L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

giovedì 29 gennaio 2009

Assistenti sociali dell'Uepe di L'Aquila si rivolgono al pr oprio Ordine professionale

Al presidente dell'Ordine degli Assistenti Sociali Abruzzo ed ai componenti del Consiglio CHIEDIAMO di attivare ogni azione di tutela a favore degli Assistenti Sociali della Giustizia, alleghiamo la bozza di regolamento a cui facciamo riferimento nella nota di seguito riportata che contiene le nostre riflessioni e specificazioni.
CHIEDIAMO il coinvolgimento dell'Ordine Nazionale in termini di tutela della professione ed in termini di promozione di un incontro nazionale in materia di Affidamento in prova al Servizio Sociale.
Nella certezza di una piena e condivisa attenzione gli Assistenti Sociali dell'UEPE di L'AQUILA ringraziano.
F.to Aloisi Alessandra, Giangiacomo Gabriella, Insardi Anna, Tunno Luana, Zimar Anna Maria.

Riportiamo alcune riflessioni in merito allo schema di regolamento UEPE:
- tra i riferimenti normativi indicati nella premessa dello schema di regolamento attuativo dell'art.72 è omesso completamento il DPR 230/2000(regolamento d'esecuzione) e fa prevalentemente riferimento a norme che regolano personale del corpo di polizia penitenziaria.
- all'art.2 dello schema di decreto non chiarisce il personale in dotazione all'Ufficio che dovrebbe svolgere i compiti indicati al comma 2 del citato articolo.
- all'art.4(attribuzione di competenza dell'ufficio locale) si dice al comma 1 :" L'Ufficio....nei termini e nei modi definiti dal presente decreto", in questo modo non si tiene nè degli articoli di legge(354/75 Cap.VI) nè del regolamento d'esecuzione 230/2000( in particolare vedasi art.97 e art.118), che sono fonti normative superiori e dalle quali un D.M. non può prescindere.
- all'art.5 (Procedimenti tipizzati), si legge : "Con decreto Del Direttore generale sono definiti i procedimento di servizio esecutivi..." premesso che non è chiaro il significato dei termini è omesso il personale dedicato allo svolgimento dei compiti cui si fa riferimento, che sono compiti di competenza specifica del servizio sociale (vedi le indagini socio-familiari), pertanto al comma 2 dell'art.5, dove si indicano"..i requisiti tecnici di qualità dell'intervento etc.." non si può prescindere dal coinvolgimento dell'ORDINE PROFESSIONALE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI, organo di indirizzo dal quale non si può prescindere.
- l'art.6 ci si chiede a cosa possa farsi riferimento con procedimenti non tipizzati, in quanto se una legge indica delle competenze si ha comunque l'obbligo di adempimento.
- art.7(Articolazioni interne) il riferimento al lavoro di gruppo va specificato in quanto è un metodo di lavoro che può essere applicato in base agli scopi, ma non può essere un vincolo fissato con un semplice regolamento a prescindere dai ruoli tecnico professionali e dalle specifiche competenze. Al comma 3 dello stesso articolo si indica l'articolazione delle sezioni, ma a differenza della circolare che ha disposto l'organizzazione delle aree e specificato il personale assegnato a ciascuna area e relativo coordinamento, non viene specificato nè all'art 7 nè negli articoli successivi relativi alle singole sezioni, quale sia il personale assegnato a ciascuna di esse.
-all'art.8 (compiti del Direttore) con riferimento alla lettera f)- adempie a tutte le altre funzioni....- è implicito che il direttore svolge supervisione e controllo tecnico di servizio sociale o questo direttore può non avere più queste competenze?
-all'art.9 sarebbe opportuno riprendere tra i compiti quello di promuovere, progettare, organizzare la formazione e l'aggiornamento del personale già prevista nell'area segreteria come disciplinata dalla circolare sulle aree tuttora vigente.Come per tutte le sezioni manca l'indicazione del personale destinato a tale sezione.
- art.10(sezione di esecuzione penale)premesso che il regolamento d'esecuzione 230/2000 all'art.118 prevede l'area di servizio sociale e in essa l'inclusione degli esperti, indicando con chiarezza tutte le funzioni svolte da personale di servizio sociale sembra che l'art.10 non tiene conto della norma superiore.
Al comma 1 nel fare riferimento ai compiti della sez. di esecuzione penale, dove già è omesso il termine ESTERNA, che dovrebbe rispondere ed indicare con chiarezza le finalità e le competenze dell'Ufficio, stravolge la predisposizione dello stesso art.72 che al punto b) del comma 2 fa riferimento a compiti specifici del servizio sociale-indagini socio-familiari per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati-mentre nella bozza del regolamento al punto d) si riporta il termine "inchieste" per la concessione delle misure alternative, perdendo il termine più specifico indicato nell'art72(indagini socio-familiari).
Il riferimento fatto all'elaborazione del programma di trattamento individualizzato ed al controllo sull'esecuzione dei programmi non tiene alcuna considerazione delle specificità delle singole misure alternative(affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare) come definite negli articoli di legge che le prevedono e che non possono essere uniformate dal D.M.
A parte il fatto che manca qualunque riferimento alle altre attribuzioni della legge(assistenza dei liberi vigilati, assistenza al dimittendo..), ci chiediamo: il carattere multiprofessionale previsto nello schema di D.M. al comma 2 è correlato all'art.118 del regolamento d'esecuzione 230/2000 oppure no? perchè si propone in modo improprio il metodo del lavoro di gruppo?
ci chiediamo: quali figure rientrano nella multiprofessionalità? chi partecipa al lavoro di gruppo? un regolamento deve assolutamente dare indicazioni chiare in merito.
Permangono i contenuti dell'art.97 del regolamento d'esecuzione che al comma 8 prevede che "Il direttore del centro di servizio sociale per adulti designa un assistente sociale ...affinchè provveda all'espletamento dei compiti indicati dall'art.47 della legge secondo le modalità precisate dall'art.118...."? La generalizzazione della multiprofessionalità non può cancellare le competenze specifiche del servizio sociale, indicate chiarmente dalla legge in merito all'affidamento in prova al servizio sociale(art.47 O.P.)
La descrizione dell'attività di questa sezione non può essere descritta in maniera riduttiva secondo le indicazioni date nello schema di decreto, ma deve fare riferimento ai compiti previsti dalla normativa vigente, che erano descritti in dettaglio nella circolare istitutiva delle aree a proposito dell'area di servizio sociale.
All'art.11.(sezione di contabilità) come per le precedenti sezioni è omesso il personale destinato all'area, mentre la circolare delle aree era in materia chiara.
- art.13- risorse umane-
comma 2. .....sarebbe opportuno prevedere : "sono preposti direttori coordinatori di servizio sociale e direttori di servizio sociale, o, in assenza, un'assistente sociale...." per dare anche una possibilità di sviluppo alla carriera di servizio sociale.
comma 3 . proporre la stessa indicazione
comma 4. proporre che alla sezione degli affari generali e del personale siano preposti direttori coordinatori di servizio sociale, direttore di servizio sociale o assistenti sociali,
comma 6. stesso discorso
comma 7. é finalizzato ad assegnare in maniera indifferenziata all'ufficio personale di polizia penitenziaria, personale amministrativo e tecnico, mentre sarebbe opportuno distinguere l'assegnazione della pol. pen., non prevista dalla normativa vigente, della quale in questo contesto non si chiarisce la funzione, dalla previsione dell'inserimento del restante personale Comparto Ministeri.
Non emerge un chiaro riferimento al personale di servizio sociale, probabilmente inserito tra il personale tecnico, ma sarebbe opportuno citare esplicitamente il personale di servizio sociale, che la legge vigente indica come titolare dei processi afferenti all'esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale.
La professione dell'assistente sociale ha uno specifico riconoscimento normativo, una formazione universitaria e l'obbligo per l'esercizio della professione di essere iscritti all'Albo Professionale, pertanto le competenze sono disciplinate dalla norma e non possono essere trasferite a non ben specificati grupppi di lavoro o non ben specificate dimensioni multidisciplinari, nè a nuovi profili professionali( previsti dal comma 2 dell'art.14) non ben specificati.


martedì 27 gennaio 2009

Sappe- Riorganizzazione Uepe

www.sappe.it

Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia- OSSERVAZIONI SUL PIANO CARCERI


