alcolismo e violenze in ambito familiare, possono tutte essere esperienze a tal punto traumatiche da incidere pesantemente in quelle scelte di vita che alla fine si rivelano sbagliate, deleterie per chi le attua. La delinquenza ha quindi una serie di motivazioni diverse alle spalle, e proprio per questo motivo diversi sono gli interventi che potrebbero contribuire a prevenirla o perlomeno a limitarla. Innanzi tutto si dovrebbe far leva su una maggiore preparazione scolastica o professionale affinché sia possibile consentire un migliore accesso al mondo del lavoro, anche attraverso il raccordo fra le Istituzioni scolastiche e formative e l’imprenditoria. Seconda cosa andrebbero contrastate le cause che molto spesso portano i giovani ad abusare di sostanze stupefacenti come, d’altro canto, andrebbero contrastate pure le cause che portano ad una sempre più crescente povertà. Un’opera preventiva adeguata dovrebbe tener conto anche, e forse soprattutto, della diffusione di sani valori morali per cui il grado di appagamento individuale non discenda dal possesso di beni materiali, ma da un apprezzato inserimento nel contesto sociale. Proprio in merito al contesto sociale, altro punto assolutamente non trascurabile ai fini preventivi riguarda l’inserimento sociale degli immigrati ed il loro contenimento numerico entro i limiti in cui l’inserimento stesso sia realizzabile. Gli stranieri sono una realtà del nostro Paese alla quale non si può non fare attenzione. Una realtà che spesso si confronta con il carcere. Al momento sono 26 su un totale di 251 elementi, i detenuti extracomunitari di diversa provenienza geografica che stanno scontando la loro pena presso la Casa di reclusione di Rebibbia. Sebbene vi sia anche qualche cittadino dell’Unione Europea, perlopiù si tratta di persone originarie dei Paesi del Magreb e Africa equatoriale, Europa dell’Est e Sud America. Al contrario di quanto si potrebbe essere portati a pensare, tra i detenuti italiani e quelli immigrati non si riscontrano particolari problemi di convivenza. Se le giornate scorrono senza grosse scosse, ciò è con una certa probabilità da attribuirsi al fatto che le camere di detenzione sono quasi tutte singole, il che consente a ciascuno dei presenti di mantenere le proprie abitudini comportamentali, alimentari e religiose senza suscitare disappunto reciproco. In ogni caso, è corretto precisare che non si registrano intolleranze nemmeno durante le attività in comune, attività che coprono una fascia oraria piuttosto ampia che va dalle ore 8 alle ore 22.30. Tuttavia, al di là del fatto che non si manifestano conflitti interni, la vita in carcere, ne sono consapevole, comporta delle ovvie difficoltà. Proprio per questo motivo sono solito esporre sempre ai detenuti la mia sollecitazione per cui la detenzione, breve o lunga che sia stata, deve rappresentare solo una parentesi nella vita dell’individuo. Una parentesi da chiudere definitivamente con la scarcerazione, evitando di incorrere in ulteriori comportamenti devianti che, qualora non restino impuniti, conducono inesorabilmente un’altra volta in carcere. A tal proposito va comunque sottolineato che per coloro che hanno subito e scontato una condanna risulta cosa tutt’altro che semplice reintegrarsi nella Società. In effetti sono pochi quei soggetti che terminata la pena possono contare su percorsi di reinserimento sociale. Percorsi che, precisiamolo, vengono prevalentemente offerti dal mondo delle cooperative e dal no-profit. La gran parte degli ex carcerati rientra, purtroppo, nel contesto di provenienza senza concrete opportunità, in primis lavorative, che possano favorire il cambiamento dello stile di vita e va da sé che proprio a causa delle difficoltà che incontrano, corrono il rischio di trovarsi di nuovo in una situazione in cui la via della delinquenza pare essere la più semplice o perlomeno l’unica possibile.

Stefano Ricca
direttore della casa di reclusione roma rebibbia