MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Intervento del ministro della Giustizia Clemente Mastella in occasione della Festa nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria
(Roma, 4 ottobre 2006)
Ho il singolare privilegio di celebrare per la prima volta l’annuale festa del Corpo di Polizia Penitenziaria, dopo qualche mese dalla mia nomina, forte di una esperienza inedita, ma vissuta con intensità, tutta dentro, per molti aspetti, ai problemi e alla vita che ruota attorno al mondo delle carceri italiane.
Ed è da questa postazione che ho l’onore di ringraziare Lei, signor Presidente, per essere qui oggi, a dimostrazione della sua straordinaria sensibilità istituzionale nei nostri confronti.
Ed è da questa postazione che ho l’onore di ringraziare Lei, signor Presidente, per essere qui oggi, a dimostrazione della sua straordinaria sensibilità istituzionale nei nostri confronti.
E parimenti mi è gradito dire grazie a quanti, autorità ed ospiti, sono con noi, partecipi di questa giornata particolare, velata, ahimè, dal ricordo triste di chi non c’è più perché caduto sul fronte lontano dove combatteva per la pace e la sicurezza.
La condizione delle carceri italiane, con la quale siamo stati costretti a confrontarci, all’atto del mio insediamento, signor Presidente, signore e signori, era caratterizzata dalla presenza di oltre 60.000 detenuti, e necessitava, a mio parere, di un atto che si ponesse a presupposto per avviare un articolato e rilevante processo riformatore. Ad oggi hanno beneficiato dell’indulto 23.543 detenuti e sono rientrati in carcere, perché colti in flagranza di reato in 742 (con una percentuale del 3 per cento).
Ebbene, proprio l'uscita dal carcere, di questi 23.543 detenuti, a seguito del provvedimento di indulto, voluto da una larghissima parte del Parlamento, con eccezioni a destra e a manca (anche se a volte, leggendo le cronache politiche, sembra che le eccezioni siano state superiori ad una volontà parlamentare così estesa) consentirà di ripensare l'organizzazione degli istituti di pena,al fine di contemperare sempre di più e al meglio le esigenze di sicurezza e di risocializzazione dei condannati.
La condizione delle carceri italiane, con la quale siamo stati costretti a confrontarci, all’atto del mio insediamento, signor Presidente, signore e signori, era caratterizzata dalla presenza di oltre 60.000 detenuti, e necessitava, a mio parere, di un atto che si ponesse a presupposto per avviare un articolato e rilevante processo riformatore. Ad oggi hanno beneficiato dell’indulto 23.543 detenuti e sono rientrati in carcere, perché colti in flagranza di reato in 742 (con una percentuale del 3 per cento).
Ebbene, proprio l'uscita dal carcere, di questi 23.543 detenuti, a seguito del provvedimento di indulto, voluto da una larghissima parte del Parlamento, con eccezioni a destra e a manca (anche se a volte, leggendo le cronache politiche, sembra che le eccezioni siano state superiori ad una volontà parlamentare così estesa) consentirà di ripensare l'organizzazione degli istituti di pena,al fine di contemperare sempre di più e al meglio le esigenze di sicurezza e di risocializzazione dei condannati.
L'indulto non deve e non può essere considerato come un atto di resa da parte dello Stato rispetto ad una situazione divenuta ormai insostenibile. L’indulto non è un gesto di finta solidarietà, non è un dispetto alla voglia di giustizia, non è una gratificazione anticipata a chi non la merita.
Quante parole spese sull’indulto, non sempre generose verso questo atto di clemenza, caricato di responsabilità non sue. Basti pensare che quest’anno, nel trimestre luglio-settembre, sono entrati in carcere 2.260 soggetti in meno rispetto allo stesso periodo del 2005. Con un paradosso, starei per dire, che all’indulto non è stato concesso l’indulto.
