L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

martedì 2 dicembre 2008

41° Convegno nazionale SEAC " I diritti dei detenuti"

Intervento di Anna Muschitiello segretaria nazionale Casg

Ringrazio il SEAC e gli organizzatori di questo Convegno per aver ancora una volta invitato il CASG in rappresentanza del servizio sociale della giustizia, dandoci la possibilità di esprimere, in un contesto così qualificato, un pensiero che mai come oggi va contro corrente.

Pensiamo non sia un caso che il titolo dell’incontro odierno faccia riferimento ai diritti dei detenuti e alla Costituzione.

Il riferimento all’art. 27 3° comma, soprattutto nella prima parte in cui afferma che:” Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, e il riferimento alle “Regole penitenziarie europee”, che nell’art. 4 recitano:“La mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione che violino i diritti umani”, ci fa riflettere su quanto la civiltà giuridica di questo paese stia arretrando su principi che ormai tutti davamo per acquisiti.

Le attuali condizioni dei nostri penitenziari ci fanno interrogare sulla possibilità concreta di riuscire a rispettare i diritti umani, perché purtroppo sappiamo che le condizioni stesse di sovraffollamento, nuovamente raggiunte dopo l’indulto del 2006, non consentono il rispetto della dignità umana e di condizioni non degradanti.e riteniamo che ciò sia ben poco consolante a distanza di 33 anni dall’approvazione dell’Ordinamento penitenziario. Del resto, non può stupirci questo arretramento nell’ambito penitenziario se pensiamo a come, oggi, appaiono messi in discussione i più fondamentali diritti anche per i cittadini liberi.

La profonda crisi socio-politica, che sta attraversando la nostra società, sta mettendo in discussione i principi fondamentali della democrazia, che l’hanno regolata per decenni; nel nome di una “ventilata sicurezza” si stanno riducendo gli spazi di democrazia e libertà per tutti i cittadini. Siamo convinti che la percezione dell’insicurezza sia reale, ma, siamo altrettanto convinti, che la causa abbia radici più profonde e che la sua soluzione richieda risposte più complesse di quelle attuali, estremamente semplificate.

La semplificazione delle risposte e/o le risposte “immediate”finiscono per generare un effetto contrario, una “ spirale chiusa” (più paura = più insicurezza = più paura) infatti : “la paura, difficilmente razionalizzabile, indistinta e generica è la condizione peggiore per l’affermazione della pace sociale”( Thomas Hobbes)

Oggi è la stessa società liberale che sembra trovare economicamente e politicamente conveniente alimentare una paura indistinta e anonima. Questo rende il bisogno di sicurezza un bisogno mai appagato, che neppure lo Stato riesce a trasmettere sicurezza attraverso la legge e l’ordine.

Negli anni passati, sia per competenza che per esperienza professionale, abbiamo intuito e detto in incontri pubblici che se si fossero affrontati i problemi della devianza e della marginalità solo con la logica del controllo e della sicurezza (intesa come ordine pubblico) ne avrebbe sofferto la natura democratica della nostra società e con essa anche i diritti fondamentali di cittadinanza.

Oggi stiamo, infatti, tutti assistendo ad una crisi generalizzata della democrazia, , almeno nelle forme in cui l’abbiamo conosciuta nei decenni passati in Italia. Ci sentiamo tutti impotenti di fronte a quanto sta avvenendo in questi ultimi tempi e noi operatori del sociale lo avvertiamo ancora di più. Vediamo che vengono messi in discussione anche i diritti fondamentali dei cittadini liberi e assistiamo a fenomeni che non pensavano possibili nel nostro paese, quali: la xenofobia diffusa, l’intolleranza verso tutto ciò che sembra diverso, sia esso il colore della pelle o il modo di parlare e di vestire, per non parlare dell’arretramento anche rispetto ai diritti dei lavoratori compresi quelli pubblici e penitenziari in particolare, all’attacco alle libertà di espressione e di opinione ecc.

In tutto questo il carcere sta assumendo ormai un ruolo preponderante ed è ormai visto non più come extrema ratio (termine ormai sparito anche dai convegni) da applicarsi solo ai crimini più gravi ed efferati, ma come ordinario controllo dei comportamenti ritenuti nemmeno devianti, ma solo fastidiosi, diversi, anomali…..e tutto questo sta avvenendo a dispetto di quanto ormai è dimostrato dalle ricerche sociali e studi statistici, ma anche dal semplice buon senso che ci dovrebbe far capire che il carcere non è lo strumento più adatto per trovare una soluzione a questi problemi.

Noi addetti ai lavori siamo ancora convinti che il carcere non aiuta a migliorare gl’individui, non dà un contributo effettivo alla diminuzione della recidiva e quindi non garantisce alcuna sicurezza; siamo, però, stanchi di continuare a sostenerlo, in quanto sembra che questa semplice realtà non interessi nessuno, perché nessuno vuole più ascoltare ragioni.

A questo punto vi chiederete cosa centra tutto questo con i diritti dei detenuti....questo centra eccome!!! Oggi siamo nella stessa situazione di sovraffollamento del 2006; le scelte di politica penale, a scapito delle politiche sociali, fatte negli ultimi anni non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, facendo aumentare giorno dopo giorno la popolazione carceraria (al ritmo di 1000 unità al mese) senza avere a disposizione uno straccio di soluzione reale.

