Carcere- Nuova Replica del Sidacato Sappe sul fenomeno dei trasferimenti della polizia penitenziaria denunciato dal corriere della sera
Sappe- no alle "ombre" sulla polizia penitenziaria
Comunicato stampa, 13 febbraio 2008
Dichiarazione del dott. Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe.
Un lavoro come quello del giornalista, impone degli impegni, sia nell’ambito deontologico, sia in quello della serietà mostrata nei confronti dei propri lettori. Ci dispiace leggere ancora una volta nelle pagine del Corriere della Sera un altro intervento di Gian Antonio Stella dal titolo "Quando le guardie sono più dei ladri" che sembra proprio non impegnarsi né nel primo né nel secondo aspetto. Prima di scrivere un intervento o un articolo ci si dovrebbe quantomeno informare e non semplicemente fare dei conti con la calcolatrice per poi gettare ombre sull’operato della Polizia Penitenziaria.
Il rapporto numerico tra detenuti e Poliziotti Penitenziari è sì prossimo all’uno, nonostante questo sia oscillato dopo l’indulto ed ora sia nettamente inferiore all’uno, ma fermarsi a considerare solo questo aspetto significa non conoscere o non voler prendere in considerazione tutti gli altri e questo denota quantomeno una scarsa professionalità.
Comparare il rapporto agenti-detenuti in Italia con quello della Francia o addirittura con quello degli Stati Uniti è semplicemente ridicolo: l’ordinamento giuridico, la cultura della pena e l’organizzazione penitenziaria nelle tre nazioni sono profondamente diverse; negli Stati Uniti addirittura la gestione di molti Istituti penitenziari è affidata al settore privato. Uno sterile rapporto numerico agenti-detenuti non prende nemmeno in considerazione i compiti affidati alla Polizia Penitenziaria tra i quali il Servizio Traduzioni e Piantonamenti e il Servizio Scorte e Vigilanza, etc., che impiegano quotidianamente circa ottomila poliziotti penitenziari.
Se si volessero analizzare seriamente i dati, si dovrebbe andare a vedere il tasso di recidiva tra persone che hanno scontato la pena in uno stato di reclusione e quelli che l’hanno scontata attraverso il ricorso a misure alternative. Per questo il Sappe da tempo ha proposto a Governo e Parlamento di "ripensare il carcere" con una legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) delineando per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale.
Nessuno ha fatto nulla e questo è il risultato: le carceri sono sovraffollate e gli agenti stressati. E che nelle ultime settimane si siano registrati diversi casi di suicidio tra gli appartenenti al Corpo è un ulteriore inquietante dato che deve - dovrebbe - fare riflettere. Ma la realtà è che abbiamo parlato con i sordi. Vorrei però chiarire alcune cose fondamentali circa la situazione degli organici del Corpo.
La prima è che le valutazioni sui numeri dei poliziotti penitenziari negli Istituti si riferiscono a piante organiche definite autonomamente nel 2001 da un decreto ministeriale dell’allora Guardasigilli Piero Fassino nonostante la contrarietà di tutte le Organizzazioni sindacali del Corpo che giudicarono non rispondente alla realtà la ricognizione effettuata a livello nazionale ed in ogni singolo Istituto di pena da una commissione dell’Amministrazione penitenziaria, che per altro valutò gli organici senza un confronto con le rappresentanza sindacali delle varie realtà locali.
Alla luce di questa importante precisazione, si converrà che - stanti comunque le gravi carenze di Personale nelle sedi nel Centro-Nord Italia, è quindi improprio parlare di "esuberi di personale" in quelle del Sud. Ad esempio, con riferimento al dato riferito alla regione Lazio che più colpisce per il presunto surplus di Agenti, c’è da dire ad onor di cronaca che si tratta di personale impiegato nei servizi e negli Uffici centrali (Ministero della Giustizia, Dipartimento penitenziario, Uspev e Gom, Ufficio Ispettivo, Ufficio centrale di PG, etc.).