Questo atto deve essere inquadrato, invece, in una prospettiva più ampia, di ammodernamento del sistema delle pene, significando con ciò che dovranno seguire, a breve, misure di riorganizzazione, ma anche e soprattutto riforme strutturali che dovranno investire il sistema penale e penitenziario.
Secondo una linea di tendenza sempre più netta nei paesi europei la reclusione dovrà essere considerata come una misura punitiva estrema, riservata alla criminalità organizzata, ai delinquenti abituali ed a coloro che commettono reati che destano grave allarme sociale. Mentre più spazio dovrà essere conferito alle sanzioni diverse, irrogate in alternativa alla detenzione ordinaria.
Con riferimento al sistema penitenziario la risposta al sovraffollamento rappresentata dall'indulto dovrà dunque essere seguita da un particolare impegno. Sarà dunque, perciò, necessario trovare e razionalizzare mezzi e risorse, materiali e professionali, per potenziare le offerte trattamentali ai detenuti, rendere effettiva la differenziazione delle condizioni di detenzione fra detenuti in attesa di giudizio e condannati in stato di esecuzione della pena, incrementare le stesse misure alternative alla detenzione, così da rendere più facile il reinserimento sociale e la crescita dei livelli di sicurezza per i cittadini.
Per altro verso, mentre va riaffermata una linea intransigente nel contrasto a tutte le forme di criminalità organizzata, occorre consolidare esperienze, prassi a tutela dei soggetti più deboli.
Va dunque potenziata una rete di strutture capaci di far fronte a quelle necessità di accoglienza per le madri con bambini e per quegli adulti che, in grave o gravissimo stato di salute, siano dichiarati "incompatibili" col carcere, ma che nel carcere restano perché non esistono strutture di accoglienza esterne.
In questo contesto, ed in una situazione che inizia ad evolvere finalmente verso la normalità, dopo avere conosciuto momenti di emergenza e di crisi, un ruolo di primissimo piano va attribuito al corpo di polizia penitenziaria il cui contributo alle Istituzioni, senza alcuna retorica, spicca per la dedizione, la serietà, il silenzio operoso nell'adempimento dei doveri istituzionali.
Il sacrificio, quotidiano e generoso, di chi lega la propria dimensione professionale ad un ambiente, quello carcerario, connotato da sofferenza ma anche espressione di disagio, di povertà, di malattie. E’ una specialissima professione che pone l'operatore dinanzi alla dimensione reale della devianza e del delitto, con effetti spesso usuranti e con la privazione degli spazi della vita personale.
La serietà di questo Corpo è espressa da un impegno i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. La Polizia penitenziaria ha mantenuto l'ordine negli istituti, ma ha anche assecondato il percorso di rieducazione dei detenuti in tutte le condizioni. E mentre il sovraffollamento diradava gli spazi e alimentava le tensioni, essa ha assicurato una presenza vigile, concreta e costruttiva e garantito il rispetto delle regole costituzionali e degli obblighi deontologici.
Dinanzi alle rinnovate emergenze del terrorismo interno ed internazionale, e nei confronti del fenomeno mafioso, il Corpo ha costituito un presidio irrinunciabile per le nostre Istituzioni operando sempre con coscienza e lealtà, nella consapevolezza di adempiere ad una delle prioritarie esigenze di sicurezza della nostra Repubblica. Lo svolgimento silenzioso e umile dei compiti ha da sempre caratterizzato l'attività del Corpo, il cui contributo alla sicurezza dello Stato - sottolineo con orgoglio da ministro della giustizia - non è mai stato inferiore a quello offerto dagli altri corpi di polizia, a fronte della ben minore visibilità del suo operato.
Questa, signor Presidente, non è una Polizia cadetta; gioca, rispetto ad altre Polizie in un ruolo diverso,in un’area, per così dire, mediana, con un impegno che va dagli anni di piombo sino all’epoca delle stragi. Il suo ruolo è fondamentale come gli altri Corpi di Polizia cui va il mio sincero apprezzamento con un impegno che va dagli anni di piombo sino all'epoca delle stragi. Basterà ricordare l'oneroso, diuturno, coraggioso servizio dei nostri agenti presso le sezioni ove si attua lo strumento di prevenzione penitenziaria rappresentato dal regime speciale dell'articolo 41bis.
