L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

lunedì 3 gennaio 2011

L'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali Scrive al Ministro Alfano e ai Vertici del DAP sulla recente legge n.199 del 26.11.2010


Le obiezioni degli assistenti sociali alla nuova legge. Quali le ricadute sugli UEPE ?
L’Ordine il 20 dicembre scrive al Ministro Alfano per esprimere con fermezza, a nome degli assistenti sociali impegnati nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il proprio disaccordo su quanto previsto dalla recente legge 26.11.2010, n. 199, relativamente agli interventi degli Uffici per l’esecuzione penale esterna e ai compiti degli assistenti sociali.



Roma, 20 dicembre 2010
Prot. n. 3722/2010
Al Ministro della Giustizia
On. Angelino Alfano

Al Capo Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Dott. Franco Ionta

Al Direttore Generale
dell’Esecuzione Penale Esterna
D.ssa Luigia Mariotti Culla

Al Direttore Generale
Detenuti e Trattamento
Dott. Sebastiano Ardita

Al Direttore Generale
del Personale e della Formazione
Dott. Riccardo Turrini Vita


OGGETTO: Legge 199/2010: “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”.

L'Ordine professionale degli assistenti sociali ritiene doveroso esprimere con fermezza, a nome degli assistenti sociali impegnati nel Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il proprio disaccordo su quanto previsto, relativamente agli interventi degli Uffici per l’esecuzione penale esterna e ai compiti degli assistenti sociali dalla legge 26.11.2010, n. 199 “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”.
E' senza dubbio condivisibile, in termini generali, la ratio che mira ad una decarcerizzazione delle pene brevi, così come è da valutare positivamente la volontà di ampliare il ricorso a misure domiciliari.
E' noto, infatti, come la pena scontata all'esterno degli Istituti penitenziari consenta un più concreto e positivo reinserimento della persona condannata nel contesto sociale, come dimostrano le più basse percentuali di recidiva, rispetto a chi, invece, sconta tutta la condanna in stato detentivo.
Si condividono anche le preoccupazioni espresse e i segnali di allarme lanciati da molti sulle attuali, drammatiche, condizioni degli Istituti penitenziari italiani in cui, a fronte di una capienza di poco più di 44.000 posti, sono “stipate” quasi 70.000 persone.
Gli assistenti sociali, infatti, lavorano nel contesto penitenziario da più di 35 anni, a fianco degli educatori, degli agenti di polizia penitenziaria, degli esperti, dei volontari, verificano giornalmente come il sovraffollamento, ma anche la problematicità di un contesto che si caratterizza sempre più come mero “contenitore” degli effetti di un disagio sociale ormai debordante, abbiano determinato condizioni di invivibilità tali da non consentire un adeguato rispetto della dignità della persona.
Questo premesso, tuttavia, l'Ordine deve anche considerare e richiamare l'attenzione, di quanti in indirizzo, sulle ricadute che il provvedimento approvato avrà sugli Uepe.
Tutto ciò ribadendo ancora una volta quanto è stato più volte evidenziato sulle condizioni di grande difficoltà e disagio attraversate dal servizio sociale della Giustizia, nel contesto della profonda crisi che sta interessando tutto il sistema della esecuzione penale che si ripercuote, con effetti devastanti, sugli uffici periferici, sempre più privati del livello minimo necessario di risorse.
In questo scenario, il nuovo provvedimento normativo rischia oggi di trasformarsi in un fattore che può da un lato introdurre elementi di ulteriore complessità nell'organizzazione degli Uepe, dall'altro rendere più confuso il senso del mandato istituzionale proprio di tali Uffici.
Per questo motivo l'Ordine, nel giugno 2010, aveva espresso la propria preoccupata valutazione durante l'iter di approvazione dell'attuale legge, rispetto ai cui contenuti (ancorché nella versione del disegno di legge meno negativi per il servizio sociale) si erano richieste modifiche con lo scopo di evitare ricadute negative sul piano dell'operatività degli Uepe ai quali, si ricordava, da sempre è stata destinata una parte del tutto residuale delle risorse dell'Amministrazione penitenziaria.
