L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

lunedì 25 febbraio 2013

IL POTENZIAMENTO DELLE MISURE ALTERNATIVE IN UNA PROSPETTIVA RIFORMATRICE

 


Il SISTEMA PENITENZIARIO: ipotesi di riforma e proposte di medio periodo per il potenziamento delle misure alternative.
di Milena CASSANO – Direttore UEPE Lombardia

Per affrontare il tema occorre fare riferimento :
  1. alla situazione attuale del sistema dell’esecuzione penale nella sua interezza, ovvero esaminare in uno i dati relativi alla situazione degli istituti penitenziari e i dati relativi alle misure alternative, oggi in costante aumento e suscettibili di ampliamento in considerazione delle proposte di legge presentate
  2. alle ipotesi di riforma sul breve e medio periodo, ai possibili interventi realizzabili attraverso la formalizzazione di buone prassi e protocolli.
  3. agli assetti organizzativi che – soprattutto in relazione agli intendimenti dell’amministrazione – saranno assunti per dare corso alle misure di contenimento della spesa, e che in caso di applicazione delle previsioni contenute al c.1 dell’art. 2 della legge n. 95/2012 – determineranno un’ulteriore decurtazione[1] del personale, che si sommerà a quella già prevista con d.p.c.m. 31.1.2012 e non ancora suddivisa.
Gli aspetti citati sono evidentemente interconnessi e richiamano ulteriori elementi di contesto, ovvero rinviano alla necessità di tener conto :
  • delle scelte di politica penale che in questi anni hanno segnato il sistema,
  • del complesso delle scelte in materia di politiche sociali (e anche delle tante buone prassi )
  • dei fenomeni connessi all’esecuzione penale (si pensi per tutti all’incidenza dei soggetti stranieri in esecuzione di pena in detenzione e misura alternativa)
  • delle prospettive future, con particolare riguardo alle misure contenute nel disegno di legge “Delega al Governo in materia di depenalizzazione e di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” 
E ancora occorre tener conto della necessità di attuare le riforme avendo riguardo per gli impegni assunti in sede europea.
Il sistema dell’esecuzione penale è tema di attualità, ma è un sistema da anni gravato da un livello esponenziale di complessità endogene ed esogene: non è possibile parlare di sovraffollamento delle carceri senza porre l’accento sul sistema nel suo complesso e non solo sul suo epifenomeno.
La recente legge 9/2012 ha il merito di aver messo in discussione l’ineluttabile uso del carcere (il fenomeno delle cosiddette porte girevoli); è un passo importante e simbolicamente significativo se finalizzato a consolidare l’idea del carcere come extrema ratio, richiamo invocato da più parti, ma che conseguentemente deve indurre politici e amministratori a consolidare il sistema dell’esecuzione penale esterna.
Il titolo della legge (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento) attesta che l’attenzione è – anche per ovvi motivi - ancora concentrata sugli effetti prodotti dal sistema penale, nonostante il dibattito parlamentare, gli impegni assunti, le diverse proposte di riforma attestino la consapevolezza di avere ormai un corpus normativo non organico e fonte di pronunciamenti giurisprudenziali anche contrastanti. .
Per la verità nelle scelte sottese alla legge 199 e più di recente, alla legge 9/2012 pesano gli interventi della Corte Europea, e sono ancora numerosissimi i ricorsi presentati per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo.
Se si considera la prospettiva europea occorre fare riferimento alle diverse raccomandazioni e risoluzioni e fra tutte:
  1. alla Raccomandazione R(2010) -1- del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole del consiglio d’Europa in materia di Probation[2] che qualifica i servizi incaricati della probation[3] sono tra i servizi fondamentali della giustizia e che il loro lavoro influisce sulla riduzione della popolazione carceraria;
  2. alla Risoluzione 15 dicembre 2011, n. 2897 del Parlamento Europeo che significativamente al punto11 “ ribadisce l'esigenza che gli Stati membri onorino gli impegni, assunti nelle sedi internazionali ed europee, a far maggior ricorso a misure probatorie e sanzioni che offrano un'alternativa all'incarcerazione, comprese le decisioni adottate all'interno del Consiglio d'Europa” e al punto 16 “ invita la Commissione ad esaminare l'impatto delle disparità in materia di diritto penale e diritto procedurale sulle condizioni detentive negli Stati membri UE e ad avanzare raccomandazioni al riguardo, soprattutto in materia di ricorso a misure alternative, politiche di criminalizzazione e decriminalizzazione, detenzione preventiva, amnistia e indulto, segnatamente nei settori della migrazione, del consumo di droga e dei reati compiuti da minori”.
Sotto il profilo normativo nazionale va ricordato che il PDL 3291 ( da cui è scaturita la legge 199 varata nel 2010) prevedeva interventi – compresa la messa alla prova oggi riproposta nel D.L. 5919; l’aspetto che qui interessa sottolineare è il significativo incipit della legge 199 che, introducendo nel ns. sistema l’esecuzione della pena presso il domicilio espressamente indica che la misura sarà in vigore “….fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e comunque non oltre il 31.12.2013” .
In sostanza viene introdotta una misura temporanea (non a caso non inserita sistematicamente nel Capo VI dell’Ordinamento Penitenziario), proprio perché si è in attesa di una riforma complessiva delle misure alternative.
Il passaggio è indicativo perché sposta l’attenzione sul corpus normativo che oggi abbiamo e che non corrisponde più al sistema organico dell’O.P del 75; ad esso si innestano, infatti, per interventi successivi (e non sempre coerenti) nuove leggi a valenza penitenziaria (ovvero norme di carattere procedurale, testi unici di settore ecc…) che come corollario hanno previsto modifiche tali da determinare l’impossibilità di una visione sinottica del sistema.
Chi oggi si trovi a declinare in maniera rigorosa i requisiti di accesso alle misure alternative deve necessariamente fare i conti con una varietà di requisiti relativi alle condizioni di ammissibilità (per la verità non univoche) e a preclusioni non riconducibili a criteri coerenti, né con riferimento ai reati, né con riferimento a criteri di pericolosità.
Si è in sostanza determinata una frattura fra la realtà penitenziaria e la realtà fattuale e conseguentemente ciò determina l’impossibilità di una visione globale del sistema, che sembra rispondere sempre a logiche contingenti, più che a strategie di intervento complessivo.
Nel giro di pochi anni si sono susseguite norme che si fondano su opzioni diverse, alternate da provvedimenti clemenziali, da profili di ineffettività delle norme (si pensi al lavoro di pubblica utilità, alla legge 62/2011) e questo determina una difficoltà collaterale: è pressoché impossibile valutare l’impatto delle norme (si pensi alla legge 49/2006 e alla possibilità di concessione della misura alternativa in relazione a pene sino a 6 anni, in concreto non applicata.