All'indomani delle stragi mafiose degli anni Novanta, esso ha consentito di disarticolare le organizzazioni, separando capi e gregari, impedendo che dal carcere imperversasse il governo della mafia. Un impegno di coerenza e di amore per lo Stato che in Sicilia è costato il sacrificio di giovani vite - come quelle degli agenti Montalto e Bodenza, - che si sono andate ad aggiungere alle altre numerose vittime del corpo cadute per mano della mafia e del terrorismo.
Nessuna etichetta antimafia recano i reparti di questo corpo, benché questa funzione essi svolgano ogni giorno e per tutto il tempo che dura la detenzione dei boss. Voi avete dato tanto a questo nostro Paese. Spetta ora a noi, Istituzioni politiche, Stato, Società civile, riconoscere quali debbano essere il vostro spazio, il vostro ruolo, i vostri compiti.
Occorrerà rideterminare le piante organiche del Corpo di polizia penitenziaria. Sarà poi necessario realizzare immediatamente il riallineamento dei funzionari della polizia penitenziaria con quelli degli altri Corpi di polizia ad ordinamento civile, eliminando ogni sperequazione esistente. In un processo di ampliamento dell'Area penale esterna sarà opportuno affidare alla polizia penitenziaria, attraverso il coordinamento dei propri funzionari e dirigenti, tutti i controlli sui soggetti che beneficiano di misure alternative.
Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al aldilà delle mura del carcere, parallelamente all'affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell'esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite
all'esterno, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, aprendo la strada alle soluzioni che sono già allo studio della neo insediata commissione per la riforma del codice penale. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica , non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene.
A questo nuovo modello organizzativo della polizia penitenziaria, così come avviene in altre realtà, potrebbero aggiungersi le competenze relative alla difesa dei testimoni di giustizia ed alla cattura dei latitanti, che ineriscono alle esigenze della giustizia penale ed alla logica della esecuzione delle condanne.
Il futuro di questo corpo deve dunque legarsi sempre più al settore di competenze connesse alla esecuzione penale, e non necessariamente ed unicamente alla realtà del carcere, che se vissuta come unica esclusiva rischierebbe di essere umanamente e professionalmente mortificante. Ritengo di conseguenza rilevante l'ampliamento delle competenze della polizia penitenziaria nei servizio di scorta e tutela, iniziando con l'estenderle ai soggetti appartenenti al ministero della Giustizia che operino nelle sedi periferiche, per poi comprendere in proiezione la protezione dei magistrati.
La polizia penitenziaria deve essere sempre più parte integrante delle Agenzie di sicurezza del nostro Paese, attraverso una fattiva collaborazione con le altre Forze di polizia che operano sul territorio, insieme all'assolvimento dei compiti che la legge ha tradizionalmente assegnato in via esclusiva o prioritaria al Corpo. Funzioni di sicurezza extramuraria, attività di controllo sulle misure esterne, compiti di scorta e di polizia porranno le premesse per la nascita di Commissariati territoriali di polizia penitenziaria ai quali destinare i compiti connessi al lavoro sul territorio. Lungo questa prospettiva di novità, lungo questo crinale, passa tanto il riconoscimento per la fedeltà mostrata allo stato, quanto lo stimolo verso sempre migliori e più rilevanti risultati, nella certezza che avere investito su questo corpo ha sempre comportato per la nostra Repubblica un ritorno di fedeltà, di serietà, di fruttuosa abnegazione. E di questo noi vi siamo grati.
Quante parole spese sull’indulto, non sempre generose verso questo atto di clemenza, caricato di responsabilità non sue. Basti pensare che quest’anno, nel trimestre luglio-settembre, sono entrati in carcere 2.260 soggetti in meno rispetto allo stesso periodo del 2005. Con un paradosso, starei per dire, che all’indulto non è stato concesso l’indulto.
