DISEGNO DI LEGGE LAVORO USURANTE
Con preghiera di inviare l'appello agli onorevoli promotori della proposta di legge e per conoscenza alle varie OO.SS. del settore penitenziario
Agli On.li Silvio Crapolicchio e Ferdinando Benito Pignataro
Illustri Onorevoli,
Gli Assistenti Sociali firmatari, nel ringraziare le S.S.L.L. per l’attenzione posta alle figure professionali che operano nel mondo penitenziario, con la Loro proposta di legge recante "Norme in materia previdenziale in favore di lavoratori e lavoratrici del sistema penitenziario" chiedono che vengano indicate più esplicitamente le "figure professionali, sia interne che esterne" che operano in connessione con l’istituzione carceraria, visto che non viene fatto riferimento né all’area trattamentale né al ruolo del Servizio Sociale .
Invero, la Loro proposta, pur se apprezzabilissima perché considera una serie di problemi e disagi vissuti da chi opera nel mondo carcerario, ha però il limite, ci si consenta la critica, di muovere da una visione dell’esecuzione penale "monodimensionale", cioè solo come "intramuraria".
Orbene, anche in ambito strettamente carcerario è fondamentale il ruolo attribuito al Servizio Sociale dall’Ordinamento Penitenziario.
L’Assistente Sociale, infatti, non solo partecipa come soggetto obbligatorio all’équipe di osservazione e trattamento, ma è la professionalità di collegamento cui il detenuto si rivolge per il mantenimento del rapporto con il suo ambiente familiare e di provenienza.
Spesso gli interventi dell’Assistente Sociale sono estremamente utili per "tranquillizzare" il detenuto, ed abbassare così anche la tensione nella struttura penitenziaria, aumentandone la sicurezza.
Tuttavia, come dicevamo, la visione dell’esecuzione penale, così come prospettata nella Loro proposta non considera tutta un' altra dimensione che essa ha: quella dell’esecuzione penale esterna.
Questa dimensione, che ha pari dignità con quella intramuraria, sia per numeri che per contenuti, e che dà compiuta attuazione al secondo comma dell’art. 27 della Costituzione, vede il Servizio Sociale come professionalità di base a cui il legislatore affida il reinserimento sociale del condannato ed addirittura il controllo di una particolare Misura Alternativa che è l’Affidamento in prova al Servizio Sociale.
Fino ad oggi gli Assistenti Sociali hanno sempre adempiuto al loro compito nel modo migliore possibile (fanno fede gli stessi dati del DAP), nonostante la scarsità di personale, con i CSSA (oggi UEPE) sempre endemicamente sotto organico, con carichi di lavoro spesso ingestibili; da soli ad "inseguire " gli utenti in ambienti non certo rassicuranti (pensino alle Vele di Secondigliano o a Comuni ad altissima densità criminale come Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa nel Casertano ecc.); in rapporto continuo con una umanità (dentro e fuori dal carcere) che, comunque la si voglia giudicare, si trova in un periodo difficilissimo della propria vita, e che perciò stesso tende a scaricare sulla figura professionale dell’Assistente Sociale il proprio disagio, la propria sofferenza, i propri problemi, che annichiliscono l’operatore quando si rende conto di non poter intervenire in maniera compiuta, spesso nel silenzio di un territorio non attrezzato e talvolta non interessato al reinserimento sociale effettivo della persona condannata; e ciò è particolarmente vero, come è noto, in alcune realtà geografiche.
Se le S.S.L.L. avessero la possibilità di parlare direttamente con questi operatori, verrebbero a conoscenza di una miriade di casi drammatici che non lasciano indifferenti e che coinvolgono nel profondo l’umanità dell’operatore.
Quello dell’Assistente Sociale Penitenziario è un lavoro che non consente di "staccare la spina", di attenersi rigidamente all’orario di lavoro: "il caso" e le sue implicazioni drammatiche seguono l’operatore anche a casa, anche in ferie!
Non a caso il burn-aut è una malattia professionale molto diffusa.
Tutto ciò però non è mai stato valorizzato, anzi oggi viene del tutto misconosciuto: agli Assistenti Sociali è stata tolta l’indennità di missione (che già di per sé era una miseria: pochi centesimi a ora); non viene riconosciuto l’aumento dei giorni di ferie annuali, col passare degli anni; così come non viene riconosciuto nessuno dei benefici che vengono invece elargiti alla Polizia Penitenziaria e ai Dirigenti, pur non avendo questi ultimi, per la funzione che svolgono, nessun contatto con le persone condannate e con gli ambienti a rischio; soprattutto, il lavoro dell’Assistente Sociale Penitenziario non viene riconosciuto come lavoro usurante.
Ecco perché i firmatari di questo appello chiedono alle S.S.L.L. di indicare chiaramente nella proposta di legge di cui sono autori, il Servizio Sociale come professionalità importante nel mondo penitenziario, con l’estensione anche agli Assistenti Sociali del riconoscimento del lavoro usurante e dei benefit di cui gode la Polizia Penitenziaria, al fine di sancire la "pari dignità" tra tutte le figure professionali che operano nel Penitenziario.