I meccanismi di accesso alle M.A. sono stati modificati numerose volte, tanto che oggi (chiarificatore è in proposito la complessa lettura dell’art. 4 bis) è realmente difficile definire chi può accedere alle misure e tutto è reso ancor più complicato dalla modifica dell’art 656 c.p.p., introdotta sempre con la legge 251 che in concreto ha snaturato la legge 165/98, determinando un aumento degli ingressi di detenuti definitivi anche se di non elevata pericolosità e questo perché la nozione di recidiva reiterata è generica e non introduce parametri connessi alla gravità del reato, e da ultimo la legge 199 richiamando quale condizione ostativa concetti quali l’abitualità e la professionalità ( e per inciso tali elementi non previsti per le misure alternative diventano un ulteriore elemento di schizofrenia del sistema).
Alle preclusioni di legge (si pensi anche alla legge 38/2009 e 94/2009) si aggiungono le difficoltà di ordine personale che caratterizzano molti potenziali fruitori di misure alternative: l’assenza di una casa, di un lavoro, le differenti tempistiche della pena e dei programmi terapeutici, le comunità terapeutiche che non riescono a far fronte alle domande di inserimento, la mancata determinazione dei posti presso le C.T., prevista dall’art. 1 c. 7 della legge 199 e non ancora formalizzata con decreto.
Sul piano concreto in molte regioni sono state realizzate buone pratiche, per inciso anche in questo caso occorre essere attenti e sottolineare il tema dell’esigibilità degli interventi ( la Commissione Nazionale Consultiva Stato Regioni ha nel 2008 licenziato delle ottime Linee guida, ma non tutte le Regioni le hanno recepite e ancora credo ci si debba anche interrogare sui frequenti richiami ai diritti di cittadinanza che finiscono con l’escludere chi non è cittadino italiano, persone per le quali la giustizia è sempre meno uguale)
Qualsiasi progetto di legge non può essere sintomatico, non può partire dal sovraffollamento del carcere che non è la causa, ma l’effetto e soprattutto il carcere non è il luogo in cui si possono determinare le politiche della giustizia (cfr. Risoluzione 15 dicembre 2011, n. 2897 del Parlamento Europeo)
Il carcere non è residuale al sistema delle pene, è la pena e se continuiamo a discutere delle numerose e – ovviamente – indispensabili misure organizzative (lavoro, istruzione, formazione, attività trattamentali ecc..) non saremo in grado di apportare alcun cambiamento. Tutti - politici e addetti ai lavori dissertano sulle contraddizioni semantiche e sulle contraddizioni del sistema, ma si collocano sempre più frequentemente nell’ambito di logiche emergenziali. La definizione di un circuito regionale penitenziario è indispensabile, ma il circuito non deve può essere orientato alla sola tipizzazione delle strutture, deve necessariamente comprendere il sistema delle misure alternative, deve prevedere la predisposizione di sezioni per dimittendi, deve essere in grado di intercettare precocemente le situazioni che possono consentire l’ammissione alle misure alternative. .
Cambiare approccio e interrogarci sul perché oggi il carcere sia senza prospettive per buona parte dei detenuti significa anche interrogarci su altri concetti : pericolosità e sicurezza, reinserimento, rottura del binomio /equazione pena=carcere.
I dati sui reati commessi dalle persone detenute ci dicono che sono prevalenti i reati non gravi e allora siamo sicuri che il carcere sia la pena più idonea? E soprattutto che effetti produce la detenzione e quali sono i costi della detenzione a fronte di risorse umane economiche e umane sempre più esigue.
La scelta coerente sarebbe stata quella del diritto penale minimo, ma come è noto non c’è convergenza sulle ipotesi di depenalizzazione e rispetto all’ampliamento di posti detentivi, esiste il rischio di ricondurre il sovraffollamento carcerario (effetto) al solo problema strutturale; è un errore strategico. Va detto che il pacchetto giustizia del Ministro Severino sembra attento ad una visione di sistema, va detto, infatti che significativamente interviene su quattro materie: depenalizzazione; sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili; sospensione del procedimento con messa alla prova; pene detentive non carcerarie. 
Un’annotazione a margine, ma che sembra importante attiene alla lettura degli atti parlamentari; credo sia un esercizio interessante significativo è il richiamo a diversi progetti di riforma, tutti concordano circa la necessità di sperimentare forme nuove e diversificate di sanzioni penali è, quindi, più volte stata proposta, con differenti modulazioni la messa alla prova che potrebbe oggi diventare realtà.
Una precisazione va però fatta : qualsiasi modifica non può essere introdotta con invarianza della spesa (formula significativamente reiterata in più occasioni che sta a significare che la riforma non deve avere costi aggiuntivi). E’ evidente che non è possibile prevedere modifiche senza un contestuale ed indispensabile consolidamento del sistema che deve presidiarlo e, conseguentemente se l’obiettivo è riformare il sistema dell’esecuzione penale, introducendo la messa alla prova e pene non detentive occorre potenziare le articolazioni e le professionalità che dovranno occuparsene, in primis gli Uffici esecuzione penale esterna che registrano attualmente una carenza di personale se si assume come parametro l’organico attuale, cui si aggiunge la non equità nella distribuzione del personale.
Ed è di tutta evidenza che le più recenti norme in materia di contenimento della spesa hanno indicato il quantum di riduzione percentuale degli organici e non le professionalità da decurtare; ma le scelte che saranno adottate daranno corpo a scelte di politica penitenziaria irreversibili.
Non va sottovalutato che in ogni caso l’introduzione di sanzioni alternative riduce i costi complessivi del sistema, ma non è, non può essere a costo zero.
Ribaltare il quadro di riferimento concettuale ponendo al centro un diverso sistema delle pene è condivisibile (anche se occorre esaminare analiticamente le misure) e non finalizzarle al solo deflazionamento del sovraffollamento carcerario, occorre lavorare soprattutto per invertire la tendenza radicatasi negli ultimi anni con la progressiva espansione della sfera di incidenza del diritto penale.
L’altra questione che non può essere bypassata è – come si è detto – l’organizzazione che deve presidiare la riforma del sistema dell’esecuzione penale, ovvero occorre pensare :
  • alla riorganizzazione del DAP e ai processi di decentramento
  • alle politiche del personale
  • ad una mirata allocazione di risorse
  • alla dislocazione degli Uepe, in modo da assicurare la necessaria prossimità degli interventi
09/03/13 http://www.personaedanno.it

