L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 20 giugno 2008

L'on Carcere/Giustizia:Berselli vuole cancellare l’art. 27 della Costituzione

di Sandro Padula

Liberazione, 20 giugno 2008

Il disegno di legge Berselli, già criticato su Liberazione del 15 giugno nei suoi aspetti specifici, intende modificare in senso reazionario la Riforma penitenziaria del 1975 e il codice di procedura penale in materia di permessi premio e di misure alternative alla detenzione.

Mentre da parecchi anni la popolazione detenuta lotta per eliminare le forme detentive più disumane (ergastolo e 41 bis) e per fare in modo che i benefici siano ottenuti automaticamente e non in modo discrezionale, il ddl punta a comprimere i benefici nel complesso, ad eliminarne alcuni relativamente consolidati nel tempo (come i giorni di liberazione anticipata) e a togliere ogni minima possibilità di andare in semilibertà per tutti gli ergastolani, così come già succede per i "fine pena mai" che oggi si trovano sottoposti alla misura ultrapunitiva del 41 bis.

Per fare ciò, cercando al tempo stesso di essere coerente sul terreno della logica formale, il ddl non si basa su dati statistici effettivi e su analisi comparate fra la realtà italiana e quella degli altri paesi dell’Unione Europea. Non dice neanche il costo delle modifiche preannunciate che, secondo le stime fornite da Dimitri Buffa in suo interessante articolo a riguardo, potrebbe aggirarsi attorno ai due miliardi di euro l’anno!

Parte invece, in maniera demagogica e quindi strumentale, dalla "percezione" secondo cui in Italia il sistema carcerario avrebbe troppe funzioni rieducative e poche caratteristiche sanzionatrici. Il ragionamento è semplice: il carcere servirebbe ancora, almeno in apparenza, alla "rieducazione" ma questo scopo a sua volta sarebbe fondamentalmente raggiungibile attraverso un "adeguato grado di afflittività".

La "rieducazione", scopo della pena detentiva previsto dall’articolo 27 della Costituzione italiana, diviene così una finalità annichilita dal peggioramento del mezzo. Lo scopo effettivo del ddl Berselli è infatti la "deterrenza" (o intimidazione che dir si voglia) e quest’ultima sarebbe insita in un carcere più afflittivo per tutti coloro che hanno la sventura di finirvi in qualità di detenuti in attesa del processo o di condannati ai diversi gradi di giudizio.

Sul piano della dottrina il disegno di legge si rifà, volente o nolente, alla teoria secondo cui la pena detentiva dovrebbe avere soprattutto un fine utilitaristico e intimidatorio.

L’inglese Jeremy Bentham (1748-1832), fra i primi a teorizzare tale scopo, pensava che l’uomo agisse esclusivamente in base ad un calcolo sull’utilità di ogni propria azione, ad un calibrato ragionamento su come raggiungere il piacere ed evitare il dolore.

Il francese Auguste Comte (1798-1857), il padre della moderna sociologia, criticò questa concezione perché l’uomo non agisce solo per calcolo. Agisce in base a diversi fattori, in diversi contesti e fasi della sua vita.

D’altra parte, possiamo qui solo aggiungere e ricordare che le grandi trasformazioni sociali e politiche della storia non ci sarebbero state se tutti gli esseri umani avessero agito sempre e solo in virtù di un’ottica utilitaristica. Esistono forze e contraddizioni sociali ben più potenti nel fare la storia rispetto alle molteplici forme del cinismo umano.

Ecco, proprio qui sta il punto. I novelli seguaci italiani di Bentham pensano che l’uomo non sia la sua continua trasformazione nei rapporti sociali e con il resto della natura ma qualcosa di essenzialmente cinico. E allora, cosa c’è di meglio del proporre leggi più spietate di quelle adottate finora?

Il cerchio si chiude. Come Dio cacciò Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, così il disegno di legge Berselli vorrebbe cacciare l’articolo 27 della Costituzione dalle carceri italiane. Abbiamo così un paradosso di paradossi che nega del tutto la verità: le carceri italiane, come dimostrano le numerose condanne stabilite dalla Corte europea dei diritti umani, sono l’esatto contrario di un paradiso terrestre e, in larga misura, l’applicazione concreta dell’articolo 27 della Costituzione è ancora disattesa.

Il carcere, in Italia ben più che in altri paesi dell’Unione Europea, è rimasto uno dei più liberticidi strumenti di monopolizzazione statuale della vendetta, della sopraffazione e del rito del capro espiatorio. Di conseguenza, chiedere che un tale strumento afflittivo diventi ancora più afflittivo è come pretendere che le persone detenute siano più sepolte vive di quanto lo siano adesso, in questo esatto momento. L’essere umano che avrebbe trasgredito il Codice penale italiano, un testo per la verità anacronistico dopo 78 anni di vita, è ritenuto dal ddl Berselli una semplice bestia, da trattare con un maggior "grado di afflittività".

Secondo il dizionario De Mauro, "afflittivo" è ciò "che affligge, che provoca sofferenza". E allora, che cos’è una pena detentiva con un maggior grado di sofferenza se non una specifica e più profonda forma di tortura? Non sarà forse anche per questo motivo che in Italia ancora non esiste il reato di tortura? Per favore, cerchiamo di chiamare pane il pane e vino il vino. Chi vuole costruire una Terza Repubblica plasmata prevalentemente sul Codice penale del 1930 e per nulla rispettosa della Costituzione della Repubblica Italiana e di tutte le Carte mondiali dei Diritti Umani, lo dicesse senza tanti giri di parole.

E poi, urliamolo ad alta voce: basta con la cultura della "percezione"! La cultura della "percezione" è roba da Medioevo! Se l’umanità le avesse dato sempre retta, adesso staremmo ancora a credere che il Sole giri attorno alla Terra!