Giustizia/Carcere- Quando il carcere umilia l’uomo e ne calpesta i diritti
di Roberto Loddo (Associazione 5 novembre)- www.altravoce.net, 11 marzo 2008
La questione dell’esecuzione penale deve essere prima di tutto una questione culturale. Leggendo i dati del Dap degli ultimi venti anni, difficilmente possiamo considerare il carcere come la soluzione alla criminalità. Chiunque legga questi dati, dai numeri alla composizione sociale, rimarrà sorpreso nel notare che è più facile individuare dentro le percentuali migranti, prostitute, tossicodipendenti e meridionali. Uomini e donne che per la loro condizione perdono qualsiasi contatto con la società, o peggio, con la parte più produttiva della società.
Per questi motivi, come Associazione 5 Novembre, Arci e Antigone, insieme ad altri movimenti, stiamo organizzando una conferenza per i diritti dei detenuti. Mai come ora, dopo l’indulto, il carcere è stato così isolato. Ha ragione il direttore di "Diritti Globali", Sergio Segio, quando dice che le carceri sono diventate un sovraffollato deposito di "vite a perdere", in particolare di migranti e tossicodipendenti. Perché chi entra in carcere è un emarginato, ma chi ne esce, in assenza di una politica di inclusione e reinserimento sociale, è emarginato due volte.
Tutto ciò accade mentre i Governi europei, in assenza di garantismo negli interventi sociali, acquisiscono una percezione della realtà sociale distorta, inquinata da un pensiero intollerante, emergenzialista e giustizialista che nasce delle voci che provengono dagli "stomaci" delle società. Strategie di risoluzione che aumentano solo le disuguaglianze e ci portano ad un nuovo Medioevo. Strategie di contenimento sociale, della volontà di escludere, segregare e nascondere i disagi sociali che la nostra società produce e poi scarica verso il Carcere.
A Cagliari, l’aspetto più drammatico del sistema penale è Buoncammino. Chiamato anche carcere della pazzia, della droga e della malattia, attraverso la testimonianza di Santino, ex persona detenuta, che dalle lettere inviate a Radio Carcere scrive: "Rumore. Urla. Depressione e pazzia. Psicofarmaci. Droga. Vino e valium. Bombolette di gas da sniffare. Lamette da barba per tagliarsi. Sporcizia. Puzza. Topi e scarafaggi. Malati mentali. Tossici. Malati fisici. Chi sta sulla sedia a rotelle. Chi ha l’epatite o l’aids. Chi ha la scabbia, la tubercolosi e la meningite. Ogni tanto, in una cella vedi una cinghia attaccata alle sbarre, e lì appeso uno dei tanti che non ce l’hanno fatta".
Se il carcere sembra precipitato in un pozzo senza fondo, se emerge una situazione di vero e proprio sfascio delle legalità, di azzeramento della dignità e rispetto dei diritti umani e civili delle persone detenute, allora come Associazione 5 Novembre, proponiamo una soluzione: l’amnistia. Indulti e indultini da soli non bastano, poiché estinguono solo la pena e non comportano una sentenza di assoluzione. L’amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie.
L’amnistia in Italia è prevista dall’art. 79 della Costituzione. I decreti del Presidente della Repubblica del 1946 e del 1953 fecero beneficiare dell’amnistia per la prima volta i condannati per reati comuni, politici e militari. Dal 1992 una riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento.
Al mondo della politica chiediamo l’attuazione di questo provvedimento, accompagnato dal diritto di associazione dei cittadini detenuti, dalla decarcerizzazione di malati psichici, tossicodipendenti e sieropositivi, dall’aumento delle concessioni alle misure alternative, dalla riforma del codice penale a partire dall’abolizione dell’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori. Vogliamo giustizia consapevole: le prigioni sono un invenzione del medioevo, e l’uomo moderno deve individuarne il superamento.
La questione dell’esecuzione penale deve essere prima di tutto una questione culturale. Leggendo i dati del Dap degli ultimi venti anni, difficilmente possiamo considerare il carcere come la soluzione alla criminalità. Chiunque legga questi dati, dai numeri alla composizione sociale, rimarrà sorpreso nel notare che è più facile individuare dentro le percentuali migranti, prostitute, tossicodipendenti e meridionali. Uomini e donne che per la loro condizione perdono qualsiasi contatto con la società, o peggio, con la parte più produttiva della società.
Per questi motivi, come Associazione 5 Novembre, Arci e Antigone, insieme ad altri movimenti, stiamo organizzando una conferenza per i diritti dei detenuti. Mai come ora, dopo l’indulto, il carcere è stato così isolato. Ha ragione il direttore di "Diritti Globali", Sergio Segio, quando dice che le carceri sono diventate un sovraffollato deposito di "vite a perdere", in particolare di migranti e tossicodipendenti. Perché chi entra in carcere è un emarginato, ma chi ne esce, in assenza di una politica di inclusione e reinserimento sociale, è emarginato due volte.
Tutto ciò accade mentre i Governi europei, in assenza di garantismo negli interventi sociali, acquisiscono una percezione della realtà sociale distorta, inquinata da un pensiero intollerante, emergenzialista e giustizialista che nasce delle voci che provengono dagli "stomaci" delle società. Strategie di risoluzione che aumentano solo le disuguaglianze e ci portano ad un nuovo Medioevo. Strategie di contenimento sociale, della volontà di escludere, segregare e nascondere i disagi sociali che la nostra società produce e poi scarica verso il Carcere.
A Cagliari, l’aspetto più drammatico del sistema penale è Buoncammino. Chiamato anche carcere della pazzia, della droga e della malattia, attraverso la testimonianza di Santino, ex persona detenuta, che dalle lettere inviate a Radio Carcere scrive: "Rumore. Urla. Depressione e pazzia. Psicofarmaci. Droga. Vino e valium. Bombolette di gas da sniffare. Lamette da barba per tagliarsi. Sporcizia. Puzza. Topi e scarafaggi. Malati mentali. Tossici. Malati fisici. Chi sta sulla sedia a rotelle. Chi ha l’epatite o l’aids. Chi ha la scabbia, la tubercolosi e la meningite. Ogni tanto, in una cella vedi una cinghia attaccata alle sbarre, e lì appeso uno dei tanti che non ce l’hanno fatta".
Se il carcere sembra precipitato in un pozzo senza fondo, se emerge una situazione di vero e proprio sfascio delle legalità, di azzeramento della dignità e rispetto dei diritti umani e civili delle persone detenute, allora come Associazione 5 Novembre, proponiamo una soluzione: l’amnistia. Indulti e indultini da soli non bastano, poiché estinguono solo la pena e non comportano una sentenza di assoluzione. L’amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie.
L’amnistia in Italia è prevista dall’art. 79 della Costituzione. I decreti del Presidente della Repubblica del 1946 e del 1953 fecero beneficiare dell’amnistia per la prima volta i condannati per reati comuni, politici e militari. Dal 1992 una riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento.
Al mondo della politica chiediamo l’attuazione di questo provvedimento, accompagnato dal diritto di associazione dei cittadini detenuti, dalla decarcerizzazione di malati psichici, tossicodipendenti e sieropositivi, dall’aumento delle concessioni alle misure alternative, dalla riforma del codice penale a partire dall’abolizione dell’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori. Vogliamo giustizia consapevole: le prigioni sono un invenzione del medioevo, e l’uomo moderno deve individuarne il superamento.
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