Si paventava che le nuove misure previste, in assenza di adeguati incrementi delle risorse umane, economiche e strumentali, potessero determinare un ulteriore aggravio che non avrebbe potuto essere sostenuto dagli uffici periferici, se non a rischio della paralisi istituzionale dei servizi e degli operatori che il legislatore del 1975 aveva chiamato a dare applicazione all'articolo 27 della Costituzione.
Tali segnalazioni e preoccupazioni, provenienti da chi rappresenta gli assistenti sociali e ne tutela il mandato professionale e la coerenza di questo con il mandato istituzionale, nel quadro di un obiettivo di rispetto della dignità e dei diritti delle persone detenute, così come dell’efficacia ed efficienza del servizio reso, non sono state evidentemente ritenute meritevoli di alcuna considerazione.
Ciò può essere affermato a fronte non solo di una conferma, nel testo appena entrato in vigore, di tutti i punti di maggiore criticità allora segnalati, ma anche per l'inserimento di elementi ulteriori che vanno ad incidere in modo del tutto negativo sulla qualità e sull'efficacia dell’intervento istituzionale degli Uepe e, ancor più, su quello tecnico-professionale degli assistenti sociali.
In termini generali il provvedimento adottato sembra porsi come prevalente finalità quella di ridurre il sovraffollamento degli istituti penitenziari, in relazione ad una situazione che è ormai al di là di ogni possibilità di garantire un livello minimo di dignità alle persone detenute, così come a chi vi opera.
Va detto, tuttavia, che le modalità previste, così come i requisiti escludenti introdotti in relazione ad un’ampia tipologia di reati, inducono una negativa previsione circa la effettiva efficacia di tale normativa.
Tale considerazione critica si estende anche all’automatismo previsto per la concessione della detenzione domiciliare, in assenza di ipotesi progettuali e di valutazioni che attengano a possibilità e obiettivi di reinserimento sociale della persona in esecuzione pena. Al riguardo, va ricordato che coloro che vi saranno ammessi, pur avendo una condanna (o un residuo pena) di un anno, non hanno prima potuto beneficiare di misure alternative più ampie, essendo privi dei requisiti richiesti per le altre alternative di pena, nella forma di necessari supporti e reti di protezione sociolavorativa e familiare.
Non si sono evidentemente considerate le difficoltà di chi accederà alla detenzione domiciliare, vivendo una condizione di estremo disagio, che non è solo “penale”, andando ad inserirsi in un panorama dei servizi dell'Amministrazione, ma anche degli enti locali e del cosiddetto terzo settore, che si connota per una drastica riduzione di risorse e strumenti di intervento.
Ma l'Ordine degli assistenti sociali non può esimersi dal richiamare l'attenzione dei vertici politici e amministrativi del Ministero della Giustizia sugli aspetti della legge che più evidente, e negativa, ricaduta avranno sul livello organizzativo degli uffici e sugli interventi tecnico-professionali degli assistenti sociali.
Sul piano organizzativo gli aspetti di maggiore criticità derivano dall'aumento del carico di lavoro che, inevitabilmente, ricadrà sugli uffici, con l'introduzione di interventi ai quali, si è stabilito, deve essere data priorità su tutti gli altri. Tale incremento del lavoro va ad inserirsi in una realtà che è già di grave sofferenza, come si rileva da alcuni dati oggettivi: il personale di servizio sociale effettivamente in servizio negli uffici periferici è numericamente inferiore rispetto a quanto previsto dalle piante organiche; dal raffronto fra i dati sul carico medio per assistente sociale, rilevati al 30.06.2006 e al 31.03.2010, emerge che nella quasi totalità delle realtà regionali i carichi di lavoro del 2010 sono di poco inferiori rispetto a quelli del 2006; a ciò si associa la riduzione delle risorse finanziarie e strumentali destinate agli Uepe e una realtà dei territori, in cui tali uffici si collocano, che è sempre meno ricettiva nei confronti dell'esecuzione pena, per il depauperamento delle risorse locali.