giovedì 21 febbraio 2013

Assistenti sociali, forza sociale e interlocutori costanti P.a. e governo



Adnkronos News – mar 19 feb 2013 18:45 CETMail 0Consiglia0Tweet0Share0StampaRoma, 19 feb. (Labitalia) - "La professione di assistente sociale, insieme alle altre professioni ordinistiche, deve rappresentare una forza sociale e un interlocutore costante della pubblica amministrazione e del doverno cui far riferimento nel processo di crescita del Paese". Così Edda Samory, presidente del Consiglio nazionale dell'ordine in occasione del 'Professional day'. "L'enorme disagio che si vive nelle carceri italiane - dichiara Edda Samory - ci impone l'obbligo, non solo morale, di dedicarvi maggiori risorse. Per la nostra professione, il carcere significa rieducazione. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, e questo deve significare un adeguamento delle condizioni di vita nelle carceri che tenga conto dei principi basilari propri di uno stato democratico".



"Chiediamo - continua - che le nostre istituzioni e chi si accinge a governare il Paese raccolgano finalmente l'avvertimento dell'Unione europea e di quanti già si sono espressi su questa linea fortemente condivisa dalla professione. Auspichiamo anche che si possa prevedere uno snellimento delle procedure burocratiche per pensare sempre meno alle detenzioni all'interno delle carceri e sempre più a impegni e percorsi di riabilitazione".



Gli assistenti sociali, che si occupano del reinserimento sociale dei carcerati fin dal 1965, per uscire dall'emergenza, ritengono necessario e propongono di creare una forte sinergia tra i servizi sociali del ministero Giustizia e i servizi sociali territoriali con protocolli e accordi per lo sviluppo delle azioni condivise. La categoria chiede anche di mettere in cantiere un piano di informazione dell'opinione pubblica sul recupero della persona, per costruire una sensibilità atta a garantire una maggiore vivibilità e sicurezza del territorio. Si auspica anche la promozione del lavoro di servizio sociale di comunità attraverso lo studio e l'incentivazione delle reti sociali territoriali a sostegno dei progetti personalizzati di riabilitazione o di inserimento sociale.

I direttori dei penitenziari aprono una stagione di lotta contro "tagli" del personale



Dire, 20 febbraio 2013


Dopo gli agenti e i detenuti, adesso protestano anche i direttori dei penitenziari. Su di loro, infatti, incombe un taglio del Governo che dovrebbe ridurne il numero. Per questo, una serie di sigle sindacali ha proclamato lo stato di agitazione della categoria a cui arriva la solidarietà della Garante regionale dei detenuti, Desi Bruno.

Già nei mesi scorsi, insieme ai Garanti dei diritti dei reclusi, in una lettera congiunta al ministro della Giustizia Paola Severino, Bruno aveva stigmatizzato “il riesame della spesa dell’amministrazione penitenziaria, e oggi ribadisco con forza la contrarietà a provvedimenti che abbiano ad oggetto la riduzione del numero dei dirigenti penitenziari, paventando, in particolare, che in quelle carceri dove è assente la titolarità della direzione possa prevalere un’organizzazione della vita dell’istituto caratterizzata in termini di contenzione”.

