L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

sabato 16 febbraio 2008

Giustizia: e dopo le elezioni, che fare?, di Gian Carlo Caselli


di Gian Carlo Caselli- L’Unità, 16 febbraio 2008

Chiunque vinca le elezioni dovrà affrontare il problema di una giustizia sempre più lenta e inefficiente. Lasciando da parte ogni ideologismo, i punti da cui obbligatoriamente partire - per tutti - sono questi:
1) Si spende in modo insufficiente rispetto alle esigenze e quel poco si spende male.
2) Ormai insostenibile è la situazione del personale ausiliario: a causa della mancanza di nuove assunzioni e del pensionamento (anticipato o meno) di un numero crescente di soggetti, la scopertura degli organici tocca oggi il 12,59% su scala nazionale, con picchi in negativo (che talora arrivano oltre il 25%) prevalentemente nel Nord Italia; una situazione che sta facendo diventare il personale amministrativo della giustizia una... specie (non protetta) condannata all’esaurimento.
3) In nessun Paese europeo vi sono sistemi processuali farraginosi e complessi come quello italiano: sia nel civile (per la stessa varietà dei riti), sia nel penale, dove la procedura è ormai diventata una prateria sterminata per eccezioni d’ogni tipo, un percorso ad ostacoli pieno di trappole e insidie, nel quale il confine fra garanzie e formalismi (quando non privilegi) è spesso sottilissimo, con la conseguenza che imputati eccellenti e meno eccellenti trovano preferibile (anziché esercitare i loro sacrosanti diritti di difesa nel processo) cercare di ritardarne la celebrazione tempestiva.
4) In tutti i Paesi europei le impugnazioni sono nettamente inferiori (sia per numero sia per durata) rispetto all’Italia e ciò ovviamente si ripercuote - in modo assai pesante - sulla durata complessiva dei processi. La giustizia non funziona, ma i problemi che essa deve affrontare sono sempre più estesi e complessi: la corruzione; il crimine organizzato e le compilata di cui gode; la malasanità, la mala-amministrazione e la mala-politica quando l’uso del potere si fa pessimo fino a configurare reati; gli infortuni sul lavoro; la sicurezza e via elencando... Se non si vuole che la Repubblica italiana si fondi sempre più sull’illegalità, è assolutamente necessario e urgente portare a livelli che siano almeno decenti il funzionamento del sistema giustizia.
Ancora una volta potrebbe invece affiorare la tendenza (anche trasversalmente, come testimoniano gli applausi bipartisan al dimissionario ministro Mastella) a programmare la riforma non della giustizia ma dei giudici. Il vizio di accusare i magistrati di politicizzazione o peggio, di giustizialismo, di invadenza, di eversione, di costituire un’emergenza democratica è un vizio duro a morire.
Ora, è noto che a forza di ripeterle anche le balle più colossali finiscono per sembrare vere, e tuttavia non si può abdicare al dovere di ragionare. Ragionando, si vedrà che l’intervento giudiziario è in espansione in tutti i sistemi democratici. Ovunque esso occupa le prime pagine e i suoi effetti creano frizioni con il potere politico od economico, fino a turbare destini di governi.
Gli esempi che si possono fare sono infiniti: sono stati i giudici a smembrare l’impero informatico di Microsoft; il presidente Clinton è stato più volte processato per certe tracce lasciate su di un abito; la prima elezione del presidente Bush è stata decisa da un giudice della Florida; vari esponenti dell’attuale amministrazione Bush sono coinvolti in una delicata inchiesta che riguarda l’innesco della guerra in Irak; a Chirac si chiede conto di certe assunzioni fatte come sindaco di Parigi; l’ex primo ministro De Villepin è coinvolto in un’inchiesta collegata ad un affare di tangenti per alcune fregate vendute a Taiwan; Bertie Ahem, primo ministro irlandese, è accusato per finanziamenti illeciti della sua campagna elettorale; in Israele quattro indagini sono state avviate contro il primo ministro Olmert per fatti di corruzione, mentre il presidente della Repubblica Katsav e il ministro della giustizia Ramon hanno dovuto dimettersi perché accusati di molestie sessuali.
L’espansione della giurisdizione è dunque un fenomeno che ha dimensioni oggettive, e ciò sembra escludere che vi siano, quantomeno in misura prevalente, forzature soggettive. Il caso italiano non fa eccezione a questo "trend", ma presenta due particolarità. Mentre ovunque nel mondo i "potenti" coinvolti in vicende giudiziarie non si sognano neanche un po’ di prendersela coi loro giudici, ma accettano "naturalmente" che la giurisdizione possa esercitarsi anche nei loro confronti, in Italia - e soltanto in Italia - il magistrato che sfiora certi interessi deve mettere in conto che potrà essere aggredito con insulti d’ogni tipo (ovviamente cosa ben diversa dalle critiche motivate, sempre legittime); - e l’aggressione si risolve in un sostanziale rifiuto della giurisdizione, con la nota tattica del difendersi non tanto "nel" quanto piuttosto "dal" processo.
Altra peculiarità del nostro Paese è che i processi di Tangentopoli, mafia, mala-politica, malasanità e mala-amministtazione pongono un problema drammatico: se la situazione che ne risulta costituisca un dato esteso ma pur sempre marginale della nostra democrazia, ovvero ne sia diventata elemento strutturale.
Una positiva risposta a questi interrogativi si avrebbe se la politica esercitasse il suo indiscutibile primato anche utilizzando gli elementi di conoscenza che scaturiscono dalle inchieste giudiziarie, intervenendo con nuove leggi o controlli più adeguati. E invece di tutto questo abbiamo avuto ben poco dal ‘90 ad oggi.
Per contro emerge una certa tendenza (trasversale) a mal concepire il primato della politica, a farne la base per pretendere una sorta di sottrazione ai controlli di legalità. Ecco allora che la giustizia nel nostro Paese non funziona, ma invece di chiedere "più" giustizia si chiede "meno" giustizia, tutte le volte che si incrociano determinati interessi. Ora si chiede di fare un passo indietro, invece di potenziarne gli strumenti, mentre si scatenano - oggi come ieri - martellanti campagne secondo cui la giustizia è ridotta a campo di battaglia dove consumare vendette e scontri politici.
Senza comprendere che l’autoreferenzialità della politica e la sua pretesa di auto-assolversi in perpetuo sono nocive prima di tutto alla credibilità della politica stessa e finiscono anzi per alimentare quell’antipolitica che non basta esorcizzarla perché non si manifesti o non si estenda. Soltanto la cattiva politica può fingere di non sapere che l’indipendenza della magistratura e l’obbligatorietà dell’azione penale servono al consolidamento della democrazia. La buona politica lo sa, ma spesso rimane afona, non si fa sentire.
Dunque, riforma della giustizia certamente sì, ma partendo dal rispetto della giurisdizione (come garante dei diritti dei cittadini e delle regole di convivenza, nonché fattore di equilibrio del sistema istituzionale) e quindi dal rispetto che in qualunque paese civile è dovuto ai magistrati. Solo così, oltretutto, si potranno concretamente avviare credibili percorsi di responsabilità dei giudici e serie valutazioni della loro professionalità e produttività. C’è un grande bisogno anche di questo, non di "normalizzazione" della magistratura. Obiettivo sempre presente in certe agende: che se fosse realizzato qualcuno brinderebbe, ma non sarebbe un bei giorno per il nostro Paese.