Sul piano tecnico-professionale, nel testo normativo si sono introdotti strumenti e procedure che niente hanno a che fare con interventi coerenti con un mandato e una metodologia professionale che, fino a poco tempo fa, erano stati ritenuti come i più adeguati a rispondere a finalità di reinserimento e recupero alla società di quanti si trovavano in espiazione pena, con un vantaggio sia per la persona interessata, sia per la collettività tutta, nell’ottica di un maggiore livello di benessere derivante da maggiore inclusione e coesione sociale.
Appare difficile comprendere i motivi che hanno indotto ad attribuire al personale di servizio sociale un compito, quale l'accertamento dell'idoneità del domicilio, che non necessita di competenze tecnico-professionali specifiche, soprattutto alla luce del fatto che lo strumento a tale scopo elaborato (“scheda per l'accertamento dell’idoneità di domicilio”), richiede una mera rilevazione di dati, compito che potrebbe essere assolto da altri operatori, che già svolgono tali funzioni in altri ambiti.
Non può, inoltre, tacersi il fatto che tale attività meramente “esecutiva”, da eseguirsi in via prioritaria, distoglierà le già scarse risorse degli Uepe da compiti che sono parte integrante del mandato istituzionale, con effetti negativi sui procedimenti di sorveglianza, sull'attività di osservazione e trattamento penitenziario e di sostegno ai detenuti in particolare per il ristabilimento di rapporti familiari, la cui urgenza era stata sottolineata nella nota diramata dal capo del Dipartimento, dr. F. Ionta, appena nel luglio scorso.
Ma ciò che ancor più desta perplessità è che la misura introdotta, per le modalità previste sia nella fase istruttoria, sia nel corso della sua esecuzione, presenta una natura “ibrida”, volendo coniugare aspetti che la qualificano da un lato come un mero strumento di deflazione penitenziaria (l’elevato livello di automatismo e la concessione che si basa sulla sola esistenza di un domicilio e di una disponibilità dei familiari e/o di altri ad accogliere il detenuto), ad altri che sono propri delle misure alternative propriamente intese, in particolare, l'affiancamento di un operatore quale l'assistente sociale, con compiti di sostegno e controllo.
Ma l'assenza di qualsiasi ipotesi progettuale svuota di significato l'intervento dell'assistente sociale, a meno che non lo si voglia “svilire” intendendolo come mero strumento di controllo fiscale.
Con la detenzione domiciliare introdotta dalla legge 199/2010 il legislatore, evidentemente mosso da una primaria e impellente necessità deflativa, senza essere al contempo veramente attento alle condizioni e ai requisiti che sostanziano l'esecuzione penale in senso risocializzante, ha disegnato una misura che, proprio per voler contemperare caratteri e obiettivi incompatibili, perde di efficacia per entrambi gli aspetti.
Alla luce di tali considerazioni, senza voler entrare nel merito di scelte operate a livello politico-legislativo ma con la sola preoccupazione di tutelare e valorizzare il contributo professionale degli assistenti sociali della Giustizia, questo Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali non crede possibile che si voglia e si possa accettare la vanificazione del patrimonio di competenze e di buone pratiche professionali che hanno consentito al servizio sociale di contribuire alla implementazione del dettato costituzionale che sancisce la finalità rieducativa della pena, di arrivare a costituire il perno di un processo di territorializzazione dell’esecuzione penale e di tutela dei principi di inclusione e giustizia sociale, né che si intenda annullare un processo di crescita culturale che vede la pena anche come opportunità di riabilitazione e non solo come espiazione, e richiama la responsabilità educativa, e non solo punitiva, dello Stato.
Nell’augurare serene festività si porgono distinti saluti.
La Presidente
Franca Dente

