L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

giovedì 16 luglio 2009

FP CGIL PENITENZIARI: LA MISURA E' COLMA


Appello ai lavoratori

Per tutti noi che lavoriamo ogni giorno nelle strutture penitenziarie, centrali e periferiche, Istituti e UEPE, appare del tutto chiaro come il sistema detentivo italiano sia ormai prossimo ad un punto di non ritorno, oltre al quale ci può essere soltanto il collasso del settore.
Con un numero di detenuti che ormai supera abbondantemente quello che portò i parlamentari di ogni schieramento a varare il provvedimento d'indulto, all'inizio di una stagione che nelle carceri è da sempre calda non solo per le intollerabili temperature, ognuno di noi dovrà far fronte alle proprie quotidiane e numerose emergenze privo delle necessarie risorse umane, finanziarie e perfino strumentali, nella più completa assenza di un progetto d'insieme per il sistema penitenziario.
Il cosiddetto "Piano carcere", ricco di idee creative quali le "prigioni galleggianti" o quelle "prefabbricate", è infatti un insieme di soluzioni irrealizzabili o realizzabili solo nel lungo periodo, che non porteranno alcun beneficio nell'attuale emergenza, ma che serviranno invece a saccheggiare le ingenti risorse - ad altro destinate - della "Cassa delle ammende" nonché ad aprire pericolosamente la porta all'investimento privato nel sistema detentivo.
Tutto questo in un contesto dove si vanno combattendo i diritti e le tutele faticosamente conquistati dai lavoratori in decenni di lotta sindacale, mascherando il reale intento di ridurre il costo del nostro lavoro già oggi mal pagato, sotto i reiterati insulti del ministro Brunetta.
Tra straordinari necessari e non pagati, missioni non riconosciute neanche a chi - come gli Assistenti sociali - le pratica come normale e quotidiano strumento di lavoro, negazione del confronto tra le parti, ritardo che si protrae per il rinnovo del Contratto integrativo, FURTO dei soldi dei lavoratori accantonati attraverso il meccanismo del FUA, impoverimento del reddito di chi ha "il privilegio" di assistere familiari ai sensi della legge 104, incostituzionale inasprimento dei controlli medici sugli assenti per malattia, l'esecutivo ha per noi ormai colmato la misura oltre ogni soglia di tollerabilità.
Invitiamo pertanto tutti voi a non accettare il tentativo di far ricadere le colpe politiche dello sfascio attuale sulle spalle dei lavoratori; vi chiediamo invece di aiutarci ad esprimere con ogni forza ed ogni mezzo, tutto il disagio di chi continua nonostante tutto ad impegnarsi per l'erogazione di un irrinunciabile servizio pubblico.
E vi chiediamo di farlo adesso per portare a conoscenza dell'intero panorama politico, del mondo dell'informazione, dell'opinione pubblica, le reali condizioni in cui si trovano il sistema penitenziario e tutti i suoi addetti.
Da parte nostra intendiamo tenere insieme alle segreterie locali, agli eletti Rsu ed ai delegati di posto di lavoro, numerose assemblee sull'intero territorio nazionale per raccogliere ogni vostro suggerimento o segnalazione.
Non escludendo peraltro il ricorso a più forti ed incisive azioni di protesta quali l'indizione dello stato di agitazione di tutto il personale del settore penitenziario.
Roma, 15 luglio 2009
La Delegazione trattante Dap Comparto Ministeri

ASSISTENTI SOCIALI DEGLI UEPE DELLA LOMBARDIA IN STATO DI AGITAZIONE

FPCGIL LOMBARDIA - CISL FP- RDB
Al Commissario di Governo Regionale
Prefettura Milano
Alla Commissione di Garanzia per attuazione della Legge sullo sciopero
nei servizi pubblici essenziali
Al Provveditore Regionale DAP
Lombardia
Al Centro Giustizia Minorile
Lombardia
Tribunali di Sorveglianza della Lombardia
Oggetto: Stato di agitazione del personale penitenziario e de personale civile afferente al Comparto Ministeri
Procedure Amministrative di Conciliazione
Le scriventi Segreterie Regionali,
considerato il perdurare dello stato di grave deficit degli organici del personale degli Uffici Esecuzione Penale Esterna, nonchè del personale educativo ed amministrativo, ad oggi presentew sul territorio lombardo;
preso atto che le soluzioni sino ad oggi prospettate dall'Amministrazione Penitenziaria (con la sola immissione in ruolo di 69 unità di personale educativo, in tutta Italia, di cui alcune unità in Lombardia) si aono rilevate insufficienti alle necessità del sistema penitenziario, a fronte di 8592 detenuti "in vinculis" e 3000 soggetti sul territorio sottoposti a misure alternative alla detenzione, misure di sicurezza e sanzioni sostitutive;
denunciata a più riprese, la carenza di risorse finanziarie destinata agli spostamenti degli operatori sul territorio, con rimborsi dopo svariati mesi delle somme anticipate per le spese di viaggio e considerata la mancanza di assegnazione di fondi per l'approvigionamento di cancelleria e beni di consumo in genere, strumenti imprescindibili per garantire un servizio efficace ed efficiente a tutta la collettività, in termini di prevenzione del crimine e della recidiva,
CHIEDONO
l'attivazione delle procedure di conciliazione previste dall'art.2, comma secondo della legge 146/90, così come modificato dalla legge 83/2000, relativamente al comparto Ministeri Penitenziario.
Questa comuniocazione viene inviata per conoscenza anche alla Magistratura di sorveglianza per le ovvie ricadute che l'eventuale stato di agitazione conseguente avrà sulla loro attività.
Le segreterie Regionali
FPCGIL- FPSCISL- RDB PI