Ed è per questo che il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima organizzazione più rappresentativa della Categoria, ha continuato a chiedere, a tutti i vari Ministri della Giustizia che si sono succeduti dal 2001 ad oggi, di rivedere quelle piante organiche e quel decreto ministeriale. Richieste rimaste tutte inascoltate. A nostro avviso due soluzioni si potrebbero adottare per fronteggiare questa emergenza.
Dopo aver accertato le reali carenze di organico, si bandiscano concorsi pubblici per quelle sedi penitenziarie deficitarie. Mancano in Lombardia, in Veneto o in Liguria 500 agenti di Polizia penitenziaria? Si bandisca dunque un concorso per le sedi penitenziarie di Lombardia, Veneto o Liguria. Chi partecipa al concorso sa che andrà a fare servizio in una delle città di quelle Regioni. Ma poniamo però anche un vincolo di permanenza in quelle sedi, ed è questa la nostra seconda proposta.
Oggi vi sono colleghi dell’Italia centro-meridionale (ed insulare) che hanno come prima sede di servizio una città del Nord. La loro legittima aspirazione è avvicinarsi al luogo di residenza, in cui spesso rimane la famiglia perché con un nostro stipendio è impossibile fronteggiare il costo della vita del Settentrione. Spessissimo, però, al Nord ci restano per decenni e addirittura vanno in pensione sempre in servizio in quella sede perché la mobilità del personale dal Nord verso il Sud movimenta poche, pochissime unità.
Attiviamo dunque un meccanismo di assunzioni tali che permetta, raggiunta una certa anzianità di servizio al Nord, il trasferimento nella sede gradita o, in alternativa, si realizzi quel piano di edilizia residenziale a canone agevolato per i nostri Agenti per il quale il Sappe si batte da anni e che consentirebbe, a chi lo desidera, di rimanere in servizio al Nord trasferendovi la propria famiglia. Assunzioni, è opportuno chiarirlo, che servirebbero a "coprire" i posti lasciati liberi dal personale posto in quiescenza. Se non si lavora in queste due direzioni, non risolveremo mai il problema.
Comunicato stampa, 13 febbraio 2008
Dichiarazione del dott. Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe.
Un lavoro come quello del giornalista, impone degli impegni, sia nell’ambito deontologico, sia in quello della serietà mostrata nei confronti dei propri lettori. Ci dispiace leggere ancora una volta nelle pagine del Corriere della Sera un altro intervento di Gian Antonio Stella dal titolo "Quando le guardie sono più dei ladri" che sembra proprio non impegnarsi né nel primo né nel secondo aspetto. Prima di scrivere un intervento o un articolo ci si dovrebbe quantomeno informare e non semplicemente fare dei conti con la calcolatrice per poi gettare ombre sull’operato della Polizia Penitenziaria.
Il rapporto numerico tra detenuti e Poliziotti Penitenziari è sì prossimo all’uno, nonostante questo sia oscillato dopo l’indulto ed ora sia nettamente inferiore all’uno, ma fermarsi a considerare solo questo aspetto significa non conoscere o non voler prendere in considerazione tutti gli altri e questo denota quantomeno una scarsa professionalità.
Comparare il rapporto agenti-detenuti in Italia con quello della Francia o addirittura con quello degli Stati Uniti è semplicemente ridicolo: l’ordinamento giuridico, la cultura della pena e l’organizzazione penitenziaria nelle tre nazioni sono profondamente diverse; negli Stati Uniti addirittura la gestione di molti Istituti penitenziari è affidata al settore privato. Uno sterile rapporto numerico agenti-detenuti non prende nemmeno in considerazione i compiti affidati alla Polizia Penitenziaria tra i quali il Servizio Traduzioni e Piantonamenti e il Servizio Scorte e Vigilanza, etc., che impiegano quotidianamente circa ottomila poliziotti penitenziari.