Giustizia: svuota-carceri al via, ma solo un terzo dei papabili ne potrà usufruire

di Francesco Grignetti- La Stampa, 31 dicembre 2010

Erano oltre 69mila, ieri, i detenuti nelle carceri italiane. Un sovraffollamento pazzesco, se si considera che le carceri potrebbero ospitare 44 mila persone e la soglia di tollerabilità massima sarebbe di 65 mila. E per fortuna che in 4 sono usciti dal carcere di Palermo grazie all’ultimissima legge che dovrebbe far rifiatare gli istituti di pena.
Già, perché il 16 dicembre è entrata in vigore una leggina d’iniziativa governativa, ribattezzata spregiativamente “svuota-carceri”, che permetterà a chi deve scontare 12 mesi di pena di passarli ai domiciliari. Ma siccome un domicilio è assolutamente indispensabile, ed anche l’assenso dei familiari ad accogliere il congiunto carcerato, ecco che già si lamenta che “magari fosse uno svuotamento del carcere come qualcuno dice”.Marco Travaglio, ad esempio, sull’onda di certe pulsioni cavalcate da leghisti e dipietristi, ha sostenuto che si tratterebbe di un “indulto mascherato”. Gli ha risposto il sindacato della polizia penitenziaria Osapp con tono rassegnato: “Ci sembra una delle poche soluzioni praticabili”.La stima più realistica è che alla fine saranno tremila, più o meno, i detenuti che potranno andare ai domiciliari. Che nelle carceri italiane si viva malissimo, è un dato di fatto. Aumenta la popolazione carceraria al ritmo di 5.000 persone in più ogni anno.Aumentano in maniera esponenziale le morti: 170 nel corso del 2010. Aumentano i suicidi: 65 i casi registrati quest’anno. L’ultimo a Rebibbia, due giorni fa: un rom di 24 anni si è ucciso impiccandosi; avrebbe terminato la sua pena nel maggio prossimo. E gli avvocati penalisti dell’Unione camere penali, che hanno il polso della situazione di chi vive dietro le sbarre, inorridiscono: “Il rapporto tra chi si uccide tra le persone ristrette in carcere e quelli libere è di 19 a 1.Una percentuale talmente sproporzionata da non essere spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale. Alcune ricerche indipendenti hanno dimostrato una correlazione fra sovraffollamento e suicidi: in nove istituti dove si registrano almeno due suicidi all’anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176% contro un dato nazionale del 154%; e la frequenza dei suicidi è di 1 caso ogni 415 detenuti, mentre la media nazionale è di 1 su 1090”.La legge che porta la firma del ministro Angelino Alfano dovrebbe dare una boccata d’ossigeno al sistema. In teoria potrebbero accedere ai benefici in 9600, di cui 4500 stranieri. Ma poiché questi ultimi sono proprio quelli che in genere non hanno un domicilio sicuro, né un reddito, e spesso neppure un familiare che se lo prenda in carico, è presumibile che saranno proprio loro, gli stranieri, quelli che passeranno meno facilmente al vaglio dei tribunali di sorveglianza: finirà che i detenuti italiani potranno utilizzare la legge e gli immigrati no, continuando a intasare le celle. E questo è un cronico cruccio del ministro.“Se togliamo dai circa 70 mila detenuti i 24 mila stranieri - spiegava qualche giorno fa, invocando una soluzione europea per le carceri - abbiamo la capienza regolamentare degli istituti. Vuol dire che le carceri italiane sono attrezzate per i detenuti italiani. Il detenuto straniero fa pagare al nostro Paese un costo in termini di sicurezza e di ingolfamento del processo. Almeno vitto e alloggio se lo facciano pagare dal proprio Paese”.E invece no. “È inevitabile - commenta Sandro Favi, responsabile del Pd per le carceri - che finisca così. Il punto è che ci sono alcune leggi, in particolare la Bossi - Fini contro l’immigrazione clandestina, la Fini - Giovanardi con le pene per i tossicodipendenti, e la ex Cirielli sulle recidive, che nell’insieme hanno un plateale effetto sugli indici di carcerazione. Il risultato è che il carcere è pieno solo di povera gente, di tossici, di malati e di stranieri”.

Riflessione sul Servizio Sociale oggi del Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali

Importante documento del Consiglio Nazionale in scadenza del mandato.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali ha ritenuto utile rendere noto, attraverso il presente documento, il lavoro di riflessione condotto al proprio interno sullo stato attuale della professione in Italia, nella consapevolezza che è un compito specifico contribuire a creare e rafforzare una comunità di pensiero che consenta al servizio sociale di crescere come professione e come disciplina.La lettura e il monitoraggio della realtà del servizio sociale condotta dal Consiglio Nazionale nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, anche attraverso le attività delle commissioni consiliari e i loro rapporti con vari interlocutori, ha fatto emergere un quadro della professione dove, accanto a indubbi aspetti di riconoscimento di competenze, di consolidamento di buone prassi operative, anche di vere eccellenze, coesistono molteplici elementi di problematicità.
Allegato:
Riflessioni_SS_Oggi.pdf