Il Consiglio dei Ministri ha approvato il “piano carceri”, provvedimento per dare risposta all’emergenza del sovraffollamento penitenziario, per poter ampliare la capienza degli istituti ad oltre 60mila detenuti (a fronte degli attuali 43mila posti).
Con questo piano, il ministro Alfano dichiara di rispondere alle urgenze che causano un aumento dei detenuti e di salvaguardare sempre la dignità dei ristretti.
La copertura economica di questo piano prevede che una parte dei fondi siano tratti dalla Cassa delle Ammende, ed il Governo apre anche ai finanziamenti privati attraverso lo strumento del "project financing" per la costruzioni dei nuovi edifici.
Già al convegno nazionale SEAC 2007 il volontariato aveva lanciato l’allarme sul rapido riempimento degli istituti, prevedendo che entro la metà del 2009 le carceri sarebbero state di nuovo sovraffollate come prima dell’indulto, in quanto già negli ultimi mesi del 2007 il ritmo delle carcerazioni era aumentato, portando la media mensile degli ingressi tra 800 e 1.200 persone e rendendo pressoché invivibile il carcere non solo per i detenuti, ma anche per gli stessi operatori penitenziari. L’allarme lanciato non era fine a se stesso, privo di contenuti operativi. Nelle proposte operative si sottolineavano vari punti:
- L’estensione delle misure alternative alla reclusione. Da oltre trenta anni la loro applicazione ha portato a una media annua, fino a prima dell’indulto, di 45 – 50.000 soggetti che hanno dimostrato una recidiva molto bassa (5% per gli affidamenti in prova, 19% per i tossicodipendenti a fronte del 67% dei dimessi dal carcere). Le misure alternative non sono da considerare dei “benefici assistenziali”, sono anch’esse pene vere e proprie con il loro rigore e i loro obblighi e prescrizioni; hanno dimostrato di costituire delle pene con un livello enormemente inferiore di recidività, eliminando il “di più” di pena connesso alla carcerazione; costano anche infinitamente di meno della reclusione: il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria stanzia il 95% dei fondi alla reclusione e il 5% alle misure alternative nonostante esse raggiungano in media il 50% dei soggetti condannati. L’equivalente di circa 100 Istituti di media capienza. Per potenziarle basterebbe spostare, inizialmente, il 5% del bilancio dagli istituti alle misure alternative, per arrivare successivamente almeno al 10%. Attraverso le misure alternative alla detenzione si potranno reinserire molti degli attuali detenuti, la cui maggioranza è formata da persone in disagio sociale. Si potrebbero così potenziare anche i lavori socialmente utili e le attività “riparatrici”, riservando il carcere ai soggetti condannati per i reati più gravi, ottenendo, con l’auspicato sfollamento degli istituti, anche migliori possibilità di trattamento durante la reclusione.
- Sviluppare i percorsi terapeutici e trattamentali per i tossicodipendenti sperimentati dal Ministero della Giustizia con il progetto DAPPrima, eliminando però i nodi critici, amministrativi, giuridici ed economici che ne hanno limitato e condizionato la riuscita (tenendo anche presente che i tossicodipendenti non possono anch’essi trarre alcun vantaggio dalla carcerazione).
- Risoluzione definitiva del problema delle detenute madri, per toglierle – col figlio – dalla reclusione attraverso specifiche misure alternative.
- E’ necessario avviare una riflessione con tutte le istituzioni interessate per verificare la possibilità di anticipare alcune linee di riforma del sistema penale che siano in grado di superare l’attuale centralità della pena detentiva come unica risposta dell’ordinamento ad ogni forma di devianza e procedere nella direzione di un ampliamento del ventaglio delle sanzioni principali, affiancando alla tradizionale pena detentiva (unica in concreto applicata) un nuovo catalogo di sanzioni non detentive, irrogate direttamente dal giudice del processo, da gestire all’interno della comunità sociale, così da evitare gli effetti desocializzanti tipici del carcere.
Le nuove pene alternative, irrogate dal giudice con la sentenza, dovrebbero essere accompagnate da una previsione di immediata operatività, nel senso che le misure di sostegno e di controllo che le caratterizzano dovrebbero essere attivate fin dal momento della emissione della sentenza di condanna di primo grado, poiché la presa in carico di una persona da parte di servizi o istituzioni pubbliche o private (gli U.E.P.E. i Ser.T., le Comunità terapeutiche…), ai fini dello svolgimento di una prova o di una misura prescrittiva, non può essere rinviata nel tempo in attesa della irrevocabilità della sentenza, pena il suo sostanziale fallimento.
Analoghe finalità possono essere raggiunte dal graduale introduzione nel diritto penale degli adulti dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova, caratteristico della giustizia penale dei minori, (proposta già giustamente avanzata dal Ministro Alfano) che può risultare particolarmente utile a prevenire quelle forme di recidiva, molto frequenti nei giovani adulti, che si manifestano per la sostanziale incapacità dell’ordinamento di predisporre efficaci strumenti di probation coniugati ai necessari interventi sociali. La sospensione con messa alla prova, che potrebbe affiancarsi, in una prima fase sperimentale, alla tradizionale sospensione condizionale della pena, può fornire una efficace risposta anche ai temi della giustizia ripartiva in linea con gli standards europei che richiedono una maggiore attenzione al ruolo delle vittime dei reati. Proposte in linea con le indicazioni tracciate nella bozza di riforma del Codice Penale elaborata nella scorsa legislatura dalla Commissione Pisapia, e purtroppo mai approvata.
Se il carcere continuerà a rappresentare, anche a livello di investimenti di risorse, l’unica risposta che l’ordinamento è in grado di offrire ai problemi della devianza sarà sempre più difficile, per chi sia entrato nel circuito carcerario, accedere alle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario.
Va poi considerato che è dato ormai condiviso da tutta la dottrina penitenziaristica che l’aumento del tasso di carcerizzazione (v. esperienza degli Stati Uniti d’America) non valga di per sé a costituire un’efficace risposta al problema criminale, stante la sua comprovata inefficienza anche sul fronte dell’abbattimento della recidiva specifica. Se il carcere continua ad estendersi ne consegue una trasformazione evidente degli strumenti tradizionali della politica e degli interventi sociali.
La gestione ordinaria e la costruzione di carceri sono molto costose. Francamente, avevamo sperato che la crisi avrebbe inciso sulla soluzione di alternative penitenziarie, e che, perlomeno per motivi economici, la scarsità di risorse finanziarie a disposizione avrebbe potuto ( o dovuto) indirizzare a scelte diverse dall’aumento dei posti in carcere. Invece, la scarsezza di risorse pubbliche sta determinato lo smantellamento di servizi in altri settori ma non in quello carcerario; almeno non nell’edilizia, a quanto pare, poiché è invece evidente lo stato di sofferenza degli istituti in termini di servizi essenziali: assistenza sanitaria, celle al freddo, qualità del cibo, vestiario, ecc.
Le carceri si sviluppano dunque secondo una dinamica che può trascendere la congiuntura economica; perciò è ancora più importante lavorare per evitarne l’estensione.
Lavorare per compiere scelte differenti significa investire nell’aumento degli organici della magistratura di sorveglianza e del personale addetto, nella copertura dei posti disponibili negli organici degli assistenti sociali, degli educatori, e degli esperti psicologi e psichiatri (trasferendo alcuni degli operatori distaccati in compiti amministrativi alle loro vere funzioni) , garantire mezzi a disposizione degli UEPE per sviluppare l’applicazione delle misure alternative (magari direttamente dalla fase di giudizio), per le attività di sostegno alla rete dei servizi territoriali (inserimenti presso comunità terapeutiche, case-alloggio, case famiglia; borse di studio e di lavoro; incentivi per gli artigiani e le aziende interessate ad assumere i condannati alle misure alternative); significa, soprattutto, investire sull’esterno.
I fondi della Cassa delle Ammende, sorta appositamente per l’accompagnamento degli ex detenuti, giacciono utilizzati solo parzialmente. La legge prevede che i suoi fondi siano adoperati per sostenere programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati, e programmi che tendano a favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione. La proposta di finanziare i nuovi istituti “leggeri” con questi fondi suona come l’applicazione della riforma alla rovescia. Ciò che dovrebbe essere destinato per la risocializzazione viene utilizzato per la reclusione; ciò che può favorire la rieducazione del condannato, la sua possibilità di integrazione e quindi la minore recidiva, viene ridotto o tolto. Pertanto, non possiamo che esprimere disapprovazione su questa scelta.
Indubbiamente, gli istituti fatiscenti vanno sostituiti: strazia il cuore e la decenza leggere di detenuti ubicati sotto il livello del mare come a Favignana, situazioni che aggiungono ulteriore scempio al concetto di dignità umana.
La gestione pubblica della pena ne garantisce la sua trasparenza. L’ingresso di privati, come annunciato nel "project financing", rischia di mettere ombre al sistema di garanzie che il pubblico deve detenere; è quindi alle articolazioni istituzionali che vanno chiesti mezzi e risorse.
La gestione della detenzione e della pena devono essere inserite in una complessità di operazioni, le loro interrelazioni e la loro integrazione postulano una forte volontà politica da parte degli amministratori per realizzare una stretta collaborazione tra il Ministero, le Regioni, gli Enti Locali e la “società civile”, tutti organismi impegnati a diverso titolo e responsabilità, in una migliore gestione delle carceri, della pena e delle misure alternative. È attraverso politiche mirate sull’esterno che si possono garantire minor recidiva, minore emarginazione, una esecuzione più utile della pena.
Il Ministro Alfano sostiene: “Abbiamo poco tempo e pochi soldi”. E’ vero, e qualcosa va fatto in fretta, qualcosa d’altro si può fare, oltre alle proposte elencate. Ad esempio, si può richiedere una convocazione urgente della “Commissione Nazionale per i rapporti tra il Ministero della Giustizia, le Regioni, gli Enti Locali e il Volontariato” che, nella riunione del 19 marzo 2008, ha approvato all’unanimità le “Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria”: queste, sottolineando le ragioni della necessità dell’inclusione e i danni prodotti invece dall’esclusione, delineano in modo preciso i principi e le modalità della collaborazione tra istituti e servizi del Ministero, la programmazione regionale, gli interventi dei servizi socio sanitari e culturali territoriali e il volontariato, fino all’inserimento delle attività per i condannati nei “Piani Sociali di Zona” previsti dalla legge 328/2000. Della commissione fanno parte le Regioni, il Consiglio Superiore della Magistratura, il Ministero dell’Interno, il Ministero della Pubblica Istruzione, il Ministero della Solidarietà Sociale, l’ANCI, e il Volontariato.
Si tratta di attualizzare e di concretizzare tali linee guida che offrono un modello di “governance” che nega la “centralità” del carcere come unica forma di pena, afferma l’importanza dello sviluppo delle misure alternative, riconosce la necessità dell’integrazione, nei rispettivi ruoli, tra Ministero della Giustizia, Regioni, Enti Locali, Servizi Territoriali e Società, offre le modalità per stabilire un piano organico e stabile, adeguato alle necessità locali, uscendo finalmente dal rincorrere di volta in volta l’emergenza che si presenta.
In alcune città e Regioni alcuni operatori penitenziari stanno cercando di rendere fattibili queste proposte, attraverso la loro determinazione ed il forte coinvolgimento degli Enti Locali; queste esperienze dimostrano che lavorare in questa direzione è possibile. Significa lavorare nelle città, nei singoli Provveditorati e istituti, con la magistratura di sorveglianza locale, individuare i soggetti che potrebbero essere proposti per una misura alternativa e comprenderne i bisogni, sviluppare e sostenere nel complesso tali misure in rapporto al numero dei soggetti beneficiari: alloggi, comunità di accoglienza, disponibilità della Chiesa locale, del volontariato, formazione e collocamento al lavoro, rapporti con le famiglie e con l’ambiente, accompagnamento nel trattamento,La drammatica situazione in atto non può trovare risposte unicamente nell’edilizia carceraria che non potrà mai costituire l’unica soluzione al problema; ed inoltre sarebbe un’ulteriore occasione perduta per non scegliere di moltiplicare il numero delle prigioni, per compiere una scelta differente, finché siamo ancora in tempo.