Questo atto deve essere inquadrato, invece, in una prospettiva più ampia, di ammodernamento del sistema delle pene, significando con ciò che dovranno seguire, a breve, misure di riorganizzazione, ma anche e soprattutto riforme strutturali che dovranno investire il sistema penale e penitenziario.
Secondo una linea di tendenza sempre più netta nei paesi europei la reclusione dovrà essere considerata come una misura punitiva estrema, riservata alla criminalità organizzata, ai delinquenti abituali ed a coloro che commettono reati che destano grave allarme sociale. Mentre più spazio dovrà essere conferito alle sanzioni diverse, irrogate in alternativa alla detenzione ordinaria.
Con riferimento al sistema penitenziario la risposta al sovraffollamento rappresentata dall'indulto dovrà dunque essere seguita da un particolare impegno. Sarà dunque, perciò, necessario trovare e razionalizzare mezzi e risorse, materiali e professionali, per potenziare le offerte trattamentali ai detenuti, rendere effettiva la differenziazione delle condizioni di detenzione fra detenuti in attesa di giudizio e condannati in stato di esecuzione della pena, incrementare le stesse misure alternative alla detenzione, così da rendere più facile il reinserimento sociale e la crescita dei livelli di sicurezza per i cittadini.
Per altro verso, mentre va riaffermata una linea intransigente nel contrasto a tutte le forme di criminalità organizzata, occorre consolidare esperienze, prassi a tutela dei soggetti più deboli.
Va dunque potenziata una rete di strutture capaci di far fronte a quelle necessità di accoglienza per le madri con bambini e per quegli adulti che, in grave o gravissimo stato di salute, siano dichiarati "incompatibili" col carcere, ma che nel carcere restano perché non esistono strutture di accoglienza esterne.
In questo contesto, ed in una situazione che inizia ad evolvere finalmente verso la normalità, dopo avere conosciuto momenti di emergenza e di crisi, un ruolo di primissimo piano va attribuito al corpo di polizia penitenziaria il cui contributo alle Istituzioni, senza alcuna retorica, spicca per la dedizione, la serietà, il silenzio operoso nell'adempimento dei doveri istituzionali.
Il sacrificio, quotidiano e generoso, di chi lega la propria dimensione professionale ad un ambiente, quello carcerario, connotato da sofferenza ma anche espressione di disagio, di povertà, di malattie. E’ una specialissima professione che pone l'operatore dinanzi alla dimensione reale della devianza e del delitto, con effetti spesso usuranti e con la privazione degli spazi della vita personale.
La serietà di questo Corpo è espressa da un impegno i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. La Polizia penitenziaria ha mantenuto l'ordine negli istituti, ma ha anche assecondato il percorso di rieducazione dei detenuti in tutte le condizioni. E mentre il sovraffollamento diradava gli spazi e alimentava le tensioni, essa ha assicurato una presenza vigile, concreta e costruttiva e garantito il rispetto delle regole costituzionali e degli obblighi deontologici.
Dinanzi alle rinnovate emergenze del terrorismo interno ed internazionale, e nei confronti del fenomeno mafioso, il Corpo ha costituito un presidio irrinunciabile per le nostre Istituzioni operando sempre con coscienza e lealtà, nella consapevolezza di adempiere ad una delle prioritarie esigenze di sicurezza della nostra Repubblica. Lo svolgimento silenzioso e umile dei compiti ha da sempre caratterizzato l'attività del Corpo, il cui contributo alla sicurezza dello Stato - sottolineo con orgoglio da ministro della giustizia - non è mai stato inferiore a quello offerto dagli altri corpi di polizia, a fronte della ben minore visibilità del suo operato.
