L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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lunedì 9 luglio 2007

MARGARA: PERICOLOSO E ILLEGITTIMO IL DECRETO INTERMINISTERIALE (BOZZA) SUL NUCLEO DI VERIFICA DELLA POLIZIA PENITENZIARIA PRESSO GLI UEPE

L’operazione dell’inserimento della Polizia penitenziaria nell’ambito degli Uffici locali di esecuzione penale esterna muove da una serie di non corrette ed anche errate impostazioni della materia che sembra doveroso evidenziare prima che si proceda, anche se per ora sperimentalmente, su un percorso pericoloso e che può divenire irreversibile.

A):- Messa a punto sull’area penale esterna, con particolare riferimento alle misure alternative.
E’ utile richiamare brevemente quanto indicato nel titolo.
Semilibertà:- E’ inserita fra le misure alternative. Si tratta di un particolare regime di esecuzione della pena detentiva, cui si è ammessi con provvedimento della magistratura di sorveglianza. La gestione della misura "resta affidata al direttore (dell’istituto), che si avvale del Centro di servizio sociale per la vigilanza e la assistenza del soggetto nell’ambiente libero": art. 101, comma 3, Reg. esec. O.P.. La competenza del direttore dell’istituto sulla misura può consentire l’utilizzazione di operatori penitenziari, di cui è traccia, per un singolo aspetto, nel successivo comma 5 dell’art. 101.
Per la semilibertà vi è la specifica previsione di un programma di trattamento, predisposto dall’istituto (gruppo osservazione e trattamento) e approvato dal magistrato di sorveglianza.
E’ la magistratura di sorveglianza che, dopo avere disposto la ammissione alla misura alternativa, ha la competenza, attraverso l’organo monocratico, sulle licenze, sulla approvazione o meno di eventuali variazioni del programma, sulla valutazione della permanenza o del venire della idoneità della persona alla misura.

Detenzione domiciliare:- E’ anche questa una misura alternativa. Realizza sempre uno stato detentivo, ma fuori dal carcere. Abbastanza impropriamente il nuovo testo dell’art. 72 dell’O.P. (modificato con L. 27/7/2005, n.154), alla lettera c) del comma 2, parla di programma di trattamento per la detenzione domiciliare proposto dall’UEPE, come per l’affidamento in prova al servizio sociale. Valgono, in effetti, per la detenzione domiciliare, le regole stabilite per gli arresti domiciliari, cui l’art. 47ter, comma 4, rinvia. Ci sono, pertanto, delle prescrizioni, che stabilisce il tribunale di sorveglianza, in merito alle modalità di svolgimento della misura, anche con la previsione di tempi di uscita dal luogo della detenzione domiciliare per provvedere, come negli arresti domiciliari (art. 284, comma 3, C.p.p.), "alle sue indispensabili esigenze di vita".
Le modalità di esecuzione della misura sono di competenza del tribunale di sorveglianza e il magistrato di sorveglianza le può modificare in ogni tempo, temporaneamente o stabilmente. La vigilanza sulla osservanza delle prescrizioni, sempre con rinvio agli arresti domiciliari (art. 284, comma, C.p.p.), è affidata agli organi di polizia. La magistratura di sorveglianza "determina e impartisce, altresì, le disposizioni per gli interventi del servizio sociale: ci si riferisce evidentemente agli "interventi del servizio sociale nella libertà vigilata", indicati nell’art. 55 O.P..

