Giustizia/Carcere- Le misure alternative: soluzione efficace per la riduzione della popolazione detentiva?
di Anna Muschitiello (segretaria nazionale CASG)
Intervento CONVEGNO NAZIONALE Partito dei Comunisti Italiani
Difendere Abele recuperando Caino- passaggio verso un carcere come comunità terapeutica
Roma, 15 febbraio 2008 - Palazzo Marini
Avviare una riflessione oggi sui temi proposti da questo seminario mi mette in una situazione di profondo disagio, in quanto ritengo che la situazione politica generale e della giustizia in particolare abbia ormai fatto cadere ogni velo di ipocrisia o meglio ogni illusione sulla possibilità di riformare in tempi accettabili il sistema giustizia in generale e sanzionatorio in particolare.
Dopo 5 anni di governo delle destre, in cui le riforme della giustizia avevano preso una piega del tutto particolare perchè rivolte soprattutto a risolvere questione personali, in molti ci eravamo illusi che con l’ultimo governo sarebbe stata archiviata una politica della giustizia “ad personam” per avviare una vera e propria riforma del sistema a partire dal codice penale.
La commissione nominata ad hoc (Pisapia) ha con celerità e tempestività encomiabili avviato e concluso parte dei lavori che andranno naturalmente, come tutti i lavori delle precedenti commissioni, ad arricchire gli archivi del Parlamento e niente di più, in quanto come ha recentemente affermato il garante dei detenuti di Roma Spadaccia: ”….il legislatore ha rinviato in continuazione di governo in governo e di legislatura in legislatura quella riforma del Codice penale alla quale lo stesso Parlamento aveva affidato il compito di riconsiderare la gerarchia dei beni penalmente tutelabili in armonia con i mutamenti sociali intervenuti dall’ epoca in cui fu varato il codice Rocco e di riconsiderare il sistema delle pene, facendo ricorso per tutta una serie di reati a strumenti diversi dal carcere.
In mancanza di questa riforma, lo stesso legislatore continua ad affidarsi, sull’onda di campagne mediatiche, a interventi di emergenza che contribuiscono di volta in volta a scardinare ulteriormente il sistema penale e, in nome di una male intesa esigenza di sicurezza, finiscono per irrigidire e limitare il ricorso alle pene alternative in contrasto con i criteri ispiratori cui dovrebbe attenersi il nuovo codice penale”.
Come dicevo poco fa ogni illusione è ormai caduta rispetto ad una riforma strutturale della giustizia ma anche rispetto all’abolizione e/o modifica di quelle leggi che unanimemente nel mondo della sinistra erano state considerate non solo cattive leggi ma addirittura leggi “criminogene” e cioè leggi che portano inevitabilmente ad incrementare i fenomeni delittuosi e mi riferisco in primis alla Bossi Fini ma anche alla ex Cirielli e alla Fini-Giovanardi. Tutte e tre leggi hanno avuto e avranno, ancora di più, nel prossimo futuro un impatto sul sistema carcere a dire poco devastante.
Ormai il coro di coloro che denunciano il progressivo riempimento delle carceri con l’azzeramento degli effetti dell’ indulto, si fa sempre più corposo e allarmante e poiché non si può immaginare a breve alcun provvedimento per modificare lo stato delle cose, riteniamo che parlare oggi più che mai di un carcere “come comunità terapeutica” e di un carcere che svolga “…un’azione di prevenzione della recidiva e riduzione del potenziale distruttivo del reo…..” é quanto meno inimmaginabile, ammesso che lo sia mai stato.
Da anni ormai si ripete che il sistema penale non si può affidare solo al carcere e che, sull’ esempio degli altri paesi europei, è necessario ricorrere in misura molto maggiore di quanto attualmente avviene a pene alternative. Studi recenti ci confermano che la recidività di coloro che tornano alla libertà dopo aver scontato una parte della pena in misura alternativa è di almeno tre volte inferiore alla recidività di coloro che escono direttamente dal carcere. Tutti riconoscono che l’ affidamento in comunità, l’affidamento ai servizi sociali, il lavoro esterno, la semilibertà, la libertà condizionale consentono alle persone sottoposte a pene di ricostituire un tessuto di rapporti sociali e di relazioni affettive oltre alla possibilità di trovare occasioni di lavoro.
Nonostante questo, le pene alternative in Italia sono in media un terzo di quelle a cui si fa ricorso negli altri paesi europei, dove quasi ovunque superano nettamente le pene detentive, mentre da noi il rapporto fra le une e le altre è rovesciato. E la tendenza che ormai da tempo si sta sempre di più affermando è quella di restringerne ulteriormente il ricorso anziché ampliarlo.