Già ora, peraltro, i direttori delle carceri scarseggiano tanto in Emilia - Romagna quanto su tutto il territorio nazionale, “il che comporta attribuzioni plurime delle direzioni”. Anche in regione si stanno accorpando più istituti sotto una direzione unica. “Ciò comporta disagi per chi riveste ruolo direttivo nell’organizzare la vita dell’istituto e assicurare la fondamentale presenza all’interno. Non va dimenticato - prosegue Bruno, come si legge in una nota - che è il direttore che svolge funzione di sintesi e di coordinamento tra le varie aree (della sicurezza, educativa, contabile) che si occupano del carcere”.

Nel momento in cui l’amministrazione penitenziaria si accinge ad effettuare la sua “rivoluzione normale”, così come il Capo dipartimento ha definito la realizzazione dei circuiti regionali - e cioè una “razionalizzazione del sistema della detenzione per implementarne l’efficienza e l’efficacia, con un auspicato miglioramento delle iniziative trattamentali per la popolazione detenuta”, per Bruno “appare privo di logicità un intervento orientato a privare alcuni istituti penitenziari della figura di un direttore titolare, la cui funzione fondamentale è di propulsione, controllo e coordinamento dell’istituto, venendosi così, di fatto, a rendere non attuabile la riorganizzazione”. Bruno conclude così la sua presa di posizione: “Si ritiene che il Governo, ad una manciata di giorni dal finire della legislatura, non possa ulteriormente provare un sistema penitenziario ridotto ai minimi termini, riducendo anche il numero dei direttori, ma debba prioritariamente valutare l’opportunità politica di bandire un nuovo concorso per l’assunzione di figure direttive, risalendo l’ultimo ad oltre 20 anni fa”.





Appello degli Assistenti Sociali; le carceri italiane devono rieducare... non umiliare


Vita, 20 febbraio 2013

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, in questo momento di coinvolgimento delle Professioni sui temi nodali del Paese vuole mettere fortemente in rilievo l’emergenza del settore delle carceri, settore nel quale la Professione opera fin dal 1965, in Italia così come in tutti gli Stati del mondo.

Nella scelta di presentare nella Tavola rotonda “Giustizia e legalità” del Professional Day 2013 il tema carceri, alla luce degli interventi politici ascoltati, Edda Samory, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine sottolinea che la professione di Assistente Sociale, insieme alle altre professioni ordinistiche, deve rappresentare una forza sociale e un interlocutore costante della Pubblica Amministrazione e del Governo cui far riferimento nel processo di crescita del Paese.

I numeri delle carceri definiscono in modo significativo la situazione. Al 31 gennaio 2013, in Italia le carceri sono 206 per una capienza di 47.040 posti per 65.905 detenuti, di cui donne 2.818 (4,28%) - stranieri 23.473 (35,62%) - tossicodipendenti circa 22.500 (circa 34%). I non ancora definitivamente condannati sono 25.520 (il 38,72%) - i condannati sono 39.090 e di questi, al 31 dicembre 2012, 23.498 (60,79%) devono scontare meno di 3 anni, 2.314 più di 10 anni, 1.581 l’ergastolo; gli internati per misure di sicurezza sono 1.233, in misura alternativa sono 20.367 di cui in semilibertà 879 - in detenzione domiciliare 9.376 - in affidamento 10.112 compresi 3.195 tossicodipendenti.

“La dichiarazione dello Stato d’emergenza sul sovraffollamento dei penitenziari viene riconosciuto formalmente con il decreto del 13 gennaio 2010 - dichiara Edda Samory. L’enorme disagio che si vive nelle carceri italiane ci impone l’obbligo, non solo morale, di dedicarvi maggiori risorse. Per la nostra professione, il carcere significa rieducazione, come scritto nell’art. 27 della Costituzione. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, e questo deve significare un adeguamento delle condizioni di vita nelle carceri che tenga conto dei principi basilari propri di uno stato democratico.”

Gli Assistenti Sociali che giorno dopo giorno operano in numero sempre più ridotto rispetto alle esigenze reali per la riabilitazione dei detenuti, avvertono fortemente la necessità di discutere con loro il loro progetto di vita, per riuscire ad andare oltre il luogo di pena, verso il lavoro e il reinserimento nel tessuto sociale del nostro Paese.

“Chiediamo quindi - continua Samory - che le nostre Istituzioni e chi si accinge a governare il Paese raccolgano finalmente l’avvertimento dell’Unione Europea e di quanti già si sono espressi su questa linea fortemente condivisa dalla Professione. Auspichiamo anche che si possa prevedere uno snellimento delle procedure burocratiche per pensare sempre meno alle detenzioni all’interno delle carceri e sempre più a impegni e percorsi di riabilitazione.

Gli Assistenti Sociali, che si occupano del reinserimento sociale dei carcerati fin dal 1965, per uscire dall’emergenza, ritengono necessario e propongono di: creare una forte sinergia tra i Servizi Sociali del Ministero Giustizia e i Servizi Sociali territoriali con protocolli e accordi per lo sviluppo delle azioni condivise; mettere in cantiere un piano di informazione dell’opinione pubblica sul recupero della persona, per costruire una “sensibilità” atta a garantire una maggiore vivibilità e sicurezza del territorio; promuovere lavoro di Servizio Sociale di Comunità attraverso lo studio e l’incentivazione delle reti sociali territoriali a sostegno dei progetti personalizzati di riabilitazione o di inserimento sociale; monitorare e valorizzare l’affidamento dei detenuti in prova ai Servizi Sociali, per istituzionalizzare percorsi di pena alternativi.