Affidamento in prova al servizio sociale:- Si tratta della misura alternativa con la più completa indicazione delle competenze allo svolgimento delle funzioni. Anche per l’affidamento è una forzatura, come fa l’art. 72 (nuovo testo, modif. nel 2005), comma 2, lettera c), parlare di proposta di programma di trattamento da parte UEPE alla A.G.. Per vero, la struttura dell’affidamento in prova è nel senso che l’UEPE prospetta al tribunale di sorveglianza una relazione socio-familiare descrittiva della situazione della persona, delle sue risorse sotto vari aspetti (lavoro, famiglia, risorse sociali in genere) e il tribunale di sorveglianza decide, positivamente o negativamente, e, se concede la misura, indica le prescrizioni utili, sulla base degli atti raccolti (non solo UEPE) per la rieducazione e la prevenzione di altri reati. In sostanza, le prescrizioni e le conseguenti modalità esecutive della misura, sono decise dal tribunale di sorveglianza e potranno essere poi modificate dal magistrato di sorveglianza, sentito ovviamente il Servizio sociale. Comunque, la configurazione forzata di un programma di trattamento, esistente, in effetti, solo per la semilibertà, non è il punto focale. Questo è rappresentato dalle due uniche figure che fanno funzionare la misura: il magistrato di sorveglianza, che segue le indicazioni del tribunale di sorveglianza e può modificarle e adeguarle, e il Servizio sociale, allora denominato CSSA e oggi UEPE, ma sempre, nel testo dell’art. 47 O.P., Servizio sociale, che riceve l’affidamento in prova della persona e svolge rispetto alla stessa tutte le funzioni necessarie: vigilanza e sostegno (art. 47, comma 9); riferisce periodicamente sul comportamento dell’affidato (comma 10), può innescare con le proprie relazioni la procedura di revoca (comma 11) o quella finale per la valutazione del tribunale di sorveglianza sull’esito positivo (o no) della prova(comma 12).

Liberazione condizionale:- Non si può non considerarla una misura alternativa, anche se prevista fuori dall’O.P.. Si tratta di una alternativa alla detenzione: per il periodo residuo di pena o per cinque anni (nel caso del condannato all’ergastolo), viene applicata, con l’ordinanza di concessione del tribunale di sorveglianza, la libertà vigilata per un eguale periodo. Si noti che la misura che sostituisce la pena non è, in senso proprio, la misura di sicurezza della libertà vigilata (come ha chiarito la giurisprudenza costante: non può essere revocata per cessazione della pericolosità e segue esclusivamente le sorti della pena che sostituisce: così la riduzione per condono, riduce corrispondentemente anche la c.d. libertà vigilata), ma ha modalità esecutive analoghe: il magistrato di sorveglianza stabilisce e può modificare le prescrizioni che la persona deve rispettare e l’autorità di polizia (l’ art. 228 C.p. indica la Polizia di Stato) vigila sul rispetto delle stesse. L’art. 55 O.P. ha previsto che "il servizio sociale" (denominato, allora, CSSA, oggi UEPE, ma sempre e solo Servizio sociale) "svolge interventi di sostegno e di assistenza (alle persone liberate condizionalmente) al fine del loro reinserimento sociale.
Analoga situazione è quella della libertà controllata. Questa non è una misura alternativa, ma una pena inflitta in sentenza (prevista, fra le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi dalla L. 24/11/1981, n. 689), per la quale il magistrato di sorveglianza stabilisce le prescrizioni (indicate in linea generale dalla stessa legge) e la polizia di stato svolge le funzioni di vigilanza sulla osservanza delle stesse. All’art. 56, comma 2, sono previsti interventi per il reinserimento sociale delle persone, operati dai CSSA, oggi UEPE.

Si deve escludere invece, che sia una misura alternativa il lavoro all’esterno, previsto dall’art. 21 O.P.. Lo stesso rappresenta una modalità trattamentale nel quadro della esecuzione della pena detentiva: come è reso evidente dal riferimento all’art. 15 O.P., che descrive gli elementi del trattamento, nonché dalla competenza a decidere della direzione dell’istituto, pur se la decisione debba essere approvata dal magistrato di sorveglianza. Le misure alternative, interferendo sulla esecuzione della pena, devono derivare sempre da decisioni giudiziarie (l’intervento del magistrato di sorveglianza è qui di solo controllo). La profonda differenza dalla misura alternativa della semilibertà emerge anche dalla circostanza che l’allontanamento del lavorante all’esterno è immediatamente evasione e non dopo le 12 ore, come per il semilibero.

B):- Non possono essere modificate con provvedimento amministrativo competenze e funzioni nella esecuzione delle misure alternative, che concorrono a formare l’area penale esterna.

