Lettera dei Garanti al Ministro della Giustizia e ai Vertici DAP
Firenze, 19 ottobre 2012
Prot. n.17417/1.16.3.3
Al Ministro della Giustizia Paola Severino
Al Capo Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria
Giovanni Tamburino
Al Vicecapo Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria Simonetta Matone
Al Vicecapo Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria Luigi Pagano
e p.c. Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Questo non era mai successo
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 28 luglio 2011 definì la questione del carcere “di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” e che ha raggiunto un “punto critico insostenibile”. Il Presidente Napolitano segnalava “l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita”. Questa denuncia fu ribadita il 27 aprile in un incontro al Quirinale con i Garanti dei diritti dei detenuti alla presenza del Capo del DAP Tamburino.
Le parole del Presidente Napolitano sono cadute nel vuoto e le scelte di politica del Governo paiono in netta contraddizione.
Le notizie relative al riesame della spesa della Amministrazione penitenziaria ci impongono alcune osservazioni di merito e di legittimità sulla tenuta del sistema che viene compromessa nella sua corrispondenza costituzionale.
Il primo rilievo da fare riguarda la eliminazione della spesa per l’ordinaria e straordinaria manutenzione dei fabbricati. L’Amministrazione penitenziaria è in possesso di un patrimonio consistente, che non può essere abbandonato senza alcuna manutenzione. Sarebbe da imputare alla responsabilità della stessa Amministrazione il degrado dei suoi beni e la necessità di interventi successivi, che possono imporre maggiori spese dinanzi a un degrado cresciuto nel tempo fino ad arrivare all’abbandono definitivo dei beni stessi, che imporranno spese maggiori per la sostituzione di nuovi fabbricati a quelli degradati e non più utilizzabili. Chi è al possesso di un bene pubblico ed è la amministrazione pubblica che ne ha il possesso ha un dovere (e la responsabilità se non lo adempie) di manutenzione, che la assoluta mancanza di risorse gli impedisce di rispettare.
Analoga mancanza di risorse economiche impedisce l’attuazione di attività essenziali per la esecuzione della pena: lo svolgimento di attività lavorativa e di formazione professionale, lo svolgimento di corsi scolastici (che fanno capo alla Pubblica istruzione, ma male si prestano ad essere attivati con le normali regole della scuola), la prestazione di assistenza sanitaria, compresa quella psichiatrica (che fa capo alla Regione, ma viene limitata anche nei confronti di questa), l’assistenza psicologica (ancora a carico DAP), essenziale per la prevenzione suicidi, nonché la fornitura di materiali per la pulizia dei locali di vita, necessaria per evitarne l’ulteriore degrado. Insomma e per sintesi, lo svolgimento delle altre attività previste, cui la Amministrazione penitenziaria è impegnata ai sensi della L. 26/7/1975, n. 354 e successive modifiche. L’omissione di tutte queste attività è stata più volte censurata dalla Corte Europea per i Diritti dell’uomo nei confronti del nostro Stato, ma la radicale soppressione delle risorse economiche renderà inevitabili e sempre più numerose le omissioni precedenti. Con la conseguenza di nuove spese derivanti dalle condanne in sede europea.
In questo quadro suscita meraviglia il mantenimento della spesa per la fornitura e la messa in funzione di braccialetti elettronici, prevista dall’art. 47ter, comma 4bis Ord. Penit., che, per le sue rare applicazioni, andrebbe soppresso.
Il riesame della spesa va oltre: c’è di più e di peggio. C’è la riscrittura della normativa riguardante aspetti centrali ed essenziali della organizzazione penitenziaria. Anche questo è conseguente a un riesame della spesa, che, a nostro avviso, non può arrivare a tanto. Si tratta di un autentico programma di ristrutturazione che cambia radicalmente l’Amministrazione penitenziaria, in modo da incidere fortemente sui suoi fini e sulle sue funzioni, che cessano di essere quelle previste dalla Costituzione e dall’Ordinamento penitenziario. Risulta scritto per nulla il nuovo Regolamento di esecuzione, n. 230/2000 con il risultato che se ne dovrà fare un altro. Quella che emerge è una istituzione di sola contenzione, che comincia dalla soppressione delle direzioni in molti istituti di modeste dimensioni. Questi istituti vengono abbinati ad altri maggiori (per l’intero territorio nazionale si parla di circa un centinaio di istituti senza direzione autonoma). Questa attribuzione plurima delle direzioni, porterà inevitabilmente alla scarsa presenza dei direttori presso gli istituti aggiunti. Se gli stessi si trattengono negli istituti di maggiori dimensioni, il loro impegno presso gli stessi sarà assorbente e ci sarà poco tempo per gli altri. Non c’è da preoccuparsi: provvederà un commissario della polizia penitenziaria, presente ovunque, tanto più che è da tempo alla conclusione un concorso per un numero elevato di commissari di polizia penitenziaria, mentre da oltre 20 anni non viene espletato un concorso per direttori degli istituti. Accadrà così che gli istituti minori, quasi la metà dell’intero complesso, verranno autogestiti dalla Polizia penitenziaria, cioè da chi ha la funzione della sicurezza. Sarà inevitabilmente questa funzione a prevalere. Il passo verso il carcere di contenzione è breve. La scarsità del personale restante, che sembra si voglia ancora ridurre, lo rende inevitabile.
D’altronde, l’altra misura che si prevede è quella della riduzione di molte sedi di servizio sociale. Parrebbe che, per le singole regioni ne resti una sola, quella del capoluogo. La impossibilità di spostarsi (per assenza di auto o di benzina, se le auto ci sono), nonché il territorio molto vasto su cui operare, renderà lunghissimi i tempi per le relazioni di servizio sociale da trasmettere ai Tribunali di sorveglianza e probabilmente, in molti casi, lo renderà impossibile. Anche le funzioni di aiuto e controllo sul territorio, cui è dedicata la sentenza costituzionale n. 343 del 1987, che le ha costituzionalizzate, diventeranno impraticabili.
E per finire, la ciliegina sulla torta avvelenata: la soppressione della Direzione generale esecuzione penale esterna.
Un carcere di sola contenzione è più economico. L’economia è il precetto che va rispettato ma ci va di mezzo un principio costituzionale, l’art. 27 comma 3 Cost., per il mancato adempimento del quale l’Italia è sempre più frequentemente condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Tutto ciò avviene con una procedura che, nel suo tratto finale, è di carattere amministrativo.
La Costituzione modificata per via amministrativa. Questo non era mai successo.
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