Come Ordine degli Assistenti Sociali confermiamo la nostra massima disponibilità a collaborare con le autorità e con le associazioni, per ripensare la riabilitazione dei carcerati mettendo finalmente al primo posto le persone, sia che si tratti di uomini, donne o minori, in un percorso comune di reinserimento sociale”.





venerdì 8 febbraio 2013

Intervento del Presidente della Repubblica durante la visita al Carcere di San Vittore.

"...Questa visita e' un'occasione importante per rivolgere il giusto riconoscimento anche al lavoro diuturno svolto dagli uomini e dalla donne della polizia penitenziaria, che esercitano i loro compiti di custodia nella complessa realtà inframuraria con sensibilità, abnegazione e professionalità e desidero associarmi all'omaggio che ha tributato il Presidente Tamburrino alla memoria dei due caduti i cui figli sono oggi qui con noi.

Analogo riconoscimento e apprezzamento va tributato a tutti quegli altri operatori, dai dirigenti degli istituti, agli assistenti sociali, agli educatori, agli psicologi, agli operatori dell'area sanitaria che profondono il loro impegno nel progettare e assecondare il percorso di rieducazione. "





Milano, 06/02/2013
Signor Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria,
Signori Direttori della Casa circondariale di San Vittore e delle Case di reclusione di Opera e Bollate,
Autorità,
Ospiti dell' Istituto,
ringrazio il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, il Direttore della Casa Circondariale, la signora Ponge e il signor Fusano che mi hanno rivolto il loro saluto. Vi ringrazio per le parole con le quali mi avete accolto e per quanto avete voluto illustrarmi, ognuno per la sua parte, della quotidiana pesante realtà carceraria. Ma prima di entrare nel merito di alcuni aspetti della situazione a San Vittore e in generale, desidero fare una breve premessa. Ho più volte, e anche molto di recente, colto ogni occasione per denunciare l'insostenibilità della condizione delle carceri e di coloro che vi sono rinchiusi. E naturalmente avrei auspicato che i miei appelli fossero raccolti in misura maggiore di quanto non sia accaduto, ma vi posso assicurare che questo è accaduto per vari appelli del Presidente della Repubblica riguardanti anche altre questioni. Ho pensato tuttavia di dovere - raccogliendo l'invito rivoltomi a visitare San Vittore e, in particolare la sollecitazione che mi è venuta dal Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura, dottoressa Di Rosa - levare nuovamente la mia voce dopo che sul tema è intervenuta ancora la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo con una condanna, mortificante come l'ho definita, per l'Italia.

Il Ministro della Giustizia, prof.ssa Paola Severino, ha fatto cosa giusta recandosi di persona a Strasburgo, per dar prova della nostra attenzione a quella pur dura decisione della Corte Europea, e prendendo la parola, all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa lo scorso 24 gennaio. E lì ha anche presentato una sintesi delle iniziative da lei assunte in sede di governo e portate avanti con il conforto del Parlamento. Iniziative che meriterebbero di essere da qualsiasi parte politica valutate nel merito con serenità, senza pregiudiziali liquidatorie.

Il Presidente Tamburrino ha analizzato attentamente in un suo scritto la sentenza della CEDU, considerando dovere "indefettibile e indifferibile", da parte nostra, darvi esecuzione. È in giuoco, come egli ha giustamente rilevato, "una delle condizioni essenziali dello Stato di diritto". Sono in giuoco - debbo dire nella mia responsabilità di Presidente della Repubblica - il prestigio e l'onore dell'Italia.

E quindi questa questione, e l'impegno inderogabile che ne discende, debbono essere ben presenti a tutte le forze politiche e ai cittadini-elettori anche nel momento in cui il nostro popolo è chiamato ad eleggere un nuovo Parlamento.
Sia chiaro : sulle strade da scegliere, sugli indirizzi da perseguire in materia di legislazione penale e di politica penitenziaria e anche sulle risorse da impiegare (non solo da tagliare), esistono posizioni diverse tra uno schieramento e l'altro, tra un partito e l'altro. E io oggi non intendo dire nulla che possa anche solo apparire un'interferenza nel dibattito in corso, destinato poi a riaprirsi nelle nuove assemblee parlamentari. Il confronto non potrà non tenere conto di tutti i punti di vista e le proposte, comprese quelle contenute nella relazione presentata nello scorso novembre dalla speciale Commissione istituita dal CSM sui problemi della magistratura di sorveglianza.

Ma di certo nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità dell'attuale realtà carceraria nel nostro paese. Ed è già da considerarsi importante, per le decisioni da prendere liberamente nel futuro questo comune riconoscimento obbiettivo della gravità e urgenza estrema della questione carceraria.

La violazione che ci si addebita dell'articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo è imperniata sul parametro dello "spazio vitale del detenuto" che non è oggi garantito nella nostra situazione penitenziaria. Si può aggiungere che il sovraffollamento degli istituti, le condizioni di vita degradanti che ne conseguono, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo - sintomo di una inaccettabile sofferenza esistenziale - le condotte di inquieta insofferenza o di triste indifferenza sempre più diffuse tra i reclusi, la mancata attuazione dunque delle regole penitenziarie europee confermano purtroppo la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell'articolo 27 della Costituzione repubblicana sulla funzione rieducativa della pena e sul "senso di umanità" - espressione così bella introdotta in quell'articolo della Carta - cui debbono corrispondere i relativi trattamenti.