1):- La nuova bozza di decreto interministeriale.

Si vedrà in seguito come, con il decreto di cui è stata diffusa la bozza, non possano essere modificati competenze e funzioni relative alle misure alternative. Si possono rilevare sin d’ora alcune gravi errori in cui si incorre con tale provvedimento. Si precisano alcuni punti.

Primo punto. E’ evidente che il decreto non può trovare la sua legittimazione nella previsione del comma 1 dell’art. 72 O.P., che avrebbe comunque una diversa forma e che dovrebbe avere un diverso contenuto, relativo soltanto alla organizzazione degli UEPE, non alla materia che vi viene trattata. Il coacervo di riferimenti iniziali e la mancata indicazione di una legittimazione specifica può fare dubitare della rigorosa previsione di un provvedimento del genere del decreto interministeriale in questione. Il che viene avvalorato da alcune inesattezze o genericità riscontrabili nella premessa del provvedimento adottato.

Secondo punto. E’ interessante la lettura dei riferimenti nella premessa del decreto.
Al punto quarto, si fa riferimento agli artt. 48, comma 6, e 118 del Reg. Esec. O.P..
Quanto all’art. 48, comma 6, riguarda il servizio di scorta fatto nei confronti del lavorante all’esterno. Si è chiarito che il lavoro all’esterno non è una misura alternativa, ma una modalità trattamentale della esecuzione della pena detentiva. La possibilità della scorta è prevista dal comma 2 dell’art. 21 O.P.. E’ ovvio che sia svolta dalla Polizia penitenziaria, che ha ormai la competenza in merito alle operazioni di traduzione e scorta dei detenuti. Non si vede in che modo tale impiego, previsto dalla legge e rigorosamente entro i compiti di istituto della Polizia penitenziaria, possa legittimare il dispiegamento della stessa fuori dai compiti di istituto e in materie nelle quali è già regolato l’intervento di altro personale, specificamente adeguato a questi compiti.
Quanto all’art. 118 del Reg. esec. O.P., esso contiene la puntuale descrizione della attività del Servizio sociale, compresa quella di controllo (descritta al comma otto, lettera c) e attribuita – e non poteva essere diversamente, con riferimento alle previsioni della legge – allo stesso Servizio. Anche da questa norma vengono precise indicazioni contrarie a quanto prevede la bozza di decreto.
Al punto settimo, si fa invece riferimento alle competenze della Polizia penitenziaria in materia di traduzione delle persone ammesse agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare nei luoghi in cui queste misure si attuano. E’ palese il tentativo di aggrapparsi ai casi in cui la Polizia penitenziaria può lavorare all’esterno dell’istituto, ma è altrettanto evidente che, nel caso indicato, la competenza della Polizia penitenziaria deriva dalla competenza generale della stessa in materia di traduzioni, passata da anni dalle forze di polizia generali alla Polizia penitenziaria e rientrante fra i compiti di istituto della stessa. Nessuna possibilità di ricollegare a questo preciso compito d’istituto l’impiego della Polizia penitenziaria nella specifica attività di controllo presso gli UEPE, attribuita dalla legge al Servizio sociale in modo esplicito e incontestabile.

Terzo punto. Anche il generico riferimento, nelle premesse del decreto, alle norme istitutive del Corpo di Polizia penitenziaria e al regolamento relativo allo stesso, conferma che da tali normative derivano solo le indicazioni contrarie che collocano le funzioni del Corpo all’interno degli istituti e, all’esterno degli stessi, soltanto nello specifico servizio traduzioni e scorte. Il decreto cerca la sua legittimazione in una esigenza di coordinamento fra le forze di polizia nell’area penale esterna. A prescindere che, in trenta anni di vigenza dell’Ordinamento penitenziario, non era mai stata avvertita questa esigenza, si tratta, però, di vedere se la legge – e non un’operazione che non ne tiene conto – preveda la concorrenza di varie forze di polizia e ne richieda il coordinamento, ovvero, come si dirà subito dopo, non ci sia alcuna concorrenza per la semplice ragione che i compiti sono chiaramente stabiliti e attribuiti dalla legge.