Questa, signor Presidente, non è una Polizia cadetta; gioca, rispetto ad altre Polizie in un ruolo diverso,in un’area, per così dire, mediana, con un impegno che va dagli anni di piombo sino all’epoca delle stragi. Il suo ruolo è fondamentale come gli altri Corpi di Polizia cui va il mio sincero apprezzamento con un impegno che va dagli anni di piombo sino all'epoca delle stragi. Basterà ricordare l'oneroso, diuturno, coraggioso servizio dei nostri agenti presso le sezioni ove si attua lo strumento di prevenzione penitenziaria rappresentato dal regime speciale dell'articolo 41bis.
All'indomani delle stragi mafiose degli anni Novanta, esso ha consentito di disarticolare le organizzazioni, separando capi e gregari, impedendo che dal carcere imperversasse il governo della mafia. Un impegno di coerenza e di amore per lo Stato che in Sicilia è costato il sacrificio di giovani vite - come quelle degli agenti Montalto e Bodenza, - che si sono andate ad aggiungere alle altre numerose vittime del corpo cadute per mano della mafia e del terrorismo.
Nessuna etichetta antimafia recano i reparti di questo corpo, benché questa funzione essi svolgano ogni giorno e per tutto il tempo che dura la detenzione dei boss. Voi avete dato tanto a questo nostro Paese. Spetta ora a noi, Istituzioni politiche, Stato, Società civile, riconoscere quali debbano essere il vostro spazio, il vostro ruolo, i vostri compiti.
Occorrerà rideterminare le piante organiche del Corpo di polizia penitenziaria. Sarà poi necessario realizzare immediatamente il riallineamento dei funzionari della polizia penitenziaria con quelli degli altri Corpi di polizia ad ordinamento civile, eliminando ogni sperequazione esistente. In un processo di ampliamento dell'Area penale esterna sarà opportuno affidare alla polizia penitenziaria, attraverso il coordinamento dei propri funzionari e dirigenti, tutti i controlli sui soggetti che beneficiano di misure alternative.
Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al aldilà delle mura del carcere, parallelamente all'affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell'esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite
all'esterno, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, aprendo la strada alle soluzioni che sono già allo studio della neo insediata commissione per la riforma del codice penale. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica , non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene.
A questo nuovo modello organizzativo della polizia penitenziaria, così come avviene in altre realtà, potrebbero aggiungersi le competenze relative alla difesa dei testimoni di giustizia ed alla cattura dei latitanti, che ineriscono alle esigenze della giustizia penale ed alla logica della esecuzione delle condanne.
Il futuro di questo corpo deve dunque legarsi sempre più al settore di competenze connesse alla esecuzione penale, e non necessariamente ed unicamente alla realtà del carcere, che se vissuta come unica esclusiva rischierebbe di essere umanamente e professionalmente mortificante. Ritengo di conseguenza rilevante l'ampliamento delle competenze della polizia penitenziaria nei servizio di scorta e tutela, iniziando con l'estenderle ai soggetti appartenenti al ministero della Giustizia che operino nelle sedi periferiche, per poi comprendere in proiezione la protezione dei magistrati.
La polizia penitenziaria deve essere sempre più parte integrante delle Agenzie di sicurezza del nostro Paese, attraverso una fattiva collaborazione con le altre Forze di polizia che operano sul territorio, insieme all'assolvimento dei compiti che la legge ha tradizionalmente assegnato in via esclusiva o prioritaria al Corpo. Funzioni di sicurezza extramuraria, attività di controllo sulle misure esterne, compiti di scorta e di polizia porranno le premesse per la nascita di Commissariati territoriali di polizia penitenziaria ai quali destinare i compiti connessi al lavoro sul territorio. Lungo questa prospettiva di novità, lungo questo crinale, passa tanto il riconoscimento per la fedeltà mostrata allo stato, quanto lo stimolo verso sempre migliori e più rilevanti risultati, nella certezza che avere investito su questo corpo ha sempre comportato per la nostra Repubblica un ritorno di fedeltà, di serietà, di fruttuosa abnegazione. E di questo noi vi siamo grati.
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