L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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domenica 8 giugno 2008

L'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali interviene sui nuovi orientamenti in tema di sicurezza

Lettera del Presidente Ordine Nazionale Assistenti Sociali, Franca Dente inviata: Al Sig. Ministro del Lavoro, Salute e Politiche sociali On. Maurizio Sacconi- Al Sig. Ministro dell’Interno On. Roberto Maroni- Al Sig. Ministro per le Politiche Giovanili On. Giorgia Meloni- Al Sig. Ministro per le Pari Opportunità On. Mara Carfagna- Al Sig. Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali On. Francesca Martini- Al Sig. Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali Prof. Ferruccio Fazio- Al Sig. Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali On. Pasquale Viespoli- Al Sig. Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali On. Eugenia Maria Roccella- Al Sig. Sottosegretario di Stato alle Politiche per la Famiglia On. Carlo Giovanardi



Con il presente documento, questo Ordine professionale intende rappresentare la preoccupazione degli assistenti sociali italiani per gli scenari che sembrano aprirsi con gli attuali orientamenti sul tema della sicurezza, così come emersi dal dibattito politico e tradottisi recentemente in alcuni provvedimenti normativi. La delicatezza e la complessità delle questioni inerenti la sicurezza dei percorsi esistenziali delle persone e delle loro comunità di vita, contrasta con quella che sembra essere la attuale tendenza a semplificare fenomeni e dinamiche sociali complesse che, invece, richiederebbero una prospettiva esplicativa più ampia e articolata.
E' in questo senso che ci sembra importante far sentire, su tali tematiche, la voce di una professione, quella di assistente sociale, che ha sempre operato per contribuire alla affermazione dei diritti di cittadinanza e alla realizzazione di una maggiore “sicurezza” di vita per i cittadini.

I cambiamenti sociali avvenuti
E’ certamente evidente il cambiamento oggi avvenuto nel Paese, a causa dell’allarme sociale prodotto da fenomeni di varia natura. E’ esperienza comune, infatti, il processo di trasformazione delle nostre comunità di vita che sono state, in questi ultimi anni, interessate in tutti gli aspetti dell’esistenza delle persone da estesi mutamenti, in parte connessi anche ai fenomeni correlati alla cosiddetta globalizzazione, che ha rotto le preesistenti strutture di solidarietà e che rischia di entrare in crisi drammatica se non riesce a tutelare le fasce più deboli, e all’aumentata complessità delle dinamiche sociali. Il senso di insicurezza riferito al proprio contesto di vita si è largamente diffuso, ma a creare tale clima concorrono fattori diversi, non sempre e non solo legati alla reale evoluzione del numero dei reati. Fra questi fattori, un ruolo rilevante riveste il fatto che, molto spesso, eventi di forte impatto emotivo, accompagnati da un'ampia attenzione mediatica, contribuiscono a creare un sentimento di ansia che può trasformarsi anche nella paura dello “straniero”. Tali sentimenti contribuiscono ad accrescere atteggiamenti che si traducono spesso, soprattutto nelle grandi città, nella cosiddetta “tolleranza zero” e in una giustizia sommaria e autogestita, con il forte rischio di scaricare le tensioni sociali, trasformando un'etnia in capro espiatorio

La molteplici cause dell'insicurezza
Il senso di insicurezza non nasce solo dall'aumento reale o percepito della criminalità, ma anche dalla sensazione di essere indifesi nei confronti di fenomeni quali l'impoverimento, la precarietà abitativa e del lavoro. La vulnerabilità e la precarietà hanno radici più profonde e ricadute più concrete nella vita delle persone, ricadute che sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono mantenere la riflessione su un piano che non sia puramente strumentale a logiche di parte.

E’ in particolare sotto gli occhi dei giovani che non possono avere certezze di un lavoro, di formare una famiglia, di costruirsi un futuro. E’ sotto gli occhi degli anziani che vedono segnata l’ultima parte della loro vita da solitudine, difficoltà economiche e da una idea di cura e assistenza che richiede un costo economico, oltre che affettivo, molto al di sopra delle loro possibilità. E’ sotto gli occhi dei minori che vedono sgretolare le loro famiglie e le loro certezze senza poter ricevere il dovuto sostegno psicologico, sociale e istituzionale, minori frequentemente oggetto di strumentalizzazioni e di violenze da parte dei loro stessi familiari. E’ sotto gli occhi di adulti lasciati soli nella loro funzione educativa e di cura nei confronti dei bambini, degli anziani, delle persone con disabilità fisica e psichica.
Ci sembra emblematico, riguardo a ciò, quanto ha evidenziato il rapporto annuale Istat, presentato alcuni giorni fa, nel quale si delinea un paese che sta attraversando una fase di grande difficoltà, un paese che negli ultimi anni si è impoverito, nel quale le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese, a far fronte a spese impreviste, a coprire le rate di mutui che sono aumentate in modo esponenziale, con un incremento del senso di incertezza generale. I nuovi poveri sono pensionati che vivono con meno di 600 euro al mese, persone che hanno un lavoro ma che è sempre più spesso precario: secondo l'Istat sono più di due milioni e mezzo gli italiani che faticano a mangiare, sette milioni quelli che vivono sotto la soglia di povertà.

