CGIL LOMBARDIA SCRIVE AL MINISTRO ALFANO E AI VERTICI DAP
Oggetto:
La nota della CGIL nazionale del 15 luglio u.s. a firma della coordinatrice nazionale ci ha informato che in data 11 giugno era stato firmato dal Ministro della Giustizia A. Alfano il Regolamento di organizzazione degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna ai sensi dell’art. 3 della legge 154/2005 e dell’art.72 c.1 della Legge 25 luglio 1975 n.354 .
Confermando e condividendo le perplessità espresse dalla compagna della CGIL FP nazionale circa le modalità ormai consuete di questa Amministrazione di ignorare tutte le normative che regolano i rapporti sindacali, ci appare ancora più grave il fatto che si sia voluto evitare in questa occasione di rendere pubblico il Regolamento prima della firma definitiva, proprio perché si conoscevano a priori le sue criticità e l’opposizione forte che analoghi testi preparati negli anni precedenti e preventivamente inviati alle OO.SS. per le opportune osservazioni, avevano incontrato tra il personale degli UEPE, le OO. SS., il mondo del volontariato penitenziario e le Associazioni/Ordine professionale degli assistenti sociali.
In breve, sapendo che il provvedimento non avrebbe incontrato il favore di molti lo si è fatto passare alla chetichella e facendo trovare tutti di fronte al fatto compiuto.
Probabilmente in pochi si saranno resi conto che il suddetto regolamento andrà a modificare sostanzialmente la composizione e l’organizzazione degli UEPE, stravolgendo non di poco i contenuti della legge 354/75 e il N.R. di esecuzione 230/2000 negli articoli che fanno riferimento agli UEPE ex CSSA.
Si compie a questo punto il processo di trasformazione di questi uffici iniziato nel 2005 con la l. 154 attraverso il cambiamento del nome da CSSA in UEPE, trasformazione che in realtà vuol dire stravolgimento del mandato istituzionale dato dalle legge di riforma del 1975 e che non a caso è stato attuato in modo subdolo e poco chiaro per chi legge superficialmente il testo, in quanto si limita a citare nella parte terza art. 13 comma 7, l’ art. 34 del DPR 82/99 comma 1 punti 1/7/8/14/15 e comma 2 che fa esplicito riferimento all’art. 5 legge 395/95, da cui si deduce che tra le risorse umane è prevista la polizia penitenziaria e i compiti che questa può svolgere negli UEPE possono essere declinati a tutto campo.
Oggi è possibile cambiare le leggi attraverso un semplice regolamento firmato dal Ministro
Questa volta però gli assistenti sociali e le organizzazioni che li rappresentano non hanno potuto dire niente perché non si è saputo niente, in quanto come specificato dalla CGIL FP nazionale “… sono stati disattesi, dall’Amministrazione Penitenziaria in primis, quei principi stabiliti dalla norma che regolano e definiscono le relazioni sindacali e le materie contrattuali oggetto di informativa e di confronto tra le parti. Una di queste è proprio l’organizzazione degli uffici, specificità che caratterizza il Regolamento in questione…”
E’ così che funzionano le cose nell’Italia di oggi e per confermare cosa si intende per “reinserimento sociale del condannato” basta leggere l’ultima circolare inviata dal Capo del Dipartimento ai Provveditorati regionali, agli Istituti Penitenziari e UEPE in vista dell’approvazione da parte del Parlamento della nuova normativa finalizzata a deflazionare le carceri dalla nota situazione di sovraffollamento: “la legge sull’ammissione alla detenzione domiciliare per le pene non superiore ad un anno”
E’ sufficiente “un verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio” per fare uscire una persona dal carcere con buona pace per tutti i discorsi sulla qualità degl’interventi finalizzati a diminuire la recidiva e l’assistente sociale professionista chiamato ad affrontare situazioni molto complesse e di alta professionalità ridotto a mero accertatore sull’esistenza di un domicilio e della sua idoneità.
Le lavoratrici ed i lavoratori degli UEPE non meritano questo trattamento “inumano e degradante” del loro lavoro e saranno sostenuti da noi in un percorso di lotta all’arroganza e al malgoverno di chi crede che il lavoro sociale sia riducibile ad un automatismo burocratico ed autoreferenziale che non si collega ad un tessuto sociale in costante evoluzione.
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