Giustizia/Sicurezza: quante parole su mancanza di certezza della pena!
di Giancarlo Trovato
Rinascita, 12 giugno 2008
Scomparsi ormai da tempo i lavatoi comunali, il cicaleccio delle comari si è andato a trasferire gradualmente in televisione e sui giornali. Completamente fuori ne sono rimaste proprio le instancabili lavandaie, che non possono più far sentire la voce perché tutti i posti sono stati occupati dai più disparati loro imitatori, che si riconoscono solo per lo svolgere un lavoro meno faticoso ma più ricco. Si sente chiacchierare di tutto e giudicare ogni cosa, senza che alla base esista una conoscenza del tema. Quando, poi, si affronta quello della giustizia e della sicurezza sociale, l’incompetenza è allarmante, anche perché la tendenza generale è seminare terrore per evitare la richiesta di affrontare il particolare e di offrire soluzioni.
Lo sterile cicaleccio è ormai costante nel denunciare la mancanza di certezza della pena, che - al momento - ha avuto l’unico frutto di convincere gli extracomunitari a venire in massa a delinquere in Italia, ove si ritrovano a restare a lungo in cella. Oggi sono 20.123 su un totale di 53.700 reclusi: il 37,5%. Senza la loro presenza non esisterebbe lo spauracchio di un nuovo pericoloso sovraffollamento, capace di creare quelle condizioni che resero obbligatorio l’indulto 2006.
La "mancanza vergognosa di certezza della pena" è stata ribadita di recente anche dal Capo della Polizia Antonio Manganelli, che - trascurando che il 60% dei detenuti è in attesa di giudizio e, quindi, senza la certezza di subire una pena - si è lamentato perché le leggi attuali rendono molto difficile perseguire i reati, con la conseguenza che numerosi sono gli arresti e pochi quelli che restano in carcere. Il periodico penitenziario di Padova, "Ristretti Orizzonti", criticando i dati riportati da "Il Sole 24 ore" a sostegno del lamento di Manganelli, ha svolto una semplice considerazione aritmetica:
"Nel 2007 le forze dell’ordine hanno arrestato oltre 196.000 persone, ma quelle che effettivamente sono state immatricolate in un Istituto di pena sono state 90.441. Evidentemente, per le restanti 106.000 circa non c’erano nemmeno gli estremi per richiedere la convalida dell’arresto al Giudice! Tra le 90.441 persone entrate in un carcere 22.423 sono uscite entro 48 ore e questo è potuto succedere solo perché il Giudice delle Indagini Preliminari non ha convalidato l’arresto (previsto in tale lasso di tempo), ritenendo insussistenti o insufficienti le motivazioni per disporre la custodia cautelare in carcere. In conclusione, dei 196.000 arresti eseguiti nel 2007, soltanto 70.000 (il 35,7%!) erano realmente motivati".
Non si ottiene la certezza della pena, del resto, con lo sbattere in carcere anche 126.000 persone che non hanno commesso reati, dando semplicemente adito a sospetti tali da spingere le forze di polizia a trattenerli un po’ per capirci meglio. Certezza della pena, soprattutto, non significa trattenere a vita in carcere l’autore di qualsiasi reato. Tale certezza, infatti, è soprattutto invocata quando la commissione di un reato è attribuita a un recidivo, libero dopo aver completamente espiato la pena.
Del resto sono assai rari con una percentuale intorno all’1% - anche se fanno maggior notizia - i reati commessi da chi si trova in misura alternativa. Quelli che dovrebbero far gridare allo scandalo perché, invece che in carcere, il reo era fuori. Mancanza di certezza della pena, infine, non deve essere confusa con l’aver colpevolmente aperto le porte dell’Italia ad un’orda di extracomunitari, sapendo che - per sopravvivere - avrebbe commesso reati di qualsiasi specie.
Di fronte al perpetuarsi di false affermazioni, nel cittadino non può che trasformarsi in terrore il senso d’insicurezza, giacché è portato a credere che il dilagare della criminalità sia ormai irrefrenabile. Aumenta pure lo spreco di soldi dello Stato a causa delle inutili spese, collegate all’arrestare tutti per dare prova di efficienza. Risorse che sarebbero meglio impiegate in un’azione mirata di prevenzione sul territorio. Esiste un certo qual disordine nel garantire il rispetto delle leggi.
Quando, del resto, il cittadino si ritrova costretto a chiedere l’intervento di "Striscia la notizia" per vedere tutelati i propri diritti e per ottenere la fine di un torto, la corretta amministrazione della giustizia è ai confini dell’utopia. Gli "addetti ai lavori" si ritrovano concordi nel sostenere che nulla funziona, senza rendersi conto che le cause e le colpe - anche se in quota parte - sono di loro stessi. E così, oltre ai numerosi "esperti" e "opinionisti", anche magistrati e legislatori monotonamente si lamentano della mancanza di certezza della pena, trascurando che - ammesso e non concesso che sia così - non può che dipendere da una carenza legislativa o da un’incapacità nell’applicare le leggi. Al di sopra di qualsiasi sospetto le forze di polizia, le quali, come s’è visto, ne arrestano addirittura troppi.
In sostanza, magistratura e legislatore - senza rendersene conto - si accusano da soli, presi dalla foga di far cicaleccio e di mettersi in mostra. Irreale pensare che proprio loro non sappiano chi deve risolvere il problema.
Problema che non esiste, contrariamente a quello incontrovertibile della mancanza di una corretta e moderna amministrazione della giustizia, capace di emettere sentenze certe con pene capaci di rendere certa l’inclusione sociale dei condannati.
Il cittadino si sentirà sicuro, quando avrà la certezza che lo Stato è in grado di restituire alla società i cittadini che hanno sbagliato educati al rispetto delle regole. Magari migliori di quanti non sono mai entrati in carcere.
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