L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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mercoledì 19 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Amato: i successi anti-crimine e i ritardi a sinistra

Il Corriere della Sera, 19 marzo 2008

Per una strana coincidenza - ma nella politica italiana queste coincidenze non sono poi così rare - l’avvio della nuova serie di "Amministrazione Civile", la rivista del ministero dell’Interno, coincide con la fine della mia esperienza come ministro. Questo articolo assume così, inevitabilmente, i tratti di un bilancio di ciò che è stato fatto, non senza provare a lasciare qualche indicazione per il futuro.
Sono stati due anni di lavoro intenso e difficile, ma con risultati che considero molto positivi. Positivi innanzitutto sui due fronti da cui principalmente dipende, da sempre, la sicurezza in Italia: la lotta alla criminalità organizzata e quella contro il terrorismo.
Certo, in questi ambiti ho trovato un lavoro già ben avviato dal mio predecessore, ma altrettanto certamente è stato nel corso di questa amministrazione che, per la prima volta, con un’attenta attività di indagine, sono stati catturati tutti i componenti di un nucleo di stampo brigatista immediatamente prima che commettesse un attentato.
Ed è stata questa legislatura a registrare il più alto indice di successo nell’arresto dei grandi boss della criminalità organizzata: è stato catturato il numero uno della mafia palermitana Salvatore Lo Piccolo; è stata decapitata la stragrande maggioranza delle famiglie siciliane, a partire dai Santapaola di Catania, così come quelle della camorra; è stato preso il principale boss della ‘ndrangheta, Pasquale Condello.
Mentre tutto questo accadeva, però, abbiamo anche assistito all’accentuarsi, soprattutto in alcune parti del Paese, di un diffuso senso di insicurezza. E si è cominciata a mettere al centro del dibattito pubblico una "questione insicurezza".
Cosa era successo? Da cosa dipendeva questa apparente contraddizione? In parte c’entra la politica. Mai come in questa legislatura, vi sono state aree politiche che, avendo deciso di avviare la loro campagna contro il governo cavalcando il sentimento di insicurezza, hanno eccitato le paure dei cittadini e hanno tirato fendenti contro coloro che quella sicurezza dovevano garantire.
Va detto, inoltre, che non hanno aiutato a restituire certezze ai cittadini neppure le divisioni e le contraddizioni della maggioranza su questo tema. Una parte del centro-sinistra non ha saputo accettare la responsabilità delle politiche per la sicurezza nel loro complesso, conservandone una visione limitata esclusivamente agli interventi sociali mirati a eliminare le cause del crimine. La maggioranza ha dato così la sensazione che sulla sicurezza, più che essere sicura, balbettasse.
La politica, dunque, ha una sua responsabilità, ma quella percezione di insicurezza non è solo il frutto avvelenato di un dibattito che ho avuto modo di definire, in certi momenti, burattinesco: in questi anni sono certamente intervenuti cambiamenti che hanno posto le basi di questo diffuso sentire. Mi riferisco in particolare all’emergere, o meglio all’aggravarsi, di fenomeni di criminalità diffusa, che solo una catalogazione vecchia e sbagliata porta a definire come minore. Sono tendenze di fondo, difficili da contrastare. Ma anche su questo è stato fatto tanto e i risultati stanno finalmente cominciando ad emergere.
Vado per ordine. Si è affrontato con successo, per cominciare, il tema del tutto indigeno della violenza negli stadi. Già i decreti Pisanu avevano avviato una stretta, ma quelle misure erano rimaste in gran parte inosservate. Un drammatico giorno dello scorso anno, il giorno forse più nero di questa mia esperienza da ministro dell’ Interno, la morte dell’ispettore Filippo Raciti ha segnalato a tutti la necessità di fare di più. Quel giorno ha segnato così una svolta: sono state rafforzate le misure previste da Pisanu e si è imposta l’immediata attuazione di vecchie e nuove norme; si è disposto che, negli stadi non ottemperanti, le partite venissero disputate solo a porte chiuse; si sono rafforzati i poteri dell’Osservatorio, che ha cominciato a decidere con severità sul blocco delle trasferte; si è rafforzato il Daspo, il divieto di assistere ad eventi sportivi. I risultati sono stati straordinari.