mercoledì 15 luglio 2009

RSU UEPE DI COSENZA DENUNCIA LA GRAVE SITUAZIONE DEL LORO SERVIZIO

La RSU dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Cosenza segnala la vera criticità venutasi a creare, cltre che per la già grave e prolungata carenza d’organico di personale di Servizio Sociale, ripetutamente ed inutilmente sottoposta all’attenzione dei competenti Uffici, anche a causa dell’ulteriore riduzione delle unità in servizio, dopo la messa in quiescenza di due Assistenti Sociali e di un Collaboratore amministrativo. Dei 7 Assistenti Sociali rimasti in servizio, rispetto ad una pianta organica prevista di 21 unità, due rivestono incarico di Capo Area, con uguali carichi di lavoro, tre sono destinatari della legge 104/92 ed uno di essi lavora con contratto part time. Anche tra il personale amministrativo, dei 4 assegnati, tre sono destinatari della legge 104/92 e sussistono obiettive carenze che rendono molto difficoltosi i normali adempimenti.
Nel denunciare la grave situazione in cui versa il personale tutto dell’Ufficio e l’evidente stato di sofferenza degli assistenti sociali ancora in servizio, oberati di carichi di lavoro individuali insostenibili, si sottolinea come siano venute ormai a mancare le essenziali condizioni lavorative per svolgere le ordinarie attività istituzionali.
I compiti istituzionali del servizio sociale, della consulenza richiesta dalla Magistratura di Sorveglianza, all’esecuzione penale esterna, dalla consulenza nell’osservazione e nel trattamento in Istituti Penitenziari ricadenti in realtà territoriali con particolari caratteristiche e con fenomeni delinquenziali di varia natura e portata, al lavoro per progetti ed all’attività di rete sul territorio, richiedono qualificati ed oculati interventi professionali che mettono in gioco valori umani e sociali, che, proprio per tale motivo, necessiterebbero di tempi e presupposti diversi da quelli possibili in situazioni di cronica emergenza.
La quantità degli interventi ha ormai penalizzato inesorabilmente la quantità degli stessi e l’assoluto silenzio che ha seguito ogni richiesta di attenzione da parte di Organi Superiori ha profondamente amareggiato e demotivato tutti i lavoratori.
La situazione di fatto sta, in ogni caso, comportando un impegno non più sostenibile da parte d’ogni operatore, che si sente sotto costante pressione e, al contempo, totalmente ignorato dall’amministrazione, che dovrebbe, invece, prevenire, con decisioni non più rinviabili, il danno che il perdurare dello stato di fatto continua a produrre, con costi umani ed economici d’indubbio rilievo.
Per tutto quanto sopra evidenziato la RSU dell’Uepe di Cosenza
CHIEDE
Agli Organi Superiori di predisporre ogni intervento utile, per quanto di competenza, alla risoluzione delle problematiche a tutela dei lavoratori e alle OO.SS. di farsi portavoce della necessità di intervenire al più presto per portare a soluzione i problemi, con l’urgente assegnazione di personale di Servizio Sociale, a cui affiancare un congruo numero di collaboratori amministrativi e di altro personale necessario a garantire lo svolgimento dei propri compiti istituzionali ed a superare le condizioni di lavorio precarie, di rischio,oltre che lesive della dignità del lavoratore, in cui sono costretti a lavorare.
RSU UEPE COSENZA

Manconi; studio dimostra che l'indulto ha funzionato


di Susanna Marietti

www.linkontro.info, 15 luglio 2009

Sono stati presentati ieri presso la sala stampa della Camera dei Deputati i risultati di uno studio portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino coordinato da Giovanni Torrente relativo agli effetti del provvedimento d’indulto varato dal Parlamento nel luglio del 2006. "A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità" era l’eloquente titolo della presentazione.

Luigi Manconi, che ha commissionato la ricerca quale seguito di quella da lui promossa all’indomani del voto quando era sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, ha aperto l’incontro auspicando, tramite la ricerca torinese, di "rendere l’onore perduto al provvedimento di clemenza, che più di ogni altro ha subito un processo di deformazione del suo significato e di travisamento dei suoi esiti". I dati oggi presentati costituiscono la quarta tappa di uno studio di monitoraggio che ha visto altre elaborazioni a 6, 17 e 26 mesi dal provvedimento.

Manconi ha raccontato di aver dovuto pagare di tasca propria quest’ultima fase della ricerca perché, con l’arrivo del nuovo governo, "i pochi fondi necessari per portare a termine un lavoro così importante, che costituisce un piccolo elemento di verità contro un’alterazione tanto profonda dell’indulto, erano stati tagliati".

La ricerca, illustrata da Torrente, ha mostrato come, contrariamente a tutte le rappresentazioni mediatiche fornite in questi mesi, il tasso di recidiva tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto provenendo dalla carcerazione sia oggi del 30,31%, contro il 68% circa del tasso ordinario di recidiva. Tra chi al momento del provvedimento era sottoposto a una misura alternativa alla detenzione si scende addirittura al 21,78%. Questi dati, ha spiegato Torrente, si possono considerare sostanzialmente definitivi, poiché i rientri in carcere si sono avuti principalmente nei primissimi mesi dopo il voto parlamentare.

Il tasso di recidiva è dunque di circa dieci punti inferiore tra chi aveva usufruito di una misura alternativa prima di beneficiare del provvedimento di indulto. L’indulto va a confermare un dato che tutte le ricerche su questi temi ci hanno ormai insegnato. Il carcere fa male. Se guardiamo alla variazione del tasso di recidiva tra chi aveva più o meno carcerazioni alle spalle, vediamo come esso vada a crescere fortemente in relazione alla vita penitenziaria passata.