Mi chiedo come si possa oggi pensare ad un carcere comunità capace di rieducare quando la popolazione detenuta cresce con un ritmo di 1000 detenuti al mese, passando da 39.005 nel dicembre 2006 a 48.693 nel dicembre 2007, e soprattutto se pensiamo che la composizione di tale popolazione è fatta da soggetti in attesa di giudizio per il 57,88% del totale e del 37 % di detenuti stranieri provenienti da ben 144 paesi diversi, con punte tra il 50% e l’80% in alcuni istituti, con tutti i problemi connessi di comprensione della lingua e delle culture ecc., mentre nel decennio tra il 1980 e il 1990 erano solo il 15%?
Se guardiamo ancora più in profondità i fenomeni del sovraffollamento non possiamo ignorare quanto più volte denunciato dal capo del DAP che la presenza media delle persone in carcere è di pochi giorni, quindi esiste un flusso di presenze molto variabile che non consente alcun tipo, seppur minimo, di attività trattamentale.
Se questa è la fotografia del carcere oggi, come possiamo pensare di considerare “……Il carcere come comunità terapeutica che può costituire un passaggio, una soglia verso un percorso individuale che tenga conto di dimensioni peculiari di ogni essere umano quali instabilità e tempo intesi come processi e quantificazione di un cambiamento possibile. Anche a condizione che si investano strategie, risorse, professionalità specifiche”.
Per non parlare delle risorse…come sono ridotte in particolare quelle relative all’ area trattamentale e quali prospettive concrete ci sono perché si modifichino i rapporti di forza tra questa area e quelle della sicurezza, sempre più incombente su tutto e su tutti, tanto da prevedere una sua estensione non solo all’ interno, ma anche all’ esterno del carcere e in particolare nella gestione delle misure alternative?
Anche le misure alternative sono oggi in profonda crisi dopo che in 32 anni dalla loro esistenza sono state caricate di contenuti e di significati completamente diversi da quelli originari. L’ Ordinamento Penitenziario, non essendo mai stato accompagnato dalla correlata modifica del codice penale, ha dovuto fare riferimento ad un sistema sanzionatorio che considera la detenzione come unica pena principale, a prescindere dal reale disvalore sociale dell’ illecito, caricando le Misure Alternative della funzione impropria di riparare, in sede esecutiva, ad un eccessivo rigore punitivo, contribuendo in questo modo ad addebitare impropriamente alle misure alternative l’ assenza di una certezza della pena e a considerarle una “non pena”
Alcuni hanno fatto risalire il fenomeno del sovraffollamento carcerario, sempre presente negli anni passati, nonostante la crescita considerevole anche del settore penale esterno, proprio a questa fondamentale sfasatura creatasi tra Ordinamento Penitenziario e mancato adeguamento del Codice Penale al principio costituzionale.
Le cause del fenomeno del sovraffollamento del carcere vanno, a nostro parere, ricercate anche in altri ambiti, quali: l’ economica, la politica, il contesto socio- culturale del paese.
La tendenza che si è, infatti, affermata nella politica degli anni appena trascorsi è stata quella di spostare sempre di più nell'ambito del penale le soluzioni a problematici fenomeni sociali quali: le dipendenze, l’immigrazione, il disagio psichico, il progressivo impoverimento di sempre maggiori strati di popolazione, ecc., contribuendo a far crescere a dismisura la popolazione carceraria tanto da rendere necessario e indifferibile l'indulto nel 2006 e se queste cause non verranno rimosse porteranno, in breve, nuovamente al collasso del sistema carcerario.
Illustri studiosi come G. Mosconi[1] hanno sostenuto e tuttora sostengono che”… E' necessario porre attenzione ai processi di fondo che hanno determinato l'emergenza del sovraffollamento carcerario: il controllo sulle aree povere marginali; un immaginario… di un'opinione pubblica spaventata e vendicativa, disposta ad attribuire consenso solo in cambio di rassicurazione repressiva; una cultura giudiziaria e di polizia che si fa interprete dei così diffusi sentimenti di insicurezza, indurendo l'apparato sanzionatorio; l'incapacità di gestire adeguatamente enormi emergenze sociali (processi migratori, precarizzazione del lavoro, inpoverimento dei meno abbienti e di aree di ceto medio, aumento della marginalità, ...)...”
E sappiamo tutti quanto questa analisi sia ancora più vera oggi dopo che l’ultimo governo in carica aveva approvato un pacchetto sicurezza che dava ragione a queste tendenze sicuritarie in totale contraddizione con le analisi sociali provenienti dagli studiosi afferenti all’area progressista e che la crisi politica attuale non potrà che aggravare.