25.01.09- Elisabetta Laganà, presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
e SEAC- Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario

PARTITO DEMOCRATICO- LA PENA, TRA ESIGENZE DI SICUREZZA E REINSERIMENTO SOCIALE

Incidere realmente sulla effettività della pena irrogata significa intervenire con misure sia di largo che di immediato respiro. Il Partito Democratico è intervenuto e sta precisando le proprie proposte sia in un senso che nell’altro. Sotto il primo aspetto, si consideri quanto proposto, da un punto di vista ordinamentale, all’interno del ddl Casson AS 1043 sulla riforma del Codice Penale. La tanto invocata (ormai da decenni) depenalizzazione delle fattispecie di minima rilevanza sociale o aventi valore soltanto formale e la razionalizzazione del sistema delle pene non potranno che incidere, in senso sostanziale, sulla irrinunciabilità ad una pena che sia davvero effettiva, quando irrogata. Le proposte formulate dal PD sul tema, che di seguito si esporranno, nella consapevolezza della complessità dei problemi connessi al regime penitenziario, perseguono i seguenti principali obiettivi:
- assicurare nel concreto l'effettività della pena e il rispetto delle disposizioni contenute nelle sentenze di condanna;
- far sì che il carcere rappresenti l'extrema ratio cui ricorrere quando le altre misure -
meno desocializzanti, più responsabilizzanti e meno onerose (in termini umani e di
diritti civili, oltre che economici) - non siano disponibili o sufficienti a garantire la
sicurezza dei cittadini;
- garantire ai detenuti il rispetto rigoroso dei loro diritti fondamentali (in particolare: alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione professionale), potenziando i percorsi trattamentali e le misure idonee a consentire il reinserimento sociale e lavorativo del detenuto;
- qualificare e razionalizzare organico e funzioni della polizia penitenziaria;
- favorire la cura delle tossicodipendenze (che hanno grandissima incidenza sulla popolazione carceraria) al di fuori degli istituti di pena;
- destinare risorse adeguate alla creazione e ristrutturazione delle strutture necessarie;
- rendere effettiva la distinzione dei regimi e dei circuiti penitenziari tra detenuti in attesa di giudizio e condannati;

- 'umanizzare' il trattamento penitenziario e il regime di esecuzione della pena, garantendo che essi ledano nella misura minore possibile i diritti fondamentali dei detenuti e dei loro familiari, garantendo ad es. che le detenute madri possano mantenere relazioni stabili con i figli minori, senza per questo costringere i bambini a vivere la drammatica esperienza del carcere.
Inoltre, nell’immediato, le specifiche misure proposte dal Partito Democratico possono fornire una prima urgente risposta alle esigenze collettive di sicurezza e di certezza della pena, intervenendo in particolare sugli aspetti seguenti:
- in materia di misure alternative il PD sta valutando di proporre l' esclusione dell’esecuzione penale esterna per condanne per delitti aggravati da motivi abbietti o per delitto commesso adoperando sevizie o agendo con crudeltà verso le persone; l'esclusione della concessione di misure alternative per i delitti aggravati dalla produzione di danno patrimoniale di rilevante gravità( art. 61 n. 7) allorché non sia stata riconosciuta l’attenuante del risarcimento ovvero della spontanea ed efficace attivazione riparatoria; l'inasprimento delle previsioni volte a revocare l’affidamento in prova e la carcerazione domiciliare ove il comportamento del soggetto, violativo della legge o delle prescrizioni, sia incompatibile con la prosecuzione delle stesse; l'estensione del regime di cui all’art. 4 bis O.P. ai delitti contro la personalità individuale o la libertà sessuale, anche in assenza di un'imputazione per il reato associativo a tali condotte finalizzato;

lunedì 26 gennaio 2009

IONTA CONVOCA e le OO.SS. DICONO NO


Nel corso dell’incontro unitario svoltosi nella giornata odierna i Segretari Generali delle OO.SS.
rappresentative della polizia penitenziaria oltre ad aver affinato la proposta unitaria da portare al tavolo contrattuale ( la riunione di domani è stata rinviata al 28 gennaio) hanno anche deciso di non rispondere alla convocazione fatta pervenire dal Capo del DAP – Commissario Straordinario per l’edilizia penitenziaria, Pres. IONTA. I motivi di tale rifiuto sono da ascriversi non solo alla lontananza della data di convocazione (13 febbraio) e all’ordine del giorno non condiviso (sovraffollamento), quanto dal silenzio del Ministro Alfano che continua ad ignorare le richieste unitarie delle OO.SS. volte ad un incontro per riflessioni congiunte sugli organici da rideterminare e sulle tante ,troppe, criticità in atto.
E’ ben chiaro che stante l’attuale situazione di stallo e di fermo totale una manifestazione nazionale di protesta diventa sempre più una concreta possibilità.
Giustifica
Di seguito comunicato stampa unitario odierno
COMUNICATO STAMPA del 26 gennaio 2009
DELUSIONE E PROTESTE DEI SINDACATI DELLA POLIZIA PENITENZIRIA
Ennesima delusione delle Organizzazioni Sindacali della Polizia Penitenziaria, dopo la mancata convocazione da parte del Ministro della Giustizia Alfano a cui era stato chiesto un incontro urgente in relazione alle decisioni sul sovraffollamento delle carceri e sugli organici assunte dal Consiglio dei Ministri il 23 gennaio u.s. “Dopo il danno la beffa di vederci convocati solo dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – neo Commissario per l’edilizia penitenziaria Franco Ionta, addirittura per il 13 febbraio”, affermano i Segretari Generale di SAPPE, OSAPP, UIL, SINAPPE, CISL, CGIL, USPP, FSA/CNPP, SIAPPE, che comunicano anche: “ a tale incontro non andremo e non è escluso che entro qualche giorno il Ministro Alfano e il Capo del DAP Ionta per incontrarci debbano venirci a cercare nelle piazze in cui faremo sentire finalmente la voce di profondo dissenso di tutto il Personale”.

Carcere, la discarica sociale

fuoriluogo.it

Da L'Unità, di Davide Madeddu

E con la reclusione, molto spesso, arrivano le malattie. È un esercito di ammalati quello che popola le carceri d’Italia. Tra celle strette e umide e acqua calda che, molto spesso arriva a singhiozzo i detenuti devono fare i conti anche con i problemi di salute. Che non sono solo quelli provocati dalla tossicodipendenza e dall’alcoldipendenza ma si riguardano anche altre patologie che vanno dall’epatite alla tbc, dalla schizofrenia alle cardiopatie. «Il problema è serio e non può essere sottovalutato - spiega Francesco Ceraudo, dirigente responsabile del dipartimento medicina penitenziaria della Toscana e dirigente nazionale dei medici penitenziari - la situazione sanitaria nelle carceri continua a peggiorare, gli spazi sono sempre più stretti e i disagi così come i problemi di salute si accentuano dato che abbiamo quasi raggiunto la quota delle 60mila presenze».

È lungo l’elenco di malattie con cui devono fare i conti detenuti e operatori. La percentuale più alta di problemi di salute, secondo i dati elaborati negli ultimi tre anni dai medici penitenziari riguarda la tossicodipendenza che raggiunge la quota del 24 per cento. All’interno delle carceri però il 15 per cento dei detenuti deve fare i conti con le malattie osteo articolari e un altro 15 per cento con le malattie epato biliari. La depressione e le altre manifestazioni psicopatologie interessa quasi il 12 per cento dei detenuti mentre quelle gastrointestinali il 10 per cento della popolazione reclusa. A sfogliare l’elenco di malattie, casi e percentuali stilata dai medici penitenziari si scopre anche che, accanto ai detenuti colpiti da malattie cardiache (il cinque per cento) ci sono anche coloro che devono fare i conti con le malattie mentali (un altro cinque per cento), le malattie respiratorie (il nove per cento), quelle neurologiche. Il 14 per cento dei detenuti poi deve fare i conti con i problemi provocati dal deficit della masticazione. «La riforma promossa dal centrosinistra ci permette di fare un passo avanti - prosegue Ceruado - ma c’è ancora molto da fare perché nelle carceri, soprattutto in quelle tra Campania, Basilicata e Calabria la situazione è drammatica». Senza dimenticare poi l’aspetto dei suicidi. «In Italia si registra il doppio dei suicidi rispetto alla Spagna - prosegue Ceraudo - questo dato, 46 contro i 23 non deve in alcun modo essere sottovalutato. È ora di finirla con la concezione del carcere come discarica sociale». Dello stesso avviso anche Gianfranco Macigno, responsabile settore penitenziario della Cgil.