Per chi era in carcere al momento del provvedimento di clemenza, dal 18,38% di chi era alla prima carcerazione al 52,52% di chi ne aveva alle spalle cinque o più. Lo stesso accade per coloro che hanno avuto l’indulto dalla misura alternativa, ma con una minore progressione. Oltre sei persone su dieci, tra chi aveva cinque e più carcerazioni alle spalle e stava usufruendo di una misura alternativa, non sono rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto.

"Le misure alternative", ha detto Torrente, "aprono uno spazio. Ma invece di imparare dai dati, le politiche odierne si muovono in direzione opposta, limitando l’utilizzo delle alternative alla detenzione". Se guardiamo poi alla nazionalità delle persone rientrate in carcere dopo aver usufruito del provvedimento, vediamo come, a dispetto di tutte le campagne mediatiche che ci raccontavano di una "tipica faccia da indultato" (La Stampa, La Nuova Sardegna) che avrebbe ovviamente avuto la carnagione nera od olivastra, tra gli italiani la recidiva sia stata pari al 31,99% dei rimessi in libertà mentre tra gli stranieri si sia fermata al 21,36%.

La parlamentare radicale Rita Bernardini, dati alla mano, ha fornito la misura delle devastanti campagne televisive sulla sicurezza, affatto scollate da ogni attinenza alla realtà. Campagne che sono la causa dell’opinione diffusa che vede nell’indulto un episodio dannoso della recente storia italiana. A seguito di un’analisi condotta su circa 5.100 edizioni di telegiornali annue per oltre cinque anni, ha mostrato come il tempo dedicato a notizie di cronaca nera, cronaca giudiziaria e criminalità organizzata sia più che raddoppiato dal 2003 al 2007, passando dal 10,4% al 23,7%.

È a partire dal 2006 che si è prodotta l’accelerata, nonostante i dati raccontino di una diminuzione generale dei reati più gravi. Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella ha chiuso ridicolizzando il piano di edilizia penitenziaria portato avanti dal ministro Angelino Alfano e dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta.

"Noi siamo contrari all’edilizia penitenziaria per ragioni di principio", ha detto. "Ma qualcuno dovrebbe smascherare il ministro e dire ad alta voce che il suo piano è irrealizzabile. Franco Ionta è commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, e già quando c’è un commissario c’è un fallimento. Ci dice di voler creare 17 mila posti letto entro il 2012. Primo, con questi tassi di crescita della popolazione detenuta questi numeri sono inutili. Secondo, è impossibile dal punto di vista edilizio essere così veloci. Terzo, perfino dopo aver rubato dalla Cassa delle Ammende, a tutt’altro destinata, il ministro sa bene che mancano i due terzi dei fondi necessari".


Indulto e recidiva: aggiornamento al 30 giugno 2009, di Giovanni Torrente (pdf)

martedì 14 luglio 2009

Cgil; il Governo si faccia carico di questa emergenza


Ansa, 14 luglio 2009

"Le parole pronunciate dal vice presidente del Csm Nicola Mancino a margine della riunione del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza sull’emergenza sovraffollamento carceri sono responsabili e condivisibili". È quanto affermano Mauro Beschi e Francesco Quinti della Fp Cgil Nazionale.

Per i due sindacalisti "l’aver potuto finalmente registrare e condividere le parole di un così alto esponente della magistratura italiana sull’esigenza di dare piena attuazione ai principi affermati dalla Corte Costituzionale e, dunque, consentire che il regime penitenziario venga applicato conformemente alla Costituzione, è motivo di soddisfazione per chi, come la Fp Cgil, fino ad oggi nel silenzio assordante di pressoché tutte le istituzioni del Paese, ha continuato a denunciare l’anomalia di un Governo che rifiuta di agire per porre rimedio all’emergenza carcere e al fortissimo disagio in cui attualmente versa il personale di Polizia Penitenziaria".

"Sono mesi, ormai - continuano gli esponenti sindacali - che la Fp Cgil lancia gridi di allarme sulla gravità della situazione, sull’assenza di reali misure di contrasto al gravissimo sovraffollamento delle strutture penitenziarie, che presto supererà le 64.000 presenze (dato mai raggiunto dal 1946 ad oggi), sull’esigenza di superare alcuni recenti interventi normativi che stanno contribuendo ad affondare il sistema delle misure alternative alla detenzione per i reati meno gravi, l’unica alternativa al sovraffollamento percorribile e compatibile con le finalità della pena e i valori espressi dalla Carta Costituzionale".

"Il Governo si faccia carico dell’emergenza carcere - sostengono Beschi e Quinti - e, nelle more del fumoso piano di adeguamento delle strutture detentive, peraltro non ancora presentato dal Ministro Alfano, pianifichi con la massima sollecitudine gli interventi necessari a ridurre già oggi le presenze in carcere per i reati di minor allarme sociale, ad aumentare di almeno 8.000 unità il Corpo di Polizia Penitenziaria e a migliorare le attuali, pesantissime condizioni di lavoro imposte agli operatori della Polizia penitenziaria".

Alfano; serve seria riflessione su misure alternative


Ansa, 14 luglio 2009

"Sostengo che bisogna fare una seria riflessione sulle misure alternative perché l’espiazione non è una vendetta dello Stato nei confronti del detenuto, perché espiare la pena non vuol dire fargliela pagare ma riparare a un torto che le democrazie liberali riconoscono possa essere riparato attraverso la detenzione".