Purtroppo abbiamo avuto un’altra terribile domenica, quando il giovane Gabriele Sandri è stato ucciso per lo sciagurato errore di un poliziotto. Ma è stato un episodio isolato, del quale resta solo il grande dolore per la morte di quel ragazzo e la ferma aspettativa di una giustizia che accerti senza ambiguità le responsabilità di chi ha sparato.
Abbiamo fronteggiato efficacemente il problema degli incidenti causati da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, in particolare il sabato sera. Abbiamo contrastato la criminalità straniera con operazioni come "Itaro" che, grazie alla collaborazione della polizia romena, ha portato a oltre mille arresti nell’ultimo anno.
Abbiamo approvato un decreto che rafforza l’attuazione della direttiva europea sulla libera circolazione, permettendo ai prefetti di espellere immediatamente i soggetti pericolosi.
Abbiamo, soprattutto, sottoscritto i Patti perla sicurezza con i sindaci delle principali città italiane. La sicurezza, infatti, si realizza quando su ciascuna parte del territorio c’è la presenza dei poliziotti, ma anche l’illuminazione dei luoghi pubblici, quando ci sono le telecamere collegate alla sala operativa della questura, ma anche condizioni non degradate del tessuto urbano.
Ancora una volta, però, la politica ha avuto modo di dimostrare quanto possa semplificare e deformare la realtà, un po’ per ignoranza vera e propria e un po’ per strumentalizzazione di parte. È quanto è accaduto, in particolare, quando abbiamo citato la dottrina per cui il disordine chiama un disordine sempre maggiore, il piccolo delitto fa da trampolino di lancio per il grande delitto. Ebbene, il solo fatto che sulla base di questa teoria alcuni sindaci americani abbiano poi attuato una politica di "tolleranza zero" ha indotto taluni ad accusare me, e soprattutto i primi cittadini che con me avevano firmato i Patti, di esserci trasformati in sceriffi, attribuendo al termine un valore profondamente negativo.
I Patti hanno centrato l’obiettivo. Basta guardare i dati sull’andamento dei delitti nelle grandi città nel secondo semestre del 2007, cioè dopo la firma della gran parte delle intese con gli enti locali. C’è un calo generalizzato nell’ordine di quasi il 10%. Colpiscono, in particolare, i dati relativi alle grandi città con le quali sono stati firmati i Patti. A Milano da anni si registrava un continuo aumento di furti, stupri, borseggi, mentre nella seconda metà del 2007 assistiamo a un nettissimo calo.
In totale a Milano i delitti sono scesi da 160 mila nel primo semestre 2007 a meno di 145 mila. Tendenze analoghe si registrano a Roma, a Torino, a Bologna. Colpisce, poi, il dato degli omicidi a Napoli, in calo da 61 a 50.
Evidentemente i Patti stanno funzionando. Non basta, certo. Per consolidare queste tendenze c’è sicuramente bisogno di altro. Per questo a ottobre avevamo varato i cinque disegni di legge passati alla cronaca come "pacchetto sicurezza". Lì c’è un insieme di norme che continuo a ritenere fondamentale per rispondere, nel pieno rispetto delle tutele costituzionali, al bisogno di sicurezza dei cittadini. Purtroppo il Parlamento non ha avuto il tempo di trasformare quei disegni in leggi dello Stato.
Le politiche per la sicurezza hanno bisogno di una condivisione razionale. In questa legislatura la conflittualità tra maggioranza e opposizione, e all’interno della stessa maggioranza, non lo ha consentito. C’è da sperare che nella prossima si scelga una strada diversa.