«La nuova finanziaria nazionale prevede un taglio del quaranta per cento delle risorse - dice - è chiaro che questo fatto non può che incidere sulla vita all’interno delle carceri, rendendo più drammatiche quelle situazioni che, alla fine, non fanno che provocare disagi e problemi alla salute degli abitanti». Punta il dito contro i tagli alle risorse economiche anche Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: «con minori risorse e un numero sempre maggiore di detenuti è chiaro che alla fine la situazione continui a peggiorare». Riccardo Arena, conduttore di Radiocarcere su Radio radicale e del portale www.radiocarcere.com per denunciare la situazione non una giri di parole. «Premettendo che la situazione è a macchia di leopardo è bene chiarire che le storie di disperazione dietro le sbarre provocate dai problemi di salute sono numerosissime - dice - ogni giorno arrivano valanghe di lettere con cui si chiede aiuto». Un esempio? «C’è la storia di un detenuto che si chiama Giovanni e sta al Buon Cammino di Cagliari che da due anni aspetta la dentiera - dice - oppure quella di un detenuto del carcere di Carignola dove un detenuto si è fatto levare un dente dai compagni di cella perché stava troppo male».

Carcere, la discarica sociale Da L'Unità, di Davide Madeddu - 23 gennaio 2009 E con la reclusione, molto spesso, arrivano le malattie. È un esercito

Carcere, la discarica sociale

Da L'Unità, di Davide Madeddu - 23 gennaio 2009

E con la reclusione, molto spesso, arrivano le malattie. È un esercito di ammalati quello che popola le carceri d’Italia. Tra celle strette e umide e acqua calda che, molto spesso arriva a singhiozzo i detenuti devono fare i conti anche con i problemi di salute. Che non sono solo quelli provocati dalla tossicodipendenza e dall’alcoldipendenza ma si riguardano anche altre patologie che vanno dall’epatite alla tbc, dalla schizofrenia alle cardiopatie. «Il problema è serio e non può essere sottovalutato - spiega Francesco Ceraudo, dirigente responsabile del dipartimento medicina penitenziaria della Toscana e dirigente nazionale dei medici penitenziari - la situazione sanitaria nelle carceri continua a peggiorare, gli spazi sono sempre più stretti e i disagi così come i problemi di salute si accentuano dato che abbiamo quasi raggiunto la quota delle 60mila presenze».

È lungo l’elenco di malattie con cui devono fare i conti detenuti e operatori. La percentuale più alta di problemi di salute, secondo i dati elaborati negli ultimi tre anni dai medici penitenziari riguarda la tossicodipendenza che raggiunge la quota del 24 per cento. All’interno delle carceri però il 15 per cento dei detenuti deve fare i conti con le malattie osteo articolari e un altro 15 per cento con le malattie epato biliari. La depressione e le altre manifestazioni psicopatologie interessa quasi il 12 per cento dei detenuti mentre quelle gastrointestinali il 10 per cento della popolazione reclusa. A sfogliare l’elenco di malattie, casi e percentuali stilata dai medici penitenziari si scopre anche che, accanto ai detenuti colpiti da malattie cardiache (il cinque per cento) ci sono anche coloro che devono fare i conti con le malattie mentali (un altro cinque per cento), le malattie respiratorie (il nove per cento), quelle neurologiche. Il 14 per cento dei detenuti poi deve fare i conti con i problemi provocati dal deficit della masticazione. «La riforma promossa dal centrosinistra ci permette di fare un passo avanti - prosegue Ceruado - ma c’è ancora molto da fare perché nelle carceri, soprattutto in quelle tra Campania, Basilicata e Calabria la situazione è drammatica». Senza dimenticare poi l’aspetto dei suicidi. «In Italia si registra il doppio dei suicidi rispetto alla Spagna - prosegue Ceraudo - questo dato, 46 contro i 23 non deve in alcun modo essere sottovalutato. È ora di finirla con la concezione del carcere come discarica sociale». Dello stesso avviso anche Gianfranco Macigno, responsabile settore penitenziario della Cgil.

«La nuova finanziaria nazionale prevede un taglio del quaranta per cento delle risorse - dice - è chiaro che questo fatto non può che incidere sulla vita all’interno delle carceri, rendendo più drammatiche quelle situazioni che, alla fine, non fanno che provocare disagi e problemi alla salute degli abitanti». Punta il dito contro i tagli alle risorse economiche anche Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: «con minori risorse e un numero sempre maggiore di detenuti è chiaro che alla fine la situazione continui a peggiorare». Riccardo Arena, conduttore di Radiocarcere su Radio radicale e del portale www.radiocarcere.com per denunciare la situazione non una giri di parole. «Premettendo che la situazione è a macchia di leopardo è bene chiarire che le storie di disperazione dietro le sbarre provocate dai problemi di salute sono numerosissime - dice - ogni giorno arrivano valanghe di lettere con cui si chiede aiuto». Un esempio? «C’è la storia di un detenuto che si chiama Giovanni e sta al Buon Cammino di Cagliari che da due anni aspetta la dentiera - dice - oppure quella di un detenuto del carcere di Carignola dove un detenuto si è fatto levare un dente dai compagni di cella perché stava troppo male».

Bernardini- Alfano stravolge fini di Cassa Ammende

Il Velino, 26 gennaio 2009

"Con un emendamento al Disegno di legge 1305, il ministro Alfano si appresta a stravolgere le finalità della Cassa delle ammende, aggiungendo fra le finalità la costruzione di nuove carceri. Si sa, le carceri sono sovraffollate e i detenuti vivono in condizioni indegne e illegali; i soldi non ci sono e il governo che fa?".

Lo dichiara Rita Bernardini deputata radicale eletta nelle liste del Pd. "Intanto - prosegue -, ha fatto tagli proprio nel settore carcerario cosicché i direttori dei 205 penitenziari già esistenti, fra qualche mese, dovranno scegliere fra tagliare sui pasti ai detenuti, o sul vestiario, o sull’intervento degli psicologi.

Agenti ed educatori, del resto, sono già sotto organico tanto che devono essere fortemente ridimensionate le già insufficienti attività trattamentali. I soldi non ci sono, e il ministro della Giustizia, dopo i tagli sui bilanci delle carceri esistenti, decide di saccheggiare la cassa delle ammende non "per il finanziamento di programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti ed internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale di detenuti ed internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione", come prevedono l’ordinamento penitenziario e l’art. 27 della Costituzione, ma per costruire nuove galere".

"Ora comprendo perché il ministro - aggiunge Bernardini - non abbia risposto alla mia interrogazione del 16 settembre dello scorso anno sull’inattività e le incongruenze denunciate da un’indagine della Corte dei Conti proprio sulla Cassa delle ammende.

Oltre a non fare alcuna riflessione sulla decarcerizzazione, che prevede pene più efficaci della permanenza in galera ai fini della riduzione della recidiva, nulla ci fa sapere il ministro sui motivi che lo spingono a costruire nuove carceri mentre ce ne sono decine costruite in passato e mai aperte per mancanza di personale; nulla ci dice su dove prenderà i soldi per gli addetti alle nuove galere; nulla ci dice il ministro sul fatto che il 50 per cento dei detenuti vengono scarcerati entro i primi 11 giorni.

Il ministro - conclude - mi delude: mi aspettavo più correttezza, saggezza e ragionevolezza. Invece, rischiamo di assistere all’ennesimo scandalo di sperpero del denaro pubblico senza riportare legalità nel sistema penitenziario italiano".

SATIRAINBLOG

domenica 25 gennaio 2009

NEWS SINDACALI

Nota del Dipartimento della Giustizia Minorile precisa che l’indennità di servizio penitenziario non risulta ricompresa tra le indennità soggette alla decurtazione nei primi dieci giorni di assenza per malattia (art. 71 del D.L. 112/2008 convertito nella legge n.133/2008). Scelta che risulta in linea con il parere dell’Aran rilasciato in analoga situazione (nota n. 2439 del 26.6.1995).

Leggi la nota del DGM inviata alla CONFSAL UNSA

Apprezzamento del Sappe alle dichiarazioni Ministro La Russa

Esprimiamo apprezzamento per la volontà espressa dal Ministro della Difesa Ignazio La Russa venerdì in Consiglio dei Ministri di coinvolgere anche le donne e gli uomini appartenenti alla Polizia penitenziaria nelle operazioni di prevenzione e tutela del territorio previste dall’operazione “Strade sicure”. Riteniamo che ciò sia una un accrescimento della professionalità del Corpo di Polizia penitenziaria, Corpo di Polizia dello Stato che ha sempre svolto un ruolo fondamentale ed importante nella salvaguardia e nella tutela delle Istituzioni e dei cittadini. A dichiararlo è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, che aggiunge: Ci confortano le parole del Ministro La Russa, che hanno messo in evidenza l’importante ruolo svolto quotidianamente dalla Polizia penitenziaria che non gode ancora di un’adeguata visibilità anche nell’opinione pubblica. Auspichiamo che nel contesto della Commissione ad hoc che a breve elaborerà il decreto ministeriale per il coinvolgimento nell’operazione “Strade sicure” anche del Corpo di Polizia penitenziaria, si possa trovare spazio per dare corso al progetto che prevede l'utilizzo dei Baschi Azzurri del Corpo all'interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe), in veri e propri Commissariati di Polizia penitenziaria presenti sul territorio e quindi anche all’esterno delle strutture carcerarie. Ci sono già stati diversi incontri tra Amministrazione penitenziaria e Sindacati del Corpo per definire il ruolo della Polizia penitenziaria negli Uffici per l'esecuzione penale esterna, e cioè svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di Polizia proprio la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell'affidamento in prova e, in linea a quanto annunciato dal ministro La Russa, essere impiegati sulterritorio con compiti di prevenzione sociale.
www.sappe.it

Giustizia: soldi Cassa ammende per nuove carceri? una truffa


di Stefano Anastasia

www.innocentievasioni.net, 24 gennaio 2009

"Il grado di civilizzazione di un Paese si misura dalle sue prigioni", scriveva circa un secolo e mezzo fa Fedor Dostoevskij. Il che significa che da quel fondo di bottiglia si ha uno sguardo veritiero sulle cose del mondo, e le cose del mondo vanno così: come ci ha spiegato il Ministro Tremonti, non è più tempo di finanza creativa, bisogna che lo Stato torni ad assumersi le proprie responsabilità.