In tempi non sospetti la nostra associazione aveva segnalato che se pur necessario, l’indulto non sarebbe bastato a risolvere i problemi e che per rendere tale provvedimento adeguato alla domanda di giustizia e di legalità che i cittadini rivendicavano; era necessario avviare un processo di riforma del sistema penale nel suo complesso, del sistema giudiziario italiano e investire nelle politiche sociali, perché è necessario lavorare in sinergia con le politiche sociali e del lavoro per attivare immediati percorsi di inclusione sociale.

Tale processo di riforma non solo non è stato perseguito, ma si è proceduto a modificare in senso ancora più restrittivo tutte quelle leggi che negli ultimi anni sono servite ad aumentare la penalità, influendo pesantemente in termini di inefficienza sul sistema giudiziario e penitenziario del nostro paese.

Non si vedono emergere proposte che possano, a nostro parere, andare nella direzione giusta per cominciare ad affrontare i veri problemi:

Non si è fatto niente rispetto alla riforma del codice penale né sembra si voglia fare, non si è affrontato lo sfascio del sistema giudiziario, di contro si è reso molto più difficile l’accesso alle misure alternative.

Contemporaneamente non si è nemmeno fatto ricorso a quelle soluzioni ventilate come risolutive quali:

1. costruire nuove carceri perché richiede troppo tempo e troppi soldi

2. espellere più persone straniere (anche su questo non si è fatta altro che demagogia perché le espulsioni di massa sono troppo onerose per il nostro sistema e difficili da effettuare),

3. braccialetto elettronico (soluzione già affrontata e abbandonata qualche anno fa perché onerosa e inutile in quanto applicabile solo su pochi e selezionati casi) ;

né tanto meno possiamo ricorrere ancora ad una misura clemenziale, considerato come è stato affrontato l’ultimo provvedimento di indulto.

Ci preoccupa sentire che tra le soluzioni ventilate per affrontare il sovraffollamento si pensa di ricorrere alle camere di sicurezza presso le questure o alla moltiplicazione delle strutture quali gli ex CPT, nonché all’aumento dei giorni di permanenza in tali strutture e ciò, dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, la situazione si fa ancora più preoccupante perché paradossalmente il carcere con le sue regole ben definite dà molte più garanzie di questi luoghi. Non è un caso se gli episodi peggiori di non rispetto della dignità umana emersa ultimamente sulla stampa hanno riguardato persone appena arrestate e detenute nei commissariati. Per non parlare dei soggetti in misura alternative che, se pur in una condizione meno drammatica delle persone detenute in carcere, hanno diritto ad essere assistite e seguite adeguatamente (da operatori esperti nella professione di aiuto e nelle scienze sociali), nei loro percorsi di inclusione sociale e non essere a loro volta oggetto di abusi e vessazioni.

Ci troviamo quindi del tutto disarmati e impotenti di fronte al crescere inarrestabile della popolazione detenuta e continuando così, (non siamo certo noi i primi a dirlo), la situazione rischia l’ingovernabilità e la soluzione che andrà inevitabilmente trovata non potrà che utilizzare metodi non democratici.

Perché allora ci si ostina a considerare la carcerazione l'unica pena possibile, quando ormai è accertato che non funziona, oltre ad essere estremamente costosa per la collettività?

Perché le soluzioni a portata di mano, molto più economiche ed efficaci nessuno le vede?

Sappiamo tutti che l’ accesso alle misure alternative ha contribuito sicuramente a restituire alla società tanti soggetti, che avevano commesso reati, più responsabili e rispettosi della legalità, infatti i dati relativi all’area penale esterna e all’utilizzo delle misure alternative negli ultimi trent’anni, sono stati estremamente significativi e positivi in quanto:

Þ la spesa per le casse dello stato è stata sicuramente irrisoria rispetto ai costi del carcere;

Þ il “tasso di evasione”, così come rilevato dai dati statistici degli Uffici centrali del DAP, è marginale

Þ la recidiva (sempre confrontando i dati statistici) risulta inferiore a quella dei soggetti dimessi direttamente dal carcere (il 19% di recidività contro il 68% per i dimessi dal carcere).

Spiace sentire il Capo del DAP sminuire anche questi dati, dicendo che la differenza dipende soprattutto dalla diversa pericolosità sociale dei soggetti ammessi alle misure alternative rispetto a quelle detenute. Noi sappiamo che da anni alle misure alternative possono accedere anche persone con condanne molto alte e la maggioranza della popolazione detenuta è costituita non da pericolosi delinquenti, ma per lo più da soggetti appartenenti alla marginalità sociale.

Riteniamo, però, che non sia più tempo di ripetere queste cose tra noi addetti ai lavori, ma occorre trovare il modo per fare arrivare le nostre ragioni alla cittadinanza più estesa e nei luoghi dove si forma l’opinione del cittadino comune per fargli comprendere che il non rispetto dei diritti dei cittadini detenuti e l’introduzione di metodi di governo non democratici delle carceri prima o poi comportano la compressione dei diritti e degli spazi di democrazia per tutti i cittadini.

E’ necessario rompere il circolo vizioso che si è creato intorno al tema della sicurezza se non si vuole tornare indietro ai tempi più bui della nostra storia e se si vuole promuovere una cultura di convivenza sociale solidale e multietnica senza conflitti ed emarginazione.