le carceri che scoppiano in attesa di un "piano" inutile
di Patrizio Gonnella
www.linkontro.info, 11 novembre 2009
Non si erano mai visti tanti detenuti nelle patrie galere dall’amnistia di Togliatti in poi. Oltre 65 mila persone rinchiuse in prigioni che ne possono contenere al massimo 43 mila. Quelli in eccedenza dormono in letti a castello a quattro piani che rasentano il soffitto, per terra su materassi, di giorno stanno a turno in piedi. Eppure, nonostante la condizione drammatica di vita negli istituti penitenziari italiani, nonostante i plurimi annunci del ministro Angelino Alfano, non c’è traccia del Piano carceri nelle ultime decisioni del Governo.
Il piano "giustizia" governativo è un’altra cosa e serve a ben altri scopi. Riguarda quegli oramai pochi processi che vanno a dibattimento, ossia i processi dove ci sono imputati che possono permettersi avvocati ben retribuiti. Una buona parte della popolazione detenuta va invece in galera dopo essere stata difesa da avvocati di ufficio. Si tratta di immigrati e tossicodipendenti che compongono oltre il 60% del totale dei reclusi.
È il momento che l’opposizione politica e sociale si stringa intorno a un piano ombra che contenga norme per ridurre il gap di giustizia tra poveri e ricchi, tra chi ha soldi per pagarsi la prescrizione e chi non avendone si fa più galera di quanta ne meriterebbe. Antigone ha elaborato una serie di proposte "a breve termine", "a medio termine" e "a lungo termine" per superare l’emergenza penitenziaria.
In primo luogo va modificata la legge Fini-Giovanardi, la normativa con di gran lunga il maggior impatto sul sistema penale e penitenziario, tanto per le condotte che punisce, quanto per il fenomeno che disciplina, ovvero quello delle droghe. Cifre alla mano, dei circa 92.800 detenuti entrati in carcere nel 2008, 30.528 erano tossicodipendenti (mai così tanti, il 33%, percentuale superiore del 6% rispetto all’anno precedente), e 28.795 (mai così tanti, il 31%) entravano per la violazione del Testo Unico sugli stupefacenti. I due gruppi sono ovviamente in parte sovrapposti (ci sono anche gli spacciatori tossicodipendenti, e non sono pochi) ma è chiaro come l’impatto della legge sulle droghe sul sistema penitenziario, e sul suo sovraffollamento, sia di assoluta rilevanza.
L’altro corno del sovraffollamento è determinato dalla legge sull’immigrazione. Se nel 1998 sono entrati nelle carceri italiane 58.403 detenuti italiani e 28.731 detenuti stranieri, nel 2008 si registrava l’ingresso di 49.801 detenuti italiani e di 43.099 detenuti stranieri. Un cambiamento radicale dunque, dovuto anche alla maggiore selettività penale e penitenziaria a carico degli stranieri. Quel che si auspica è un ripensamento strutturale delle politiche italiane in tema di migrazioni. In attesa di questo ripensamento, almeno andrebbe abrogato il reato di mancata ottemperanza all’ordine di espulsione. Nel frattempo vanno rilanciate con forza sanzioni e misure alternative alla pena che aiutino nell’immediato a decongestionare il sistema e a liberarlo da persone che hanno da scontare pochi giorni o pochi mesi di carcere.
In questa situazione di sovraffollamento, di morti (sessantuno suicidi dall’inizio dell’anno), di violenze e diritti negati pare che il governo sia vicino a dichiarare lo stato di emergenza carceraria. Una dichiarazione che assicurerebbe mano libera al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta nello scegliere le ditte alle quali assegnare gli appalti per costruire nuove prigioni. Una pericolosa e poco trasparente mano libera che visti i precedenti (le carceri d’oro degli anni ottanta) non è proprio una garanzia di affari puliti. Seppur dovessero essere costruite quattro o cinque nuove prigioni per complessivi 2-3 mila posti, visti i trend di crescita della popolazione detenuta (mille unità nuove al mese), il quadro resterebbe tragicamente immutato.
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