E allora, chiusa la stagione neo-lib della Dike Aedifica Spa, la controllata di Patrimonio Spa, che avrebbe dovuto risolvere il problema della edilizia penitenziaria durante i governi Berlusconi bis e ter (e sappiamo com’è finita): ecco che, con il Berlusconi quater e la crisi finanziaria globale, è arrivato il tempo del caro, vecchio Commissario straordinario di Governo. Il Bertolaso delle carceri e degli investimenti pubblici per la costruzione delle carceri.

È questo, per il momento, il topolino partorito dalla montagna denominata "riforma della giustizia", il punto di incontro tra quelle forze della maggioranza che vorrebbero mettere più gente possibile in galera e quelle altre che, pur non avendo nulla da obiettare su questo incubo claustrofobico, si preoccupano che vi siano quanto meno spazi sufficienti per tutti. Ovvero: più galera per tutti e più galere per tutti.

Vale sempre l’obiezione che non saranno carceri costruite in cinque, dieci o venti anni a contenere il sovraffollamento penitenziario che non è di oggi, ma già di ieri. Se - come ha spiegato Roberto Cota ("il numero dei detenuti italiani non è eccessivo. Se avessimo la stessa proporzione degli Stati Uniti in carcere ci sarebbero 400.000 persone") - il punto di riferimento sono gli Usa pre-Obama, il Paese con il tasso di detenzione più alto del mondo e mediamente sette volte superiore a quello dell’Europa occidentale, altro che prefabbricati per i detenuti in attesa di giudizio, il Bertolaso delle carceri dovrà attrezzarsi con le tende da campo, come si usa - appunto - nella protezione civile.

Ma ciò che è più grave nella decisione del Governo è la vera e propria truffa operata ai danni dei detenuti: l’investimento pubblico nell’edilizia penitenziaria prevede l’acquisizione delle risorse finanziarie della Cassa delle ammende: una cifra che supera di gran lunga i cento milioni di euro e che dovrebbe essere destinata all’assistenza economica delle famiglie dei detenuti e ai programmi per il loro reinserimento sociale. Niente male per il nostro Robin Hood: prende ai poveri per metterli in galera. Dal carcere al carcere. E così l’ambiziosissimo progetto di "400.000 detenuti" - che finalmente ci metterebbe "al passo con l’America" - non appare poi così irraggiungibile.

Giustizia: la destra "fa società" colla paura, la sinistra non c’è


di Massimo Ilardi

Liberazione, 24 gennaio 2009

"Saremo inflessibili nei confronti di chi non rispetta le regole": lo hanno gridato continuamente sia Rutelli che Alemanno durante la campagna elettorale dello scorso anno per l’elezione del nuovo sindaco di Roma. Su questo l’inciucio è stato perfetto. E seguita ad esserlo.

Divieti, controlli, ossessione sulla sicurezza, demonizzazione del conflitto: oggi è solo così che si tenta di ricreare quei legami sociali spezzati da una società del consumo e da un paese diviso atavicamente in fazioni e che ha nel suo Dna l’assenza di senso dello Stato. Eppure il vecchio sistema dei partiti e la sua classe dirigente, nati dentro una guerra civile, avevano trovato gli antidoti per combattere la frantumazione sociale: producevano politica, organizzavano opposizioni reali, sapevano rappresentare il conflitto.

Il fatto è che all’avvento del primato del mercato non ha corrisposto una generazione politica all’altezza della prova: mantenere la politica al suo posto di comando. Qui e solo qui sta il declino italiano. Il "fare società" attraverso la scorciatoia del proibizionismo delle norme, che si pretende tra l’altro di erigere a comportamento morale, è l’ultimo ritrovato di una classe politica che ha drammaticamente fallito nel suo compito di governare il paese perché non possiede né autorità, né prestigio. Da qui il primato dell’economia e del diritto sulla politica che tende a scomparire: dove tutto è normalizzabile tutto è governabile.

E così mentre, a livello nazionale, si cerca il modo di tornare a proibire o a ridimensionare la legalità dell’aborto, a fare ancora qualche pensierino sulla cancellazione del divorzio, a ripristinare nelle scuole il primato del voto di condotta, a prendere le impronte digitali alla popolazione Rom, a organizzare ronde militari per la città e a vietare di fumare, andare liberamente allo stadio, farsi gli spinelli, prendere la residenza senza un lavoro, praticare il nomadismo e il commercio di strada; a Roma, oltre a tutto questo, si impedisce agli immigrati di lavare i vetri delle macchina, si nega di vendere la sera alcolici da asporto, si propone di mettere telecamere nelle scuole e sui mezzi pubblici, si studia come organizzare una centrale di vigilanza e di controllo su tutta la città.

È una apoteosi di regole, norme, balzelli, tributi, pedaggi, controlli di ogni genere che neanche nei secoli bui del Medioevo ne troviamo così tanti. Ma qualcuno di questi nuovi sceriffi metropolitani dovrà pur spiegarci prima o poi perché la casa e la famiglia siano diventati i luoghi di massimo pericolo proprio nel momento in cui consentono di mettere all’opera gli strumenti per costruire il massimo di sicurezza.

J. G. Ballard, ad esempio, ne dà una ragione: scrive che la comunità sicura e protetta e una famiglia chiusa e normale, dove i ruoli siano rispettati scrupolosamente, come vorrebbero gli amministratori severi dei nostri corpi e delle nostre anime, inchiodano i loro abitanti a un mondo sempre uguale e senza eventi trasformando quei luoghi che riteniamo più sicuri in socialmente più pericolosi proprio perché nella vita di uomini e donne sicurezza e libertà non vanno d’accordo. In un universo che vuole essere perfetto, in una famiglia che vuole essere totalmente sana, l’unica libertà per coloro che si sentono imprigionati diventa allora la devianza. Molto spesso la follia.

A livello politico, la verità è che senza più una teoria di governo e un pensiero forte che la produce, la elabora, la trasforma in guida per l’azione è solo l’idea di ordine che muove questo pensiero angoscioso del controllo e della sicurezza che diventa così pura articolazione della macchina istituzionale e del suo potere. Se non si stabilisce un ordine non c’è potere che tenga: ma il potere solo come ordine diventa amministrazione, burocrazia che si organizza in macchina autoritaria che percorre il territorio e pretende di strutturarlo.

Eppure, sembra incredibile, ma i dati del Viminale, nel raffronto tra il 2006 e il 2007, evidenziano in Italia una diminuzione degli omicidi e degli stupri e confermano Roma come una delle città più sicure del nostro paese. Non solo. Nel secondo semestre del 2007 rispetto al primo diminuiscono nella città omicidi, violenze sessuali e rapine. Ora se è vero che la sicurezza è soprattutto una questione di percezione più che di statistiche, è anche vero che questa percezione viene ancora di più sollecitata e ingigantita dai mezzi di comunicazione che non perdono occasione per creare un clima di paura e di allarme sociale.

Ed è proprio sullo sfruttamento di questo panico che ha fatto perno a Roma la campagna elettorale sia del centrodestra che del centrosinistra. Ma mentre la destra non faceva che nuotare nel suo mare fatto da sempre di tolleranza zero e di esclusione del diverso, la sinistra, quella moderata, che proviene da una cultura dove invece rimane centrale la Dichiarazione dei diritti universali della persona, nel momento in cui l’abiura per meschini calcoli elettorali non può che risultare alla fine meno credibile del suo avversario.

Invece di contrapporsi alla falsità di questa emergenza che la stessa Chiesa ha negato e che serve solo a un ceto politico incapace di governare altrimenti, si è messa a rimorchio della destra; invece di produrre con decisione un immaginario e un simbolico diverso da quello costruito dagli spettri della paura con una proposta politica fortemente alternativa a quella della semplice militarizzazione del territorio, partorisce i soliti e beceri luoghi comuni sulla sicurezza. Forse avrebbe perso lo stesso ma almeno la sua sbandierata diversità sarebbe risultata meno opaca.

Che si combatta, ad esempio, con tutti i mezzi legali a disposizione e si punisca la violenza dei bulli, degli aggressori e degli stupratori è ovviamente cosa sacrosanta. Ma altrettanto cosa sacrosanta è avere il coraggio di dire con forza che non tutti gli immigrati sono aggressori e stupratori. Che si ribadisca in tutte le sedi che la lotta politica va situata dentro la democrazia, è anch’essa cosa sacrosanta.

Ma altrettanto cosa sacrosanta è saper indicare finalmente un "nemico" per organizzarsi come "parte", per restituire forza, orgoglio e rispetto a chi si sente diverso dal razzismo rozzo e superstizioso della casalinga frustrata, del bottegaio ingordo, del piccolo borghese ottuso, e da chi non frequenta quei terrificanti salotti televisivi, dove tra veline, gnomi e ballerine la conoscenza si ferma al pettegolezzo, al piagnisteo o a qualche culetto svolazzante. Ma, come ha scritto Enzo Scandurra su questo giornale, con spot pubblicitari come "I care" e "We can" al massimo ci puoi dirigere un supermercato non organizzare un’opposizione.

Il dramma della sinistra, soprattutto di quella moderata, è che non riesce più a prendere terra, a produrre conoscenza del territorio, delle culture e delle mentalità che lo attraversano, a fare analisi dei movimenti, a individuare nei mutamenti della stratificazione sociale il livello a cui dovrebbe far riferimento. Una carenza di una gravità inaudita soprattutto in una società del consumo che produce appartenenze e differenze proiettandole direttamente sul territorio che diventa così un contenitore esplosivo di particolarismi in continua lotta tra loro.

