L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

martedì 26 febbraio 2008

Giustizia/Carcere- Le misure alternative alla detenzione tra proposte di riforma e istanze di sicurezza: il contributo del Servizio Sociale

di Alessandro Margara
Prima parte
Inquadramento generale
Nell’introdurre tale tema, ritengo utile partire dalla rilevazione di una dinamica sociale generale: quella dell’abbandono dei vecchi e grandi contenitori di accoglienza delle persone in situazione di disagio. Si può leggere così il venir meno del manicomio, a cui si accompagnano il venire meno del ricovero per anziani e per persone non autosufficienti, dell’orfanotrofio e di altre simili Istituzioni. Certamente non si può dire che il carcere venga abbandonato, anzi sta andando incontro ad una stagione di straordinaria fortuna- viene anche avanzata l’ipotesi che stia diventando il contenitore generale di tutto il disagio e di tutte le povertà- ma le misure alternative alla detenzione hanno pur sempre la funzione di ridurre l’estensione del carcere, anche in presenza della inesorabile crescita dello stesso. In questo senso le alternative alla detenzione incontrano e seguono le ragioni e i modelli di tutte le altre deistituzionalizzazioni . Due sono stati gli aspetti di questo processo. Il primo è di rifiuto di quei contenitori come patogeni, come determinanti situazioni di non- vita.Nel manicomio, che si può sempre prendere come esempio , la vita è ridotta a pura sopravvivenza, se c’è una malattia si struttura e diventa irreversibile: come anche accade (e accadeva spesso) se, invece della malattia, c’è solo una situazione di abbandono, che diventa incapacità progressiva della ordinaria gestione della propria vita. Il secondo aspetto è complementare al primo:se si rifiuta la struttura come patogena, diventa necessario un intervento organizzativo diverso, nel quale la presa in carico della persona si accompagna alla sua libertà e al conseguente confronto con tutti i suoi problemi: di salute psichica e fisica, di inserimento sociale in tutti i suoi aspetti, comprese le sue tensioni e le difficoltà delle relazioni con gli altri: in una parola della sua vita. La nuova organizzazione dell’intervento, anziché patogena, come la struttura chiusa, protegge la vita possibile ed entra in contatto con tutti i suoi problemi.Insisto a cogliere le misure alternative al carcere come un processo di deistituzionalizzazione, per parziale che sia la loro utilizzazione nella esecuzione della pena. Certo, bisogna pensare questo processo nel quadro di un processo più ampio, che è quello, come già rilevato della crescita inesorabile della penalità (per effetto dell’uso sociale del carcere contro tutte le povertà e le precarietà prodotte dalle dinamiche economiche inperanti), ma si deve sempre tenere presente l’indirizzo generale di dare un ampio spazio alle misure alternative alla detenzione come argine all’onda di piena della ricarcerizzazione . Se si vuole, negli Usa dei 2 milioni e 300.000 detenuti, vi sono 5 milioni di persone in misura alternativa, quasi come la constatazione della necessità di un correttivo alla spirale di crescita del carcere. E in Europa le “carte” generali, anche se come profeti inascoltati, continuano a parlare di pena detentiva come estrema ratio e della preferenza per le misure alternative. E ancora, nel nostro paese, la giurisprudenza della Corte Costituzionale (fondamentali le sentenze 204/74, 343/87 e 282/89) disegna una esecuzione penale che ha nelle misure alternative un passaggio operativo necessario che, produce, attraverso un intervento di sostegno e di aiuto, da un lato, e di controllo dall’altro, quelle possibilità di reinserimento sociale, di cui la mera detenzione è incapACE. Ma se devo queste considerazioni ad una collocazione reale dei “fatti nostri” nel contesto dei medesimi, devo tornare a cogliere questo aspetto fondamentale delle misure alternative come strumento sostitutivo della struttura chiusa del carcere, misure che danno libertà e