Lo ha dichiarato il ministro della giustizia Angelino Alfano durante il convegno sulle carceri che si è tenuto a Milano in occasione della presentazione del libro Diritti e castighi scritto da Donatella Stasio, giornalista de Il Sole 24 ore, e Lucia Castellano, direttore del carcere di Bollate, Il guardasigilli, parlando nell’aula magna del palazzo di Giustizia, ha aggiunto che "noi pensiamo che occorra coniugare il bisogno di sicurezza del Paese con l’articolo 27 della costituzione che dice non solo che le pene devono avere una funzione rieducativa, ma anche che non ci può essere una pena contraria al senso di umanità".

Il ministro, in un altro passaggio, sottolineando che dal 1946 al 2002, ci sono stati 30 provvedimenti tra amnistia e indulto e che quindi il problema del sovraffollamento delle carceri ha avuto una "soluzione monodirezionale", ha sostenuto che non bisogna "né decarcerizzare, né depenalizzare". Secondo Alfano "questo non è il terreno in cui il governo deve muoversi. Occorre invece, costruire nuovi istituti, con logiche più moderne, in cui vengano agevolate le funzioni educative e il rispetto del senso di umanità nel trattamento dei detenuti".

giovedì 9 luglio 2009

Testo unico sulla professione di assistente sociale e assistente sociale specialista

Sono stati recentemente pubblicati sui rispettivi siti internet dei due rami del Parlamento, i disegni di legge presentati al Senato dalla Sen. Anna Serafini (rubricato al n. S-1338) e alla Camera dei Deputati dalla On. Amalia Schirru e altri (rubricato al n. C-2202).


E' possibile scaricare dai link sottostanti i due atti parlamentari, in formato pdf.


allegato S1338.pdf (58.3 KBs) D.d.l. Serafini
allegato C2202.pdf (240.74 KBs) D.d.l. Schirru e altri

mercoledì 8 luglio 2009

Dap; affollamento e caldo, in carceri "rischio conflitti"


Redattore Sociale - Dire, 8 luglio 2008

Il sovraffollamento e il caldo aumentano il rischio di conflitti e problemi interni. I suggerimenti fanno riferimento a provvedimenti "qualitativi" per evitare atti di autolesionismo e non sopprimere le misure di inclusione.

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha emanato una circolare per i provveditori regionali concernente le difficoltà derivanti, nella stagione estiva, dalle condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane. Nella circolare, il dipartimento segnala iniziative e provvedimenti da adottare per la tutela della salute e della vita delle persone detenute o internate.

"Gli istituti penitenziari - si legge - stanno attraversando una fase altamente critica in cui gli aspetti di maggiore preoccupazione attengono, oltre che alla capacità di tenuta del sistema - che ricomprende il mantenimento dell’ordine e della sicurezza - anche all’adeguatezza delle risposte e degli strumenti di cui si dispone per garantire la prevenzione dei rischi per la salute e la vita dei ristretti".

Crescono dunque i fattori di criticità. Nella circolare si fa riferimento, "in chiave esemplicativa", al nodo delle carenze di organico della polizia penitenziaria, alla riduzione delle risorse finanziarie nella gestione dei bilanci degli istituti e degli Uepe, nonché le problematiche relative al processo di transito della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale.

Ma, si rileva, non tutti gli elementi di vulnerabilità dipendono da fattori di natura "quantitativa". L’efficacia e l’efficienza dipendono anche da fattori "qualitativi", le cui eventuali inadeguatezze "non possono essere dissimulate dietro la carenza degli organici".

Capienza. La circolare sottolinea come "la condizione di generalizzato sovraffollamento sta determinando l’esaurimento degli spazi allocativi". Insomma, è stato vanificato l’effetto dell’indulto e per fronteggiare l’emergenza il Dap ritiene necessario l’intervento dei provveditori per individuare spazi detentivi a gestione "aperta", a cui assegnare i detenuti di minore pericolosità. Con questa manovra sarebbe così possibile, dopo avere individuato le strutture idonee, compensare nelle stesse i minori spazi destinati alle camere di detenzione - da convertire in camere di solo pernottamento - con la permanenza all’aperto protratta nel corso della giornata e con una "offerta trattamentale più robusta" (aumento dei colloqui, maggiori occasioni di trattamento e di intrattenimento).

Per quanto riguarda l’avvento dei mesi più caldi, il Dap ritiene opportuno che i provveditori sensibilizzino le direzioni degli istituti "affinché non sia trascurato ogni intervento realisticamente attuabile per migliorare la qualità e l’efficacia delle strategie indirizzate al conseguimento degli obiettivi istituzionali, primo fra tutti la tutela della vita e della salute delle persone detenute".

Ed allora, in sintesi: accertare che tutte le direzioni degli istituti abbiamo regolamentato il "servizio di accoglienza" e l’operatività dello staff multidisciplinare (gruppo di lavoro per i nuovi giunti dalla libertà ed esteso a qualsiasi detenuto o internato a rischio auto-etero lesivo o suicida). A tal proposito viene chiesto uno screening scrupoloso che eviti un livellamento verso l’alto del grado di pericolosità dei detenuti. Poi viene ritenuto necessario che le direzioni abbiamo disciplinato i cosiddetti "regimi di sorveglianza intensificata", per gestire dal di dentro i fenomeni di pericolosità.

I disagi della stagione estiva possono produrre poi un aumento del rischio di atti autolesionistici. Si chiede dunque di verificare che tutti gli istituti abbiano recepito le direttive in materia di generi di cui è consentito il possesso, l’acquisto o la ricezione, etc.