Il ruolo degli assistenti sociali nell'implementazione di politiche sociali solidali
L’esperienza maturata nei servizi sociosanitari dei comuni, delle asl, negli ospedali, nel ministero della giustizia adulti e minori, nelle prefetture dai 37.000 assistenti sociali italiani, consente loro di dire che è in questo quadro che vanno lette le vere e articolate cause dell’aumentato senso collettivo di insicurezza. Garantire sicurezza e tranquillità, significa in primo luogo assicurare una vita dignitosa alle persone e, in particolare, a quelle che si trovano in condizioni più svantaggiate.
Significa proporsi come obiettivo prioritario una maggiore equità, solidarietà e giustizia sociale.
Garantire sicurezza significa offrire agli stranieri che vivono in Italia, lavorando e rispettando le nostre leggi, sempre più strumenti di integrazione. Significa chiedere loro di sottostare ai doveri che connotano la regole di convivenza del nostro paese, ma anche riconoscere loro parità di diritti.
Significa, quindi, investire nelle politiche sociali e nei sistemi di protezione sociale e di prevenzione, per mantenere una tutela pubblica dei diritti sociali: alla salute, all'istruzione, al lavoro, alla casa, all'assistenza sociale.
La mancanza o l’insufficienza di adeguate politiche e interventi nel campo sociale, la perdurante assenza dei livelli essenziali di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale che attenui gli squilibri tra regioni e la sperequazioni tra cittadini, il depauperamento subito in questi ultimi anni dai servizi pubblici, privati di risorse finanziarie, umane e strumentali, l’incremento dell’esternalizzazione e privatizzazione dei servizi, senza i necessari sistemi di monitoraggio e valutazione, la diffusa condizione di precarietà dei professionisti che non garantisce continuità delle prestazioni, vanno a colpire le fasce di popolazione più svantaggiate, in un momento in cui l’area del disagio si è estesa anche a persone e famiglie del ceto medio.
E’ soprattutto questo che contribuisce a rendere più incerte le prospettive di vita delle persone, aumentando la loro vulnerabilità rispetto a eventi imprevisti a cui non si è più in grado di far fronte da soli, e a cui sempre meno i servizi e gli operatori sociali possono offrire sostegno concreto.
Sicurezza e immigrazione: il punto di vista del servizio sociale
Gli assistenti sociali hanno sempre operato per il riconoscimento e la realizzazione dell'uguaglianza sostanziale, per il rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione economica, sociale, familiare, dal loro orientamento sessuale, dalla loro etnia, cultura, religione.
E' questo bagaglio valoriale ed esperienziale che ci consente di dire che, favorire con politiche e interventi strutturali l'integrazione degli stranieri in Italia, significa contribuire alla sicurezza. Sostenere quanti, arrivati nel nostro paese spesso per sfuggire alla fame, alla miseria e alla guerra, a regolarizzare la loro posizione con un lavoro, con un'abitazione dignitosa, con il ricongiungimento familiare, con l'accesso all'assistenza sanitaria e sociale, è la strada maestra che conduce al rispetto delle regole di convivenza e di legalità. Al riguardo un dato significativo è che l'aumento dei reati commessi da stranieri è dovuto, soprattutto, alla componente irregolare: sono le persone prive di permesso di soggiorno la maggioranza del totale degli stranieri denunciati.
Molti sono gli ostacoli ma, in particolare sul fronte dell'abitazione, la maggiore criticità ci sembra derivare dai mancati controlli sugli affitti (uno studio dell'Eurispes di pochi mesi fa, evidenziava che agli stranieri si applica un canone del 10%-20% più caro di quello pagato dagli italiani) e, soprattutto, dall'esiguità del patrimonio di edilizia pubblica che, nel corso degli ultimi due decenni, si è ulteriormente ridotto (l'Italia ha solo il 4% di alloggi popolari, contro il 20% della Francia). Tale carenza, congiuntamente al generale impoverimento di fasce sempre più estese di popolazione, si sta traducendo in una vera e propria “guerra fra poveri”, con cittadini italiani che si sentono privati del diritto alla casa e ai servizi dagli immigrati.
Alla luce di tutto questo, ci sembra doveroso evidenziare anche una prima complessiva valutazione sulle misure legislative inerenti la sicurezza. Infatti, il cosiddetto pacchetto sicurezza, sembra orientato alla creazione di un “diritto della disuguaglianza”, così come paventato da insigni studiosi e giuristi, soprattutto in relazione all'inserimento nel nostro codice penale del reato di immigrazione clandestina.
Tale orientamento mal si concilia con quanto stabilisce la Costituzione in materia di uguaglianza e appare in contrasto anche con la sentenza della Corte Costituzionale (n° 22/2007) che sancisce l'illegittimità di provvedimenti che, prescindendo da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili, introducano sanzioni penali tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi di uguaglianza e proporzionalità. A ciò va aggiunto che, se dobbiamo esigere il rispetto delle leggi, questo deve avvenire sulla base del riconoscimento della dignità e uguaglianza delle persone e della parità di trattamento, con riferimento alla responsabilità personale. E’ all'esigenza di una reale sicurezza e qualità di vita che, prioritariamente, sono chiamati a rispondere e a farsi garanti la politica e gli organi di governo che i cittadini hanno eletto per rispondere ai loro concreti bisogni.