Questo è il quadro che dà ragione ad un inaccettabile paradosso: più emerge con evidenza il fallimento delle funzioni storiche, degli stessi fondamenti teorici della pena (retribuzione, rieducazione, prevenzione), tanto più si ricorre alla stessa, nella sua versione carceraria, massicciamente applicata al di fuori dei necessari criteri di proporzionalità e di garanzia, soprattutto verso quei soggetti e quei comportamenti (di devianza sociale) cui più frequentemente si associano immagini di insicurezza.
Appare allora evidente come il sovraffollamento non sia un'episodica emergenza che può, in determinate circostanze, caratterizzare l'istituzione, ma il problema del carcere stesso, della natura e delle caratteristiche che lo stesso ha assunto nella società di oggi, post-moderna e post-sviluppata, a causa della contrazione sempre maggiore delle politiche sociali e degli spazi di democrazia.
Quindi quanto messo all’attenzione degl’intervenuti dagli organizzatori del convegno e cioè:”…..Restituire senso al carcere ed alla pena, quello che istituzionalmente ha e che nel tempo ha perso, riveste un’importanza determinante nel tutelare la sicurezza sociale poiché significa svolgere un’azione di prevenzione della recidiva e riduzione del potenziale distruttivo del reo…..” si può ottenere solo attraverso un capovolgimento delle logiche che oggi vanno di moda.
Per limitare il sovraffollamento carcerario é necessario:
· effettuare riforme strutturali sul sistema a cominciare da una macchina della giustizia nelle condizioni di funzionare e portare a termine i processi;
· una riforma del codice penale e del sistema sanzionatorio
· modifica delle leggi sull’immigrazione, sulle dipendenze oltre che sulla recidiva;
· attuazione di politiche sociali atte a ridurre forme di disagio e di povertà
Solo attuando tutto questo sia il carcere che le misure alternative potranno rappresentare per coloro per i quali non se ne potrà fare a meno, un’ occasione per “…un percorso individuale che tenga conto di dimensioni peculiari di ogni essere umano quali instabilità e tempo intesi come processi e quantificazione di un cambiamento possibile”.
Ci chiediamo se esistono oggi ed esisteranno nel prossimo futuro le condizioni perchè questo possa avvenire e la risposta ci sembra purtroppo negativa.
[1] G. Mosconi in :“Il Manifesto” del 22/10/06
Intervento CONVEGNO NAZIONALE Partito dei Comunisti Italiani
Difendere Abele recuperando Caino- passaggio verso un carcere come comunità terapeutica
Roma, 15 febbraio 2008 - Palazzo Marini
Avviare una riflessione oggi sui temi proposti da questo seminario mi mette in una situazione di profondo disagio, in quanto ritengo che la situazione politica generale e della giustizia in particolare abbia ormai fatto cadere ogni velo di ipocrisia o meglio ogni illusione sulla possibilità di riformare in tempi accettabili il sistema giustizia in generale e sanzionatorio in particolare.
Dopo 5 anni di governo delle destre, in cui le riforme della giustizia avevano preso una piega del tutto particolare perchè rivolte soprattutto a risolvere questione personali, in molti ci eravamo illusi che con l’ultimo governo sarebbe stata archiviata una politica della giustizia “ad personam” per avviare una vera e propria riforma del sistema a partire dal codice penale.
La commissione nominata ad hoc (Pisapia) ha con celerità e tempestività encomiabili avviato e concluso parte dei lavori che andranno naturalmente, come tutti i lavori delle precedenti commissioni, ad arricchire gli archivi del Parlamento e niente di più, in quanto come ha recentemente affermato il garante dei detenuti di Roma Spadaccia: ”….il legislatore ha rinviato in continuazione di governo in governo e di legislatura in legislatura quella riforma del Codice penale alla quale lo stesso Parlamento aveva affidato il compito di riconsiderare la gerarchia dei beni penalmente tutelabili in armonia con i mutamenti sociali intervenuti dall’ epoca in cui fu varato il codice Rocco e di riconsiderare il sistema delle pene, facendo ricorso per tutta una serie di reati a strumenti diversi dal carcere.
In mancanza di questa riforma, lo stesso legislatore continua ad affidarsi, sull’onda di campagne mediatiche, a interventi di emergenza che contribuiscono di volta in volta a scardinare ulteriormente il sistema penale e, in nome di una male intesa esigenza di sicurezza, finiscono per irrigidire e limitare il ricorso alle pene alternative in contrasto con i criteri ispiratori cui dovrebbe attenersi il nuovo codice penale”.