Per i detenuti tossicodipendenti, si chiede attenzione per l’assunzione di eccessive quantità di farmaci o psicofarmaci accumulati arbitrariamente o trafficati. Ed è ritenuta fondamentale l’azione di agenti e operatori per reprimere condotte che mirano a ottenere con insistenza sovradosaggi. Si chiede anche che venga verificata la presenza di una disciplina per la distribuzione di terapie, compresi i farmaci sostitutivi (metadone) ai soggetti in carico ai Sert.

Conflitti. Poiché in estate "è prevedibile un innalzamento delle situazioni conflittuali", il Dap chiede che le direzioni impartiscano le disposizioni "per evitare che i ristretti possano convogliare le tensioni in forme di protesta derivanti da eventuali carenze nella soddisfazione dei bisogni primari" (es: assenza di acqua).

In chiave strategica, si chiede poi massima attenzione per "non comprimere quegli spazi vitali (attività di intrattenimento, percorsi formativi, colloqui con i volontari, etc.) che concorrono ad alleviare le tensioni nei mesi più caldi".

Chiesto, inoltre, che trovino regolare corso le iniziative incluse nel "Progetto pedagogico". Particolare impegno si chiede poi per il problema della razionalizzazione dei posti e dei tempi di durata delle attività lavorative penitenziarie, di tipo domestico, industriale o agricolo. "In chiave di opportunità - si legge - appare preferibile che le direzioni orientino le proprie scelte verso formule di lavoro part-time che, attraverso una rotazione periodica dei lavoranti, seguano la filosofia dell’impiegare il maggior numero di ristretti". Insomma, lavorare meno, lavorare tutti.

Ed ancora: nella ripartizione delle risorse, privilegiare quelle direzioni che abbiano optato per l’organizzazione di servizi in economia con manodopera detenuta. E maggiore impulso, per il Dap, andrà dato le convenzioni attuative della legge Smuraglia, "trattandosi di iniziative che di fatto prevedono la creazione di posti di lavoro con oneri retributivi a carico delle imprese pubbliche e private e, in particolar modo, delle cooperative sociali".

Su questo versante, viene ritenuto di fondamentale importanza la politica di assegnazione dei detenuti comuni in ambito intra-regionale in modo che tutte le strutture abbiano pareri positivi per la fruizione di permessi premiali, quale presupposto per programmi di trattamento di inserimento lavorativo esterno.


Circolare Dap: "Sovraffollamento: tutela della salute e della vita dei detenuti" (pdf)

lunedì 6 luglio 2009

Allarme carceri: in assenza del Governo intervengano regioni e comuni.

Comunicato stampa di Carlo Podda Segretario Generale FP CGIL Nazionale


Il rapporto presentato ieri mattina dall'associazione Antigone, evidenzia, dati alla mano, la tragicità della situazione in cui versano le nostre carceri. Sono dati che gridano vendetta. 64.000 detenuti a fronte di una capienza di appena 42.000: è sicuramente il dato più allarmante del rapporto, un dato che pone le istituzioni di fronte alle proprie responsabilità.

Ormai da tempo denunciamo lo stato di affollamento in cui versano le nostre carceri, cercando di far emergere come una tale situazione possa dal punto di vista igenico-sanitario creare situazioni esplosive, pericolose per la salute pubblica. Non solo. Crediamo che una tale situazione annienti di fatto ogni possibile azione rieducativa degli istituti penitenziari, aggiungendo alla pena detentiva livelli di vita al limite della disumanizzazione, inaccettabili per uno stato di diritto. Più di 500 suicidi in 9 anni: un dato che fa accapponare la pelle.

Oggi ho personalmente inviato al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al Presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, ed al Presidente dell'Anci, Sergio Chiamparino, tre lettere.

Al Ministro chiediamo di uscire dal silenzio, e dire al paese quale sia la strategia del Governo per affrontare una tale crisi. Le risposte fin qui date, che profilano un impegno tanto effimero quanto intempestivo sul fronte dell'edilizia penitenziaria, non possono rassicurarci. Dal 2008, data del trasferimento delle competenze alle Regioni sul tema della sanità penitenziaria, le Asl attendono che i relativi fondi (oltre 300 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009) vengano loro trasferiti: finora hanno provveduto, con difficoltà e con sforzi tutti propri, alla gestione del sistema. Un vuoto inaccettabile e che rischia di aggravare una situazione già di per se critica.

Ai Presidenti Errani e Chiamparino chiediamo di agire le loro responsabilità sul tema del sovraffollamento e della crisi del sistema della sanità penitenziaria, pretendendo dal Governo e dal Ministro Alfano interventi immediati e concreti in assenza dei quali si profila un aggravarsi della situazione al limite dell'emergenza.

L'ordinamento non esclude per gli enti locali la possibilità di avviare verifiche sulla corretta compatibilità del sistema e rivendicare l'assunzione da parte del governo centrale di politiche penitenziarie che evitino il progressivo e, sembrerebbe, inarrestabile affollamento delle carceri. La legge Gozzini e l'ordinamento già prevedono forme sostitutive della detenzione.