È il territorio e non la nuda vita a entrare a pieno titolo nel campo della decisione politica. E mentre scompare una pur sia minima pratica di intervento nei conflitti sociali, torna prepotentemente alla superficie il vecchio e mai sopito vizio statalista della sua cultura che vede tutto ciò che fuoriesce dalle istituzioni come qualcosa di perverso e di diabolico e di conseguenza la porta a non riuscire mai a sintonizzarsi con la irregolarità delle forme di lotta e con la collera sociale anti-sistema che le fomenta. Anzi, proprio perché non le conosce, ne ha paura e le criminalizza.

Il piano carceri

www.ansa.it
CARCERI, CDM APPROVA PIANO ALFANO ROMA - Il piano carceri messo a punto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano è stato approvato dal consiglio dei Ministri. Il piano è contenuto in un emendamento al decreto 'milleproroghe'.

Il neo commissario straordinario delle carceri Franco Ionta avrà poteri speciali per accelerare la costruzione di nuovi istituti di pena. Lo ha detto il ministro della Giustizia Angelino Alfano parlando con i giornalisti dopo la riunione del Consiglio dei ministri. Ionta - ha spiegato il ministro - dovrà indicare "la migliore e più razionale allocazione degli istituti penitenziari nel nostro paese" e potrà sostituirsi alle amministrazioni inadempienti. I nuovi istituti saranno considerati "strutture strategiche nazionali" ha aggiunto il ministro. Il commissario straordinario avrà anche la facoltà di "dimezzare tutti termini relativi alle autorizzazioni" proprio per rendere più veloce l' iter per la realizzazione di nuovi carceri.

Fino ad oggi l' emergenza carceraria è stata affrontata solo con le amnistie e gli indulti. "Con la realizzazione di nuove carceri abbiamo scelto di seguire un' altra strada". Lo ha aggiunto il ministro della Giustizia. "La politica di contrasto alla criminalità - ha spiegato - non può avere un freno nel problema della capienza delle carceri. I criminali non possono smettere di andare in galera perché non ci sono galere che possano ospitarli. Noi dobbiamo costruirne di nuove facendo sì che chi ci finisce sia trattato da uomo con piena dignità e con la possibilità di scontare la pena sperando nella rieducazione del detenuto".

''Abbiamo poco tempo e non abbiamo i soldi, ma abbiamo un obiettivo: portare il numero dei detenuti consentiti da quello attuale di 43 mila a certamente sopra i 60 mila posti''. Ha detto Alfano. ''Alle 17 di ieri nelle carceri c' erano 58.200 detenuti - ha detto il ministro - noi intendiamo affrontare questa situazione con efficacia''. Nelle 206 carceri italiane i posti letto regolamentari sono attualmente 43mila, mentre il limite tollerabile e' di 63mila. Alfano ha spiegato che per accelerare al massimo l' iter per la realizzazione dei nuovi istituti, il piano prevede la riduzione dei tempi per i ricorsi amministrativi in modo da aggirare gli intoppi creati da lunghi contenziosi.

giovedì 22 gennaio 2009

Nuovo Schema di Decreto Regolamentare per Esecuzione Penale Esterna

Clicca su:
Dap: schema di Decreto Regolamentare per Esecuzione Penale Esterna (pdf)

domenica 18 gennaio 2009

MUSICA E CARCERE

da www.sottoilmare.it

Ai link sottostanti è scaricabile gratuitamente il CD "VLP Sound - Angeli di sabbia", registrato presso il carcere milanese di San Vittore e masterizzato a Sotto il Mare.

“ANGELI DI SABBIA”

&
NUOVI PROGETTI VLP SOUND

"Dalla musica impari ad ascoltare te stesso, ogni volta con meno paura. Poi cominci a non difenderti più e ad esprimerti davvero. Allora puoi scegliere di non fare certe cose perché capisci che non hanno senso. Cominci a percepire altro… Di questo parla la nostra musica. Questo è l’obiettivo del nostro progetto.

Per concretizzarlo, VLP SOUND propone di creare uno studio di registrazione fuori dal carcere dove le persone che arrivano da “dentro” possano continuare una strada che li allontani dai percorsi delinquenziali.

Buona musica e reinserimento sociale devono andare di pari passo. Alla produzione musicale verrà affiancato un supporto al reintegro socio-lavorativo in rete con le persone che già operano nell’ambito del recupero.

La qualità della musica non deve mettere in secondo piano gli obiettivi di promozione umana del progetto. Il lavoro sociale non deve essere un giustificativo per abbassare la qualità del prodotto.

La musica è un mezzo potente per umanizzare il carcere.

Quando si fa musica insieme, si creano inevitabilmente nuovi canali di comunicazione: il rapporto con l’altro cambia.

Facendo questo CD, le relazioni umane si sono basate sull’ascolto e sulla collaborazione.

La parte intatta del proprio sé, che si esprime tramite il suono, è la prova inconfutabile che l’umano è ancora lì, nascosto da qualche parte.

L’esperienza di questi anni ci ha insegnato a produrre musica di qualità senza trascurare la persona e la sua particolare problematica.

La sfida è quella di trovare insieme canali innovativi di comunicazione e distribuzione che diano visibilità al progetto senza togliere peso al percorso di trasformazione e ricupero di tutte le persone. "

Alejandro Jaraj

Curatore del Progetto
VLP Sound

01 Tiempo
02 La mia storia
03 From the Hood
04 Come una piuma
05 Luna di settembre
06 My Destiny
07 Frasi
08 Spitting fire
09 Chicco di riso
10 Zombie


Per contatti:

Alejandro Jaraj

Cell. 338-5004477 - E-mail: ale-j@libero.it

Emilio Sioli: (organizzazione)
Cell. 335-8304289 - E-mail: artiecorti@libero.it

Come Entrare Più Facilmente in Cella

da www.innocentievasioni.net
TUTTE LE MISURE DEL GOVERNO BERLUSCONI PER INCREMENTARE IL SOVRAFFOLLAMENTO
di Federica Resta