Conosco i dati relativi alle condizioni di sovraffollamento estreme riscontrabili qui a San Vittore. E conosco i dati complessivi sul piano nazionale. Tuttavia, senza indulgere ad alcun facile ottimismo, anche alla luce delle rilevazioni presentate in occasione della recente inaugurazione dell'anno giudiziario, sembra potersi registrare una certa inversione di tendenza conseguente alle misure adottate all'inizio del 2012, all'apertura di nuovi padiglioni, alla scelta di innovative misure gestionali. Naturalmente nonostante l'incremento di 3.065 posti carcere sul piano nazionale, il divario tra la capienza degli istituti e il numero dei detenuti resta intollerabilmente elevato. E egualmente, se sono da salutare i momenti positivi registratisi grazie alla sensibilità della società esterna e all'operosità dell'amministrazione, molti aspetti della condizione dei detenuti - uomini, e ancora di più donne - rimangono assai critici. Ho in proposito ascoltato le parole di Francesco Fusano e Marie Helene Ponge, e vorrei esprimere loro tutta la mia umana vicinanza. Non c'è dubbio che San Vittore costituisca, come ha detto nel suo intervento il Presidente Tamburrino, una sintesi di complessi problemi e di quotidiano disagio. E ciò può esser detto senza nulla togliere al valore dei progetti in corso o previsti, per i quali mi congratulo con il Direttore della Casa Circondariale, dott.ssa Gloria Manzelli.

Questa visita e' un'occasione importante per rivolgere il giusto riconoscimento anche al lavoro diuturno svolto dagli uomini e dalla donne della polizia penitenziaria, che esercitano i loro compiti di custodia nella complessa realtà inframuraria con sensibilità, abnegazione e professionalità e desidero associarmi all'omaggio che ha tributato il Presidente Tamburrino alla memoria dei due caduti i cui figli sono oggi qui con noi.

Analogo riconoscimento e apprezzamento va tributato a tutti quegli altri operatori, dai dirigenti degli istituti, agli assistenti sociali, agli educatori, agli psicologi, agli operatori dell'area sanitaria che profondono il loro impegno nel progettare e assecondare il percorso di rieducazione.

Ne' possono essere trascurate le risorse e le disponibilità del volontariato e del terzo settore, particolarmente attivi in ambiente carcerario, il cui ruolo merita dunque di essere valorizzato.

L'apertura del carcere alla istruzione, al lavoro, ai rapporti quotidiani con la comunità esterna, sono un inizio di giustizia, un passo indispensabile per consentire al condannato di raggiungere una più alta coscienza di sé, di generare la spinta morale verso la "inclusione" nella realtà esterna: solo in tal modo, l'aspirazione al reinserimento può non essere una utopia e al reo viene offerta la opportunità del recupero sociale.

Occorre peraltro prendere coscienza che la responsabilita' del trattamento e della risocializzazione non può essere affidata esclusivamente al personale dell'Amministrazione, ma deve estendersi e coinvolgere tutte le articolazioni sociali : dalla famiglia alla scuola, alle istituzioni religiose, alle associazioni di volontariato, al mondo del lavoro.
Al mondo imprenditoriale e alla cooperazione sociale - pur nell'attuale momento di crisi economica - va chiesto un adeguato supporto per i profili della formazione, dell'orientamento e dell'inserimento lavorativo.

Carissimi partecipanti a questa significativa cerimonia, a brevissima distanza dalla conclusione del mio mandato di Presidente, ho voluto essere tra voi con sentimenti di sincera e meditata condivisione di problemi e di umane sofferenze di cui lo Stato repubblicano deve farsi carico con quella determinazione, coerenza e continuità che finora purtroppo non ha mostrato. Sofferenze di uomini e donne qui reclusi e, direi poi in modo particolarissimo, di donne che sono mamme e per di più sono anche straniere. Confido che la mia testimonianza e le mie parole di oggi possano essere raccolte da chi mi succederà nelle funzioni di Capo dello Stato e da tutte le istituzioni rappresentative, a cominciare dal Parlamento che sta per essere eletto.

Ancora un caloroso saluto ed augurio a voi tutti.

sabato 2 febbraio 2013

IL CARCERE NELL' AGENDA MONTI

Il problema delle carceri é una prioritá
Come ben sa gran parte dell'opinione pubblica le carceri italiane sono sovraffollate. Nonostante questo, chiunque rimarrebbe impressionato dai numeri: abbiamo 21000 detenuti in più della capienza prevista. Ciò si traduce in due condanne della Corte di Giustizia Europea per trattamenti inumani ai detenuti e in un aumento dei suicidi all'interno delle strutture detentive. I provvedimenti adottati finora per evitare o ridurre tale problema sono stati l'indulto e la pene alternative al carcere. Le pene alternative al carcere sono inefficaci dal punto di vista numerico e sono inique. L'indulto, invece, oltre a non essere rispettoso delle forze dell'ordine, si é dimostrato anch'esso inutile, poiché, dopo un'iniziale boccata d'ossigeno per le carceri, quest'ultime sono tornare in tre anni più affollate di prima. É necessario un atto che risolva definitivamente il problema.
In Italia ci sono fra le 40 e le 100 carceri costruite, arredate, a volte anche vigilate, ma inutilizzate e costruite con miliardi di soldi pubblici. La strada da percorrere é sicuramente quella di sfruttarle. Ciò avrà un costo in termini di spesa pubblica soprattutto per il personale, ma tali fondi vanno ricavati sottraendoli ad altri reparti pubblici oppure sfruttando i tanti militari che non sono occupati in missioni all'estero o riassegnando alcuni di quelli impegnati nella, non sempre efficacie, operazione "strade sicure" voluta dal ministro Ignazio La Russa.
A chi obietta che questa non é una necessitá, io rispondo che si sbaglia, perché la garanzia dei diritti fondamentali è una prioritá dello stato, se non la prioritá. Non possiamo più ignorare questo problema e non possiamo continuare a svuotare le carceri per rinviare la questione, vanificando fra l'altro il prezioso lavoro delle forze dell'ordine.