In gioco non c'è solo la tenuta del sistema, ma la difesa dei diritti inalienabili di ogni cittadino, anche di chi è momentaneamente privato della libertà personale, ma non del diritto alla salute, alla dignità.

domenica 5 luglio 2009

Nuonve Disposizioni in materia di sicurezza pubblica e ordinamento penitenziario

Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (approvato in via definitiva dal Senato il 2 luglio 2009)
Modifiche all’Ordinamento Penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354)
Articolo 2 Comma 25
All’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: “il Ministro di grazia e giustizia” sono sostituite dalle seguenti: “il Ministro della giustizia”;
b) al comma 2, primo periodo, dopo la parola: “4-bis” sono inserite le seguenti: “o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso”;
c) al comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “In caso di unificazione di pene concorrenti
o di concorrenza di più titoli di custodia cautelare, la sospensione può essere disposta anche quando
sia stata espiata la parte di pena o di misura cautelare relativa ai delitti indicati nell’articolo 4-bis”;
d) il comma 2-bis è sostituito dal seguente: “2-bis. Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze.
Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa”;
e) il comma 2-ter è abrogato;
f) al comma 2-quater:
1) nell’alinea, al primo periodo è premesso il seguente: “I detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria” e nel primo periodo le parole: “può comportare” sono sostituite dalla seguente: “prevede”;
2) nella lettera b) 2.1) nel primo periodo, le parole: “in un numero non inferiore a uno e non superiore a due” sono sostituite dalle seguenti: “nel numero di uno”;
2.2) nel terzo periodo, le parole: “I colloqui possono essere” sono sostituite dalle seguenti: “I colloqui vengono” e alle parole: “può essere autorizzato” sono premesse le seguenti: “solo per coloro che non effettuano colloqui”; 2.3) dopo il terzo periodo è inserito il seguente: “I colloqui sono comunque videoregistrati”; 2.4) nell’ultimo periodo, dopo le parole: “non si applicano ai colloqui con i difensori” sono aggiunte le seguenti: “con i quali potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari”;
3) nella lettera f), le parole: “cinque persone” sono sostituite dalle seguenti: “quattro persone”, le
parole: “quattro ore” sono sostituite dalle seguenti: “due ore” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi”;
g) il comma 2-quinquies è sostituito dal seguente: “2-quinquies. Il detenuto o l’internato nei confronti del quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2, ovvero il difensore, possono proporre reclamo avverso il procedimento applicativo. Il reclamo è presentato nel termine di venti giorni dalla comunicazione del provvedimento e su di esso è competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento”;
h) il comma 2-sexies è sostituito dal seguente: “2-sexies. Il tribunale, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo di cui al comma 2-quinquies, decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale, sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. All’udienza le funzioni di pubblico ministero possono essere altresì svolte da un rappresentante dell’ufficio del procuratore della Repubblica di cui al comma 2-bis o del procuratore nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia, il procuratore di cui al comma 2-bis, il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale per violazione di legge. Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento ed è trasmesso senza ritardo alla Corte di cassazione. Se il reclamo viene accolto, il Ministro della giustizia, ove intenda disporre un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, deve, tenendo conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo”;
i) dopo il comma 2-sexies è aggiunto il seguente: “2-septies. Per la partecipazione del detenuto o
dell’internato all’udienza si applicano le disposizioni di cui all’articolo 146-bis delle norme diattuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Comma 26 - (modifica al Codice penale inerente detenuti sottoposti al 41-bis)
Nel libro II, titolo III, capo II, del codice penale, dopo l’articolo 391 è inserito il seguente: “Art. 391-bis. - (Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario).
Chiunque consente a un detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all’articolo 41-bis della legge 26
luglio 1975, n. 354, di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all’uopo imposte è punito
con la reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un
incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense si applica la pena della reclusione da due a cinque anni”.
Comma 27
Alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 4-bis:
1) al comma 1, le parole: “qualora ricorra anche la condizione di cui al comma 1-quater del presente articolo” sono soppresse;
2) al comma 1-quater, le parole: “qualora ricorra anche la condizione di cui al medesimo comma
” sono soppresse;
b) agli articoli 21, comma 1, 30-ter, comma 4, lettera c), 50, comma 2, 50-bis, comma 1, 58-ter, comma 1, e 58-quater, comma 5, le parole: “dei delitti indicati nel comma 1” sono sostituite dalle
seguenti: “dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater”.

la tolleranza zero, prende la forma delle aggravanti

di Donatella Stasio

Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2009

È la politica della "tolleranza zero". Tecnicamente si traduce nella moltiplicazione dei reati, nell’inasprimento delle pene ma anche nell’introduzione di aggravanti spesso "prevalenti", per volontà legislativa, rispetto alle attenuanti.

È così, ad esempio, per l’omicidio e le lesioni derivanti da incidenti stradali; per la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti dopo le 22.00 e prima delle 7.00; per le rapine all’interno di abitazioni o sui mezzi pubblici di trasporto o ai danni di chi ha appena prelevato soldi in banca o all’ufficio postale.

Il giudice non ha più alcuna discrezionalità nel valutare le circostanze e nel bilanciarle. È vincolato all’inasprimento di pena. Politicamente, è proprio questo il segnale che viene dai provvedimenti sulla sicurezza di questa legislatura (il decreto 92/08 della scorsa estate; il decreto 11/09 sugli stupri; la legge approvata ieri): limitare la discrezionalità del giudice nella valutazione, in concreto, della pericolosità dell’imputato e della gravità del fatto commesso, nonché nella determinazione della pena da irrogare.

Il pacchetto sicurezza, anche attraverso il meccanismo della prevalenza legale delle aggravanti sulle attenuanti, promette e produce più carcere, ma non produce necessariamente più sicurezza collettiva.

Gli avvocati penalisti, anzi, sostengono il contrario: "la faccia feroce", spiegano, produrrà "un sicuro collasso del sistema carcerario e un aggravio del sistema processuale, con conseguenti pesanti ricadute proprio in termini di sicurezza".

Certo è che la moltiplicazione dei reati peserà sul già collassato sistema giudiziario e sulla durata dei processi. Ed è altrettanto certo che gli inasprimenti di pena peseranno sul già moribondo sistema carcerario, giunto a un livello di sovraffollamento senza precedenti nella storia dell’Italia repubblicana.