Come se prima non lo fosse abbastanza, oggi sarà ancora più facile finire in carcere. Almeno per determinate persone. Non certo per i colletti bianchi che pur si macchiano di reati gravissimi per la trasparenza del mercato, la tutela del risparmio, la corretta amministrazione della cosa pubblica. Le persone che hanno maggiore probabilità di andare in carcere oggi (più di ieri) sono gli stranieri, i soggetti deboli, i c.d. outsiders sociali, quelli cioè che appartengono alle fasce marginali della società e che spesso sono strumentalizzati dalle organizzazioni criminali, i cui capi non sono certo adusi a ‘sporcarsi le mani’, preferendo invece dare ordini; ovviamente criminosi. Dall’insediamento del Governo Berlusconi- quater infatti, la politica criminale ha perseguito strenuamente l’obiettivo di un diritto penale diseguale, asimmetrico, forte con i deboli e debole – se non addirittura inerte – verso i forti. Con il pacchetto sicurezza varato nel primo Consiglio dei ministri e in particolare con il decreto-legge n. 92/2008, convertito in legge a luglio scorso, questo disegno era già chiarissimo. Basti pensare che la norma sostitutiva dell’emendamento salva-Premier (quello cioè che avrebbe dovuto bloccare i processi il cui imputato era il Premier), dettando agli uffici giudiziari la scala di priorità nella trattazione dei procedimenti, rallenta (fino alla probabile maturazione della prescrizione) quelli tipici dei ‘colletti bianchi’ e della criminalità economica, per agire con inusuale sollecitudine nei confronti di tutti gli altri.Ma non è solo un problema di tempi. È invece anche e soprattutto un problema di soggetti, di persone e di categorie. Lo stesso decreto-legge, infatti, ha introdotto misure di inedito rigore nei confronti dei reati commessi dagli stranieri, per il solo fatto di essere tali. Si pensi all’aggravante c.d. di clandestinità, che inasprisce le pene per qualsiasi reato, se commesso da chi si trova illegalmente sul territorio nazionale, senza esigere neppure un minimo collegamento con il fatto, le sue caratteristiche o il bene giuridico protetto. Per le persone cui sia stata applicata la c.d. aggravante di clandestinità è poi preclusa la possibilità di sospendere, come ordinariamente avviene, l’esecuzione la pena, che nei confronti di queste persone deve avvenire rigorosamente in carcere, per poi passare in un altro luogo di detenzione: il CPT (ora CIE: centro di identificazione ed espulsione), in attesa dell’espulsione. Si pensi anche all’inasprimento delle norme che prevedono l’espulsione e la misura di sicurezza come sanzioni accessorie alla pena ordinaria prevista per pressoché tutti i reati, se commessi da stranieri, ancorché comunitari. La stessa alterazione di parti del corpo (ad esempio, l’abrasione delle creste papillari) volta ad impedire l’identificazione è stata qualificata come delitto, come se non bastasse la pena che il soggetto si autoinfligge con l’autolesionismo, e come se, di fronte alla disperazione di chi è disposto a farsi del male pur di non essere espulso, fosse sufficiente la minaccia della reclusione ad impedire tali comportamenti. E per fare terra bruciata attorno allo straniero, si è addirittura prevista la pena della reclusione fino a tre anni per chi ceda, dia alloggio o affitti un immobile a uno straniero irregolarmente soggiornante nel territorio nazionale. Ma la rivendicazione punitivista del decreto-legge sicurezza ha un raggio più ampio e colpisce quasi indiscriminatamente tutti coloro che non appartengano alla categoria dei colletti bianchi. Si pensi in tal senso all’aggravante speciale (che determina l’applicabilità dell’ergastolo) dell’omicidio, per il solo fatto che la vittima sia un funzionario di polizia giudiziaria o un agente di pubblica sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni (il riferimento inevitabile è all’omicidio dell’agente di polizia Raciti, nel corso di una partita di calcio nello stadio di Catania). Ora, se è vero che l’omicidio del funzionario pubblico deputato per definizione alla tutela della sicurezza pubblica assume una particolare gravità, è altrettanto vero che la gravità di un fatto quale l’uccisione di un uomo non può dedursi sic et simpliciter dallo status soggettivo della vittima. Tanto più se esso determina l’applicazione di una pena incostituzionale per sua stessa natura, quale l’ergastolo, che il legislatore, lungi dall’estendere, dovrebbe invece abolire, una volta per tutte. Ancora, lo stesso decreto-legge ha escluso che l’incensuratezza dell’imputato possa bastare ai fini dell’applicazione delle attenuanti generiche, così determinando inevitabilmente un inasprimento delle pene irrogate nei confronti di chi non abbia mai commesso un reato. Ma l’area del ‘penale’ verrà estesa ancora di più in seguito all’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza attualmente all’esame del Senato. Ancora una volta, il cardine del provvedimento ruota attorno all’immigrazione, ridotta sempre di più a mera questione penale. In tal senso, particolarmente significativa è la proposta di qualificare come reato ciò che oggi rappresenta un mero illecito amministrativo, ovvero l’ingresso e la permanenza irregolare nel territorio dello Stato. E’ chiaro che il reato così introdotto interesserà una vasta platea di persone; tutte quelle che, anche per effetto dei farraginosi meccanismi della legge Fini-Bossi, si trovano costrette a permanere in Italia senza un permesso di soggiorno valido, magari anche solo scaduto. E se si pensa che – come ha riportato la stampa nell’autunno scorso – le amministrazioni competenti non riescono a emettere i titoli di rinnovo dei permessi di soggiorno scaduti in tempo utile a non rendere (apparentemente) irregolare la permanenza nello Stato dello straniero, è evidente che un simile reato finirà per colpire anche persone che non abbiano neppure violato la legge. Ma non è solo il carcere l’istituzione totale che segna e ancor di più in futuro segnerà gli orizzonti dell’esistenza di molti stranieri. Un altro luogo di privazione della libertà - destinato rigorosamente ai non cittadini – è il centro di identificazione ed espulsione, ove vengono detenuti gli stranieri da identificare e, nella maggior parte dei casi, da espellere, senza che abbiano commesso alcun reato; bastando a tal fine la sola esigenza di accertarne l’identità. Se questa forma di detenzione amministrativa è già illegittima (oltre che inopportuna) oggi, pur nei limiti dei 2 mesi previsti come termine massimo, a maggior ragione lo sarà quando, in seguito all’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza, potrà essere protratta fino a un anno e mezzo, in caso di difficoltà nell'accertamento dell'identità e della nazionalità dello straniero, o nell’acquisizione dei documenti per il viaggio. La direttiva Ce 'migration policy', invocata dal Governo italiano a sostegno della misura, prevede che il termine massimo di 18 mesi valga per la sola resistenza all'identificazione, il che è diverso dalla mera difficoltà nell'accertamento. Inoltre, la direttiva sancisce il carattere di extrema ratio del trattenimento, prevedendo la liberazione dello straniero qualora non esistano verosimili possibilità di esecuzione dell’espulsione. Correttivi, questi, assenti dal disegno di legge, nonostante la Commissione de Mistura abbia dimostrato che i tempi per l'identificazione dello straniero non superano mai i 60 giorni. Perché allora legittimare una simile estensione della detenzione amministrativa, per un tempo pari a quello di pene previste per reati anche di una certa gravità, invece di promuovere gli accordi di riammissione che, essi soli, rendono effettive le espulsioni? E come giustificare tale privazione della libertà motivata solo da circostanze estranee alla condotta individuale, quali sono l'indisponibilità dei documenti di viaggio o l'impossibilità di identificare lo straniero?

venerdì 9 gennaio 2009

Il governo di Berlusconi... e il "bluff" sulla sicurezza

di Gianluca di Feo

L’Espresso, 9 gennaio 2009

In aumento stupri, rapine ai negozi e sbarchi di clandestini. La tanto sbandierata lotta al crimine del governo Berlusconi non ha cambiato la situazione. Ma nessuno lo dice.

Potevano stupirci con giochi di luce ed effetti speciali, con i soldati nelle strade e retate spettacolari. Ma alla fine le cose non cambiano: il primo bilancio della sicurezza nell’era Berlusconi è un bluff. La situazione migliora, certo. Ma i reati diminuiscono nell’identica maniera in cui stavano calando negli ultimi mesi del governo Prodi. Sì, perché i record annunciati in pompa magna da prefetti e questori sono tali solo grazie al confronto con il 2007, l’anno nero segnato dal boom dei crimini per effetto dell’indulto. La contabilità reale dell’Italia a mano armata non cambia. Anzi, in certi settori peggiora. C’è un picco di rapine contro i negozi. C’è un aumento in diverse città di quelle violenze sessuali che soltanto un anno fa avevano contribuito a far dilaniare il senso di insicurezza. E c’è un peggioramento drammatico dell’immigrazione clandestina dall’Africa: 36.800 persone sbarcate nel 2008, la cifra più alta negli ultimi dieci anni. Insomma, una debacle proprio su quel tema cavalcato dal centrodestra nell’ultima campagna elettorale.

Banditi alla cassa - Partiamo dal risultato migliore. Tutti i bilanci sbandierati per il capodanno mettono in evidenza un dato di sicuro effetto: il crollo delle rapine in banca. Tutto vero. Le statistiche che l’Ossif, l’osservatorio per la sicurezza dell’Abi, ha elaborato per L’espresso mostrano da giugno a ottobre - i primi mesi del governo Berlusconi - un calo del 26,7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Complimenti? Pochi. Perché già nell’ultimo semestre prodiano il miglioramento era stato netto: oltre il 23 per cento di colpi in meno. Insomma, persino in questo caso il cambiamento è minuscolo. E la medaglia al valore va soprattutto agli istituti di credito, che hanno incrementato le protezioni spingendo i banditi verso obiettivi meno difesi. Sono così finiti nel mirino uffici postali, supermercati e negozi.

Le rapine agli esercizi commerciali sono in crescita quasi ovunque. A Milano i dati ufficiosi della questura, segnalano un boom: a metà dicembre ne erano state censite 626 contro le 460 dell’intero nefasto 2007, un terzo in più. Nella provincia di Bologna tra gennaio e novembre ne sono state contate 127 (7 per cento in più). A Napoli e a Bari le aggressioni ai negozianti sono in lieve aumento, nella capitale invece tocca alle Poste pagare il prezzo più caro. In tutta Italia però il primato negativo spetta alle farmacie. A Roma e Milano i colpi sono triplicati. Nel capoluogo lombardo si è passati da 131 a 267. Mentre i farmacisti si mobilitano, chiedendo più sicurezza, le altre categorie non danno visibilità all’allarme. Eppure erano state proprio le organizzazioni dei commercianti ad animare le proteste di piazza più clamorose contro il crimine.

Indulto - L’Italia delle statistiche criminali è un labirinto dove si fatica a trovare dati omogenei: di anno in anno cambiano i riferimenti territoriali e persino i criteri. È come se i numeri rispecchiassero la nostra atavica incapacità di coordinamento tra i responsabili dell’ordine pubblico. "È un caos, senza serie storiche, con procedure che risalgono all’epoca fascista", sintetizza il professor Giandomenico Amendola, autore per Liguori di Città, criminalità, paure: "Nessuno riesce ad avere basi per impostare una politica di sicurezza". "Quella che emerge è una criminalità a macchia di leopardo, senza aree omogenee. I dati sono controversi: diminuiscono i reati ma aumentano le persone denunciate", puntualizza Ernesto Savona, docente di criminologia alla Cattolica e direttore di Transcrime.

Così L’espresso ha dovuto attingere a fonti diverse. I bilanci, provvisori e parziali, di fine anno delle forze dell’ordine sono tutti positivi. C’è un dato però che tende ad uniformare le città del centro-nord: un calo dei reati totali nel 2008 tra il 15 e il 20 per cento, su cui incide soprattutto il crollo di furti e borseggi. Ed è sorprendente notare come questa flessione coincida in linea di massima con l’effetto determinato nel 2007 dall’indulto, la scarcerazione di massa senza prospettive di reinserimento che provocò un aumento dei reati predatori.

A crollare ora sono le rapine in banca, i borseggi, i furti di auto: gli stessi misfatti che - come evidenzia un’analisi scientifica di Giovanni Mastrobuoni e Alessandro Barbarino del Collegio Carlo Alberto di Torino - subirono la maggiore impennata dopo la clemenza del 2006. Tra le pochissime città che possono vantare un miglioramento anche rispetto al 2005 spicca Verona. In tutta Italia, però, se si cerca di esaminare settori senza legami con l’indulto, come omicidi e narcotraffico, allora i buoni propositi svaniscono.

Per gli omicidi, un orientamento arriva dal Web dove un gruppo di laureati in sociologia li censisce in tempo reale usando le cosiddette fonti aperte (www.delittiimprefetti.com). Nel 2008 hanno contato 609 morti violente: solo 10 in meno dell’anno precedente. In 158 casi il movente è classificato come mafioso e in 50 come rapina. Il primato di sangue va alla Campania (114) seguita dalla Lombardia (76).