Il carcere nel programma elettorale pdl

Limitazione della carcerazione preventiva, maggior dignità per i cittadini detenuti e incentivazione del lavoro nelle carceri

L'Emergenza carcere nel programma elettorale del PD


EMERGENZA CARCERE



Il Governo Berlusconi con i Ministri Alfano e Nitto Palma hanno dato prova di una gestione
del problema carcere assolutamente inadeguata. Per far fronte alla grave situazione di sovraffollamento delle carceri aveva attribuito temporaneamente (fino al 31 dicembre 2010 poi prorogati fino al 31.12.2011) al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria poteri straordinari commissariali per il rapido compimento degli investimenti necessari alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie o l’aumento della capienza di quelle esistenti.
Per realizzare questo progetto dovevano essere utilizzati 500 milioni di euro già stanziati dalla Finanziaria 2010 (utilizzando in modo improprio il fondo Cassa delle Ammende i cui stanziamenti sono finalizzati all’avvio di progetti per il recupero ed il reinserimento dei detenuti) e altri 100 milioni di euro provenienti dal bilancio della Giustizia.
La gestione è stata del tutto insoddisfacente, tanto che il Ministro della Giustizia Paola Severino nel prorogare di un ulteriore anno (cioè fino al 31 dicembre 2012) la gestione commissariale l’ha attribuita - dal 1° gennaio 2012 - ad un nuovo commissario straordinario (il prefetto Angelo Sinesio).

Ad oggi siamo però ancora alla fase di avvio.
Il problema del sovraffollamento carcerario non si risolve soltanto costruendo nuove carceri, sebbene sia importante ripensare anche dal punto strutturale il modello unico di istituto penitenziario attuale. Bisogna intervenire per garantire effettivamente il lavoro nelle carceri,diffondere modelli organizzativi e prassi virtuose su tutto il territorio nazionale, attuare piante organiche numericamente e professionalmente adeguate sia con riferimento al personale della polizia penitenziaria che a quello civile (educatori, psicologi e servizi sociali relativi all’esecuzione penale esterna - UEPE).
Il Governo Monti ha in parte cercato di affrontare il problema, con il costruttivo apporto del PD approvando la legge 9/2012, che ha introdotto una serie di misure volte a mitigare la tensione carceraria determinata dalla condizione di sovraffollamento.
In particolare ha affrontato il problema delle c.d. “porte girevoli” (casi di detenuti condotti nelle case circondariali per periodi brevissimi: nel 2010 ben 21.093 persone trattenute per un massimo di 3 giorni), e ha previsto che costituisca l’eccezione la detenzione in carcere dell’arrestato in flagranza di reato (per illeciti di competenza del giudice monocratico) in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto e del rito direttissimo, e ha disciplinato l’estensione da 15
a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare prevista dalla legge n. 199 del 2010.
Non è diventata legge, per colpa degli ostacoli frapposti da PDL e Lega Nord, la proposta che prevedeva la detenzione domiciliare come pena principale alternativa alla reclusione per i reati di non particolare allarme sociale e la sospensione del processo per la messa alla prova dell’imputato. Due nuovi istituti che il PD ha contribuito a costruire nella piena convinzione che rappresentino un punto importante del percorso di riforma.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 31 ottobre 2012 erano presenti nei 206 istituti carcerari italiani 66.685 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 46.795 unità.
E’ accertato che il condannato che espia la pena in carcere recidiva nel 68% dei casi, chi ha usufruito di misure alternative alla detenzione ha un tasso di recidiva del 19%, che si riduce dell’1% tra coloro che sono stati inseriti nel circuito produttivo.
Il 40 % della popolazione carceraria è costituita da indagati in attesa di sentenza definitiva (quindi in custodia cautelare); 21.615 detenuti (circa il 40 % della popolazione carceraria) è ristretta per reati in materia di stupefacenti.
Il sensibile decremento delle presenze stabili in carcere comporterebbe un cospicuo risparmio di spesa di circa 115 euro al giorno per ogni detenuto, liberando ingenti risorse che se investite adeguatamente per sopperire carenze di personale e strutture nonché per favorire attività trattamentali, potrebbero innescare un circuito virtuoso di potenzialità assai proficue.


