Giustizia/Carcere- Certezza della pena? se non c’è certezza della colpa!
di Stefania Podda
Liberazione, 3 marzo 2008
C’è un film che ben rende la realtà di una giustizia macchinosa e burocratica che schiaccia il cittadino in un confronto impari, e che soprattutto racconta l’effetto devastante che un errore giudiziario può avere sulla vita di una persona.
Il film è "Detenuto in attesa di giudizio", la regia è di Nanny Loy ed è stato girato nel 1971. La 7 lo ha trasmesso venerdì sera, e rivederlo alla luce della vicenda dei fratelli di Gravina fa un certo effetto. Per mesi Filippo Pappalardi è stato l’uomo che ha ucciso i suoi due figli e ne ha nascosto i corpi. Con le accuse di sequestro di persona, duplice omicidio volontario e occultamento di cadavere, il 27 novembre è stato arrestato e oggi è ancora in carcere.
Quando i corpi di Salvatore e Francesco sono stati ritrovati, e si è parlato di morte accidentale, i pm e gli investigatori si sono guardati bene dal mettere in discussione l’impianto accusatorio su cui avevano lavorato sino a quel momento. Di più. Senza curarsi di chiarire su quale base fosse formulata la nuova ipotesi di indagine, hanno rilanciato, spiegando che i due fratellini erano caduti nella cisterna inseguiti dal padre. Tesi adottata dai giornali che hanno titolato sul virgolettato prontamente fornito dai magistrati.
D’altronde la costruzione del "mostro" a tutto tondo - l’uomo era conosciuto come un uomo violento - era talmente passata nell’immaginario collettivo che Walter Veltroni, nello studio del Tg di Emilio Fede quando è arrivata la notizia del ritrovamento dei cadaveri dei bambini, si è lasciato sfuggire un commento incauto attribuendo di fatto a Pappalardi la responsabilità.
Il punto però è che - sia o meno Pappalardi colpevole - per ora si parla di ipotesi investigative. Non c’è stato nessun processo, nessuna sentenza. Invece di parlare nelle sedi appropriate i pubblici ministeri parlano sui giornali, con una visibilità che non è pari a quella della difesa. E i giornali fanno da grancassa ad ogni aggiornamento investigativo arrivi dalle procure. Di processi celebrati sui giornali e mai arrivati in aula se ne contano a decine. Sono casi giudiziari, ma sono anche vite - in questo caso quelle di un’intera famiglia - passate nel tritacarne dei mass media.
Una gogna pubblica a cui ci si è oramai assuefatti, senza che né ai magistrati né ai giornalisti venga in mente di fare un passo indietro. Perché prima della certezza della pena, sarebbe più giusto pretendere la certezza della colpa.
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