Gli Assistenti Sociali firmatari, nel ringraziare le S.S.L.L. per l’attenzione posta alle figure professionali che operano nel mondo penitenziario, con la Loro proposta di legge recante "Norme in materia previdenziale in favore di lavoratori e lavoratrici del sistema penitenziario" chiedono che vengano indicate più esplicitamente le "figure professionali, sia interne che esterne" che operano in connessione con l’istituzione carceraria, visto che non viene fatto riferimento né all’area trattamentale né al ruolo del Servizio Sociale .
Invero, la Loro proposta, pur se apprezzabilissima perché considera una serie di problemi e disagi vissuti da chi opera nel mondo carcerario, ha però il limite, ci si consenta la critica, di muovere da una visione dell’esecuzione penale "monodimensionale", cioè solo come "intramuraria".
Orbene, anche in ambito strettamente carcerario è fondamentale il ruolo attribuito al Servizio Sociale dall’Ordinamento Penitenziario.
L’Assistente Sociale, infatti, non solo partecipa come soggetto obbligatorio all’équipe di osservazione e trattamento, ma è la professionalità di collegamento cui il detenuto si rivolge per il mantenimento del rapporto con il suo ambiente familiare e di provenienza.
Spesso gli interventi dell’Assistente Sociale sono estremamente utili per "tranquillizzare" il detenuto, ed abbassare così anche la tensione nella struttura penitenziaria, aumentandone la sicurezza.
Tuttavia, come dicevamo, la visione dell’esecuzione penale, così come prospettata nella Loro proposta non considera tutta un' altra dimensione che essa ha: quella dell’esecuzione penale esterna.
Questa dimensione, che ha pari dignità con quella intramuraria, sia per numeri che per contenuti, e che dà compiuta attuazione al secondo comma dell’art. 27 della Costituzione, vede il Servizio Sociale come professionalità di base a cui il legislatore affida il reinserimento sociale del condannato ed addirittura il controllo di una particolare Misura Alternativa che è l’Affidamento in prova al Servizio Sociale.
Fino ad oggi gli Assistenti Sociali hanno sempre adempiuto al loro compito nel modo migliore possibile (fanno fede gli stessi dati del DAP), nonostante la scarsità di personale, con i CSSA (oggi UEPE) sempre endemicamente sotto organico, con carichi di lavoro spesso ingestibili; da soli ad "inseguire " gli utenti in ambienti non certo rassicuranti (pensino alle Vele di Secondigliano o a Comuni ad altissima densità criminale come Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa nel Casertano ecc.); in rapporto continuo con una umanità (dentro e fuori dal carcere) che, comunque la si voglia giudicare, si trova in un periodo difficilissimo della propria vita, e che perciò stesso tende a scaricare sulla figura professionale dell’Assistente Sociale il proprio disagio, la propria sofferenza, i propri problemi, che annichiliscono l’operatore quando si rende conto di non poter intervenire in maniera compiuta, spesso nel silenzio di un territorio non attrezzato e talvolta non interessato al reinserimento sociale effettivo della persona condannata; e ciò è particolarmente vero, come è noto, in alcune realtà geografiche.
Se le S.S.L.L. avessero la possibilità di parlare direttamente con questi operatori, verrebbero a conoscenza di una miriade di casi drammatici che non lasciano indifferenti e che coinvolgono nel profondo l’umanità dell’operatore.
Quello dell’Assistente Sociale Penitenziario è un lavoro che non consente di "staccare la spina", di attenersi rigidamente all’orario di lavoro: "il caso" e le sue implicazioni drammatiche seguono l’operatore anche a casa, anche in ferie!
Non a caso il burn-aut è una malattia professionale molto diffusa.
Tutto ciò però non è mai stato valorizzato, anzi oggi viene del tutto misconosciuto: agli Assistenti Sociali è stata tolta l’indennità di missione (che già di per sé era una miseria: pochi centesimi a ora); non viene riconosciuto l’aumento dei giorni di ferie annuali, col passare degli anni; così come non viene riconosciuto nessuno dei benefici che vengono invece elargiti alla Polizia Penitenziaria e ai Dirigenti, pur non avendo questi ultimi, per la funzione che svolgono, nessun contatto con le persone condannate e con gli ambienti a rischio; soprattutto, il lavoro dell’Assistente Sociale Penitenziario non viene riconosciuto come lavoro usurante.
Ecco perché i firmatari di questo appello chiedono alle S.S.L.L. di indicare chiaramente nella proposta di legge di cui sono autori, il Servizio Sociale come professionalità importante nel mondo penitenziario, con l’estensione anche agli Assistenti Sociali del riconoscimento del lavoro usurante e dei benefit di cui gode la Polizia Penitenziaria, al fine di sancire la "pari dignità" tra tutte le figure professionali che operano nel Penitenziario.
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