possibilità di vita alle persone.Con la inevitabile conseguenza che gli operatori di tali misure verranno essi stessi a contatto diretto con le persone e con le loro relazioni e i loro ambienti di vita. La vita che viene resa possibile ritorna, per così dire, su di loro con i problemi e anche con le tensioni e anche con i timori che può suscitare. Il che comporta che le “misure limitative”, “con apprestamento di forme di assistenza”, “idonee a funzionare ad un tempo come strumenti di controllo sociale e di promozione della risocializzazione” ( frasi che tolgo alla lettera dalla sentenza 343/87), richiedono un’operatività complessiva che vede la esigenza di un affiancamento agli operatori principali- gli assistenti sociali- di altri operatori ausiliari, omogenei agli stessi, che svolgono insieme una serie di funzioni: di protezione, assistenza, accompagnamento e integrazione del contatto. Preciso che queste conclusioni valgono essenzialmente per la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, in quanto prescindendo dalla semilibertà (che ha una specificità legata al suo essere un regime esecutivo della pena detentiva, ancora agganciata al carcere), per le altre misure- detenzione domiciliare e liberazione condizionale – la funzione del Servizio sociale è di soli ed autonomi sostegno ed assistenza, ai sensi dell’art. 55 Ordinamento penitenziario, mentre la misura è gestita, con funzione limitata al controllo, dagli organi di polizia ordinaria. Precisato questo, sottolineo che gli operatori ausiliari di cui ho parlato devono essere, come detto omogenei al Servizio sociale che gestisce la misura e questo perché è essenziale che l’operatività resti sempre finalizzata alla doppia funzione di aiuto e controllo e non si scinda e non si separi, rispetto all’una e all’altra funzione, fra gli operatori principali ed ausiliari, da mantenere rigorosamente all’interno della stessa organizzazione. D’altronde, altra precisazione, la funzione degli ausiliari di cui ho parlato sono molte- protezione, accompagnamento, integrazione del controllo, tutte praticabili, secondo le necessità, nel quadro di una organizzazione unitaria- e mi sembra dover rilevare che alla fine gli operatori ausiliari eterogenei agli Uepe( la Polizia penitenziaria, nel progetto) siano pensati essenzialmente per lo svolgimento di un’autonoma funzione di controllo che prescinde dalle altre complessive funzioni di affiancamento (protezione, accompagnamento) del lavoro degli operatori principali. Mi viene il dubbio che questo discorso di inquadramento generale possa sembrare ozioso. Se lo ha fatto, credo evidentemente che non lo sia . E per due ragioni. La prima è quella di individuare la filosofia dell’intervento sociale di deistituzionalizzazione e di coglierne, da un lato, la critica alle istituzioni chiuse (patogene o, nel caso del carcere, criminogene) e dall’altro lato, di porre la persona, i suoi problemi e, complessivamente, la sua vita al centro della attenzione sociale. La seconda ragione è quella di cogliere, nella operazione che si vuole compiere (la Polizia penitenziaria negli Uepe), un modo di sottrarsi a quella filosofia. Se l’affidamento in prova al servizio sociale libera la vita delle persone che ne fruiscono, è ovvio che deve accettare anche- credo sia possibile capirmi- le imperfezioni e le irregolarità della vita, che sono affidate ad una funzione di mediazione del Servizio sociale (e del tipo di operatività che gli è propria) per agevolare e sostenere la socializzazione delle persone. L’idea che sottostà alla operazione (prescindendo dalle motivazioni contingenti, probabilmente decisive) è che ci sia bisogno di normalizzazione della vita, di non accettarne irregolarità e imperfezioni , cioè di negarla. E, se vogliamo, l’operazione, si voglia o non si voglia, ha un potente significato simbolico: una parte significativa del carcere ed entra nelle misure alternative. Senza fare giudizi temerari, la istituzione negata dalle misure alternative regola i suoi conti.