Spot marziale - Il principale provvedimento show del governo è stato l’invio dei soldati nelle strade cittadine, sostenuto dal ministro Ignazio La Russa. Sono stati utili? Sicuramente, ma si è trattato di una misura essenzialmente di immagine. Il ministero dell’Interno ritiene che i tremila militari abbiano liberato 1.100 agenti e carabinieri. Per l’esattezza, con mille fanti davanti agli obiettivi sensibili sono stati recuperati 369 uomini delle forze dell’ordine; altri mille soldati hanno riscattato 778 poliziotti dalla sorveglianza dei centri immigrati; infine altri mille sono andati di ronda nei quartieri.

Mille è un numero evocativo, ma contrariamente allo spirito garibaldino di rivoluzionario si è visto poco. A Milano, per esempio, i 170 alpini che si sono alternati nei controlli di fatto hanno permesso di schierare una ventina di pattuglie al giorno. "Che senso ha impiegare l’esercito contro i piccoli spacciatori in una realtà come Torino?", commenta Fabrizio Battistelli, docente di sociologia alla Sapienza che ha appena pubblicato per Franco Angeli La fabbrica della sicurezza: "Non dimentichiamo che abbiano già le forze dell’ordine più numerose di tutta Europa, sarebbe assurdo pensare che tremila militari cambino la situazione". Una stima calcola che ci siano 355 mila uomini solo nei corpi di polizia nazionali: una massa che rende irrilevante il supporto dei soldati.

"Le ronde miste non possono risolvere i problemi di metropoli complesse come Napoli", aggiunge il professor Amendola: "Anche un’innovazione positiva come il poliziotto di quartiere poi è stata applicata in modo sbagliato. A Napoli ce ne sono sei per vigilare su due quartieri con 200 mila abitanti". Quanto ai carabinieri e ai poliziotti liberati dall’intervento dell’Esercito, senza addestramento e riqualificazione è difficile che diano contributi significativi. Ma alle forze dell’ordine mancano mezzi e uomini in tutti i reparti chiave.

E non ci sono fondi nemmeno per rimpiazzare i vuoti. Secondo l’Arma, nel 2009 servirebbero 450 milioni di euro per addestramento e manutenzione mentre il bilancio dello Stato prevede solo 270 milioni: il taglio andrà a colpire soprattutto la preparazione e quindi i risultati operativi. In tutte le città si lamentano carenze di personale proprio in quei settori determinanti per la sicurezza. Il questore di Treviso Carmine Damiano ha parlato di otto volanti in meno. Riccardo Ficozzi, combattivo segretario del Siulp fiorentino, definisce "lo sforzo richiesto alla polizia" come "superiore alle nostre possibilità: per mantenere gli impegni elettorali ci avviciniamo al collasso. La richiesta di maggiore impegno, si traduce in pattuglioni straordinari e doppi turni mentre registriamo una drastica riduzione di agenti e mezzi. Firenze nel 2008 ha perso 49 poliziotti, mai rimpiazzati". Il sindacalista cita un episodio surreale: "La Squadra mobile per pedinare un criminale si è dovuta far prestare la moto da un privato cittadino".

Violenza senza notizia - L’episodio della ragazza stuprata a Roma durante il party di Capodanno patrocinato dal Campidoglio, conquistato dal Pdl grazie a una campagna martellante sulla sicurezza, ha riacceso i riflettori su questo reato, dimenticato dopo gli slogan elettorali. Ma l’anno appena chiuso non ha visto miglioramenti degni di nota. Nella Capitale il questore ha riconosciuto l’aumento degli abusi sulle donne. In Lombardia i carabinieri nel 2008 hanno registrato 583 casi, stesso numero del 2007, 22 in più del 2006. Nella provincia di Milano a fine novembre erano 208, contro i 228 dell’intero 2008. L’espresso si è rivolto alla Mangiagalli, la struttura del Policlinico milanese che gestisce il Servizio di soccorso sulla violenza sessuale.

Al 12 dicembre i casi erano stati 325, la stessa cifra dell’intero 2007 molti più del 2006. Alessandra Kustermann, responsabile del Centro violenze sessuali, spiega che mentre gli stupri "da strada" sembrano in lieve calo, sono in aumento le aggressioni tra conoscenze occasionali. "Molte iniziative hanno dato i frutti sperati come una maggiore illuminazione notturna, gli autobus a chiamata e un aumento dei servizi pubblici. Tutti fattori che contribuiscono ad abbassare il numero delle aggressioni da parte di sconosciuti. Ma nel nostro centro registriamo un aumento degli stupri commessi da qualcuno incontrato in discoteca o presentato da amici; e sempre più spesso queste persone utilizzano le droghe dello stupro, sostanze che provocano perdita di coscienza e memoria, versate nei cocktail".

La droga ordinaria - Il settore della lotta agli stupefacenti è uno dei pochi che offre statistiche aggiornate su scala nazionale. Su questo fronte l’attenzione mediatica non sembra diminuita, anche a causa Ignazio La Russa dei reati causati dai tossicomani. Ma al dilagare del consumo non sembrano corrispondere attività di contrasto proporzionali. I dati ufficiali di giugno-novembre mostrano addirittura un calo delle quantità sequestrate rispetto agli stessi mesi del 2007: 14 tonnellate contro 18. Le forze dell’ordine hanno messo le mani su 3 quintali di eroina e 2,5 tonnellate di cannabis in meno. Positivo solo il bottino nella cocaina, 180 chili in più. A sorprendere però è il calo delle operazioni, 500 in meno, e soprattutto delle persone denunciate o arrestate, oltre 1700 in meno. Tutti gli esperti concordano su un fatto: in assoluto, questi dati hanno uno scarso rilievo statistico. Ne emerge però l’assenza di una mobilitazione straordinaria proprio su una materia che viene percepita come emergenza nazionale.

Assalto alle coste - Il ministro leghista Roberto Maroni ha fatto del contrasto all’immigrazione clandestina una delle priorità di governo. Finora però è stato sfortunato. Nel 2008 gli sbarchi dall’Africa sono moltiplicati, segnando un vertiginoso più 75 per cento: a Lampedusa e sulle coste di Calabria e Sardegna sono arrivati in 36.900. Sono cifre senza precedenti: i picchi del 98-99 erano dovuti soprattutto all’emigrazione dai Balcani lungo la rotta albanese, in rapporto con il conflitto del Kosovo.

Adesso invece i migranti arrivano dal Maghreb o dalla disperazione dell’Africa nera, partendo dagli scali libici riaperti dal governo di Tripoli dopo la vittoria elettorale di Berlusconi. In forte passivo anche il risultato dei rimpatri: nei primi sette mesi erano stati 4.082 su 14.420 nuovi arrivi e in tutto l’anno non dovrebbero avere superato gli ottomila. Mentre i bollettini delle questure sono pieni di espulsioni decretate ma teoriche, gli sforzi del ministro hanno permesso di noleggiare solo 38 voli charter per portare via 1199 extracomunitari.

Paura repressa - Se i reati non cambiano perché la percezione di insicurezza appare in calo? "Semplice: c’è un blackout nelle informazioni. I Tg e i grandi quotidiani non ne parlano quasi più", commenta Battistelli: "Dopo due anni spesi ad esaltare ogni delitto, la materia non è più nell’agenda politica del centrodestra: non ci sono più proteste di piazza che chiedono maggiore protezione".

Concorda Ernesto Savona di Transcrime: "Si è parlato molto meno di sicurezza e quindi si è creata sicurezza. Oggi la percezione del problema è di gran lunga inferiore rispetto a quanto accadeva in campagna elettorale, mentre i dati oggettivi sono sostanzialmente stabili. Ma non è un metodo solo italiano, accade così in tutti i paesi occidentali".

Il professor Amendola pone l’accento su un altro aspetto: "Questo governo abbassa l’ansia tentando di contestualizzare i delitti. Se c’è un omicidio e viene presentato come una vendetta privata, un litigio passionale o un’esecuzione di mafia, così non si crea senso di insicurezza". Molti omicidi restano così con moventi sospesi. Il tabaccaio ucciso nel Lodigiano a Capodanno: rapina o vendetta? Il gioielliere ammazzato nella sua villa da una gang romena alle porte di Roma: razzia o punizione? L’effetto silenziatore è stato paradossale a Napoli con l’omicidio di Antonio Metafora, avvocato settantenne molto noto ucciso nel suo studio in pieno centro.

La versione iniziale? Lite per uno sfratto: un giovane si è vendicato per l’ingiunzione contro la madre. Insomma un caso banale. Solo in un secondo momento è stato fornito un quadro diverso: il legale aveva dato lo sfratto a un garage di Secondigliano gestito dalla camorra e il killer era genero del boss Licciardi. Metafora era stato già minacciato, conosceva il pericolo ma non si era arreso, venendo punito con tre colpi di revolver: ai funerali è stato paragonato a Giorgio Ambrosoli, ma la storia è rimasta nelle cronache locali.

La crisi criminogena - Gli esperti sono convinti che il nuovo anno comporterà una sfida pesante: l’aumento dei reati predatori - furti e rapine - legato alla disoccupazione. Il questore di Treviso Damiano ha presentato lo scenario con chiarezza: "In quattro mesi hanno perso il lavoro 2.500 persone, metà delle quali straniere. Mi pare evidente che gente senza lavoro, per mangiare, si deve arrangiare in qualche modo".

"Il fenomeno sta emergendo con forza in Gran Bretagna, dove ci sono meno ammortizzatori sociali: la crisi sta facendo aumentare i reati di strada", spiega Savona. Ma l’impatto è stato misurato da uno studio di due professori, Riccardo Marselli e Marco Vannini: l’aumento di un punto del tasso di disoccupazione provoca 118 furti, 12 rapine e 0,2 omicidi in più ogni 100 mila abitanti. La loro analisi si spinge anche a calcolare il costo su scala nazionale per questi crimini da impoverimento: un miliardo di euro l’anno. E pensare che c’è chi teme un aumento della disoccupazione di due punti: una prospettiva, quella sì, da vera emergenza. Criminale, ma soprattutto sociale.