2):- Funzioni e competenze nell’area della esecuzione penale esterna sono stabilite dalla legge e non possono essere modificate che con la legge.

Il regime e le modalità della esecuzione delle pene, quali che siano le pene e quali che siano le forme esecutive concrete, sono stabilite dalla legge e sulle stesse non si può intervenire se non con una legge. Si tratta di una considerazione ovvia su cui, se occorra, si può avere il conforto costituzionale all’art. 13, comma 2, e all’art. 25, comma 2.
Ora, le funzioni e le competenze relative alla esecuzione delle misure alternative alla pena detentiva le abbiamo indicate analiticamente alla lettera A) di questo documento e non prevedono in alcun modo lo svolgimento di una attività di controllo sulla esecuzione delle misure da parte della Polizia penitenziaria. Così facendo, non solo si attribuisce a questo Corpo una funzione e una competenza che non può essere individuata fra quelle che, per legge, gli sono proprie, ma si fa questo, inoltre, per funzioni e competenze che già appartengono ad altri organi.
Questa considerazione generale potrebbe essere sufficiente a cogliere la illegittimità del decreto presentato in bozza e del quale si discute. Ma si possono anche fare alcune osservazioni più specifiche su singoli punti.

Primo punto. Il decreto realizza una sorta di omogeneizzazione dell’area penale esterna, nel mentre le misure alternative hanno caratteri propri e specifici, non riducibili ad un unico tipo di alternativa alla detenzione.
Semilibertà, detenzione domiciliare e affidamento in prova hanno caratteristiche assolutamente diverse: la prima è un regime particolare di esecuzione della pena detentiva carceraria, la seconda è una misura detentiva non carceraria, la terza è una misura effettivamente alternativa alla detenzione, si esegue in libertà con prescrizioni limitative della stessa. Per le prime due è prevista l’evasione, addirittura più rigorosa per la detenzione domiciliare (immediatezza del reato) che per la semilibertà (evasione dopo la scadenza di un termine di tolleranza). Nessuna evasione invece dall’affidamento in prova. L’eterogeneità di queste misure deriva dalla eterogeneità delle ragioni di concessione e si traduce nella eterogeneità dei soggetti competenti alla gestione e delle funzioni relative. Tutto è descritto dalla legge. Per la liberazione condizionale vale, prevalentemente, quanto detto per l’affidamento in prova. Il decreto per vero si riferisce soltanto alle misure alternative dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare e non menziona semilibertà e liberazione condizionale. Si può fare il giudizio temerario che il decreto manca parecchio di una visione generale, di cui, comunque, è utile tenere conto.
Lo sforzo di omogeneizzare misure eterogenee, si legge anche nella configurazione di un’unica figura, quella del programma di trattamento, che riguarderebbe tutte le misure. Anche se, impropriamente, l’art. 72, comma 8, lettera c), parla di programma di trattamento proposto dal servizio sociale per l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare, il programma di trattamento è previsto solo per la semilibertà, predisposto, dopo la concessione della misura, dagli operatori penitenziari della osservazione e trattamento per la approvazione del magistrato di sorveglianza, il quale interviene con il compito limitato alla verifica della mancata violazione di diritti del semilibero. Per le altre due misure, non si può parlare di programma di trattamento in senso proprio. Per la detenzione domiciliare, in molti casi, il Servizio sociale non interloquisce neppure (concessione per motivi di salute, ai sensi art. 47ter, comma 1, lettera c; concessione differimento esecuzione pena: art. 47ter, comma 1ter), in tutti comunque, le modalità restrittive e quelle limitative delle restrizioni sono elaborate e decise dal tribunale di sorveglianza. Per l’affidamento in prova, il Servizio sociale riferisce sulla situazione del soggetto e sulle sue possibilità di lavoro e di inserimento sociofamiliare, ma le prescrizioni che limitano la condizione di libertà personale dell’affidato sono elaborate e decise dal tribunale di sorveglianza che decide e, in seguito, possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza, anche se, generalmente, in base a segnalazioni del servizio sociale.
In conclusione, gli attori delle varie misure sono chiaramente indicati dalla legge e sono:
per la semilibertà: gli operatori dell’istituto penitenziario (e, fra questi, ovviamente, anche la Polizia penitenziaria), coadiuvati, per la vigilanza e l’assistenza all’esterno, dal Servizio sociale (art. 101, comma 3, del Reg.esec. O.P.);
per la detenzione domiciliare: gli operatori di polizia generale (Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri), più il Servizio sociale per gli interventi attribuiti dall’ordinanza di concessione del Tribunale di sorveglianza (art. 47ter, comma 4);
per l’affidamento in prova al servizio sociale, il Servizio sociale, per tutti gli aspetti di assistenza e controllo, ovvero gli UEPE con gli operatori propri dell’area di servizio sociale e, cioè, gli assistenti sociali: art. 47 O.P. e 118 Reg. esec. O.P.;
per la liberazione condizionale, gli operatori di polizia generale per la vigilanza sulle prescrizioni della libertà vigilata (così denominata, ma non misura di sicurezza), ai sensi art. 228, comma 1, C.p., più il Servizio sociale per "gli interventi di sostegno e assistenza al fine del… reinserimento sociale" delle persone che fruiscono della misura: art. 55 O.P..