Se si volessero analizzare seriamente i dati, si dovrebbe andare a vedere il tasso di recidiva tra persone che hanno scontato la pena in uno stato di reclusione e quelli che l’hanno scontata attraverso il ricorso a misure alternative. Per questo il Sappe da tempo ha proposto a Governo e Parlamento di "ripensare il carcere" con una legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) delineando per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale.
Nessuno ha fatto nulla e questo è il risultato: le carceri sono sovraffollate e gli agenti stressati. E che nelle ultime settimane si siano registrati diversi casi di suicidio tra gli appartenenti al Corpo è un ulteriore inquietante dato che deve - dovrebbe - fare riflettere. Ma la realtà è che abbiamo parlato con i sordi. Vorrei però chiarire alcune cose fondamentali circa la situazione degli organici del Corpo.
La prima è che le valutazioni sui numeri dei poliziotti penitenziari negli Istituti si riferiscono a piante organiche definite autonomamente nel 2001 da un decreto ministeriale dell’allora Guardasigilli Piero Fassino nonostante la contrarietà di tutte le Organizzazioni sindacali del Corpo che giudicarono non rispondente alla realtà la ricognizione effettuata a livello nazionale ed in ogni singolo Istituto di pena da una commissione dell’Amministrazione penitenziaria, che per altro valutò gli organici senza un confronto con le rappresentanza sindacali delle varie realtà locali.
Alla luce di questa importante precisazione, si converrà che - stanti comunque le gravi carenze di Personale nelle sedi nel Centro-Nord Italia, è quindi improprio parlare di "esuberi di personale" in quelle del Sud. Ad esempio, con riferimento al dato riferito alla regione Lazio che più colpisce per il presunto surplus di Agenti, c’è da dire ad onor di cronaca che si tratta di personale impiegato nei servizi e negli Uffici centrali (Ministero della Giustizia, Dipartimento penitenziario, Uspev e Gom, Ufficio Ispettivo, Ufficio centrale di PG, etc.).
Ed è per questo che il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima organizzazione più rappresentativa della Categoria, ha continuato a chiedere, a tutti i vari Ministri della Giustizia che si sono succeduti dal 2001 ad oggi, di rivedere quelle piante organiche e quel decreto ministeriale. Richieste rimaste tutte inascoltate. A nostro avviso due soluzioni si potrebbero adottare per fronteggiare questa emergenza.
Dopo aver accertato le reali carenze di organico, si bandiscano concorsi pubblici per quelle sedi penitenziarie deficitarie. Mancano in Lombardia, in Veneto o in Liguria 500 agenti di Polizia penitenziaria? Si bandisca dunque un concorso per le sedi penitenziarie di Lombardia, Veneto o Liguria. Chi partecipa al concorso sa che andrà a fare servizio in una delle città di quelle Regioni. Ma poniamo però anche un vincolo di permanenza in quelle sedi, ed è questa la nostra seconda proposta.
Oggi vi sono colleghi dell’Italia centro-meridionale (ed insulare) che hanno come prima sede di servizio una città del Nord. La loro legittima aspirazione è avvicinarsi al luogo di residenza, in cui spesso rimane la famiglia perché con un nostro stipendio è impossibile fronteggiare il costo della vita del Settentrione. Spessissimo, però, al Nord ci restano per decenni e addirittura vanno in pensione sempre in servizio in quella sede perché la mobilità del personale dal Nord verso il Sud movimenta poche, pochissime unità.
Attiviamo dunque un meccanismo di assunzioni tali che permetta, raggiunta una certa anzianità di servizio al Nord, il trasferimento nella sede gradita o, in alternativa, si realizzi quel piano di edilizia residenziale a canone agevolato per i nostri Agenti per il quale il Sappe si batte da anni e che consentirebbe, a chi lo desidera, di rimanere in servizio al Nord trasferendovi la propria famiglia. Assunzioni, è opportuno chiarirlo, che servirebbero a "coprire" i posti lasciati liberi dal personale posto in quiescenza. Se non si lavora in queste due direzioni, non risolveremo mai il problema.
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