Le proposte del PD



NEI PRIMI 100 GIORNI DELLA NUOVA LEGISLATURA


Contro il sovraffollamento:
modifica del codice penale laddove prevede inasprimenti di pena soggettivi per i condannati recidivi e ingiustificate preclusioni alla concessione delle misure alternative per i cosiddetti recidivi reiterati, introdotte nell’ordinamento penitenziario con la legge ex-Cirielli;
introduzione anche in Italia del reato di tortura;
abrogazione del reato di ingresso e di soggiorno illegale nel territorio dello Stato;
interventi urgenti, sulla base delle proposte più significative e di più immediato impatto sul sovraffollamento carcerario, elaborate della commissione mista del Consiglio superiore della magistratura, dei Magistrati di sorveglianza e del Ministero della giustizia, in materia di ammissione alle misure alternative alla detenzione e di sospensione dell’esecuzione carceraria quando sia applicabile una misura alternativa alla detenzione;
ampliamento e potenziamento delle misure alternative; introduzione della sospensione del procedimento penale con la messa alla prova dell’imputato; stabilizzazione della detenzione domiciliare; semplificazione dei procedimenti dei Tribunali di sorveglianza e delega di alcune attribuzioni alle direzioni penitenziarie o di esecuzione penale esterna;
modifiche al testo unico sulle tossicodipendenze volte a favorire l’affidamento terapeutico dei tossicodipendenti autori di reato di minore entità e, in sede di procedimento penale, di
isure cautelari a basso impatto segregativo; ampliamento dello strumento dell’espulsione del condannato straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, portandolo a tre anni di pena, anche residua e riducendo le ipotesi delittuose ostative all’espulsione medesima.



Per il personale penitenziariA


revisione dei limiti alle assunzioni per il personale di Polizia penitenziaria e programma straordinario di assunzioni e di riqualificazione delle professionalità del trattamento penitenziario, di servizio sociale e di assistenza e di cura alle persona detenuta o in misura alternativa alla detenzione;
approvazione del contratto di lavoro e dell’ordinamento professionale della dirigenza penitenziaria;

 
NEL PRIMO ANNO DELLA NUOVA LEGISLATURA


Modifica delle norme sulla custodia cautelare, eliminando le ipotesi normative che dispongono la custodia carceraria obbligatoria per titolo di reato, fatta eccezione per i reati di mafia e di terrorismo, in conformità ai ripetuti pronunciamenti della Corte costituzionale E prevedendo stringenti criteri di chiara indispensabilità e di adeguata motivazione dei provvedimenti restrittivi, nonché di limitazione temporale in rapporto al principio di massima speditezza delle indagini o del giudizio penale; estendere, contestualmente, le tipologie e la durata delle misure cautelari coercitive o interdittive;
introduzione nel Piano sanitario nazionale dei principi e delle linee-guida volte a garantire i servizi essenziali tutela della salute e le prestazioni di assistenza e cura dei delle persone detenute,
la prevenzione del rischio derivante dai traumi e dalla sofferenza psico-fisica da incarcerazione che incidono sull’elevata incidenza di suicidi e di altri comportamenti auto-lesivi; potenziamento dei servizi sanitari territoriali per la presa in carico delle persone in misura di sicurezza per malattia psichiatrica, attraverso programmi individualizzati di cura, riabilitazione e reinserimento sociale;
previsione, nei giudizi immediati, di presidi dei Servizi per le tossicodipendenze presso gli uffici del G.i.p., ai fini della possibile sospensione del procedimento e l’avvio a programmi terapeutici individualizzati, evitando dannosi passaggi in carcere; estensione per la Magistratura di sorveglianza dei protocolli e dei supporti professionali per le procedure di diagnosi, di certificazione e predisposizione dei programmi terapeutici per condannati tossicodipendenti, da ammettere a misura alternativa;
allestimento di un programma per il lavoro attraverso la riorganizzazione degli interventi dell’amministrazione, degli enti locali, delle imprese, del volontariato e del terzo settore; potenziamento degli investimenti e del sistema degli incentivi e degli sgravi fiscali e contributivi per i lavoratori detenuti;
attuazione del principio dell’esecuzione della pena sul territorio di appartenenza del condannato revisione dei livelli di sicurezza, dei modelli di vigilanza e dei regimi in cui si attui trattamento penitenziario intensificato, in concomitanza con l’ampliamento della capienza
degli istituti;
riorganizzazione e ammodernamento dei servizi operativi del Corpo di polizia penitenziaria e delle metodologie del trattamento penitenziario; incentivazione alla formazione professionale ed investimenti nelle tecnologie di supporto ed informatica di servizio negli istituti e negli uffici dell’esecuzione penale esterna; legge per l’istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti quale figura di coordinamento con i garanti regionali e comunali e di raccordo con la magistratura di sorveglianza, per le situazioni che pregiudichino l’esercizio dei diritti dei detenuti e le condizioni del trattamento
penitenziario, che non possano essere risolte in sede giurisdizionale.


NELLA PRIMA META’ DELLA LEGISLATURA


Con la riforma del codice penale, riduzione dell’area dell’illecito penale laddove riferito a comportamenti di danno sociale ed ampliamento e differenziazione delle forme sanzionatorie, attraverso un sistema di pene interdittive, ma non privative delle libertà personali, irrogabili dal giudice di cognizione;
misure legislative ed interventi sociali e strutturali perché nessun bambino debba conoscere il carcere con la propria mamma

ENTRO LA FINE DELLA LEGISLATURA


Messa in campo di una strategia per il diritto allo studio, per la formazione professionale, per l’inserimento lavorativo, per l’assistenza socio-familiare, per la cura e la riabilitazione dalle tossicodipendenze e dalla sofferenza psichiatrica delle persone in esecuzione penale, da definire attraverso una Conferenza nazionale, che coordini gli interventi dello Stato, del Servizio sanitario nazionale, delle Regioni e degli enti locali, dell’imprenditoria, del volontariato e del terzo settore.