Come dicevo poco fa ogni illusione è ormai caduta rispetto ad una riforma strutturale della giustizia ma anche rispetto all’abolizione e/o modifica di quelle leggi che unanimemente nel mondo della sinistra erano state considerate non solo cattive leggi ma addirittura leggi “criminogene” e cioè leggi che portano inevitabilmente ad incrementare i fenomeni delittuosi e mi riferisco in primis alla Bossi Fini ma anche alla ex Cirielli e alla Fini-Giovanardi. Tutte e tre leggi hanno avuto e avranno, ancora di più, nel prossimo futuro un impatto sul sistema carcere a dire poco devastante.
Ormai il coro di coloro che denunciano il progressivo riempimento delle carceri con l’azzeramento degli effetti dell’ indulto, si fa sempre più corposo e allarmante e poiché non si può immaginare a breve alcun provvedimento per modificare lo stato delle cose, riteniamo che parlare oggi più che mai di un carcere “come comunità terapeutica” e di un carcere che svolga “…un’azione di prevenzione della recidiva e riduzione del potenziale distruttivo del reo…..” é quanto meno inimmaginabile, ammesso che lo sia mai stato.
Da anni ormai si ripete che il sistema penale non si può affidare solo al carcere e che, sull’ esempio degli altri paesi europei, è necessario ricorrere in misura molto maggiore di quanto attualmente avviene a pene alternative. Studi recenti ci confermano che la recidività di coloro che tornano alla libertà dopo aver scontato una parte della pena in misura alternativa è di almeno tre volte inferiore alla recidività di coloro che escono direttamente dal carcere. Tutti riconoscono che l’ affidamento in comunità, l’affidamento ai servizi sociali, il lavoro esterno, la semilibertà, la libertà condizionale consentono alle persone sottoposte a pene di ricostituire un tessuto di rapporti sociali e di relazioni affettive oltre alla possibilità di trovare occasioni di lavoro.
Nonostante questo, le pene alternative in Italia sono in media un terzo di quelle a cui si fa ricorso negli altri paesi europei, dove quasi ovunque superano nettamente le pene detentive, mentre da noi il rapporto fra le une e le altre è rovesciato. E la tendenza che ormai da tempo si sta sempre di più affermando è quella di restringerne ulteriormente il ricorso anziché ampliarlo.
Mi chiedo come si possa oggi pensare ad un carcere comunità capace di rieducare quando la popolazione detenuta cresce con un ritmo di 1000 detenuti al mese, passando da 39.005 nel dicembre 2006 a 48.693 nel dicembre 2007, e soprattutto se pensiamo che la composizione di tale popolazione è fatta da soggetti in attesa di giudizio per il 57,88% del totale e del 37 % di detenuti stranieri provenienti da ben 144 paesi diversi, con punte tra il 50% e l’80% in alcuni istituti, con tutti i problemi connessi di comprensione della lingua e delle culture ecc., mentre nel decennio tra il 1980 e il 1990 erano solo il 15%?
Se guardiamo ancora più in profondità i fenomeni del sovraffollamento non possiamo ignorare quanto più volte denunciato dal capo del DAP che la presenza media delle persone in carcere è di pochi giorni, quindi esiste un flusso di presenze molto variabile che non consente alcun tipo, seppur minimo, di attività trattamentale.
Se questa è la fotografia del carcere oggi, come possiamo pensare di considerare “……Il carcere come comunità terapeutica che può costituire un passaggio, una soglia verso un percorso individuale che tenga conto di dimensioni peculiari di ogni essere umano quali instabilità e tempo intesi come processi e quantificazione di un cambiamento possibile. Anche a condizione che si investano strategie, risorse, professionalità specifiche”.
Per non parlare delle risorse…come sono ridotte in particolare quelle relative all’ area trattamentale e quali prospettive concrete ci sono perché si modifichino i rapporti di forza tra questa area e quelle della sicurezza, sempre più incombente su tutto e su tutti, tanto da prevedere una sua estensione non solo all’ interno, ma anche all’ esterno del carcere e in particolare nella gestione delle misure alternative?
Anche le misure alternative sono oggi in profonda crisi dopo che in 32 anni dalla loro esistenza sono state caricate di contenuti e di significati completamente diversi da quelli originari. L’ Ordinamento Penitenziario, non essendo mai stato accompagnato dalla correlata modifica del codice penale, ha dovuto fare riferimento ad un sistema sanzionatorio che considera la detenzione come unica pena principale, a prescindere dal reale disvalore sociale dell’ illecito, caricando le Misure Alternative della funzione impropria di riparare, in sede esecutiva, ad un eccessivo rigore punitivo, contribuendo in questo modo ad addebitare impropriamente alle misure alternative l’ assenza di una certezza della pena e a considerarle una “non pena”
Alcuni hanno fatto risalire il fenomeno del sovraffollamento carcerario, sempre presente negli anni passati, nonostante la crescita considerevole anche del settore penale esterno, proprio a questa fondamentale sfasatura creatasi tra Ordinamento Penitenziario e mancato adeguamento del Codice Penale al principio costituzionale.
