L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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giovedì 29 aprile 2010

L'ORDINE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI SCRIVE AL CAPO DELL' AMM. PENITNZIARIA SU SITUAZIONE UFFICI DELL' ESECUZIONE PENALE ESTERNA

Roma, 27 aprile 2010
Prot. n. 1184/2010
Al Dott. Franco Ionta
Capo Dipartimento
Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria
Dott.ssa Luigia Mariotti Culla
Direttore
Istituto per gli Studi Penitenziari
Dott. Riccardo Turrini Vita
Direttore
Direzione Generale Esecuzione
Penale Esterna
LORO SEDI

L’Ordine degli Assistenti Sociali ritiene di dover sottoporre all’attenzione delle SS.LL. alcune considerazioni in merito al servizio sociale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, traendo spunto dai contenuti di una recente lettera circolare emessa dal Capo Dipartimento, Dott. Franco Ionta, che richiamano aspetti di stretta attinenza all’operato professionale degli assistenti sociali nella gestione delle misure alternative e, in particolare, dell’affidamento in prova al servizio sociale.
L’Ordine, come ente cui compete il compito di tutela della professione, ma anche di salvaguardia dei diritti delle persone a cui gli assistenti sociali rivolgono i propri interventi professionali, ha da tempo segnalato le condizioni di grande difficoltà e disagio attraversate dal servizio sociale della Giustizia, come conseguenza sia della realtà sempre più complessa del sistema dell’esecuzione penale e della drammatica situazione degli istituti di pena, sia delle scelte politiche e organizzative attuate. Tali scelte, come già evidenziato nella nostra nota del 23.07.2009, stanno mettendo in pericolo la persistenza stessa di qualsiasi forma di intervento di protezione e reinserimento sociale, con tagli nelle risorse umane, economiche e strumentali che hanno avuto immediata e diretta ricaduta soprattutto sui servizi periferici.
In assenza di significative risposte e interventi correttivi, la situazione è, in questo ultimo anno, divenuta ancor più critica, e ormai molti uffici per l’esecuzione penale esterna sono al collasso operativo, come si evince dai documenti con i quali quasi tutti gli Uepe segnalano criticità tali da rendere sempre più arduo l’assolvimento del mandato istituzionale.
Alla luce di questa generale situazione vanno valutati i contenuti della succitata nota circolare.
Se è condivisibile l’obiettivo di pervenire alla migliore gestione delle misure alternative alla detenzione carceraria, come indicato dall’onorevole Ministro Alfano per l’anno 2009, non si può invece che esprimere perplessità per le modalità con le quali si ritiene di poter perseguire tale obiettivo e, più in generale, con i contenuti della circolare.
In primo luogo appare incomprensibile la mancata considerazione della situazione degli Uepe e, invece di concrete risposte alle richieste avanzate, si è ritenuto necessario diramare una circolare nella quale si richiamano i servizi locali a rifarsi, nella gestione dei condannati ammessi all’affidamento in prova, a quei criteri di “prossimità frequente” che erano stati individuati nel periodo in cui, per effetto dell’indulto, il numero delle misure alternative si era drasticamente ridotto.
Nel diramare tale disposizione non sembra si sia tenuto conto del fatto che oggi il contesto è completamente cambiato e che il costante aumento del numero di soggetti seguiti dagli Uepe, unitamente alla sopra delineata realtà di tali uffici, rende impraticabili nell’operatività degli assistenti sociali tali criteri di “prossimità frequente”.
Anche il richiamo al necessario maggior utilizzo dello strumento professionale della visita domiciliare, se condivisibile in linea generale, appare anacronistico se si considera il grido di allarme che gli assistenti sociali degli Uepe stanno lanciando ormai da più di un anno, allarme che scaturisce da una realtà degli uffici che ormai non sembra più consentire prestazioni che possano rispondere a parametri professionali di livello minimamente adeguato.
E’ opinione di questo Ordine professionale che sia la condizione in cui versano gli Uepe, con le crescenti difficoltà ad attivare quegli interventi professionali che avevano garantito il raggiungimento di positivi risultati soprattutto nella gestione dell’affidamento, a contrastare con la buona amministrazione e ad inficiare l'efficacia dell'intervento professionale degli assistenti sociali.
Inoltre, eccessivamente semplificatorio appare il ragionamento in base al quale si fa derivare la minore concessione di misure alternative – con il conseguente aumento dei condannati detenuti – da una supposta “rarefazione di funzioni di controllo e di verifica”.
Da un lato si semplifica una realtà, quella penale, che sta divenendo sempre più articolata e complessa, a fronte di una minore rispondenza dei territori in termini di risorse disponibili, di iniziative e possibilità di collaborazione con il sistema penitenziario. Si può, quindi, sostenere che il minor ricorso alle misure alternative deriva dalle mutate condizioni delle persone condannate e della realtà della comunità esterna, con le evidenti trasformazioni quantitative e, soprattutto, con l’incremento numerico di soggetti portatori di problematiche a cui è sempre più difficile far fronte, sia per nuove leggi, sia per la riduzione delle risorse disponibili.
Dall’altro lato, sembra volersi attribuire allo strumento professionale della visita domiciliare una prevalente funzione di controllo e verifica.
Invece, come risulta evidente dai riferimenti dottrinari citati, la visita domiciliare riveste in primis un significato di colloquio che si svolge in un contesto familiare per l’utente, a cui va attribuito un senso nel contesto più ampio della relazione interpersonale professionale 1. Inoltre, si ritiene che la visita domiciliare effettuata senza preavviso, con evidente prevalenza di una finalità di controllo, non costituisca “(…) una modalità operativa con un senso professionale 2.
La ratio che è stata alla base dell’inserimento nell’ambito penale di una professione quale quella dell’assistente sociale, e la funzione attribuitagli nella gestione dell’affidamento in prova al servizio sociale, scaturiva dall’idea che si potesse coniugare un percorso di reintegrazione sociale della persona condannata alla garanzia di un controllo effettuato mediante un trattamento che non fosse meramente fiscale, ma attuato in ambito comunitario e svolto secondo la competenza e la metodologia propria del servizio sociale.




