Giustizia: Creare emergenze… arma di "distrazione di massa"
di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)
Notiziario Aduc, 22 aprile 2008
Diciamoci la verità: la vita sarebbe molto più noiosa senza l’emergenza. Se non fosse per lei, quel telegiornale potremmo vederlo più tardi o addirittura saltarlo, e non staremmo attaccati allo schermo del computer per seguirne l’evoluzione minuto per minuto. Senza la quotidiana emergenza, al bar saremmo costretti ad iniziare ogni conversazione facendo il punto sulle condizioni meteorologiche, ed ogni tentativo di andare oltre rischierebbe di essere travolto dal profluvio di notizie ordinarie.
Fate caso all’uso scientifico della parola emergenza la prossima volta che usufruite di qualche organo di informazione. Ecco alcuni esempi recenti: "Stuprata: è emergenza sicurezza" (funziona solo se il violentatore è un immigrato, meglio se rumeno). Oppure: "adescava minori online: è emergenza pedofilia on-line" (poco importa che oltre il 90% delle violenze sui minori avvenga in famiglia). O ancora: "a scuola con uno spinello: è emergenza giovani" (il bravo analista ricama poi con espressioni del tipo "giovani allo sbando", "profondo disagio giovanile", "generazione a rischio"). C’è da chiedersi perché, al contrario, il recente arresto per droga di un volto noto della Cnn e del direttore di TF1 International non abbia ancora ispirato titoli come "emergenza giornalisti", "categoria allo sbando", "informazione drogata".
L’emergenza nazionale, quella proclamata all’unanimità dai media, ci permette di dimenticare, seppur brevemente, le nostre emergenze personali: la quarta settimana, il mutuo, il lavoro, il costo della vita, le liste d’attesa nella sanità, le tasse, i disservizi pubblici. Ci consente di ignorare le mille distrazioni che informano e frammentano le nostre preoccupazioni, concentrando in un sol punto il nostro senso di rivalsa, di giustizia e di vendetta. Quando va bene, l’emergenza ci aiuta anche a sdoganare fugacemente le nostre fobie, che altrimenti dobbiamo tenere nascoste, represse, per pudore.
Ma l’emergenza non è solo la regina delle notizie. Sta diventando anche il motore immobile della politica. Essa costituisce una delle armi più potenti del bravo eletto, tanto da meritarsi nel mondo anglosassone l’appellativo di "weapon of mass distraction" (arma di distrazione di massa). Un efficace analgesico a doppia azione per lenire i sintomi da responsabilizzazione del pubblico amministratore.
I problemi ordinari e mai risolti, quelli che realmente vessano nel quotidiano la quasi totalità dei cittadini, passano in secondo piano: troppo complessi, troppo quotidiani per fare notizia e per essere affrontati a colpi di leggi emergenziali. E anche laddove un problema ordinario fosse promosso ad emergenza, il nuovo status mediatico potrebbe in parte scusare l’inadeguatezza delle risposte ordinarie date fino a quel momento.
Tanto potente è l’emergenza, che oggi è difficilissimo far passare una legge in meno di due anni senza di essa. Basti vedere quante leggi negli ultimi anni portano il nome "Norme urgenti in materia di...". Il Codice della Strada è oramai un collage di modifiche emergenziali stimolate da questo e quel caso di cronaca, ed anche le leggi sull’immigrazione, sulla droga e lo stesso codice penale seguono allegramente la stessa via. I politici navigati fiutano immediatamente l’emergenza e come giavellottisti olimpionici fanno a gara a chi lancia la soluzione più lungimirante, almeno in termini di economia elettorale: "tolleranza zero", "chi sbaglia paga", "chiudere le frontiere", "più galera".
Non fraintendetemi, la fabbrica mediatica dell’emergenza c’è ed ha tutto il diritto di continuare ad esserci. Ma ho l’impressione - o forse solo l’auspicio - che sia presa sempre meno sul serio, con il rischio che la vera emergenza sia poi ignorata al pari di tutte le altre. Un po’ come quel ridicolo sistema di colori (giallo, arancione, rosso, etc.) che ogni mattina ci hanno propinato i media statunitensi per indicare il livello di allerta antiterrorismo.
Insomma, pur di entrare nelle conversazioni da bar, la fabbrica dell’emergenza ha adottato a tutti gli effetti gli strumenti della previsione meteorologica: temperature in diminuzione, nuvoloso sulle regioni centrali, con elevato rischio di violenza da immigrato sulle aree urbane.
Un invito a giornalisti e politici a spendere con parsimonia l’efficacia mediatica dell’emergenza è ovviamente inutile. E proporre una legge per proibirne l’abuso ("Norme urgenti in materia di emergenza") sarebbe altrettanto infruttuoso, oltre che incostituzionale. Pertanto l’invito lo rivolgo agli utenti dell’informazione, spesso molto più maturi di quanto i professionisti dell’emergenza possano immaginare: giudicate sempre con la vostra esperienza, conoscenza e intelligenza tutte le emergenze. Soprattutto, valutatene bene le cause, che non sempre - anzi, quasi mai - coincidono con gli effetti visibili.
Se le carceri sono piene di immigrati, non è necessariamente perché lo straniero è geneticamente più criminale dell’italiano. Sapete che basta non mostrare un documento di riconoscimento alla Polizia - magari perché si è dimenticato il portafogli a casa - per finire in carcere, se si è stranieri? E poi, detto fra noi, se io (caucasico) ed un immigrato di colore giriamo con uno spinello in tasca, chi dei due ha maggiori possibilità di essere fermato per un controllo di polizia?
E se, in presenza di una delle leggi sulle droghe più severe del mondo occidentale, in Italia aumenta il consumo di droghe, e quindi anche i profitti delle organizzazioni criminali che a loro volta incrementano l’offerta, forse la colpa è di una società "allo sbando", "senza valori"? Davvero è "la crisi dei giovani d’oggi" che causa le morti da sballo del sabato per l’assunzione di sostanze incontrollate ed incontrollabili. Forse la colpa è anche un po’ delle "Norme urgenti in materia di...".
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