L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 7 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Dare più carcere non significa avere più sicurezza

di Desi Bruno (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Bologna)

Il Domani, 7 marzo 2008

Certamente uno tra i temi più presenti all’attenzione dell’opinione pubblica, perché legato alla vita quotidiana dei cittadini, è quello relativo alle politiche della giustizia e dell’esecuzione della pena. Diffusa è la sensazione che le sanzioni penali siano così modificate da non renderne effettiva l’espiazione. È forte la richiesta di sanzioni sempre più severe, come pure del ricorso alla sola pena detentiva, quasi che rappresenti l’unica via per garantire la sicurezza della comunità.
Spesso si prospetta la necessità di intervenire sull’ordinamento penitenziario, riducendo il novero e i casi di accesso alle misure alternative, intervento già in parte operato con la nuova disciplina della recidiva introdotta dalla legge ex-Cirielli. Eppure l’aumento costante ed inarrestabile della popolazione carceraria, composta all’80% da immigrati irregolari, tossicodipendenti, marginali sociali, nonostante il recente provvedimento di indulto, sembra indicare che l’equazione più carcere più sicurezza serve a dare una risposta non confortata da risultati concreti.
Le statistiche ministeriali relative alle misure alternative al carcere affermano senza incertezza che ipotesi diverse dalla detenzione diminuiscono la recidiva e, che il reinserimento sociale degli autori di reato ha tante più possibilità di successo se la pena, certa nel momento in cui viene comminata, si adatta, nel corso dell’esecuzione, ai cambiamenti del condannato, se non si risolve nella sola privazione della libertà, ma offre formazione, lavoro, percorsi di riflessione e intervento sul vissuto della persona.
Le possibilità, già introdotte, di utilizzare in alcune situazioni, pene rivolte alla collettività, come i lavori di pubblica utilità, non vengono praticati, manca ancora una cultura di una diversa, e più efficace, risposta al reato. Eppure dal 1991 ad oggi quattro autorevoli commissioni governative (presiedute da Pagliaro, Grosso, Nordio e da ultimo Pisapia) sono state incaricate di riformare l’ormai desueto codice penale, introducendo, tra le altre innovazioni, una tipologia diversa di sanzioni, più efficaci e al contempo idonee a ridurre la sanzione detentiva a estrema ratio, da utilizzarsi solo di fronte alla lesione di beni di primaria importanza.
L’ultimo progetto di riforma, varato dalla commissione presieduta da Giuliano Pisapia, consegnata al governo in tempi rapidi, prevede pene pecuniarie, interdittive, prescrittive, la detenzione domiciliare e la permanenza in casa, e solo da ultimo quella carceraria, valorizzando la possibilità di definizione dei procedimenti in caso di risarcimento del danno, introducendo i lavori socialmente utili e consentendo al giudice del processo di affidare al servizio sociale o di consentire la messa alla prova della persona condannata, laddove sia prevedibile un esito positivo della stessa, immettendo nell’ordinamento un istituto applicato sino ad oggi ai minori con buoni risultati.
Importante ancora è il superamento delle misure di sicurezza e l’esperienza degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, sostituiti da misure di cura e di controllo. Le politiche della pena di questi anni ci hanno consegnato un sistema della detenzione al limite del collasso per il sovraffollamento intollerabile degli istituti penitenziari, dovuto anche al massiccio ricorso alla custodia cautelare, e per la povertà delle risorse messa a disposizione dentro e fuori il carcere. La riforma vorrebbe incidere anche sui tempi dei processi, che vanno definiti rapidamente, attraverso una diversa disciplina della prescrizione, che imponga il rispetto di termini a favore sia della persona sottoposta a processo sia per chi dal processo attende forme risarcitone del danno subito.
La ricerca, voluta da tutte le commissioni che si sono succedute, di un diritto penale "mite", non significa affatto affermazione di un diritto penale lassista, ma più razionale, diversificato, capace di commisurare la sanzione alla gravità del fatto e di incidere davvero sulla recidiva. Anche questa volta, caduto il governo in carica, l’occasione sembra perduta, ma l’esigenza, è sotto gli occhi di tutti, cresce di giorno in giorno. L’auspicio è che la riforma del codice penale venga considerata, dalla prossima compagine governativa, una priorità e si metta a frutto il lavoro di studio e di ricerca ormai di decenni.