L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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martedì 12 febbraio 2008

Carcere- I rischi che incombono sugli operatori penitenziari

LA CABALA DELLA SICUREZZA
Social News
Negli istituti penitenziari, ai rischi che incombono sugli operatori penitenziari, si aggiungono quelli della mancata attuazione del D.Lgs. 626/94, perché non vengono assicurate le risorse economiche per la gestione ordinaria e minimale degli impianti elettrici, termici, idraulici e antincendio

Nella cabala dei pubblici amministratori, i numeri 6 2 6 evocano il palindromo della sicurezza mancata, fanno paura. Nel settore penitenziario in particolar modo.
Se, infatti, c’è un apparato ministeriale che più di altri abbia mostrato di risentire delle problematicità conseguenti alla mancata, costante, attuazione del D.lgs. 626/94 e delle norme successive, ebbene, certamente non mancherà di essere additato quello dell’amministrazione penitenziaria. L’amministrazione penitenziaria, infatti, può anche vantarsi di avere “ingabbiato” la 626, affinché non nocesse più; in tal modo, questo pericoloso pacchetto di norme, non potrà più aggirarsi negli androni di monumentali, quanto scarsamente manutentati palazzi di giustizia, nei corridoi di antiche carceri sorte all’interno di vetusti manieri, oppure di conventi e di caserme, o di brutture architettoniche moderne fatte non per l’uomo, ma contro di lui, a prescindere se sia detenuto o sorvegliante; prigioni che, in modo irridente, furono appellate come “carceri d’oro” e furono trattate con riguardo, con le “mani pulite” negli anni di Tangentopoli e dintorni. Bugie? assolutamente no, basterebbe chiedere quante risorse, nelle ultime leggi finanziarie, siano state per davvero assegnate alle direzioni degli istituti penitenziari in tema di sicurezza dei lavoratori e sentire le loro affogate lagnanze. Negli istituti penitenziari, e cioè in quei luoghi che in sé richiamano ataviche preoccupazioni sul reale trattamento riservato alle persone detenute, in tema di tutela della incolumità fisica di quella vasta umanità che negli stessi è costretta a vivere o vi lavora, che spaventano per i rischi “professionali” che incombono sugli operatori penitenziari, dovranno aggiungersi anche quelli, innaturali, della mancata attuazione del D.Lgs. 626/94 e ss., perché – nei fatti – non vengono assicurate le risorse economiche per la gestione ordinaria e minimale degli impianti elettrici, di quelli termici, di quelli idraulici, degli impianti antincendio, si, persino degli impianti antincendio…

Se fino ad oggi non vi sono stati accadimenti gravi ed eclatanti, lo si è dovuto, sostanzialmente, al fatto che, grazie al servizio di sorveglianza della polizia penitenziaria, assicurato per 24 ore su 24, tutti i giorni, senza distinguere la notte dal giorno, il sabato dalla domenica, il Natale dal Ferragosto, ed il concorrente impegno diretto e preoccupato degli altri operatori penitenziari, si è sempre riusciti ad intervenire per tempo, per limitare, per mascherare, per contenere le criticità che potevano verificarsi. Luoghi di lavoro obiettivamente “usuranti”, nonché affollati di una utenza prigioniera spesso gravemente ammalata, dove le patologie infettive possono tendere a prognosi infauste (spesso, tra la popolazione detenuta vi sono portatori di AIDS e di epatiti C, compaiono non di rado casi, o sospetti casi, di TBC, etc)., agorà di acciaio e vetri blindati dove si concentrano rappresentanze multilingue di disperati di tutto il Mondo, ebbene, in questi contesti, lo Stato risulta neanche in grado di assicurare il controllo sanitario, periodico, verso quanti, operatori penitenziari, altri ben tipi di rischio dovrebbero “contrattualmente” correre. Come fu detto un tempo, quando si sterminavano gli eretici senza distinguerli dai devoti, forse si pensa che “Dio riconoscerà i suoi…”. Se non ci credete, provate ad entrare, “liberi nella persona”, all’interno degli istituti, rivolgete gli occhi verso le prese elettriche, guardate i pavimenti, osservate i servizi igienici, salite per le scale, affacciatevi alle balaustre e vi renderete conto se queste siano farneticazioni o meno… Certo, non tutte le realtà sono uguali e ve ne possono essere di positive, ma le istituzioni dovrebbero assicurare in ogni luogo, ove le stesse esercitino le loro funzioni, uguali ed adeguati livelli di qualità e, soprattutto, di aderenza alle norme che il medesimo Stato si è dato. Come si è ipocriti quando, di fronte ad un incidente che accade presso un’azienda privata ci scagliamo, con livore leguleio, verso l’imprenditore-sfruttatore per non avere esso assicurato adeguatamente il lavoratore, semmai in nero…; silenzio invece per quel che riguarda le carceri, se non anche i palazzi di giustizia, le caserme, le scuole, gli uffici pubblici in genere…