Secondo punto. Si può citare il comma 1 dell’art. 1 del decreto comunicato in bozza e di cui è questione. Questo il testo: "La Polizia penitenziaria partecipa alla attività di esecuzione penale esterna inserendosi in un modello operativo che pone al suo centro il programma di trattamento ed inclusione sociale della persona ammessa alla misura alternativa. A tal fine svolge, in via prioritaria rispetto alle altre forze di polizia, la verifica del rispetto degli obblighi di presenza in determinati luoghi e tempi, che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova". Per lo svolgimento di tale funzione la Polizia penitenziaria viene organizzata in un "nucleo di verifica" del rispetto degli obblighi suindicati, posto presso gli UEPE. Al nucleo di verifica è preposto un responsabile.
Una prima constatazione da fare è questa: il nucleo di verifica ora indicato realizza lo svolgimento di un servizio non previsto dalla legge in sostituzione di una attività che:
quanto all’affidamento in prova al servizio sociale, è già svolta, per attribuzione della legge, dal Servizio sociale, cioè dagli assistenti sociali operanti presso gli UEPE;
quanto alla detenzione domiciliare, è già svolta, per il controllo del rispetto delle prescrizioni, dagli organi generali di polizia, e, per le attività di sostegno indicate nel provvedimento di concessione della misura, dal Servizio sociale presso gli UEPE.
Si tratta allora di un nuovo servizio e di nuovi posti di servizio istituiti fuori della previsione della legge, servizio e posti di servizio che hanno un loro costo. Ed è un costo che non ha una giustificazione, tanto più che quel servizio è già svolto da altri operatori statali, previsti dalla legge e per i quali è giustificato il titolo di spesa, non giustificato, invece, per il nuovo servizio e i nuovi posti di servizio cui viene assegnata la Polizia penitenziaria.