Al di là delle molte ombre che gravano sulle nuove misure (l’8 luglio, tra l’altro, la Consulta discuterà della legittimità costituzionale dell’aggravante di clandestinità introdotta dal decreto 92/08), la strategia del Governo non ha fatto i conti proprio con l’inadeguatezza del sistema carcerario a fronteggiare questa nuova massa di detenuti, destinati a entrare e a uscire dalle patrie galere senza che quel passaggio abbia, per loro stessi e per la collettività, la benché minima utilità.

La certezza della pena, intesa come certezza di una pena sensata (produttiva di legalità, libertà e sicurezza collettiva), diventa una chimera in un carcere che contiene ormai 64mila detenuti (20mila in più dei posti regolamentari) dei quali il 52,2% è in custodia cautelare, e che ogni mese vede entrare dalle 800 alle 1.000 persone.

Circa 20mila detenuti hanno condanne a pene inferiori ai tre anni, ma la politica della "tolleranza zero" li ha esclusi, di fatto, dai benefici carcerari (come l’affidamento al servizio sociale). Le misure alternative alla detenzione hanno toccato, infatti, il minimo storico: 9.406. Eppure, le statistiche parlano chiaro: il carcere "chiuso" produce il 70% dei recidivi in circolazione; con le misure alternative, la recidiva scende al 19 per cento.

Foggia: tra Uepe e Provincia, convenzione per il reinserimento

www.teleradioerre.it, 4 luglio 2009

"Il principio della solidarietà è uno dei pilastri sui quali si regge la convivenza civile di una comunità. Offrire ai cittadini condannati la possibilità di un pieno reinserimento sociale è un dovere cui l’Amministrazione provinciale non si è sottratta, percorrendo la via di una seria ed intelligente collaborazione istituzionale che, a costo zero, ci permette di applicare uno dei valori cardine della Costituzione, potenziando nel contempo i servizi offerti alla cittadinanza di Capitanata".

Così Antonio Pepe, presidente dell’Amministrazione provinciale, commenta la sottoscrizione della convenzione siglata tra la Provincia di Foggia e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia (organo periferico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che si occupa delle misure alternative alla detenzione per i condannati) per il reinserimento sociale dei cittadini sottoposti a misure di sicurezza - libertà vigilata, semidetenzione e libertà controllata - in attività da espletare nella Biblioteca Provinciale La Magna Capitana.

La convenzione, che avrà la durata di un anno, prevede una stretta e sinergica collaborazione tra le due Istituzioni, al fine favorire i processi di inclusione sociale per i condannati e le loro famiglie attraverso la collaborazione con gli Enti Locali e la promozione della conoscenza e lo sviluppo di attività riparative a favore della collettività. Con la sottoscrizione dell’accordo, la Biblioteca Provinciale si impegna a collaborare con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Foggia, che provvederà a segnalare il nominativo di ogni soggetto in esecuzione di pena che aderisce all’attività a favore della comunità. L’adesione del condannato, ovviamente, avverrà previa acquisizione di un impegno scritto da parte dell’interessato.

Per tutti i soggetti verrà fornita una scheda di presentazione in cui verrà specificato il tempo che la persona potrà dedicare all’attività prescelta e la qualifica professionale dello stesso, in modo da individuare la migliore collocazione all’interno della struttura della Biblioteca. Ogni soggetto sarà affiancato da un’assistente sociale, cui sarà demandato il compito di seguirlo e di rapportarsi con l’Amministrazione provinciale per ogni necessità.

La Biblioteca Provinciale, per parte sua, assumerà l’onere dei premi per l’assicurazione (contro i rischi derivanti dallo svolgimento dell’attività e per responsabilità civili) e predisporrà per ogni soggetto la presenza di un referente che lo supporti nello svolgimento dei compiti ricevuti. I condannati che usufruiranno di questa possibilità, inoltre, dovranno partecipare a periodiche verifiche sull’andamento dell’inserimento che consentiranno di individuare eventuali problemi tra il soggetto in esecuzione di pena ed il contesto sociale in cui è inserito.

L’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia collabora con gli Istituti Penitenziari di Foggia, Lucera, San Severo e con le Case Mandamentali di Trinitopoli e Rodi Garganico, con la Magistratura di Sorveglianza di Foggia per l’esecuzione delle misure alternative alla detenzione e delle misure di sicurezza non detentive; con il Tribunale di Sorveglianza di Bari; avendo inoltre attivi Sportelli Territoriali nei comuni di Manfredonia e Vieste.

"Siamo particolarmente orgogliosi di questa convenzione - aggiunge l’assessore provinciale alle Politiche Cultuali, Billa Consiglio - che ci permette da un lato di favorire concretamente il reinserimento sociale dei cittadini condannati e dall’altro di contribuire ad un miglioramento della nostra offerta culturale in favore della comunità. Ogni attività dei soggetti condannati - precisa Consiglio - sarà sottoposta ad una approfondita fase di controllo: da verifiche con cadenza periodica circa l’inserimento dei partecipanti al progetto, in modo da valutare la possibilità di interrompere il rapporto qualora non vi fossero risultati soddisfacenti, fino alla comunicazione trimestrale delle presenze".

"Applicheremo questa misura di civiltà - conclude il vicepresidente della Provincia - fissando rigidi paletti che impediscano forme di degenerazione del progetto, vincolando l’adesione ad un reale impegno nei confronti della società. Proseguiremo inoltre nel nostro impegno a creare le condizioni perché sia reale anche il recupero dei detenuti, che abbiamo coinvolto da tempo in iniziative di carattere culturale, come la presentazione nella Casa circondariale di Foggia dei volumi del progetto Libri a Trazione Anteriore. Si è aperta dunque una fase di intensa collaborazione con la direzione della Casa circondariale, che è nostra intenzione rafforzare ed implementare".