1 Dal Pra M.,Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987.
2 Andrenacci R., La visita domiciliare di servizio sociale, Carocci Faber, Roma, 2009

Da queste considerazioni non può che derivare un netto dissenso rispetto all’indicazione, data agli uffici locali, di contenimento del tempo lavoro dedicato a riunioni e contatti con organi di amministrazioni ed enti locali, così come il tempo dedicato a gruppi di studio, come se tali attività avessero come solo significato quello di distogliere il personale dall’assolvimento dei compiti istituzionali. Al riguardo, due sono le sottolineature imprescindibili.

I Centri di servizio sociale per adulti, ora Uffici per l’esecuzione penale esterna, sin dalla loro istituzione si sono caratterizzati come strutture che dovevano porsi in una logica di integrazione con il territorio. In tale ottica, il servizio sociale ha impostato la propria pratica di intervento sull’attivazione della metodologia del lavoro di rete, sia per gli interventi rivolti al caso singolo, sia con una politica del servizio mirante ad inserirsi nel tessuto sociale circostante, mediante la creazione di reti di collaborazione e contatti formali con gli altri servizi e le altre agenzie del territorio.
Tutto questo non può essere disconosciuto e vanificato.
E' ormai acquisito il valore della formazione come leva strategica fondamentale, non solo per lo sviluppo professionale dei dipendenti, ma anche per migliorare la qualità delle prestazioni e degli interventi e, in termini più generali, il livello qualitativo del servizio reso.
E' in atto in tutta la Pubblica Amministrazione un processo che mira a investire risorse nella formazione per migliorare la qualità dei servizi. Tale processo parte dalla valutazione che i mutamenti in atto nel sistema dei servizi alla persona - sotto il profilo normativo, organizzativo e gestionale -, e la varietà e complessità dei problemi cui il sistema è chiamato nel rispetto e tutela dei diritti delle persone, pongono in particolare rilievo la necessità di prefigurare azioni continuative tese ad alimentare conoscenze, competenze, abilità dei professionisti che operano nel sistema stesso. In tal senso, anche in risposta alla normativa comunitaria che richiama la

necessità di adeguate conoscenze e di competenze da aggiornare ed arricchire periodicamente, tutte le professioni prevedono la formazione continua come dovere dei professionisti.
In un contesto come quello sopra delineato, con le evidenti problematiche che condizionano negativamente e rischiano addirittura di bloccare la realtà organizzativa e le pratiche professionali degli Uepe, si vuole infine richiamare l'attenzione delle SS.LL sulla necessità di monitorare e valutare attentamente le ricadute che l'approvazione del disegno di legge sulla esecuzione delle pene presso il domicilio e sulla messa alla prova avrebbe su tali uffici.
E' facilmente ipotizzabile che le nuove misure previste, in assenza di adeguati incrementi delle risorse finanziarie, umane e strumentali, determinerebbe un ulteriore aggravio che non potrebbe essere evidentemente sostenuto dagli Uepe, se non svilendo definitivamente il senso del loro lavoro.
Come evidenziato dal Consigliere Riccardo Turrini Vita3, la lettura del fine della legge deve sempre farsi congiuntamente con le norme di organizzazione degli uffici e soprattutto con quelle che qualificano e destinano risorse umane e finanziarie, perché indicare fini da perseguire senza risorse è velleitario.
Alla luce di tali considerazioni, questo Ordine professionale ritiene doveroso esprimere la propria profonda preoccupazione per la condizione di emergenza del servizio sociale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria che, se non risolta, può significare perdita di legittimazione e di senso del lavoro del servizio sociale; richiama l'attenzione sul rischio che vada disperso il patrimonio di competenze e di buone pratiche professionali maturate dal servizio sociale, sia nell'area penale esterna, che all'interno degli istituti penitenziari; ribadisce il positivo e specifico apporto
professionale degli assistenti sociali per l'implementazione dei principi cardine dell'ordinamento penitenziario, nel rispetto delle dignità della persona; ritiene non più procrastinabile un intervento complessivo che preveda finalmente concrete misure che restituiscano agli Uepe la possibilità di espletare le loro funzioni, nella piena rispondenza al mandato istituzionale e costituzionale.
Cordiali saluti.
La Presidente
Franca Dente