Terzo punto. La creazione del nucleo di verifica della Polizia penitenziaria presso gli UEPE è previsto dal comma 1 dell’art. 1 della bozza di decreto, riportato per esteso al punto precedente, con varie inesattezze. Si è già accennato alla mera finzione di esistenza di un programma di trattamento ed inclusione sociale che non esiste come tale nelle misure citate: può essere la denominazione impropria del quadro prescrittivo e di assistenza e sostegno per il reinserimento sociale nell’affidamento in prova; ma, in molte delle detenzioni domiciliari si scontra con le finalità di queste, che sono, come si dice, umanitarie, ma non finalizzate all’inclusione sociale.
Se qui siamo ad una visione impropria delle misure alternative, là dove si parla della funzione della polizia penitenziaria di "verifica degli obblighi di presenza in determinati luoghi e tempi … imposti alle persone ammesse alle misure alternative", si può cogliere un aspetto, anche se non sempre l’unico, della detenzione domiciliare, ma si rischia di ridurre e ridimensionare fortemente il quadro esecutivo dell’affidamento in prova e, in sostanza, la natura dello stesso. Si pensa, evidentemente, ad un obbligo generale di permanenza nella abitazione, ma questo riguarda solo singoli affidamenti per la eventuale permanenza notturna; ed anche la previsione di una determinata attività lavorativa non si concreta, data la assoluta diversità delle occupazioni possibili, in una permanenza obbligata in determinati tempi e luoghi. D’altronde, almeno nella fase sperimentale, la operatività delle verifiche nel solo comune in cui trova la sede dell’UEPE, rende ancora più remota la utilità di questa attività.

Quarto punto. Da sempre gli organi che svolgono in generale la attività di polizia procedono ad accertamenti che riguardano tutte le misure alternative, considerando l’area della esecuzione penale esterna un’area a rischio, che richiede sorveglianza e accertamenti. E’ chiaro che, per certe misure – detenzione domiciliare, liberazione condizionale – vi è una competenza specifica, ma per altre – come l’affidamento in prova e la semilibertà – gli interventi degli organi di polizia, non previsti dalle singole misure, possono essere qualche volta utili e molto spesso, per le modalità del controllo, dannosi. Quello che va rilevato, però, è che la attività degli organi di polizia generali – Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri – è fatta rientrare entro compiti generali che non possono essere contestati. E’ ovvio che questi compiti generali non rientrano fra quelli della Polizia penitenziaria, ben limitati e determinati.

Quinto punto. L’art. 5 del decreto è dedicato al Coordinamento tra le varie forze di polizia impiegate, compresa, quindi, la Polizia penitenziaria, nelle attività di controllo dell’area penale esterna. Due sintetiche considerazioni.
Come si è accennato, la Polizia penitenziaria, per quanto detto, non può essere impiegata nei termini indicati nel decreto. Pertanto, non c’è alcun coordinamento da operare quantomeno, non per la Polizia penitenziaria.
L’intervento del Prefetto nell’area penale esterna, l’adozione del decreto come decreto interministeriale fra Ministero della giustizia e Ministero dell’interno è preoccupante rispetto ad un processo, che ben si può chiamare secolare ( decorre dagli anni 20 del 900) di mantenimento di tutto il sistema penitenziario fuori dal secondo ministero (presso cui era inserito) e rigorosamente entro il primo.

C):- Rinvio ad un documento precedente di valutazione della operazione.
Richiamo quanto risulta dal precedente documento redatto su questa operazione, che riguardava una valutazione generale sulla stessa.
Due note aggiunte per cogliere, in una ulteriore riflessione, altri inconvenienti gravi.
La verifica operata dal nucleo di Polizia penitenziaria non è mai, nella realtà, semplicemente relativa ad un fatto storico, ma comprende inevitabilmente una valutazione del fatto stesso e della sua maggiore o minore gravità e rilievo. Si deve supporre che, in questa situazione, il contrasto fra il lavoro del servizio sociale e quello della Polizia penitenziaria sarà all’ordine del giorno.
Si deve cogliere una conseguenza del nuovo assetto del controllo. Particolarmente per gli affidamenti in prova, prevarranno i controlli formali di polizia su quelli sostanziali, di valutazione complessiva dell’andamento della misura, propri del Servizio sociale. Ciò significa che aumenteranno le occasioni di revoca. Ci sarà più gente in carcere, con le conseguenze di aggravamento dei fenomeni di recidiva e meno persone in misura alternativa, che ha invece un effetto assolutamente migliore sulla riduzione della recidiva: Questo stando alla ricerca inequivocabile operata proprio dalla Direzione generale della Esecuzione penale esterna presso il DAP. (Sandro Margara)*

*Margara Alessandro- già presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, presidente della Fondazione Michelucci, autore di una proposta di riforma dell'Ordinamento penitenziario