Cgil; con il reato di clandestinità, carceri al capolinea

Dichiarazione Stampa di Mauro Beschi, Segretario Naz. Fp Cgil e Francesco Quinti, Responsabile Naz. Comparto Sicurezza Fp Cgil.

Con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e l’assenza di una prospettiva che ne contenga l’impatto devastante, il Governo ha scelto di decretare la fine di un sistema penitenziario agonizzante, che già oggi, dall’alto delle circa 64.000 presenze detenute, ben 20.000 in più rispetto alla capienza tollerabile, e con un trend che sfiora i mille ingressi al mese, non è in grado di garantire il mandato costituzionale affidato, il rispetto dei diritti umani e quelli del mondo del lavoro in carcere.

Carceri per lo più "fuori dalla Costituzione", per dirla con il Ministro della Giustizia Alfano, che però - al di là delle sue roboanti dichiarazioni - nulla in concreto fa per riformare il sistema penitenziario e renderlo capace di rispondere efficacemente al proprio mandato.

Anche per questo, la protesta della Polizia Penitenziaria continua: il prossimo 8 luglio a Bologna, davanti al carcere "La Dozza", giungeranno a centinaia dalla Toscana, dalle Marche e da tutta l’Emilia Romagna i poliziotti penitenziari che aderiscono alle organizzazioni sindacali rappresentative del personale, per manifestare tutto il proprio dissenso contro le scelte operate dall’attuale governo.

Dall’ossessione della sicurezza si genera l'insicurezza

di Michele Ainis

La Stampa, 4 luglio 2009

All’indomani del nuovo reato d’immigrazione clandestina, alla vigilia del prossimo reato d’intercettazione malandrina, resta in sospeso una domanda: quanti ancora vogliamo sbatterne in galera? Africani itineranti, giornalisti intraprendenti, e poi a seguire drogati impenitenti, automobilisti imprudenti, mendicanti e postulanti, perfino chi ha una casa da affittare, se putacaso sbaglia l’inquilino. Ma questa domanda se ne tira dietro una seconda: c’è in Italia un pozzo così largo e profondo da ospitare i rifiuti umani che gettiamo via dalla cucina?

No, non c’è. C’è piuttosto un intero paese chiuso a chiave dentro il Belpaese. È grande quanto L’Aquila prima del terremoto, supera la popolazione di Teramo e Rovigo, ha il doppio d’abitanti rispetto a Enna, Aosta, Nuoro, Belluno, ma non dispone degli stessi chilometri quadrati. Vive in stanze dove si fanno i turni per dormire, talvolta in compagnia di qualche topo, talvolta sottoterra come a Favignana. È il paese dei galeotti: 63.460 residenti a giugno, 70 mila entro il prossimo dicembre, dato che le new entries sono mille al mese. Significa due volte e mezzo la popolazione carceraria del 1990, significa una cifra mai più raggiunta da quando Togliatti nel 1946 firmò la prima amnistia della Repubblica. Ma siccome la capienza dei nostri penitenziari (peraltro spesso fatiscenti) è di 43 mila posti, significa altresì che 20 mila detenuti sono in soprannumero, con un tasso d’affollamento che tocca il 160% in Lombardia, Friuli, Veneto, Sicilia, nonché il 193% in Emilia Romagna.

Questo trattamento da sardine in scatola pone in primo luogo una questione di decenza, perché è indecente trattare i carcerati peggio delle bestie, quando le sevizie agli animali sono punite dalla legge. Pone in secondo luogo una questione d’ordine, perché col caldo la situazione finirà per surriscaldarsi ulteriormente, mentre gli agenti penitenziari sono 5 mila meno dell’organico. Pone in terzo luogo una questione di legalità, che a propria volta si traduce nell’offesa a tre principi dichiarati dalla Carta. Primo: il "senso di umanità" cui deve corrispondere la pena. Secondo: la presunzione d’innocenza, che evidentemente non vale per quel 52% di detenuti in attesa d’una sentenza definitiva di condanna. Terzo: l’eguaglianza "senza distinzione di razza", dato che la carcerazione preventiva colpisce il 43% degli italiani, ma il 58% degli extracomunitari. D’altronde vorrà pur dire qualcosa se nelle ultime due settimane sia il Capo dello Stato, sia il presidente della Corte costituzionale hanno manifestato il loro allarme. E d’altronde perfino in California - dove le galere sono le più gonfie al mondo - nel febbraio scorso una Corte federale ha imposto a Schwarzenegger di liberare un terzo dei detenuti entro il prossimo triennio.

Sicché serve a ben poco baloccarsi con l’idea delle celle galleggianti, o fantasticare su un piano d’edilizia carceraria che aggiungerebbe 17 mila posti entro il 2012, come ha promesso il governo a inizio anno. Staremmo comunque sotto il necessario, e oltretutto fin qui ogni nuovo carcere ci ha messo non meno di 10 anni prima che gli operai togliessero il disturbo. Meglio, molto meglio, cancellare quel comma della legge Fini-Giovanardi sulle droghe che tiene dentro il 40% dei detenuti, perché non distingue fra consumo e spaccio. Meglio allargare le misure alternative al carcere, dato che nel 2008 la recidiva ha toccato soltanto lo 0,45% dei casi. Meglio infine smetterla con l’abuso dei delitti e delle pene. Anche perché, se diventiamo tutti criminali potenziali, il questurino o il giudice potrà mettere in galera chi gli sta meno simpatico. E infine l’ossessione della sicurezza avrà generato la più acuta insicurezza.