Le cause del fenomeno del sovraffollamento del carcere vanno, a nostro parere, ricercate anche in altri ambiti, quali: l’ economica, la politica, il contesto socio- culturale del paese.
La tendenza che si è, infatti, affermata nella politica degli anni appena trascorsi è stata quella di spostare sempre di più nell'ambito del penale le soluzioni a problematici fenomeni sociali quali: le dipendenze, l’immigrazione, il disagio psichico, il progressivo impoverimento di sempre maggiori strati di popolazione, ecc., contribuendo a far crescere a dismisura la popolazione carceraria tanto da rendere necessario e indifferibile l'indulto nel 2006 e se queste cause non verranno rimosse porteranno, in breve, nuovamente al collasso del sistema carcerario.
Illustri studiosi come G. Mosconi[1] hanno sostenuto e tuttora sostengono che”… E' necessario porre attenzione ai processi di fondo che hanno determinato l'emergenza del sovraffollamento carcerario: il controllo sulle aree povere marginali; un immaginario… di un'opinione pubblica spaventata e vendicativa, disposta ad attribuire consenso solo in cambio di rassicurazione repressiva; una cultura giudiziaria e di polizia che si fa interprete dei così diffusi sentimenti di insicurezza, indurendo l'apparato sanzionatorio; l'incapacità di gestire adeguatamente enormi emergenze sociali (processi migratori, precarizzazione del lavoro, inpoverimento dei meno abbienti e di aree di ceto medio, aumento della marginalità, ...)...”
E sappiamo tutti quanto questa analisi sia ancora più vera oggi dopo che l’ultimo governo in carica aveva approvato un pacchetto sicurezza che dava ragione a queste tendenze sicuritarie in totale contraddizione con le analisi sociali provenienti dagli studiosi afferenti all’area progressista e che la crisi politica attuale non potrà che aggravare.
Questo è il quadro che dà ragione ad un inaccettabile paradosso: più emerge con evidenza il fallimento delle funzioni storiche, degli stessi fondamenti teorici della pena (retribuzione, rieducazione, prevenzione), tanto più si ricorre alla stessa, nella sua versione carceraria, massicciamente applicata al di fuori dei necessari criteri di proporzionalità e di garanzia, soprattutto verso quei soggetti e quei comportamenti (di devianza sociale) cui più frequentemente si associano immagini di insicurezza.
Appare allora evidente come il sovraffollamento non sia un'episodica emergenza che può, in determinate circostanze, caratterizzare l'istituzione, ma il problema del carcere stesso, della natura e delle caratteristiche che lo stesso ha assunto nella società di oggi, post-moderna e post-sviluppata, a causa della contrazione sempre maggiore delle politiche sociali e degli spazi di democrazia.
Quindi quanto messo all’attenzione degl’intervenuti dagli organizzatori del convegno e cioè:”…..Restituire senso al carcere ed alla pena, quello che istituzionalmente ha e che nel tempo ha perso, riveste un’importanza determinante nel tutelare la sicurezza sociale poiché significa svolgere un’azione di prevenzione della recidiva e riduzione del potenziale distruttivo del reo…..” si può ottenere solo attraverso un capovolgimento delle logiche che oggi vanno di moda.
Per limitare il sovraffollamento carcerario é necessario:
· effettuare riforme strutturali sul sistema a cominciare da una macchina della giustizia nelle condizioni di funzionare e portare a termine i processi;
· una riforma del codice penale e del sistema sanzionatorio
· modifica delle leggi sull’immigrazione, sulle dipendenze oltre che sulla recidiva;
· attuazione di politiche sociali atte a ridurre forme di disagio e di povertà
Solo attuando tutto questo sia il carcere che le misure alternative potranno rappresentare per coloro per i quali non se ne potrà fare a meno, un’ occasione per “…un percorso individuale che tenga conto di dimensioni peculiari di ogni essere umano quali instabilità e tempo intesi come processi e quantificazione di un cambiamento possibile”.
Ci chiediamo se esistono oggi ed esisteranno nel prossimo futuro le condizioni perchè questo possa avvenire e la risposta ci sembra purtroppo negativa.
[1] G. Mosconi in :“Il Manifesto” del 22/10/06
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