Grecia, carceri in rivolta
All'alba del 18 marzo scorso, Caterina Gulioni, detenuta tossicodipendente, fu trovata morta dalle guardie che accompagnavano la donna ed altri carcerati, dall'istituto penitenziario di Tebe a quello di Neapoli, a Creta. Nel corso della traversata marina, Caterina venne isolata dai compagni e le sue mani furono legate dietro la schiena. Seppur immobilizzata, la detenuta morì di overdose o almeno così sostennero le autorità carcerarie, indifferenti alle proteste di testimoni oculari che dichiararono che Caterina aveva il viso pesto di botte.
La morte della donna rese nota la lotta da lei intrapresa, quella contro pratiche mortificanti e degradanti, come l'esame vaginale, cui erano sottoposte le detenute al rientro in carcere dopo ogni permesso. L'introduzione, a maggio, dell'esame ecografico fu, pertanto, la conquista di una tossicodipendente morta in carcere e trattata, dalla legge ancor'oggi in vigore contro ogni normativa europea, alla stregua di un carcerato comune, privata del sostegno medico e psicologico necessario.
Se la storia o meglio, la lotta di Caterina Gulioni torna in mente, è perché in questi giorni, la Grecia sta conoscendo la seconda protesta carceraria in un anno. Lo sciopero, che consiste nel rifiuto dei pasti offerti dalle mense, indetto il 10 novembre in sette carceri, da circa 3.300 detenuti, richiama l'attenzione del governo su richieste rimaste senza risposta dal novembre del 2008. Sovraffollamento, anacronismi giuridici, usi ed abusi delle autorità penitenziarie e della polizia rendono la questione carceraria greca urgente. Stando alle statistiche ufficiali del Ministero di Giustizia, il numero di detenuti è di 11.736, quello degli incarcerati in attesa di giudizio è di 3.218 e quello degli immigrati di 6.607. Si faccia l'esempio, allora, del carcere di Diavatà, a Salonicco; ogni cella misura ventiquattro metri quadri ed è predisposta all'ospitalità di quattro persone ma oggi vi si accalcano in dieci. Se a ciò si aggiungono i numerosi resoconti dell'Avvocato del Cittadino (l'Ombudsman ellenico), in cui si denunciano gravi insufficienze sanitarie, l'alto numero di violazioni della normativa per la concessione di permessi, l'inesistenza di misure specifiche per i tossicodipendenti, le inammissibili condizioni di vita, la mancata attuazione dell'istituto della semilibertà e del servizio sociale alternativo, risulta evidente come l'annuncio, il 12 novembre, del Ministro di Giustizia, Charis Kastanidis, circa la riforma carceraria, non sia stata sufficiente a piegare la determinazione della protesta.
Stando alle dichiarazioni di Charis Kastanidis, la riforma consisterà in una sostanziale riduzione della possibilità, per i tribunali, di ordinare la reclusione prima del processo, nella sospirata valorizzazione delle pene alternative, nel tentativo di accelerare i tempi processuali e, finalmente, nel trattamento proprio a detenuti tossicodipendenti.
Eppure la ONG Iniziativa per i diritti dei carcerati non è convinta. In primo luogo appare molto critica circa l'effettiva applicazione, da parte dei giudici inquirenti, delle nuove norme che ridurranno la possibilità di ordinare il carcere preventivo. Si intravvede, pertanto, come la questione carceraria, in Grecia, sia un problema che investe gli usi ed abusi di tutte le parti istituzionali coinvolte, anche della Giustizia. Un problema profondo, dunque, che non riguarda solamente il mondo carcerario ma anche una delle colonne portanti delle democrazie occidentali: la Giustizia, che spesso appare ansiosa di nascondere, allontanare e, almeno, procrastinare. L'Iniziativa per i diritti dei carcerati aggiunge che, così come annunciata, la riforma carceraria appare frammentaria, insufficiente al compito di affrontare complessivamente la vita di un carcerato. Un esempio per tutti: i bimbi delle mamme detenute, che crescono, sostanzialmente, in una cella sovraffollata, colpevoli di quegli infami venti grammi di eroina trovati sulla loro mamma, trattata alla stregua dei peggiori commercianti di droga. Le soluzioni - pillola, per cui i governi greci hanno sempre risposto al problema carcerario, pare che non terminino con la ‘riforma Kastanidis', la quale tace, per altro, anche della questione di tutti quegli immigrati che, non potendo essere espulsi dalla Grecia, vengono ‘ospitati' nei commissariati, nelle carceri o in altro modo immagazzinati in attesa del nulla. Proprio qui appare una grave mancanza: quella del coordinamento col Ministero di Pubblica Sicurezza (ora denominato Ministero di Difesa del Cittadino), al fine di presentare una proposta di riforma complessiva e congiunta.
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