L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

venerdì 1 febbraio 2008

Comunicato SAPPE

Polizia penitenziaria, tra burnout e mal di vivere
di Donato Capece (Segretario Generale del Sappe)
1 febbraio 2008

Avremmo voluto parlare d’altro nel 2008... e invece dobbiamo affrontare una drammatica realtà: quella dei suicidi che coinvolgono appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Tre casi in pochissimi giorni (un quarto episodio che ha visto coinvolto un collega, inizialmente presentato dagli organi di informazione anch’esso come un suicidio, è stato invece poi classificato come un drammatico incidente di caccia) non possono che lasciare sgomenti.
E se constatiamo che i casi di suicidio tra gli appartenenti al Corpo sono stati 64 negli ultimi dieci anni, con una media dell’1,31 ogni 10.000 poliziotti penitenziari rispetto ad un tasso di suicidi nella popolazione italiana nello stesso periodo dello 0,67 ogni 10.000 abitanti, bisogna interrogarsi responsabilmente sul malessere che pervade un numero significativo di colleghi.
Noi siamo preoccupati, non lo nascondiamo, e riteniamo vi sia un filo conduttore che lega i casi di suicidio che si sono registrati in questi anni. È un filo che associa ad inevitabili situazioni di disagio individuale certamente anche lo stress da lavoro, o effetto burnout, come dicono gli specialisti, ovvero un eccessivo carico di lavoro non intervallato da periodi di riposo adeguati in un contesto difficile e particolare come è quello penitenziario.
Ciò non vuol dire che tutti sono potenzialmente "a rischio suicidio", ma certamente il duro e difficile contesto lavorativo può incidere sulle personalità più sensibili. E negare ciò vuol dire non conoscere anni di mirate ricerche scientifiche. Una recente ricerca scientifica ha affermato:
Quella del poliziotto penitenziario è una professione spesso dimenticata o bistrattata e dovrebbe invece essere lodata e tenuta in notevole considerazione per i rischi e la continua tensione che devono sostenere quotidianamente.
"È sicuramente una professione senza eguali: a nessuna persona piacerebbe rinchiudere, costringere, punire un proprio simile, anche se è un compito loro ordinato per ricevere uno "stipendio mensile", anche i detenuti la considerano "una delle professioni più difficili al mondo, perché è l’uomo che rinchiude l’uomo". Le situazioni di stress dettate da condizioni personali, da condizioni organizzative e istituzionali, i conflitti che possono nascere con i superiori, colleghi e detenuti ed il mancato sostegno e riconoscimento sociale possono essere valutati come fattori che possono causare demotivazione e insoddisfazione, provocando quell’atteggiamento rigido e distaccato con i detenuti e gli internati, tipici del burnout (Stotland, Pendleton, 1989)".
Da una ricerca effettuata in Psicho Lit, negli ultimi anni solo uno studio ha affrontato l’analisi del fenomeno del burnout negli agenti che operano all’interno degli istituti di pena. Si tratta di una ricerca empirica effettuata in Francia nel 1999 che indaga presso i sorveglianti dei penitenziari la relazione tra burnout e autostima; i risultati hanno riscontrato una tendenza a resistere ad una sindrome da esaurimento occupazionale, ed una correlazione tra autostima e il burnout: più è basso il livello d’autostima più alta è la percentuale di burnout.
Si è anche riscontrata una più alta autostima nei soggetti più giovani e, quindi, una percentuale più alta di burnout nei soggetti con più anni di impiego. Non sono poche le situazioni di disagio professionale. La prima riguarda il carico di lavoro (ci sono casi in cui un poliziotto è costretto a lavorare per due in carcere). Altro motivo di disagio ricorrente per la categoria è la lontananza dalle famiglie, visto che spesso si tratta di poliziotti emigrati dal Sud e che nelle regioni di destinazione del Nord Italia non hanno la possibilità di trasferirsi con tutta la famiglia a causa dei costi molto alti a cominciare da quelli relativi agli affitti (la media degli stipendi si aggira sui 1.200 curo ed è nettamente insufficiente rispetto al costo della vita, specie al Settentrione).
Il terzo motivo ricorrente riguarda quindi l’obbligo alla vita di caserma, con tutti i disagi che questo comporta. E nelle caserme e nel carcere mancano spesso dei punti di riferimento. Il problema vero è che lo stesso carcere, che tra l’altro mette continuamente a rischio il personale di Polizia, è diventato un’istituzione che necessità di profondi e radicali cambiamenti.
È necessario quindi aprire al più presto dei tavoli per discutere del fenomeno; di attivare un monitoraggio istituzionale sulla qualità della vita professionale dei poliziotti; di rivedere gli organici e comunque discutere delle possibili alternative alla situazione attuale che ormai è ripiombata nell’emergenza. Su questi temi, condivisi anche da altre Organizzazioni sindacali, abbiamo già inviato una lettera ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria e del Ministero della Giustizia perché si apra con urgenza un confronto.