Quale futuro per le Misure Alternative e gli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna?
Il Blog raccogliendo le sollecitazioni di Luca (clicca: LETTERE AL BLOG ) ha deciso di mettere a disposizione il proprio spazio per favorire un libero confronto tra adddetti ai lavori sul tema proposto da Stefano Anastasia con l'articolo Carceri verso la catastrofe umanitaria, facciamo largo a Comuni e Regioni pubblicato sul Manifesto del 22 settembre ":.....Nonostante le diverse tendenze di molti Paesi comparabili al nostro, il sistema penitenziario italiano resta un sistema “carcere-centrico”, nel quale le altre possibilità sanzionatone (e le professionalità non custodiali) restano delle “alternative” solo eventuali. Tanto più eventuali quanto più la loro stessa attuabilità sia ormai estranea alle competenze delle amministrazioni dello Stato.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la riforma costituzionale del 2001 ha affidato alle Regioni e agli enti locali, oltre che le competenze sanitarie, quelle sull’organizzazione dell’offerta di istruzione, sulla formazione professionale, sulle politiche attive del lavoro, sulle politiche sociali. Di tutto ciò che ha a che fare con il reinserimento sociale dei detenuti e con la possibilità che i condannati scontino la loro pena all’esterno del carcere l’Amministrazione statale non sa più nulla, e meno che mai ne sa quel suo piccolo pezzo da cui dipende la gestione delle carceri. In questa prospettiva, per potenziare le alternative al carcere, per emanciparle dalla loro condizione di minorità, non avrebbe più senso riconoscere che il sistema penitenziario è il frutto del concorso di più livelli e di più competenze tra Stato ed enti territoriali, e quindi riconoscere i confini oltre i quali l’amministrazione della giustizia non può andare e lasciare operare più efficacemente Regioni ed Enti locali? Perché gli Uffici dell’esecuzione penale esterna, con i loro assistenti sociali impegnati tra carcere e territorio, non possono passare direttamente alle dipendenze delle Regioni e degli Enti locali? Non ne sarebbe facilitata la presa in carico dei condannati sul territorio e, magari, le alternative al carcere?".
Non bisogna dimenticare, infatti, che la riforma costituzionale del 2001 ha affidato alle Regioni e agli enti locali, oltre che le competenze sanitarie, quelle sull’organizzazione dell’offerta di istruzione, sulla formazione professionale, sulle politiche attive del lavoro, sulle politiche sociali. Di tutto ciò che ha a che fare con il reinserimento sociale dei detenuti e con la possibilità che i condannati scontino la loro pena all’esterno del carcere l’Amministrazione statale non sa più nulla, e meno che mai ne sa quel suo piccolo pezzo da cui dipende la gestione delle carceri. In questa prospettiva, per potenziare le alternative al carcere, per emanciparle dalla loro condizione di minorità, non avrebbe più senso riconoscere che il sistema penitenziario è il frutto del concorso di più livelli e di più competenze tra Stato ed enti territoriali, e quindi riconoscere i confini oltre i quali l’amministrazione della giustizia non può andare e lasciare operare più efficacemente Regioni ed Enti locali? Perché gli Uffici dell’esecuzione penale esterna, con i loro assistenti sociali impegnati tra carcere e territorio, non possono passare direttamente alle dipendenze delle Regioni e degli Enti locali? Non ne sarebbe facilitata la presa in carico dei condannati sul territorio e, magari, le alternative al carcere?".
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