L’insieme delle norme che tutelano la sicurezza dei lavoratori sui posti di lavoro comprendiamo certamente come siano economicamente onerose, faticose, impegnative: esse mostrano, senza ombra di ragionevole dubbio, se per davvero la salute psico-fisica del lavoratore sia un valore reale da tutelare, proteggere, garantire da parte del nostro ordinamento giuridico. Le norme e le prescrizioni, di cui spesso manca l’effettiva applicazione, dovrebbero essere la risultante tra le migliori soluzioni scientifiche e tecnologiche con quelle dei reale soddisfacimento del diritto alla salute de lavoratori: la prova di come il primo bene verso il quale si investa sia proprio il “capitale umano”, nella sua completezza, nel rispetto della sua integrità fisica e morale… Invece, il quotidiano ci presenta la realtà costruita di parole, ipocrisie, menzogne, che, in un contesto così delicato come può esserlo un carcere, sono destinate a rappresentare la certificazione della peggiore pedagogia possibile. Quella di quanti, rivolti a coloro che, per percorsi diversi di vita e/o per responsabilità personali, sono tenuti ad espiare una pena, offrono ai secondi il peggior esempio da imitare: “Fate come dico, non fate come faccio…”. Eppure il bollettino quotidiano delle morti e delle mutilazioni, e le conseguenze fisiche, psicologiche, di quanti sono vittime di incidenti sul lavoro nei cantieri edili, nelle industrie siderurgiche, in quelle navali, chimiche, nell’agricoltura, ecc., dovrebbero indurci ad altri atteggiamenti, ad un altra sensibilità. Indossare un casco di protezione, calzare scarpe infortunistiche, usare occhiali che proteggano gli occhi, evitare di sollevare carichi in modo errato, bocciardare i gradini delle scale, controllare la validità di un estintore a schiuma, dotare di idonea cartellonistica per le emergenze i posti di lavoro, usare cautela nell’uso di fiamme libere, avere cura nella conservazione ed uso dei dispositivi individuali di protezione, ecc., dovrebbero essere condotte quasi spontanee, come quando d’istinto calciamo un pallone o andiamo in bicicletta: in fin dei conti tuteliamo noi stessi e quanti ci sono vicini, i nostri dipendenti, i colleghi di lavoro, invece… Che soluzioni adottare? Sarebbe opportuno evitare di brandire il ricorso alle sanzioni penali: fin troppe sono le ipotesi di reato previste nei nostri codici per ricordarle e seguirle tutte. In realtà, il problema è anzitutto culturale. A ben guardare le norme sulla sicurezza fanno il paio con quelle dei diritti di cittadinanza, con l’aspirazione generale alla legalità “agita” piuttosto che “parlata”…Forse meglio sarebbe lanciare una campagna permanente di sensibilizzazione, impegnando tutte le reti sociali, comprese quelle del mondo della scuola di ogni ordine e grado, le associazioni dei consumatori e finanche quelle delle donne casalinghe.

Si dovrebbero prevedere forme di forte incentivazione nel campo delle detrazioni fiscali, talchè ciò che si spenda per la sicurezza dei lavoratori e per qualunque ed in qualunque contesto ove vi siano persone che lavorino, vi sia il relativo vantaggio economico. E poi, per quanto attenga al settore pubblico,quest’ultimo dovrebbe essere il miglior indicatore, la più bella vetrina ove mostrare come, per davvero, le misure previste trovino concreta applicazione, al punto di “misurare” l’efficienza del management anche in relazione alla casistica degli infortuni che si verificano sul posto di lavoro. Dove trovare le risorse? di primo acchito riducendo le spese altre, gli sprechi, eliminando le incrostazioni contabili, imponendo maggiori imposte sui superalcolici e sulle sigarette, intensificando i controlli sui cantieri e nei posti di lavoro, privilegiando l’inasprimento delle sanzioni economiche amministrative e imponendo il fermo delle attività produttive; iniziando a sperimentare le ipotesi di “tasse di scopo” per la sicurezza dei lavoratori…I vantaggi sociali, grazie ad un innalzamento delle misure di prevenzione e sicurezza sui posti di lavoro, sarebbero enormi e duraturi: il calo, anche in percentuale, degli incidenti si rifletterebbe sulle già stressate casse dello Stato, sul servizio sanitario nazionale, sulle imprese e sulla cittadinanza. Se insanabile per una famiglia di operai è il dolore per una morte bianca, interminabile e progressiva è la sofferenza, invece, individuale e collettiva per le conseguenze di malattie permanenti, soprattutto se ricadute su soggetti giovani la cui legittima aspettativa di vita farà, inevitabilmente, lievitare i costi dell’assistenza. Altrimenti, ed al contrario, abroghiamo almeno per gli apparati pubblici le norme (potremmo così dire di stare “nella legge”…), deregolarizziamo tutto, affidiamoci al volo degli uccelli ed al calcolo delle probabilità: forse ci prenderanno per folli e sprovveduti, per egoisti ed irresponsabili, ma non avremo finto, non avremo ingannato la nostra collettività, irridendo quel valore di lealtà e di coerenza verso le leggi e le norme che troppo spesso ci diamo per “buon esercizio”, invece che per reale, ordinaria, condotta istituzionale.

Enrico Sbriglia
segretario nazionale del si.di.pe.
(sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari)