L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

venerdì 28 settembre 2007

LAVORO USURANTE ASSISTENTI SOCIALI

La lettera inviata dal CASG e le tante lettere appello, con centinaia di adesioni, hanno finalmente prodotto la risposta dei parlamenntari che hanno presentato il pdl sul lavoro usurante delle professionalità che operano in carcere.
E' la conferma che l'unione fa la forza!

Camera dei Deputati
Alla cortese attenzione delCoordinamento Assistenti Sociali Giustizia
Cari assistenti sociali,l'idea di predisporre un pdl che si occupi dei reali problemi vissuti da chi opera nel mondo penitenziario, nasce dall'esigenza di ricomprendere nei benefici stabiliti dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 11 agosto 1993 n. 374, tutte le figure professionali che orbitano nel sistema carcerario, ivi compresi gli assistenti sociali.
Siamo perfettamente consapevoli che il ruolo attribuito al Servizio Sociale dall'Ordinamento Penitenziario è fondamentale, tanto che le visite effettuate presso le carceri d'Italia e le relative riunioni con i direttori delle stesse, sono state testimonianza lampante di come, nonostante la carenza di organico, gli assistenti sociali lavorino con professionalità ed in situazioni veramente difficili e spesso angoscianti.
L'istituzione carceraria è nella realtà sociale un'organizzazione molto complessa, in cui operano diverse figure professionali, le quali meritano complessivamente, a nostro modesto giudizio, lo stesso rispetto e la stessa attenzione.E' nostro obiettivo pertanto nel corso dell'iter parlamentare, eseguire diverse audizioni in Commissione, al fine di giungere all'approvazione di un provvedimento esaustivo che qualifichi come usurante, qualunque attività espletata sia all'interno che all'esterno delle carceri ma che siano in stretta correlazione con il mondo penitenziario, come appunto avviene per gli assistenti sociali che assolvono l'imprescindibile funzione di controllo e riabilitativa di cui al 3° comma dell' articolo 27 della Costituzione.Roma li, 26 settembre 2007
On. Silvio Crapolicchio

giovedì 27 settembre 2007

CASG




A volte i cattivi pensieri ritornano……

Era il 1997 quando il CASG raccolse 2025 firme tra assistenti sociali, operatori socio sanitari, educatori, operai e professionisti, imprenditori, volontari, docenti universitari e ricercatori, politici e sindacalisti, artisti e poliziotti penitenziari, filosofi e sociologi, scrittori e giornalisti nonché semplici cittadini, contro la creazione di quelli che allora furono denominati “Centri di custodia territoriale” in pratica gli ex CSSA.
Anche allora ci fu la mobilitazione delle associazioni professionali degli assistenti sociali, degli ordini regionali, dei sindacali quali la CGIL, ma anche di associazioni del volontariato, quali: il gruppo Abele, la Caritas, il gruppo Exodus, i Coordinamenti carcere e territorio, l’Opera San Fedele, l’APAS e tante altre cooperative sociali impegnate nell’inserimento dei soggetti in esecuzione di pena.

Allora, l’Amministrazione Penitenziaria nella persona del Capo del DAP il Consigliere M. Coiro (l’allora Ministro della Giustizia era G.M. Flik), bloccò il progetto e rispose con un comunicato inviato all’associazione AssNAS - in cui diceva:


”…è cura di quest’Amministrazione valorizzare l’operatività dei CSSA. A seguito della prossima approvazione del progetto di legge c.d. “Simeoni” che prevede l’ampliamento delle misure alternative e lo snellimento delle connesse procedure, è intendimento dell’Amministrazione penitenziaria rafforzare strutturalmente gli uffici di servizio sociale. Allo stato si sta prevedendo un aumento dell’organico degli AA. SS. e un incremento di altre figure di supporto, affinché questi operatori siano posti in condizione di sviluppare pienamente tutte le valenze dei loro compiti istituzionali. Infatti, come è noto, l’attuale assetto ordinamentale demanda all’A.P. la definizione e la realizzazione di una progettualità complessiva, che deve consentire ai CSSA di svolgere precise e qualificate funzioni volte alla promozione di processi di reinserimento sociale dei soggetti loro in carico, in stretta collaborazione con i servizi del territorio e con gli enti locali, all’interno di una metodologia del lavoro fondata sui principi e fondamenti del servizio professionale.
Quanto poi alla possibilità di inserire personale di polizia penitenziaria nei CSSA, si sta determinando l’insorgenza di un vivo dibattito culturale (condotta da forze sindacali e associazioni di categoria); di tale dibattito l’A.P. ne prende atto
”.

Vedremo questa volta come andrà a finire!

Foglio di avvisi del CASG - 1 marzo 1997

LE DUE CITTA'


Tratto da Speciale Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria n.7/8- “Un Patrimonio di Umanità- Intervista al Capo del DAP Ettore Ferrara” (versione non integrale), di Antonio Di Raimondo

Se dovesse indicare in estrema sintesi i problemi essenziali con cui si trova a misurarsi il Dipartimento, quali porrebbe in cima ad un’ideale classifica? Il sovraffollamento delle carceri?
“In questo momento non abbiamo un problema di sovraffollamento, siamo nei limiti di quella che è la capienza ordinaria dei nostri istituti. Abbiamo però una progressiva crescita delle presenze, che per qualche tempo si è attestata in maniera preoccupante su un ritmo di circa 1.000 detenuti al mese. La qual cosa significa che se non si interverrà sul nostro sistema legislativo, nel giro di un anno, un anno e mezzo, avremo nuovamente problemi di sovraffollamento”.

Qual è la sua previsione?
“Da questa prospettiva si ricava l’esigenza di interventi strutturali che vadano nella direzione già delineata nel programma del Governo e avallata anche dal Capo dello stato nel suo intervento a Rebibbia: il ricorso alla pena detentiva deve rappresentare la estrema ratio da riservare solo ai casi di effettiva pericolosità sociale. E’ questa la via per combattere il rischio del sovraffollamento, escludendo la presenza all’interno degli istituti penitenziari di soggetti per i quali non vi è necessità della pena detentiva, mentre risulta efficace il ricorso a sistemi di esecuzione penale esterna”.

Quando parla di interventi strutturali mi sembra che non si riferisca al tradizionale problema della costruzione di nuove carceri. Come procede il programma previsto?
“Quel programma non si è assolutamente interrotto. Un conto è la prospettiva di evoluzione del nostro sistema, ma, ovviamente noi, come amministratori, dobbiamo parametrarci sul sistema esistente; e il sistema esistente è quello che ci fa intravedere fra un anno o un anno e mezzo condizioni di sovraffollamento che se non saranno adeguatamente e tempestivamente affrontate, potrebbero dar luogo agli inconvenienti con cui ci siamo misurati non più di un anno addietro. Da qui la necessità di ampliare gli spazi di detenzione. Ma a questo riguardo, piuttosto che pensare alla costruzione di nuove strutture penitenziarie che richiedono tempi estremamente lunghi e disponibilità economiche che non ci sono, stiamo operando per recuperare, attraverso ristrutturazioni, i locali rimasti inutilizzati, nonché per ampliare alcuni istituti. Quindi il programma va avanti”.

Esiste comunque una problematica legata agli Uffici per l’Esecuzione penale esterna, su cui si è aperto un dibattito anche con le rappresentanze sindacali. Questo discorso rientra in questo ambito?
“Rientra pienamente, e infatti ne ho fatto cenno poco fa. Quando noi pensiamo alla sanzione detentiva come estrema ratio, è chiaro che dobbiamo comunque garantire un altro sistema di esecuzione, ed è quello che facciamo pensando allo sviluppo delle misure alternative alla detenzione. Il disegno di legge di riforma del Codice di procedura penale di recente approvato da consiglio dei ministri, ed il disegno di legge di riforma del Codice penale, che è in queste settimane all’attenzione del Consiglio dei Ministri, vanno in questa direzione attraverso la previsione dell’istituto della messa alla prova, che fino ad oggi trovava applicazione soltanto nel processo minorile, nonché con altri tipi di sanzioni alternative al carcere. A questo riguardo, si tratta comunque di costruire un sistema che risponda alle esigenze di sicurezza della società ed è in questa prospettiva, che noi pensiamo di rafforzare i nostri Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna con l’inserimento della polizia penitenziaria che può svolgere attività di controllo sulle misure alternative, che nel sistema attuale dovrebbe essere assolta dalle altre Forze di Polizia, ma che in concreto incontra notevoli difficoltà.


E’ fiducioso sul fatto che le problematiche sindacali si potranno superare?
“ Sono certamente fiducioso. La dialettica che si è sviluppata ha interessato la polizia penitenziaria e parte del personale che attualmente opera negli Uepe, ma non c’è un contrasto interno tra le diverse forze sindacali. Credo che alla base ci sia un equivoco sul ruolo e sui compiti della polizia penitenziaria. Noi immaginiamo che la Polizia Penitenziaria debba svolgere un ruolo ed assumere competenze che in nessun modo, vanno a sovrapporsi o a sostituirsi a quelle svolte sino ad oggi dal personale del Servizio Sociale. Anzi, io dico che se oggi possiamo pensare ad un ampliamento, ad una espansione dell’Esecuzione Penale Esterna, è grazie ai buoni risultati che questo segmento dell’Amministrazione ha conseguito. Siamo quindi consapevoli del buon operato di chi ha agito sino ad oggi”.

Questo ruolo della polizia penitenziaria negli UEPE presuppone una formazione superiore, un livello di maturità superiore. E’ un salto di qualità, rispetto ai compiti tradizionali?
“Non parlerei di salto di qualità, quanto piuttosto di un’estensione naturale. Ritengo che la legge istitutiva del corpo di polizia penitenziaria prevedesse che questo tipo di competenza, con altre competenze che sono andate nel tempo sviluppandosi. Oggi i tempi sono maturi perché anche questa parte della Legge sia attuata.
La cosa importante è che la legge del 1990 ha concepito la Polizia Penitenziaria come Polizia dell’Esecuzione Penale, oggi noi abbiamo un sistema penitenziario che si va sviluppando nella direzione dell’ampliamento dell’Esecuzione Penale Esterna. E’ giusto quindi che la polizia penitenziaria, per espletare compiutamente la sua funzione, si occupi anche dell’Esecuzione Penale Esterna.

mercoledì 26 settembre 2007

Il Messaggero

Giustizia: quanto costa la "sicurezza" ai contribuenti italiani

26 settembre 2007- Sono quasi 350 mila gli uomini che garantiscono l’ordine pubblico in Italia, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia, polizia penitenziaria, guardie forestali. Ma alcuni di loro si occupano di tutto tranne che di combattere la criminalità. Sono gli addetti alle cosiddette "attività di funzionamento": quelli che lavorano negli uffici, quelli che stanno nelle cucine, quelli che fanno le pulizie, gli autisti che vanno a prendere a casa i colonnelli, i camerieri dei circoli ufficiali, gli uscieri, i piantoni. Nessuno sa dire di preciso quanti siano gli uomini destinati a questi compiti non sempre essenziali. Tempo fa si calcolò che il personale impiegato nelle attività di funzionamento è il 30% del totale, ma gli interessati contestano la stima perché sbagliata per eccesso mentre il Tesoro la considera errata per difetto.
Forze armate e forze dell’ordine sono il solo comparto della pubblica amministrazione che continua a incrementare gli organici. Fra il 2002 e il 2006 le "unità di personale" nei corpi militari sono cresciute del 9,38%, nei corpi di polizia del 3,91%. Complessivamente, sono quasi 25 mila uomini guadagnati in appena quattro anni, mentre il resto dello Stato ha dovuto fare i conti con il blocco delle assunzioni.
Nel periodo preso in considerazione, il comparto sicurezza ha assorbito il 75 per cento delle assunzioni statali, e più o meno lo stesso era avvenuto nel quinquennio precedente. Tutti i governi, di centrodestra e di centrosinistra, hanno favorito polizia e forze armate a scapito delle altre amministrazioni, per una precisa scelta politica: si è cercato così di rispondere alla sempre maggiore domanda di sicurezza che arriva dai cittadini.
Eppure l’Italia spende già molto rispetto agli altri paesi europei. Basta leggere i dati dell’Eurostat: solo gli inglesi destinano all’ordine pubblico una percentuale di Pil superiore alla nostra; francesi, tedeschi e spagnoli invece danno meno. E stiamo parlando di ordine pubblico in senso stretto, perché alla voce "difesa" il nostro paese è, al contrario, perfettamente in linea con la media dell’Ue.
Destiniamo alla sicurezza il 2% della ricchezza nazionale, pari a circa 480 euro per ogni cittadino, contro i 390 euro dei francesi (che pure hanno un reddito pro-capite più alto del nostro). A ogni Finanziaria si ripropone lo scontro fra ministro dell’Economia e ministro dell’Interno. Uno vorrebbe risparmiare, l’altro chiede più risorse. Lo schema si sta riproponendo anche quest’anno. A legislazione vigente, il comparto sicurezza può già prevedere per il 2008 un numero di assunzioni sufficiente a coprire quasi tutti i posti lasciati liberi da chi va in pensione. Ma questi uomini non bastano, e Giuliano Amato ha chiesto al collega Padoa-Schioppa un potenziamento degli organici che costerebbe allo Stato circa mezzo miliardo di euro l’anno.
Come se ne esce? Il rimedio si potrebbe trovare in un migliore utilizzo del personale. Per esempio, ci sono decine di migliaia di esuberi fra i sottufficiali di Esercito, Aeronautica, Marina. Invece di essere spediti in pensione anticipata, potrebbero essere trasferiti a compiti di ordine pubblico. Quelli che proprio non possono andare in strada sarebbero comunque in grado di dedicarsi alle funzioni amministrative, liberando agenti e carabinieri dalle loro scrivanie. Pare che il governo ci stia ragionando

venerdì 21 settembre 2007

SPAZIO: PENSIERI LIBERI

I nuclei di verifica e la risposta degli organi di stampa on-line- La notizia avrà colpito la polizia penitenziarria presente alla festa del Corpo ma ben poco la stampa.
Nella stampa, la notizia ampiamente diffusa, dal Ministro Mastella, dal Capo del DAP, dal Presidente della Repubblica- rispetto al prossimo impiego della Polizia Penitenziaria per il controllo delle misure alternative, ha suscitato poco interesse. Analizzando 26 aticoli web, pubblicati il 21 settembre, su vari quotidiani on line, solo in un articolo si fa un breve accenno al progetto.
"Il direttore del Dap ha anche rivelato che è in fase di pre-sperimentazione l'impiego di agenti penitenziari al di fuori delle carceri nell'ambito dell'esecuzione penale esterna".(ilvelino.it)
E' invece prevalso l'interesse per il tema dell'indulto e della recidiva di chi è stato scarcerato per indulto.
il comitato di solidarietà
L'Unità, ANSA, La Stampa, Reuters Italia, La Repubblica, Corriere della Sera, SKY Life, L'Occidentale, NEWSFOOD.com , Barimia , Il Denaro , Expo BG, Il Secolo XIX , Il Velino, Noi Press, LA 7, Il Denaro, Il Messaggero , Corriere della Sera, AGI , 25 ore , KataWeb News, Asg Media

FESTA NAZIONALE CORPO POLIZIA PENITENZIARIA


MESSAGGIO AUGURALE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
"In occasione dell’annuale festa del Corpo sono lieto di formulare, a nome di tutta la nazione e mio personale, le più vive espressioni di gratitudine agli uomini e alle donne della Polizia penitenziaria per il quotidiano impegno che pongono nell’adempimento dei loro doveri Istituzionali.
Conosciamo e apprezziamo la lealtà e lo spirito di sacrificio con i quali essi si dedicano allo svolgimento di funzioni delicate e complesse che li pongono a contatto con un ambiente, quello carcerario, che è espressione, assieme, della devianza, del delitto e della sofferenza.
La presenza vigile e la non comune professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria hanno consentito di mantenere l’ordine negli istituti anche nei momenti in cui la situazione di questi si presentava particolarmente problematica e hanno contestualmente assecondato il percorso di rieducazione dei detenuti così attuando i principi fissati nella Costituzione.
Il continuo sforzo di aggiornamento e di riorganizzazione agevolerà l’utile impiego del Corpo di Polizia Penitenziaria anche nelle ulteriori attività che l’Amministrazione intende a esso affidare e che sono connesse al complessivo controllo delle varie fasi dell’esecuzione penale. In questo contesto, la Polizia Penitenziaria saprà cooperare efficacemente con le altre forze di Polizia e con il restante personale dell’Amministrazione in tutte le attività volte a garantire la sicurezza e la risocializzazione.
Con questi sentimenti e con il pensiero rivolto agli appartenenti al Corpo che hanno operato fino all’estremo sacrificio nell’assolvimento dei loro compiti, giungano a tutti voi a vostri colleghi non più in servizio e alle vostre famiglie i più fervidi voti augurali.


Intervento del ministro della Giustizia Clemente Mastella
in occasione della Festa nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria
(Napoli, 21 settembre 2007)
Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signore e Signori, è un grande onore celebrare a Napoli, in questa incredibile, splendida città che tutti noi amiamo e che a volte fa di tutto per non farsi amare, la Festa Nazionale 2007 del Corpo di Polizia Penitenziaria che, per la prima volta in ben 190 anni dalla sua fondazione, si svolge al di fuori della Capitale. Oggi, qui, intendiamo dare grande risalto al valore e all’immagine del Corpo e lanciare un messaggio preciso: la Polizia Penitenziaria - ai cui appartenenti tutti noi riconosciamo il quotidiano e silenzioso impegno portato avanti sempre con assiduità e spirito di servizio - costituisce – e nei prossimi anni lo sarà sempre di più - un Corpo di Polizia al servizio del Paese e della giustizia, con compiti delicati che riguardano tutti gli aspetti della esecuzione della pena, anche al di là della cinta muraria del carcere. Una Polizia moderna ed efficiente, con competenze speciali che – tenendo sempre presente il compito fondamentale che le è stato consegnato (garantire l’ordine e la sicurezza all’interno degli Istituti Penitenziari) – si proietta con professionalità ed efficacia sul territorio.
Si tratta di un’evoluzione già intrapresa, destinata ad accompagnare in modo decisivo e coerente una profonda e complessiva riforma del nostro sistema penale.

Riforma che ho voluto ispirata ai valori della nostra Costituzione e rispondente ai reali bisogni di sicurezza della Comunità nazionale. Riforma destinata a restituire efficacia al diritto penale mediante l’ampliamento della gamma delle pene principali e la loro applicazione sulla base di principi di
proporzionalità, di efficacia repressiva e di prevenzione generale.
Ne scaturirà un impianto normativo che fa perno sulla funzione rieducativa della pena, ma che sarà in grado al contempo di contrastare quel senso di impunità, purtroppo particolarmente diffuso, che è spesso la premessa per la commissione di nuovi reati.
Avvalersi della Polizia Penitenziaria per effettuare controlli efficaci su coloro che scontano una pena, anche diversa dalla detenzione, è dunque un cammino che abbiamo iniziato a percorrere. Per tale motivo è in via di definizione un Decreto elaborato congiuntamente dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dell’Interno per la sperimentazione, in alcune regioni, dei Nuclei di Verifica della Polizia Penitenziaria. Ciò rappresenterà una svolta epocale per il Corpo che vede consolidarsi progressivamente sul territorio il proprio ruolo di Polizia dell’esecuzione penale. Tale prospettiva conferma un dato non sempre adeguatamente sottolineato: la Polizia Penitenziaria costituisce un avamposto dello Stato a tutela della sicurezza del cittadino, sia essa chiamata ad operare nel carcere o sul territorio, si tratti della sorveglianza o del recupero e del reinserimento, tutti fattori essenziali per evitare la recidiva e nuove offese alla convivenza civile.
Permettetemi al riguardo alcune considerazioni che potranno apparire contro tendenza. Le stesse relazioni di apertura dell’anno giudiziario 2007, fornendo un bilancio dell’anno trascorso, hanno segnalato, nello stupore di molti, un andamento costante quando non una riduzione nel numero e nella gravità dei reati commessi.

E’ indubbio che oggi il “pianeta carcere” si presenta come una realtà profondamente diversa da quanto immaginato dai padri costituenti, nel momento in cui conferirono all’Amministrazione Penitenziaria il compito di rieducare i condannati. Infatti, rispetto agli anni in cui nacque la nostra Repubblica, il diritto penale si è fatto assai più complesso ed il numero dei detenuti è cresciuto in maniera consistente, tanto da creare, nei mesi antecedenti l’approvazione dell’indulto per iniziativa del Parlamento (luglio 2006), una situazione che con graziosa iperbole è stata definita di sovraffollamento degli istituti. Il risultato dell’indulto, provvedimento eccezionale adottato per far fronte ad una situazione altrettanto eccezionale, è stato un adeguamento provvisorio del numero di detenuti alla capienza prevista. Provvisorio, ma non certo al punto della malaugurata profezia dei nemici dell’indulto.
A fronte però di una campagna mediatica di rara virulenza e spregiudicatezza, fatta per guadagnarsi gli applausi delle curve, anche gli autori eterogenei del provvedimento, impauriti dalla impopolarità, si sono mimetizzati.
A questo proposito, colgo l’occasione per ringraziare il presidente del Consiglio, Romano Prodi, che sull’indulto ha speso parole di verità; ma anche il leader dell’opposizione, Silvio Berlusconi, che, anche di recente, ha detto apertamente che lo avrebbe rivotato. L’indulto ha conquistato il primo posto nella classifica del malcontento italiano, determinando una faziosa, ingiusta equazione, secondo la quale esso avrebbe significato maggiore criminalità e maggiore delinquenza. Forse sarebbe il caso di dire basta alle polemiche strumentali: da un’analisi svolta dal Dap risulta, infatti, che la presenza dei soggetti recidivi in carcere non è aumentata. Anzi.
Se la percentuale di recidivi si assestava al 48% della popolazione carceraria prima dell’indulto, un anno dopo, la presenza di recidivi in carcere è pari al 42% del totale. E tale ultimo dato include anche quel 22,7% dei detenuti usciti per il provvedimento votato dalla stragrande maggioranza del Parlamento che hanno varcato di nuovo le porte del carcere.
Ciò che non bisogna tacere è, piuttosto, che la permanenza media dei detenuti negli istituti penitenziari risulta essere piuttosto bassa. Si pensi che - sulla base di recenti statistiche del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – su 89.859 persone che sono entrate in carcere in tutto il 2005 (come imputati o come condannati) solo 3.959 risultavano essere ancora detenute al 5 giugno 2007. Occorre pure sottolineare che il turn over in parola sottopone ad un elevato stress organizzativo l’istituzione carcere ed i suoi operatori, distogliendo preziose energie dal compito primario affidato dalla Costituzione all’Amministrazione ed alla Polizia Penitenziaria.
Credetemi, non sto cedendo alla tentazione di una polemica retrospettiva.
Il mio è il tentativo di coniugare l’affermazione di convinzioni profonde con la necessaria razionalità delle scelte politiche e amministrative.
Quanto alle convinzioni non ho dubbi: il carcere deve essere luogo di recupero perché se la libertà fisica può essere costretta ad esito di un giusto processo, la dignità dell’uomo è valore supremo, che non sopporta limitazioni.
Ma anche nell’ottica della laica opportunità delle scelte, la sola segregazione non basta a garantire la sicurezza dei cittadini. L’esclusione fisica ha infatti comunque un termine. A meno di non prefigurare scelte che in altri sistemi hanno prodotto insieme aumento esponenziale della popolazione carceraria e incremento dei tassi di criminalità, il carcere deve essere quindi insieme luogo di severità, di dignità e di recupero.

Abbiamo bisogno di nuove carceri e di carceri nuove.
Nuove carceri, perché la risposta dello Stato deve essere credibile e lo strumento penale effettivo. Non siamo rimasti con le mani in mano e fin d’ora 5.886 nuovi posti sono in corso di realizzazione. Contiamo di aggiungerne almeno altri 800 nel 2008. Non si tratta di riforme a costo zero e il Governo ha l’onere di assicurare i necessari investimenti.
Ma abbiamo anche bisogno di carceri nuove. Garantire la certezza della pena presuppone che essa possa essere effettivamente scontata in un ambiente idoneo a favorire il recupero del detenuto.
1 posto 1 detenuto è l’equazione sulla quale si misura la civiltà di un Paese e la sua capacità di fronteggiare senza demagogia il problema della sicurezza. Così come non c’è reinserimento possibile senza una adeguata presenza in carcere di personale altamente qualificato, messo in grado di svolgere al meglio, ed anch’esso in condizioni civili, il suo già difficile compito.
Certo, la sicurezza resta un problema complesso, che necessita di interventi forti e coerenti.
Lo diciamo a Napoli, dove più forte e grave è l’infarto sociale prodotto dalla criminalità piccola e grande. E proprio in quest’ottica sto partecipando allo sforzo del Governo perché siano adottate tempestivamente misure efficaci, in grado di restituire al Paese ed alla Città di Napoli serenità e fiducia nelle Istituzioni.
La certezza della pena per chi commette reati di grave allarme sociale è il cuore delle mie proposte, destinate a dar corpo a quel “pacchetto sicurezza” che proprio in questi giorni è al centro della iniziativa del Governo.

Voglio cogliere l’occasione per ricordare a tutti che ogni politica di sicurezza cammina sulle gambe degli operatori.
Nei mesi scorsi si è sviluppato un proficuo e assiduo dialogo tra la parte pubblica e le organizzazioni sindacali, allo scopo di iniziare a gettare le basi per la creazione di nuove articolazioni della Polizia Penitenziaria e per un loro adeguamento a quelle che sono le effettive esigenze del Paese.
In questo senso, l’intesa relativa al Patto per la Sicurezza raggiunta in luglio tra Governo e rappresentanze sindacali delle Forze dell’Ordine costituisce un elemento essenziale, per il quale chiediamo che nella Finanziaria siano previste le necessarie risorse: pacta sunt servanda!
Questo accordo costituirà indubbiamente per la Polizia Penitenziaria un’importante occasione per vedere finalmente riconosciuto e consolidato il proprio ruolo di Polizia del Ministero della Giustizia, nel pieno coordinamento e in posizione paritaria con le altre forze di polizia.
Anche l’elaborazione di un nuovo modello organizzativo per i servizi di Polizia Stradale va in questa direzione e vedrà la luce con un Decreto Ministeriale di prossima emanazione.
Sempre in un’ottica di innovazione del ruolo della Polizia Penitenziaria è già stato firmato il Decreto Ministeriale che disciplina le funzioni di Polizia Giudiziaria, con la relativa istituzione del “Nucleo Investigativo Centrale” e dei coordinamenti regionali così preziosi per le indagini per i delitti di criminalità organizzata e di terrorismo.
In questo quadro si inserisce poi la riorganizzazione e la razionalizzazione dei servizi di scorta e tutela, svolti dall’Ufficio per la Sicurezza Personale e la Vigilanza, e del Gruppo Operativo Mobile preposto alla custodia dei soggetti in regime di 41 bis ed alla gestione del servizio di sicurezza dei maxiprocessi alla criminalità organizzata.
Non sarebbe possibile assolvere con successo nessuno di questi nuovi compiti se non vi fosse, alla base dei molteplici impegni del personale di Polizia Penitenziaria, un grande senso del dovere ed una solida preparazione professionale. Tale preparazione, così come avviene in tutti i contesti più avanzati, necessita però di un costante aggiornamento nelle più svariate discipline.
E’ proprio per andare incontro a queste esigenze che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria appronta annualmente un piano strategico che, accanto alla formazione iniziale, prevede l’organizzazione di un vero e proprio sistema di formazione continua.
Come vedete, dunque, lo Stato chiede alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria di impegnarsi quotidianamente in una costante opera di quadratura del cerchio che, se li vede – da una parte – garanti in ogni momento della sicurezza e della legalità della vita carceraria, dall’altra richiede loro di attivarsi per tutelare, con pari impegno, la dignità e l’umanità della condizione del detenuto, a contatto diretto con la sofferenza e la conflittualità insite nella natura stessa dell’istituzione penitenziaria.
Infine, permettetemi di esprimere soddisfazione per essere riuscito, grazie ad uno stanziamento straordinario di 15 milioni di euro, ad ottenere - in un momento non particolarmente prodigo di risorse finanziarie aggiuntive per gli apparati dello Stato - la riassunzione di circa 500 agenti ausiliari, congedati il 31 dicembre del 2005. Era questo uno degli obiettivi di breve periodo che avevo enunciato fin dal momento del mio insediamento. Esso è stato finalmente raggiunto.
Non posso concludere il mio intervento senza rivolgere un commosso pensiero alle numerose vittime del dovere, che hanno immolato la loro vita a difesa della democrazia e delle istituzioni repubblicane. A voi tutti – donne e uomini della Polizia Penitenziaria – va il mio sentito ringraziamento per quanto fate ogni giorno, in silenzio e con sacrificio, e gli auguri più sinceri di buon lavoro, certo che continuerete a mantenere forte e vivo il vostro impegno.
Viva la Polizia Penitenziaria. Viva l’Italia!


Discorso del Presidente Ettore Ferrara
Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Signor Presidente della Repubblica
Autorità
Gentili ospiti
A nome anche dell’Amministrazione che ho l’onore di rappresentare mi sia consentito rivolgere a voi tutti un caloroso saluto ed un ringraziamento sincero per la vostra presenza a questa cerimonia. Ringrazio il Sindaco di Napoli, per averci concesso il privilegio di tenere questa manifestazione in uno scenario cosi suggestivo e ricco di storia. E’ questo il primo anno che il tradizionale appuntamento per la festa del Corpo di Polizia Penitenziaria si tiene lontano da Roma. E ciò è il frutto di una scelta che si fonda su un duplice desiderio: 1) accrescere il senso di vicinanza del Corpo rispetto all’intera comunità nazionale; 2) contribuire a testimoniare la presenza dello Stato rispetto ai bisogni di questa meravigliosa città, i cui tanti e ben noti problemi, anche sul fronte della sicurezza, non devono assolutamente alimentare la sensazione di una condizione di solitudine ma devono viceversa tradursi in fattore di spinta per un sempre maggiore impegno di tutte le istituzioni, ed innanzi tutto di quelle che a garanzia della sicurezza sono preposte!
La celebrazione odierna riveste peraltro un rilievo particolare che in qualche modo rafforza ed esalta quelle ambizioni, ricorrendo il 190° anniversario della istituzione del Corpo, le cui radici affondano nel tempo fino al lontano 1817, allorché, contemporaneamente alla posa della prima pietra della maestosa Basilica che sovrasta la Piazza, furono promulgate nel Regno Sardo le Regie patenti che approvarono lo "Stabilimento delle Famiglie di Giustizia e delle Carceri", considerato l’atto di nascita degli allora "custodi delle carceri".
Molto tempo è trascorso da quei giorni!
Oggi la Polizia Penitenziaria continua ad operare in primo luogo all’interno dei 231 istituti penitenziari presenti sul territorio, compresi gli istituti per minori, con un organico complessivo di circa 42.000 unità, comprensivo di 3.500 donne, per garantire che regni la sicurezza e l’ordine, nonché per partecipare all’osservazione del comportamento del detenuto e alle attività trattamentali nelle quali il medesimo è impegnato, nel percorso intrapreso per il suo reinserimento sociale.
Trattasi di un’attività di grande complessità e delicatezza, che comprende compiti che sono ad un tempo di vigilanza e di recupero sociale; che pone la Polizia Penitenziaria nella zona più avanzata dell’azione di contrasto alla devianza ed alla criminalità, che al tempo stesso mette nella condizione di dover condividere con il condannato l’inevitabile sofferenza che si accompagna alla detenzione, per farsi strumento di garanzia dell’attuazione del principio costituzionale dell’umanità della pena.
In questo ambito particolare rilievo assume l’impegno più sottile e strategico assolto dalla Polizia Penitenziaria nell’osservazione delle dinamiche che si sviluppano all’interno del carcere tra singoli detenuti, o fra gruppi di questi, e che mira a evitare la creazione di posizioni di potere o l’instaurarsi di influenze negative reciproche fra i ristretti. E’ di fondamentale importanza, infatti, per la rieducazione stessa dei detenuti, che all’interno degli istituti non abbiano modo di affermarsi i valori distorti della sottocultura criminale. In proposito merita di essere ricordato il lavoro svolto al fianco delle strutture antimafia per garantire la corretta e rigorosa applicazione del regime speciale previsto dall’art. 41 bis dell’ord. Pen. (oggi riguardante poco più di 500 detenuti) e più in generale per impedire ai capi delle organizzazioni criminali, di continuare dal carcere a impartire ordini e commissionare delitti all’esterno.

Nell’esercizio delle sue funzioni di istituto la Polizia Penitenziaria è andata sviluppando modelli organizzativi e operativi sempre più sofisticati, che trovano espressione in talune rilevanti specializzazioni: così con il Servizio Navale, con la creazione del Gruppo operativo Mobile; con l’allestimento del servizio di multivideoconferenze; con l’istituzione di un servizio cinofili che svolge la quotidiana e preziosa attività di contrasto ai tentativi di introduzione di sostanze stupefacenti nelle strutture penitenziarie, e che nell’ultimo anno ha consentito il sequestro di significativi quantitativi di Eroina e Hascish.
Ai compiti tradizionali altri se ne sono affiancati nel tempo, a cominciare dal servizio di traduzione e piantonamento, in precedenza svolto da Carabinieri e Polizia di Stato.
Unità del corpo sono state assegnate all’Ufficio centrale Interforze per la sicurezza personale, mentre all’interno del Dipartimento specifico analogo Ufficio è stato in questi mesi organizzato per garantire all’Amministrazione della Giustizia di provvedere in via autonoma alla tutela delle personalità a rischio che presso di essa operano in sede centrale.
A tal proposito non posso tacere come l’attività di vigilanza e tutela svolta dalla Polizia Penitenziaria sia oggetto quotidianamente di lusinghieri apprezzamenti e di insistenti richieste, anche da parte di Uffici Giudiziari. E così, dopo Roma, anche a Napoli il servizio di vigilanza dei nuovi uffici giudiziari al Centro Direzionale è stato nel corso di questo anno assunto da personale specializzato della Polizia Penitenziaria.
Sempre maggiore consistenza ed importanza è andata intanto assumendo l’attività di polizia giudiziaria svolta dai nostri agenti, che si è caratterizzata negli ultimi tempi per l’espletamento di numerose deleghe provenienti dalle Direzioni Distrettuali Antimafia.
Ulteriori competenze in materia di codice della strada risultano conferite alla Polizia Penitenziaria con legge del 2003, e per dare impulso a tale attività, che contribuirà a garantire un maggior livello di legalità e sicurezza sulle strade, è in fase di adozione un provvedimento dipartimentale volto a definire le relative procedure amministrative.
Nel contempo, in considerazione dello sviluppo che più di recente ha assunto l’area dell’esecuzione penale esterna, e dell’ulteriore incremento che potrà derivare dall’attuazione del conforme indirizzo politico più volte dichiarato dal Governo, è in fase di organizzazione la sperimentazione dell’impiego della Polizia Penitenziaria in funzione di vigilanza sui soggetti sottoposti a misure alternative alla detenzione.Ciò al fine di garantire alla collettività la compatibilità di tali prospettive con la comprensibile e diffusa esigenza del mantenimento di adeguati livelli di sicurezza.
Ed ancora, la Polizia Penitenziaria è pronta a dare il proprio contributo per la istituzione della banca dati del DNA secondo quanto previsto dal disegno di legge in questi giorni all’esame del Consiglio dei Ministri, che significativamente e finalmente prevede la creazione dei ruoli tecnici al suo interno.
Le funzioni istituzionali della nostra polizia segnano, dunque, una progressiva crescita, e ciò mentre si accresce anche la complessità delle competenze storicamente ad essa delegate. Il carcere dei giorni nostri, divenuto luogo di raccolta delle espressioni del disagio sociale, si caratterizza infatti sempre più per la transitorietà delle permanenze - in ragione di un turn-over di circa 100.000 detenuti all’anno -; per la presenza di patologìe, anche infettive, conseguenza di stili di vita inadeguati; per la presenza, sempre più massiccia di soggetti stranieri, che oltre alle comprensibili difficoltà di comunicazione, segna differenze sul piano dei bisogni personali, delle abitudini alimentari, delle pratiche religiose. I detenuti stranieri presenti nei nostri istituti, che negli anni novanta non superavano la percentuale media del 15%, sono oggi ben 17.048, appartenenti a 143
Nazioni, e rappresentano il 36,55% del totale dei ristretti, che in questi giorni risultano essere circa 45995
Mentre dunque viene richiesto alla Polizia Penitenziaria un impegno diretto sul fronte del contributo alla sicurezza e del contrasto alla criminalità, in una serie di attività che trovano sede al di fuori delle mura carcerarie, allo stesso tempo è il carcere stesso a chiedere che siano sviluppate nuove sensibilità professionali e nuove specializzazioni. A ciò si aggiungano i maggiori bisogni che deriveranno dalla realizzazione di nuovi ambienti di detenzione. Nella gestione del post-indulto, infatti, l’Amministrazione ha in corso di esecuzione lavori per la realizzazione di 5.688 nuovi posti di detenzione, al fine di evitare il ripetersi di fenomeni di sovraffollamento.
Orbene, non v’è dubbio che i positivi risultati di questi anni, raggiunti con risorse sempre più limitate, sono stati possibili solo grazie alla crescente professionalità e alla enorme disponibilità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria.
Una professionalità che il recente ingresso negli istituti dei vice commissari che costituiscono il ruolo direttivo di nuova istituzione, certamente contribuirà ad accrescere ed affermare, in una prospettiva che veda, nell’ambito dell’area della sicurezza, riconoscere ai commissari quell’autonomia organizzativa e gestionale indispensabile per il più efficace svolgimento delle funzioni loro affidate. Sono infatti ormai maturi i tempi per istituire la figura professionale del direttore dell’area sicurezza, la cui funzione – al pari degli altri direttori d’area – va intesa in termini di perfetta compatibilità con le nuove competenze del dirigente-direttore dell’istituto e persino con quelle tradizionalmente svolte dal Comandante di reparto.
Una professionalità frutto di un’attività di formazione sempre più intensa ed impegnativa, oggi svolta presso l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari e in nove scuole, distribuite su tutto il territorio nazionale.
Una professionalità che, però, quanto più si traduce in risultati apprezzabili, tanto più sembra condannare questi uomini e donne a vivere nell’ombra le loro esperienze lavorative. Salvo magari a ritrovarsi impietosamente esposti al rischio della facile denigrazione allorché il loro impegno naufraghi di fronte alle mille astuzie e alla violenza di chi non sappia o non voglia accettare lo stato di privazione della libertà.
Personale di polizia chiamato spesso a gestire l’emergenza, ed ancor più di frequente a supplire a gravi carenze di organico, non solo proprie, ma anche delle altre categorie professionali (gli operatori sanitari, tecnici, gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi, i contabili) che con altrettanto zelo contribuiscono al governo dell’Universo carcerario e ai quali tutti ho il dovere di esprimere in questa circostanza la mia gratitudine.
Ed è proprio la consapevolezza della complessità dei compiti affidati oggi alla Polizia Penitenziaria e della professionalità richiesta per il loro svolgimento, che fa apparire ancor più incomprensibile il diverso trattamento di carriera ad essa riservato rispetto ad altri corpi di Polizia, rendendo improcrastinabili quegli interventi ordinamentali indispensabili per la piena armonizzazione delle rispettive carriere. Interventi la cui realizzazione – magari nel quadro delle recenti iniziative volte a dare concretezza al "patto sulla sicurezza" – questa amministrazione fortemente auspica, in assoluta sintonia con quanto richiesto dalle organizzazioni sindacali, alle quali anche. in questa sede, esprimo il mio ringraziamento per la proficua e intensa collaborazione offerta all’Amministrazione.
Non potrei chiudere questo mio intervento senza ricordare le atlete e gli atleti delle Fiamme Azzurre, che anche nell’ultima stagione agonistica hanno dato lustro all’immagine della Polizia Penitenziaria sui campi di gara. Al di là dei risultati sportivi – che ci riempiono di orgoglio – ciò che merita risalto è il contributo offerto dal gruppo sportivo alla difesa dello sport, alla cultura delle

regole, alla realizzazione delle istanze più nobili. Significativo in tal senso è il protocollo di intesa intervenuto con il Comitato Italiano Paraolimpico nel luglio scorso per garantire agli atleti paraolimpici adeguato supporto in termini logistici, sanitari e finanziari da parte delle Fiamme Azzurre, per la loro preparazione e partecipazione ad eventi agonistici nazionali ed internazionali.
Il nostro Corpo di Polizia è dunque una istituzione che ha preso forma nel modo più completo dal punto di vista delle moderne strutture e dei mezzi di cui dispone; che si rende ogni giorno di più disponibile con le sue preziose risorse umane, a contribuire nel modo più rilevante alla sicurezza e all’ordine pubblico; che sotto l’egida del Ministero della Giustizia, dal quale orgogliosamente dipende, vede costantemente espandersi le sue competenze e responsabilità nel campo dell’esecuzione penale, e non solo.
Per consentire pienamente la realizzazione di questi ambiziosi obiettivi di crescita occorre prendere coscienza del ruolo assunto dalla nostra Polizia; assicurare ad essa adeguato sostegno, anche in relazione alle maggiori risorse umane necessarie; riconoscerne la funzione strategica a livello istituzionale, perché una credibile politica per la sicurezza non può non fare degli istituti penitenziari il proprio avamposto; e impegnarsi a diffondere tali consapevolezze affinché da esse questi uomini possano trarre le motivazioni necessarie per superare le tante difficoltà di tutti i giorni e contribuire così sempre più a realizzare quello che solitamente viene efficacemente definito il "carcere della speranza".
La Sua presenza a questa cerimonia, signor Presidente, della quale fortemente Le siamo tutti grati, unitamente a quella delle altre autorità che l’accompagnano, è sicura garanzia che tutto ciò possa realizzarsi con grande attenzione alle legittime aspettative di queste donne e uomini che oggi con sincero orgoglio ho avuto il privilegio di presentare a Lei ed al Paese.Ed il messaggio che ella ha voluto nell’odierna circostanza rivolgere al Corpo, per il suo elevato valore simbolico, e per la densità dei contenuti che lo contraddistingue, sicuramente ci conforta in tale convinzione.
Prima di concludere un pensiero commosso e riconoscente intendo rivolgere alle vittime della Polizia Penitenziaria che hanno sacrificato la loro vita nell’adempimento del proprio dovere, lasciandoci in eredità il loro fulgido esempio di servitori dello Stato, fino all’estremo sacrificio.
A voi tutti donne e uomini della Polizia Penitenziaria, alle vostre famiglie va in questa giornata il nostro più affettuoso saluto, ringraziamento ed augurio.
Viva la Polizia Penitenziaria, viva l’Italia.
Il Capo del Dipartimento
Pres. Ettore Ferrara

COMUNICATO SAG-UNSA

Fumata nera per la polizia penitenziaria negli uepe: incominciano a trapelare le crepe sostanziali che l’UNSA SAG ha più volte evidenziato

Iniziando, insolitamente, dalla conclusione della riunione sull’inserimento della Polizia Penitenziaria negli UEPE rileviamo che l’incontro del 17 c.m. si è chiuso come le seguenti parole del Presidente Ferrara: ci sono organizzazioni sindacali che sono ferme nella impostazione di contrarietà all’ampliamento delle funzioni della Polizia Penitenziaria; altre che concordano pienamente con l’impianto del D.M., che prevede l’estensione delle funzioni di controllo a tutte le misure alternative alla detenzione; ed infine sindacati che pur essendo favorevoli si auspicano un procedere graduale.
Ora, la maggioranza dei sindacati di polizia penitenziaria sono propensi ad acquisire visibilità e funzioni di ‘controllo’ più ampie. Infatti avversano non l’impianto del DM ma la riduttività delle funzioni a carico della polizia penitenziaria e la paventata ‘subordinazione’ ai direttori di servizio sociale.
Un’altra posizione si incarna in chi vuole assolutamente svolgere compiti non meglio definiti di esclusivo controllo strettamente connesso all’operato del nucleo traduzioni e alla dipendenze del Magistrato di sorveglianza.
L’Amministrazione, sempre in coda di riunione, ha candidamente affermato che il DM è il veicolo per presentare un pacchetto connesso alla richiesta di aumento di personale: emerge dunque un aspetto strumentale.
L’Unsa Sag ha con intransigenza ribadito la propria contrarietà, politica e culturale a tutto l’impianto che, volendo ‘aggirare’ i limiti (contorni) normativi di rango generale (art. 72 legge 354/75 e DPR 230/2000) presenta confusione e sovrapposizione, per non dire contrasto, rispetto alle funzioni primarie degli Uffici EPE e al mandato attribuito per legge al personale ivi operante. Si mantiene pertanto l’equivoco di fondo: la ‘falsa’ distinzione tra controllo e verifica dei piani di trattamento, cercando di inserire dal basso modifiche improprie.
Peraltro il DM, ad una attenta lettura, presenta contraddizioni di funzione: tra quelle attribuite ai Magistrati di Sorveglianza, ai direttori penitenziari e le funzioni degli uffici/direttori EPE.
Sul predetto punto si rimarca che la magistratura di sorveglianza avrà, a giorni, un incontro con il capo del dipartimento E. Ferrara.
Insuperato rimane il nodo delle risorse, della scientificità (solidità) della sperimentazione e delle motivazioni a sostegno di questo storno di energie che appare contornato da motivi ‘politici’. Più volte, in ogni occasione, il SAG-Unsa ha sollecitato l’Amministrazione ad un ampio confronto con le OO.SS. su questioni veramente fondamentali per l’Esecuzione Penale Esterna tra le quali:
_ l’aspetto organizzativo generale degli Uepe;
_ le risorse umane e materiali ;
_ la ridistribuzione sul territorio nazionale degli assistenti sociali in relazione agli
effettivi carichi di lavoro ed alle piante organiche di sede;
_ la necessità di valorizzare concretamente e rilanciare le misure alternative alla
detenzione;
_ Il ripristino dell’indennità di trasferta.
Ancora una volta, di contro, la risposta dell’Amministrazione a questa esigenza degli operatori del Servizio Sociale è stata quella di emanare una lettera circolare (27 luglio 2007) di indirizzi organizzativi relativi all’orario di servizio e all’orario di apertura al pubblico degli Uffici, sottraendo illegittimamente al previsto confronto sindacale la materia, dimostrandosi più attenta al contenitore che ai contenuti.
Ritornando all’incontro in parola, si evidenzia che è emersa, in tutta la sua intensità, la contrapposizione tra il personale di polizia penitenziaria e del servizio sociale, innescata dal decreto: si sta generando una pericolosa involuzione nei rapporti interprofessionali a discapito della funzione rieducative e risocializzante dell’esecuzione penale che viene del tutto disconosciuta in violazione al dettato costituzionale.
La discussione è stata rinviata e riprenderà con l’ennesima ulteriore bozza.
L’Amministrazione è apparsa ‘sensibile’ ai dubbi posti dalle OO.SS. pur ribadendo la volontà di intervenire sulla questioni di controllo e di sicurezza sociale attraverso questa proposta che l’UNSA SAG ritiene frammentaria e avulsa rispetto al contesto primario dell’intervento trattamentale. In altre parole, il D.A.P. cerca ampio consenso e noi, con la solita attenzione, vi informeremo sugli sviluppi e sulle posizioni intrattenute da tutti gli attori coinvolti.
.Il segretario nazionale
Roberto Martinelli

mercoledì 19 settembre 2007

COMUNICATO RDB


Nella giornata del 17/09/07 si è tenuta la riunione, con convocazione DAP, relativa all’inserimento della Polizia Penitenziaria negli UEPE.
Non si è giunti alcuna decisione e grazie al nostro intervento si è convenuti per un’ulteriore pausa di riflessione e approfondimento della questione. Il Presidente Ferrara ha dichiarato che per concludere questa operazione non c’è urgenza e………..quindi staremo a vedere.
Questa O.S., nell’esprimere il più totale dissenso dalla proposta di D.M. presentata, vuole sottolineare che questa Amministrazione non è affidabile perchè:· le ultime scelte operate portano dritte verso un carcere di polizia: la costituzione dei nuclei di P.G., la presenza per il controllo dei sottoposti a misure alternative negli UEPE, riconfermano la volontà a fare del sistema Carcere un sistema di Polizia senza il controllo dei Direttori, imperniato su criteri polizieschi e sicuramente non consoni alla gestione dell’art. 27 della Costituzione.
Nel contesto prefigurato dal D.M. in esame il ruolo dei Dirigenti Uepe è ridotto a quello di funzionari di polizia, senza averne la qualifica (come del resto i dirigenti degli istituti) realizzando pericolose ambiguità e ancor più pericolose zone d’ombra, dove la line gerarchica non solo non è chiara, ma sarà oggetto di enorme contenzioso.
Consapevole tuttavia della professionalità della polizia penitenziaria, questa O.S. non accoglie la proposta perché:· è illegittima, dal momento che la legge prevede che il controllo sugli affidati sia fatto da Assistenti Sociali,· non tiene in nessun conto delle professionalità e dell’esperienza concretizzata e realizzata in questi anni dal Servizio Sociale,· né coinvolge gli Assistenti Sociali in questa prospettiva di cambiamento, e nei fatti è delegittimazione del lavoro fin qui svolto. Soprattutto per questi motivi la RdB Pubblico Impiego dissente dalla proposta presentata e DENUNCIA l’occupazione degli UEPE da parte della Polizia Penitenziaria, senza alcuna selezione e senza alcun corso di formazione e, soprattutto senza compiti precisi.
Vale la pena sottolineare che a Viterbo a fronte di 8 Assistenti Sociali sono stati inviati 1 Vice Commissario e due Ispettori, oltre ai due già presenti, a Campobasso con arroganza la Polizia Penitenziaria si è risentita perché il Direttore ha chiesto lumi sul loro utilizzo ( 7 A.S. e 5 Pol. Pen.). A Frosinone su sette Assistenti Sociali ve ne sono sei, con gli ultimi arrivati. E’ questo il rispetto del decreto proposto …la formazione,… la selezione ? A questo punto, stanti le attuali premesse, il personale del Comparto Ministeri è fortemente penalizzato, non solo operativamente, ma anche attraverso il confronto con i benefici contrattuali: deve essere messo in condizioni di lavorare realizzando una effettiva perequazione dei ruoli, visto che la strada intrapresa dall’Amministrazione, vede la Polizia Penitenziaria fare le stesse cose del personale restante e quindi· venga riconosciuta la pari dignità tra le componenti dell’Amministrazione· Venga riconosciuto il lavoro usurante e quindi lo scivolo di un anno ogni cinque. Venga aperta una immediata trattativa per definire il trattamento di missione del personale del comparto.· Venga aperta subito la trattativa sul contratto integrativo allo scopo di prevedere, attraverso quello strumento, le possibilità non previste da contratto, ma possibili per cercare di rendere meno pesante il confronto con la Polizia Penitenziaria.
RIMANE LA DECISIONE DI CHIEDERE IL TRANSITO DEL PERSONALE DEL COMPARTO O NEGLI UFFICI DI SORVEGLIANZA IN QUALITA’ DI CONSULENTI O AD ALTRA AMMINISTRAZIONE
IL COORDINAMENTO RdB PENITENZIARI

UGL POLIZIA PENITENZIARIA


CONTROLLO ESECUZIONE PENALE ESTERNA ANCORA "TENTENNAMENTI"
Si è tenuta presso il DAP alla presenza di tutte le sigle sindacali del Comparto Sicurezza e Ministeri, l’ennesima riunione per discutere dei nuovi compiti da assegnare alla Polizia Penitenziaria nel controllo dei condannati che usufruiscono di misure alternative alla detenzione.
Il Capo del Dipartimento diligentemente ha illustrato la nuova bozza di decreto interministeriale che ha in parte recepito alcuni suggerimenti presentati dalle OO.SS. nel corso dei precedenti incontri, in base ai quali si presupponeva un atteggiamento positivo da parte delle sigle sindacali con eccezione di coloro che rappresentano gli assistenti sociali ed educatori che sembravano essere rimasti gli unici, senza motivi condivisibili, a contrastare nettamente il decreto in questione.
Inspiegabilmente si è creata una spaccatura tra le diverse componenti sindacali anche sulla natura dei compiti che dovranno essere svolti dal personale da assegnare a tale nuovo servizio, così l’USPP si è trovata insieme a non molte altre sigle a dare il proprio assenso ad un progetto che, ad avviso della scrivente federazione svilupparsi nel corso del tempo per consentire di migliorare l’assetto progettuale di cui trattasi.
Le critiche al progetto sembrano essere piuttosto inconsistenti perché da un lato si parla di una assenza di qualificazione del personale di Polizia Penitenziaria, dall’altro si sostiene che i compiti che gli vengono attribuiti nell’attività risocializzante del reo sono troppo rimarcati (qualcuno ha evidenziato che non si tratta di educatori).
Ad avviso della nostra federazione, invece, non solo rientra appieno nei compiti del personale di Polizia Penitenziaria la partecipazione all’attività di recupero del reo, ma questa prerogativa deve essere alimentata in un ottica di impiego più speculare a quello che prevede la normativa, nell’intento di migliorare i risultati sul recupero dei soggetti in espiazione di una pena, soprattutto se beneficiari di misure alternative alla detenzione.
Pertanto, valutandosi come demagogiche alcune prese di posizione assunte da altre sigle sindacali, si è ribadito l’assenso all’avvio del progetto di sperimentazione.
L’Amministrazione penitenziaria, nella persona del Presidente Ferrara, prendendo atto di quanto rappresentato si è riservato di valutare altre modifiche al decreto interministeriale insistendo sulla tesi avanzata anche dalla nostra federazione sulla opportunità di procedere per gradi arrivando a modificare il testo base all’esito della sperimentazione.
Si attendono ora le decisioni dell’Amministrazione sul varo definitivo del provvedimento.
Il Segretario Nazionale
Giuseppe Moretti

VERBALI INCONTRI DAP-OO.SS. SU POL.PEN. NEGLI UEPE

UEPE - Verbale Riunione 14 maggio 2007. (1241 KB)
UEPE - Verbale Riunione 11.07.2007 (1133 KB)

martedì 18 settembre 2007

COMUNICATO FP CGIL


- Incontro al DAP su sperimentazione Pol. Pen. negli UEPE -
Ieri, 17 settembre 2007, è ripreso il confronto con l’Amministrazione sulla bozza di decreto interministeriale (Giustizia e Interni) che prevede la sperimentazione - presso alcuni UEPE - dell’inserimento della Polizia Penitenziaria con l’istituzione dei Nuclei di verifica e controllo.
La Fp Cgil, pur riconoscendo all’Amministrazione di aver manifestato una adeguata capacità di ascolto rispetto alle numerose istanze sindacali pervenute nel merito durante gli incontri che si sono svolti, ha evidenziato il permanere delle perplessità che già erano state ampiamente rappresentate.
In particolare, ci riferiamo: alla richiesta di una adeguata valutazione circa la natura del controllo prevista sulla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, rispetto alla quale da più parti sono state avanzate forti perplessità, al carattere scientifico entro cui si connota la sperimentazione e alla attenta valutazione dell’impatto organizzativo che la stessa comporta.
E’ su tali questioni che la Fp Cgil, alla luce della nuova stesura del decreto in questione, ha focalizzato le sue osservazioni.
Seppure apprezzabile, infatti, l’individuazione di compiti di controllo più chiari e di garanzia per la stessa Polizia Penitenziaria - ci riferiamo all’assolvimento da parte della P.P. del controllo sulla detenzione domiciliare e sulla semilibertà - non abbiamo condiviso, ravvisando anche una certa ambiguità nel merito e nella forma, la scelta di affidare al Magistrato di sorveglianza se rimettere o meno alla Polizia Penitenziaria il controllo dell’affidamento in prova, ritenendo tale intento inopportuno in quanto connotato di una discrezionalità che potrebbe avere risvolti molto discutibili per gli aspetti discriminanti, in termini di sicurezza e controllo, che ne potrebbero conseguire.
Rispetto al carattere scientifico della sperimentazione, la Fp Cgil ha espresso ancora forti perplessità, in quanto risultano ancora incerti i criteri e gli indicatori necessari per la valutazione finale della sperimentazione. Abbiamo ribadito, quindi, l’opportunità di prevedere che la valutazione dei risultati, in virtù del carattere scientifico della questione, e a garanzia della imparzialità, fosse affidata ad un ente terzo rispetto al DAP.
Infine, questa O.S. ha ribadito le osservazioni già avanzate riguardo l’impatto negativo che tale sperimentazione - così come viene delineata nell’ipotesi prospettata - rischia di determinare sia dal punto di vista funzionale - ci riferiamo alla collocazione logistica e funzionale dei nuclei presso gli UEPE -, e sia riguardo le risorse, umane, economiche e strutturali che risultano allo stato assolutamente esigue.
Rispetto al primo punto, considerato che la sperimentazione del controllo partecipata prevede di concentrarsi sulla semilibertà e sulla detenzione domiciliare, misure che meno caratterizzano l’attività istituzionale degli UEPE, abbiamo rappresentato l’opportunità di collocare i nuclei in questione in altre strutture (ad esempio i PRAP o i Nuclei di Traduzione e Piantonamento) a garanzia dell’autonomia professionale della Polizia penitenziaria e degli Assistenti sociali.
Riguardo il secondo punto, la Fp Cgil ha contestato l’assenza di una reale ed obiettiva stima delle risorse necessarie all’avvio della sperimentazione e ha ribadito che allo stato enormi sono le difficoltà che si riscontrano in termini soprattutto di carenza organico su tutto il territorio nazionale, difficoltà che inficerebbero, mettendone in discussione la credibilità, l’iniziativa concepita.
L’Amministrazione, alla luce delle osservazioni esposte, anche da alcune altre OO.SS., ha ritenuto opportuno rinviare l’incontro per assumere ulteriori elementi, necessari affinché la sperimentazione sia avviata nel miglior modo possibile e assuma credibilità e condivisione.
Alcune riflessioni sulla questione, a questo punto, ci sembra necessario proporle e condividerle con i lavoratori: la fase iniziale della discussione e del confronto riguardo il tema in questione è stata caratterizzata da una forte chiusura dell’Amministrazione, orientata a chiudere nel più breve tempo il confronto e senza fornire alle OO.SS. alcuna delle garanzie richieste nei precedenti incontri.
Una chiusura allarmante non solo per i lavoratori e gli addetti e/o esperti del settore ma anche per la Fp Cgil che, senza falsa modestia, ha saputo ascoltare le istanze dei lavoratori facendosene carico e che con coerenza e determinatezza ha rappresentato nel corso degli incontri.
Il cammino non è ancora terminato, è vero, ma se ad oggi, dopo circa sei mesi, ci troviamo ancora e giustamente a discuterne, possiamo senz’altro affermare che il ruolo di una O.S. risulta rafforzato e determinante quando sussiste il sostegno dei lavoratori e quando il sostegno orienta la discussione verso un percorso condiviso, caratterizzato dalla peculiarità dei suoi contenuti e non dalla facile demagogia.
La Fp Cgil sul tema ha deciso fin dall’inizio di esserci, e continuerà con i lavoratori il percorso intrapreso.

Lina Lamonica (Coord.Naz FPCGIL-settore Penitenzziario)-Francesco Quinti (Coord.Naz.FP CGIL -Polizia Penitenziaria)

SPAZIO: PENSIERI LIBERI

Sono un assistente sociale dell’Amministrazione penitenziaria con uno stato di servizio ventennale e mi inserisco per la prima volta nel dibattito sull’ampliamento dei compiti della Polizia Penitenziaria: l’ipotesi di integrare le funzioni di quella forza di polizia con le prerogative attribuite agli Uffici di Esecuzione Penale Esterna originariamente destinate al servizio sociale professionale. Il dibattito e le scelte hanno assunto una configurazione complessa, controversa, irrituale, finanche incomprensibile. Una ragione che si dice essere il motivo dell’ampliamento sta nella necessità che si eserciti più "controllo" sulla esecuzione delle pene alternative alla detenzione perché sia data più sicurezza al cittadino e perché ci sia più certezza della pena.
E’ sempre più evidente che né la gran parte del personale di Servizio Sociale né la gran parte del personale di Polizia Penitenziaria vogliono che le due professioni - e le due funzioni che esse esprimono - si contaminino tra loro. Vale la pena spendere ancora qualche riga, tra le migliaia che sono già state scritte, per continuare a riflettere a quali idee ed a quali princìpi dovremmo ispirarci.
Il contesto del dibattito e delle scelte in corso è il "modo in cui uno Stato democratico intende che le pene vengano eseguite e le condanne scontate nei casi in cui si sia ritenuto di non limitare la libertà personale con il carcere". Questo assunto, ritengo non contestabile, ha a che fare non solo con l’imposizione al cittadino oggetto di un provvedimento giurisdizionale penale di un perimetro di regole (le prescrizioni) che fanno le veci del perimetro di cemento armato di un carcere. E’ altresì vero, e questo sì che potrebbe essere un punto trascurato da parte di alcuni, che al di sopra e all’interno di questo assunto di esigenza penale c’è il principio di legalità.
Tanto sbandierato quanto misconosciuto, il principio di legalità è a fondamento della convivenza civile e, in misura maggiormente evidente, è sovrano in un sistema penitenziario che vuole i protagonisti tutti in atteggiamento funambolico tra l’imposizione di regole, l’esercizio di diritti, l’assolvimento di doveri, la tutela della sicurezza collettiva, la prevenzione e la repressione dei delitti, il sempre negletto e ostico monito pedagogico del ventisettesimo paradigma dei Padri costituenti.
Per farla breve. Qui, con questa querelle sulla Polizia Penitenziaria negli UEPE la collettività nazionale si gioca più di quello che sembra. Essa appare un dissidio di campanile tra chi ha la divisa e chi no oppure una svirgolata di un esecutivo benemerito o miope; appare una delle tante partite tra reazionari e progressisti oppure un impiccio tutto interno ad una enclave amministrativa di uno Stato affaccendato in ben altre faccende. Credo invece che ci sia più di quello che sembra. Credo che la vicenda PP/UEPE sia assolutamente emblematica perché terreno di esercizio della democrazia sostanziale. Di realizzazione di un postulato democratico nella realtà del concorso di tutti a prendere parte nelle decisioni collettive. Dibattere sui poliziotti negli UEPE "sì" e poliziotti negli UEPE "no" vuole dire assumersi la responsabilità di dare senso, sostanza alla forma democratica di quelle organizzazioni periferiche dello Stato che si chiamano UEPE.
Alcuni stanno decidendo che in tali organizzazioni l’esecuzione delle misure giurisdizionali penali e il principio di legalità saranno garantiti da una forma (l’inserimento di un organo di polizia) che esclude, dopo decenni di riforma dell’ordinamento penitenziario, che un avamposto di assistenti sociali, di figure professionali dedicate alla definizione dei bisogni singoli e collettivi ed alla valorizzazione delle risorse singole e collettive, sia sufficiente a sostenere – insieme ad altre componenti esterne, facenti parte o no del sistema penitenziario – esecuzione certa delle misure e principio di legalità.
Non esiste un modello perfetto di ordinamento, tanto più in un ambito così variegato come quello di contrasto alla violazione delle regole penali. Ed è vero che è un errore storico, specialmente nel moto perpetuo della ricerca imperfetta di democrazia, chiudersi a nuove esperienze, a sperimentazioni. I processi della storia di una democrazia sono sempre aperti per definizione. E, per quello che ci riguarda, chi ha la responsabilità ultima di decidere per la Polizia Penitenziaria negli UEPE lo deve fare essendo convinto che sia effettivamente tenuto in debito conto il parere della maggioranza quantomeno dei lavoratori che dovranno mettere in pratica la riforma, maggioranza che a me sembra, per ragioni diverse, contraria. Con il rischio concreto che la riforma fallisca.
Ma c’è qualcuno che possa aiutarmi a capire perché l’ampliamento dei compiti di una polizia specializzata nella gestione del recluso all’interno degli istituti penitenziari della Repubblica sia per definizione dovuto e benefico sul territorio libero della Repubblica stessa? C’è qualcuno che sa rispondere al perché certuni siano così sicuri che un corpo di polizia, così degno di apprezzamenti per l’evoluzione che lo ha contraddistinto durante gli ultimi lustri, sia l’unica via di riforma di quell’avamposto organizzativo dello Stato che sono gli UEPE?
Una polizia, nell’accezione originaria del termine, controlla, previene, reprime. Il potere simbolico di una divisa genera timore, rispetto, protezione. Questi verbi e questi sostantivi sono da lungo tempo amplificati da altri significati che vengono attribuiti ad un dipendente dello Stato in divisa di polizia: costui sempre più diventa "di prossimità", di aiuto "umano" e di sostegno morale per il cittadino, diventa un nuovo competente in campi dello scibile, da quello scientifico a quello assistenziale. Caratteristiche erose ad altre professioni, ad altrui competenze (e si rifletta sul fatto che i nostri poliziotti penitenziari sono offesi oppure terrorizzati dal venire subordinati o equiparati agli assistenti sociali).
Io dico che confidare in via prioritaria nel ruolo di polizia perché controllo e legalità siano garantiti è un segno di ingenuità ma, peggio, è un sentore di debolezza per una democrazia. Parlamentare per giunta. E’ un alibi offerto all’incapacità dell’essere cittadini rappresentati e rappresentanti (soprattutto coloro a cui è demandato il governo della cosa pubblica).
Bisogna differenziare – e pochi lo fanno – le tipologie di persone sottoposte a provvedimenti giurisdizionali penali. Nel caso di dette tipologie attualmente ricadenti sotto la competenza degli UEPE la maggioranza dei soggetti propone delitti che di grave e abietto hanno in proporzione all’allarme sociale percepito e indotto, che di per sé risentono di una recrudescenza per cause ben definibili. Che comunque giungono al territorio libero per decisione giudicante. L’opinione pubblica o l’amministratore poco attento non si chiedono chi siano gli utenti territoriali degli UEPE, non si chiedono quale sia il loro grado di pericolosità (ma un requisito per accedere alle misure alternative et similia non è l’assenza di pericolosità?), non si rendono conto di quali siano le esigenze "di rieducazione". L’evidenza della tipologia del gran numero di casi non richiede espressamente l’esercizio di un potere di polizia specializzata. Ancorché "attenuata". La divisa, in detti casi, non è un requisito di rieducazione. Perché è molto più pervasivo e dinamico il controllo sociale indotto da figure sociali civili che quello agito da figure sociali di polizia. E perché, come la mia esperienza di lavoro mi insegna, è proprio l’intervento che oggi le forze dell’ordine eseguono, in detti casi, a procurare una inutile attenzione allarmata vuoi in un condomino vuoi in un datore di lavoro. Il punto dirimente di tutta la nostra questione è "l’accertamento della violazione di una prescrizione": ma perché la capacità operativa di accertamento e di trattamento della violazione di un poliziotto penitenziario dovrebbe garantire più di quella di un assistente sociale? Perché non si confida sui compiti ordinari di polizia attivi in ambito extrapenitenziario?
Detto ciò, io tengo aperta la questione del rispetto del perimetro delle regole imposte (delle prescrizioni) e dell’attenzione massima al principio di legalità in ambito di esecuzione alternativa delle pene e delle misure di sicurezza non detentive.
Sono convinto che l’efficacia del servizio sociale penitenziario richieda maggior rigore nonostante il confortante valore dei dati statistici. Sono convinto che, per molteplici ragioni – da declinare magari in altra sede –, abbia ragione chi affermi che quell’avamposto innovativo dello Stato che una volta si chiamava, con enfasi riformatrice, Centro di Servizio Sociale per Adulti e che oggi si chiama, con enfasi peregrina di extraterritorialità carceraria, Ufficio Locale di Esecuzione Penale Esterna sia diventato un’attestazione per difetto di capacità rieducativa. Nulla togliendo, beninteso, alla valenza specialistica (esperienziale e cognitiva) degli assistenti sociali ivi operanti. Esiste il rapporto diadico UEPE–territorio più o meno difficile; esiste una difficoltosa caratterizzazione dell’UEPE quale agenzia dedicata in un determinato territorio, mi si passi il termine, alla riconversione personale e sociale di un cittadino estremo.
Sono convinto che se si vuole dare veramente senso, sostanza alla forma democratica di quel processo di riconversione al fianco di tutte le altre agenzie sociali che rendono possibile ai cittadini ed ai cittadini estremi il perseguimento del benessere, scevro da comportamenti illeciti, in quest’Italia euromediterranea, si debba anche riformare l’UEPE con serietà. Non percorrendo ipotesi e scelte di ibridazione con la Polizia Penitenziaria. La quale ha da assolvere, con altrettanta serietà e competenza, altri compiti di onere diverso.
Io sono per un rafforzamento e per una diversificazione delle prerogative degli UEPE. Dirette sì alla integrazione in essi di altre figure sociali civili ed all’incremento di dotazioni organiche e strumentali. Dirette sì alla promozione di politiche per il penitenziario. Dirette anche, in senso evolutivo, all’attribuzione di capacità d’indagine, di verifica, di analisi – intrinseca e in concorso con altre agenzie - di una miriade di elementi sintomatici del rispetto del principio di legalità che oggi non vengono all’attenzione nella gestione dei singoli casi trattati o all’attenzione delle attuali relazioni di rete degli UEPE stessi. Qualcosa di più della prevista riforma che rassetta solo l’esistente. E un presupposto fondamentale per tale cambiamento sta proprio in quel mandato che nei decenni è stato reso concreto dal servizio sociale penitenziario; quella funzione che è parsa e pare a molti anacronistica e irrealizzabile nel coniugare il processo di cambiamento della persona con il chiedergli conto dei suoi comportamenti; quella originale facoltà degli assistenti sociali di utilizzare il controllo come uno strumento di aiuto. Una generale politica di contrasto e di prevenzione dei delitti e degli illeciti non può liquidare quella funzione – propria del momento rieducativo - abdicando alla presunta e scontata maggiore efficienza di una forza di polizia la soluzione di un problema "sicurezza" che problema non è. La sicurezza sociale, data la presenza su di un territorio di cittadini ai quali è stata data una possibilità di "rieducazione", si persegue semmai razionalizzando i compiti ordinari delle forze di polizia e consentendo ad un UEPE riformato la separazione funzionale da esse perché si rafforzi l’immagine di uno Stato che, nel trattare le misure giurisdizionali penali, sappia presentarsi con volti ben distinti. Distintamente concorrenti a storicizzare la valenza del dettato costituzionale.
Una politica dell’esecuzione delle misure giurisdizionali penali non può eludere – proprio perché in permanente correlazione con l’universo dei fenomeni sociali – l’interesse, per esempio, per il rispetto della legislazione fiscale oppure della legislazione del lavoro oppure del rispetto delle norme civilistiche quando interviene nella trattazione del singolo caso del "soggetto penale in rieducazione". E ciò non con fare meramente inquisitorio o, per altri versi, strumentale per il solo rispetto irrinunciabile della legalità. Perché ciò è deputato ad altre agenzie. Le finalità che la legge conferisce agli UEPE verrebbero direttamente orientate al rispetto della legalità nella più ampia platea dei soggetti impegnati in azioni di pedagogia della legalità.
Ci ritroviamo in un Paese in cui sempre più la vulnerabilità penale di cittadini deboli o indeboliti da politiche sociali deficitarie è alta. E’ diffuso il senso di liceità dell’illegalità che assolve chi è forte e mortifica la repressione di comportamenti penalmente rilevanti commessi da chi debole non è. Ecco che il contrasto al crimine pone tutti su un crinale che non ammette distrazioni. Richiede competenza civile nel distinguere sempre tra repressione e rieducazione.
Ci deve pur essere un luogo in cui lo Stato si riserva uno spazio esclusivo di autorevolezza nei confronti di quei cittadini già passati al vaglio dell’Autorità giudiziaria, giudicati meritevoli di esecuzione territoriale senza bisogno di irrobustirsi a tutti i costi con prerogative di polizia illusoriamente innovative. Uno spazio che gli UEPE occupano, forse inconsapevolmente, dal 1975. Alla mancanza di lavoro, alla mancanza di assistenza, alla malafede, alla recidiva, alle malattie che predispongono al delitto, alla propensione al reato, a una seria intenzione di recupero, ai microconflitti di una società, all’ignoranza non si risponde con l’aumento o con la distrazione di organici di polizia. Si risponde anche con la riforma di una risorsa che lo Stato già possiede mantenendone integre le prerogative e non stravolgendole.
La fibrillazione in atto sul destino del servizio sociale penitenziario non può attestarsi sulla difesa dell’esistente o sul solo richiamo ad una specificità che è stata sinora mortificata. La richiesta del rispetto della dignità del lavoro del servizio sociale penitenziario è al tempo stesso la richiesta di tutela dell’interesse collettivo. La convinzione di essere, noi fautori del rifiuto della ibridazione voluta a tutti i costi ormai non so più da chi veramente, ci deve dare la stura perché noi per primi si riesca a proporre scenari nuovi.
18 settembre 2007 Paolo Volontè

RISTRETTI ORIZZONTI

Polizia Penitenziaria negli Uepe: nuovo rinvio a data da definire
È stato sospeso per la quarta volta il confronto tra l’Amministrazione Penitenziaria e i sindacati sull’iniziativa di sperimentare l’utilizzo di agenti penitenziari negli Uffici dell’esecuzione penale esterna (Uepe), con il ruolo di controllo nelle misure alternative. A dimostrazione che le osservazioni e il dissenso dei tanti a tale proposta sono fondate, è stato nuovamente rinviato il confronto a data da definire.
La notizia è rimbalzata subito sul blog di solidarietà degli assistenti sociali, www.solidarietaasmilano.blogspot.com, da cui era partita la manifestazione di dissenso all’iniziativa del Ministro della Giustizia Clemente Mastella. Nel blog degli assistenti sociali si parla di un "importantissimo ulteriore risultato, di una nuova sospensione di ogni decisione sulla sperimentazione prevista dalla proposta di decreto interministeriale del ministro Mastella".
Il Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali, nell’accogliere positivamente il rinvio comunicato ieri dai vertici dell’Amministrazione Penitenziaria, auspica che "venga superato definitivamente il progetto del Ministro Mastella". Qualora dovesse comunque prevalere la volontà di procedere con la sperimentazione, il Comitato di Solidarietà, chiede che venga riformulato il progetto tenendo conto dei:
No al Servizio di Verifica con personale di polizia penitenziaria negli Uepe e al controllo che verrebbe svolto dagli stessi per la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale anche se solo su specifica richiesta del Tribunale o del Magistrato di Sorveglianza.
No al superamento della connotazione sociale degli Uepe a favore del rafforzamento dell’immagine di un servizio parte integrante degli Organismi di Ordine Pubblico e Sicurezza e al ruolo dei Direttori degli Uepe, sempre più vicino a quello di funzionari di Polizia, piuttosto che di Dirigenti con una necessaria e specifica connotazione tecnico-professionale".
Per il Comitato di Solidarietà, alla luce degli annunciati tagli del Ministero della Giustizia per la finanziaria 2008, non si possono non conoscere i reali costi della sperimentazione e dove saranno reperiti i finanziamenti".

SPAZIO: LIBERI PENSIERI

Se qualcuno aveva dei dubbi, sull'opportunità di non inserire dei nuclei di polizia penitenziaria negli uepe con compiti di controllo sulle misure alternative e sul rischio che in tal modo tali servizi si trasformassero in altro, magari proprio in quei "commissariati"annunciati dal Ministro Mastella, comunicati come quelli dell' Anfu (pubblicato sul Blog il 12. 9.07) e del Coord. Nazionale Penitenziari della UIL, sotto evidenziato, sono in grado di far ricredere sia i "sordi" che i "ciechi". I fatti, le stesse motivazioni di fondo di una buona parte delle OO.SS della polizia penitenziaria, stanno dimostrando che le preoccupazioni di chi si sta opponendo allo schema di decreto ministeriale, ritenendo che tale progetto metterà in crisi, se così approvato, l'intero sistema dei servizi sociali della giustizia- settore adulti, è più che fondato. Così come è fondata la tesi di chi sostiene che è quasi impossibile governare all'interno degli uepe, organizzazioni complesse e già oggi- in tutte le realtà- con grandi difficoltà, due settori quali quello della "sicurezza" e del "servizio sociale ":

P.P. negli UEPE: la storia infinita….
Nel pomeriggio odierno, presso il DAP, è ripreso il confronto sul Decreto Interministeriale istitutivo dei Nuclei di Verifica.
La delegazione UIL, attraverso il Segretario Generale, in premessa ha espresso forti critiche alla nuova bozza presentata dall’ Amministrazione : “ …. è un progetto che sminuisce i compiti della polizia penitenziaria e lascia inalterate le sovrapposizioni di funzioni e competenze laddove , invece, bisogna dirimere i dubbi e fornire certezze..”.
Sarno ha fatto rilevare come “ la semplice previsione di affidare alla polizia penitenziaria solo il controllo delle persone in detenzione domiciliare non risponde alle attese del Corpo ed è in controtendenza con gli orientamenti politici del Ministro….” ribadendo la posizione della UIL “abbiamo la necessità di esaltare le competenze e le specificità delle varie aree, salvaguardarne le professionalità …….ma questa proposta non lascia nemmeno le briciole…”.
Nel merito dell’articolato la UIL ha sottolineato come non siano specificati ruoli e competenze del Coordinatore del Nucleo “…. perché resta fermo che il personale di polizia lo gestisce il Coordinatore….”.
Parimenti la UIL ha chiesto che ai previsti interpelli, oltre al personale degli istituti, possa accedere anche il personale già in servizio presso gli UEPE “ .. che ha acquisito specifica esperienza da non disperdere e non può essere utilizzato solo a convenienza ..”.
Sul tema della formazione il Segretario Generale è stato caustico ed ironico : “…. se questa è la proposta, ovvero di controllare la presenza in casa del detenuto in detenzione domiciliare, l’unica formazione utile è quella di insegnare al personale come si bussa ai portoni… noi invece vorremmo una formazione diversa per un progetto diverso. Noi crediamo che affidare più ampi controlli alla polizia penitenziaria vada incontro alla richiesta di certezza della pena invocata dalla società. E la certezza della pena la si può garantire anche con un maggior ricorso alle misure alternative posto che si organizzino i dovuti controlli e ciò valorizzerebbe , ancor più, il ruolo degli operatori addetti al trattamento… “.
Sulla selezione : “ Accedere ai Nuclei di Verifica sembra più difficile di un concorso alla Bocconi : scrutinio,selezioni, corsi, esami, commissioni e tutto ciò solo per verificare la presenza in casa dei detenuti… Non credete di aver esagerato?“
Dopo un intervento a sollecito del Presidente Ferrara la UIL ha chiarito che : “ Noi non intendiamo tirare il freno a mano; viceversa chiediamo che il piede di piuma si trasformi, sull’acceleratore, in piede di piombo. Noi vogliamo chiudere perché riteniamo che questi argomenti siano funzionali a rivendicazioni da portare al Patto per la Sicurezza. Ma dobbiamo costruire un progetto a più ampio respiro, dobbiamo porci altri obiettivi. Non è così che valorizziamo il Corpo della polizia penitenziaria…”.
Chiudendo l’intervento Sarno ha puntualizzato: “ Capisco la vostra esigenza di istituire un Nucleo in ogni regione ma se vogliamo porci all’attenzione, anche in termini pubblicitari, dobbiamo pensare a Nuclei multipli in quelle regioni dove la presenza della criminalità organizzata è più pressante. Ciò ci consentirà, davvero, di chiedere al Governo adeguati interventi per gli organici. Ovviamente il Decreto va ripulito da tutte quelle parti che, di fatto, pongono la polizia penitenziaria in posizione subordinata a soggetti terzi che, invece, alcun titolo hanno a gestire gli uomini e le donne del Corpo “. Il Pres. Ferrara ha chiuso la riunione aggiornando il prosieguo del confronto ad altra data

ESITO INCONTRO SINDACATI E VERTICI DAP:

NUOVO RINVIO A DATA DA DESTINARSI. EVVIVA!!!!

lunedì 17 settembre 2007

ASSISTENTE SOCIALI UEPE COSENZA

I sottoscritti Assistenti Sociali dell’Uepe di Cosenza, condividono le preoccupazioni espresse dal Casg nel comunicato del 10.9. u.s. e le preoccupazioni evidenziate nei comunicati degli operatori dell’Uepe di L’Aquila, di Napoli, di Verona, di Venezia, di Catania e Ragusa, per i punti critici ancora presenti nel testo del decreto, vale a dire:
La scelta di istituire i nuclei di polizia penitenziaria presso gli Uepe;
La possibilità di impiegare la polizia penitenziaria per i controlli sui soggetti affidati in prova al servizio sociale;
Il configurare un ruolo dei direttori degli Uepe sempre più vicino a quelli di funzionari di Polizia, piuttosto che di dirigenti con una necessaria e specifica connotazione tecnico-professionale, inerente al sociale-educativo, oltre che organizzativo di specifici servizi alla persona deviante, come la nostra utenza;
Il rafforzamento dell’immagine dell’Uepe come parte integrante degli organismi di ordine pubblico e sicurezza a scapito della sua natura di servizio sociale;
L’assenza di un qualsiasi riferimento ai costi complessivi della sperimentazione e a dove saranno reperiti i finanziamenti.
Non poche sono, infatti, le perplessità che scaturiscono dalla lettura dettagliata di tale bozza e non si può fare a meno di considerare il fatto che con il Decreto sulla sperimentazione della Polpen negli Uepe, diventa ordinario il carattere di eccezionalità nelle leggi 121/1981, Dpr 82/199 etc. ("….per eccezionali esigenze di ordine e sicurezza pubblica o di ordine pubblico"….,), tanto che, per giustificare la scelta politica, si trasforma l’Uepe stesso in un servizio di ordine e sicurezza pubblica per fronteggiare un "allarme sicurezza" che sta legittimando scelte politiche che non tengono conto di concetti culturali e professionali elaborati nell’arco di oltre un trentennio di storia e ciò a discapito di necessari investimenti per il Welfare State.
Si teme per il futuro delle misure alternative, in particolare per l’Affidamento in Prova al Servizio Sociale, viste come possibilità di recupero e inclusione sociale. Riteniamo che i controlli efficaci sulla condotta e sullo stile di vita delle persone che fruiscono di misure alternativa non si esauriscano nel mero controllo della presenza in casa nelle ore stabilite, ma al contrario investano ambiti più vasti e complessi (frequentazioni, abitudini, eventuali sospetti di reati, ecc.). Da ciò deriva che solo le Forze dell’Ordine operanti stabilmente sul territorio ed in possesso di preziosi ed insostituibili elementi di conoscenza dello stesso possono esercitare il controllo così inteso. Inoltre la compresenza di più soggetti delegati al controllo (Forze dell’ordine e agenti di polizia penitenziaria), invece di intensificare l’esercizio di tale funzione, rischia di vanificarlo o renderlo poco proficuo, con dispersione di elementi di conoscenza e inutili sovrapposizioni. La delega in via prioritaria alla polizia penitenziaria del controllo sulle misure alternative rischia, perciò, di ridurlo al solo accertamento sulla presenza fisica del soggetto in determinati luoghi (casa, posto di lavoro, ecc.) senza possibilità di conoscere altri elementi importanti sulla sua condotta complessiva.
I firmatari condividono e sostengono le ragioni espresse dal comitato di solidarietà degli assistenti sociali, dal Casg, dagli operatori dei tanti Uepe d’Italia, dal mondo del volontariato, da tante associazioni e da diverse organizzazioni sindacali e chiedono di non adottare scelte che rischiano di snaturare l’immagine e l’operatività di Servizi dell’Amministrazione Penitenziaria, che da oltre trent’anni si occupano delle misure alternative. Chiediamo, inoltre, un reale coinvolgimento degli operatori che materialmente si occupano delle misure alternative nella valutazione dei possibili cambiamenti organizzativi di tali Servizi, ritenendo che ogni modifica dell’assetto organizzativo debba trarre origine dall’ analisi dell’esperienza.

Le Assistenti Sociali dell’Uepe di Cosenza: Francesca Spadafora; Adriana Delinna; Silvana Puleo; Filomena Scarpa; Maria Pugliano; Maria Lacroce; Mirella Spadafora.

sabato 15 settembre 2007

ASSISTENTI SOCIALI UEPE VENEZIA

I sottoscritti Assistenti Sociali dell’U.E.P.E. di Venezia, riuniti in assemblea il 13.09 u.s. per esaminare la nuova bozza di Decreto Inter-Ministeriale proposta alle OO.SS. per la sperimentazione dei nuclei di Polizia Penitenziaria presso gli U.E.P.E.

CONDIVIDONO

le preoccupazioni espresse dal C.A.S.G. nel comunicato del 10.9. u.s. per i punti critici ancora presenti nel testo del decreto, vale a dire:
§ La scelta di istituire i nuclei di polizia penitenziaria presso gli U.E.P.E.;
§ La possibilità di impiegare la polizia penitenziaria per i controlli sui soggetti affidati in prova al servizio sociale ;
§ Il configurare un ruolo dei direttori degli U.E.P.E. sempre più vicino a quelli di funzionari di Polizia, piuttosto che di dirigenti con una necessaria e specifica connotazione tecnico –professionale;
§ Il rafforzamento dell’immagine dell’U.E.P.E. come parte integrante degli organismi di ordine pubblico e sicurezza a scapito della sua natura di servizio sociale;
§ L’assenza di un qualsiasi riferimento ai costi complessivi della sperimentazione e a dove saranno reperiti i finanziamenti.

Le osservazioni sopraccitate circa le criticità della sperimentazione dei nuclei di polizia penitenziaria negli U.E.P.E. nascono dall’esperienza maturata nel lavoro svolto ormai da decenni nell’ambito dell’applicazione delle misure alternative che, unito al sapere professionale e alla specifica preparazione propria dell’assistente sociale, ci rendono osservatori privilegiati degli argomenti oggetto del dibattito in corso.
Gli assistenti sociali che operano negli UEPE da sempre hanno coniugato l’esigenza del controllo con quella dell’aiuto, con la convinzione che non può esserci aiuto efficace e duraturo senza attenzione agli esiti e ai risultati ottenuti; la dimensione della sottoposizione agli obblighi e il rispetto degli stessi, imprescindibile e assolutamente vincolante per le persone sottoposte a misura alternativa, è fortemente presente nei progetti di intervento e gran parte del lavoro svolto con gli utenti è rivolto al veicolare l’importanza del rispetto della norma e favorire un rapporto di fiducia con le istituzioni.
La forte perplessità circa l’ipotesi di utilizzare personale di polizia penitenziaria per eseguire i controlli sulle persone ammesse a misura alternativa nasce da due considerazioni, derivanti da quanto finora espresso:
1) riteniamo che i controlli efficaci sulla condotta e sullo stile di vita delle persone che fruiscono di misure alternativa non si esauriscano nel mero controllo della presenza in casa nelle ore stabilite, ma al contrario investano ambiti più vasti e complessi (frequentazioni, abitudini, eventuali sospetti di reati, ecc.). Da ciò deriva che solo le Forze dell’Ordine operanti stabilmente sul territorio ed in possesso di preziosi ed insostituibili elementi di conoscenza dello stesso possono esercitare il controllo così inteso.
2) la compresenza di più soggetti delegati al controllo (Forze dell’ordine e agenti di polizia penitenziaria) invece di intensificare l’esercizio di tale funzione rischia di vanificarlo o renderlo poco proficuo, con dispersione di elementi di conoscenza e inutili sovrapposizioni. La delega in via prioritaria alla polizia penitenziaria del controllo sulle misure alternative rischia, perciò, di ridurlo al solo accertamento sulla presenza fisica del soggetto in determinati luoghi (casa, posto di lavoro, ecc.) senza possibilità di conoscere altri elementi importanti sulla sua condotta complessiva.

Chiediamo, perciò, come già fatto con l’appello rivolto alle OO.SS. da questo ed altri U.E.P.E. nel marzo u.s. e col documento presentato all’assemblea degli AA.SS. U.E.P.E. del 21 Giugno 2007 di non adottare scelte che rischiano di snaturare l’immagine e l’operatività di Servizi dell’Amministrazione Penitenziaria che da oltre trent’anni si occupano delle misure alternative .
Chiediamo, inoltre, un reale coinvolgimento degli operatori che materialmente si occupano delle misure alternative nella valutazione dei possibili cambiamenti organizzativi di tali Servizi, ritenendo che ogni modifica dell’assetto organizzativo debba trarre origine dall’ analisi
dell’esperienza.

Mestre-Venezia 13.09.07

Assistenti sociali: Benazzato Margherita, Bernacchia Ines, Bovo Paola, Calesso Maria, Correnti Giovanna, Erizzo Silvia, Mastrosimone Paola, Menetto Patrizia, Russo Giuseppina, Scroccaro Carolina, Vincenzi Michela.

ASSISTENTI SOCIALI UEPE CATANIA E RAGUCA

Al Ministro della Giustizia Alle Organizzazioni Sindacali Sen. Clemente Mastella Al Sottosegretario di Stato per la Giustizia C.G.I.L-F.P. -
Prof. L. Manconi
Al Capo del D.A.P. C.I.S.L.-F.P.S/P.PDr. Ettore Ferrara Al Direttore Generale G.E.P.E. U.I.L.-P.ADr. Turrini Vita
Al Direttore Generale del Personale S.A.P.Pe.Dr. De Pascalis Al Responsabile dell’Ufficio O.S.A.P.P.
per le Relazioni Sindacali-DAP Dr.ssa Conte Si.N.A.P.Pe. Al Provveditore Regionale F.S.A.-C.N.P.P.Regione Sicilia Si.A.L.Pe.-A.S.I.A.All’Ordine Nazionale Assistenti Sociali Dr.ssa Cava S.A.G.-P.P.All’Ordine Regionale Assistenti Sociali U.S.P.P.-UGL FNPP CLPP Regione Sicilia LISIAPP
Al Coordinamento Nazionale
Assistenti Sociali Giustizia ROMA
Agli UEPE
Oggetto: Decreto Interministeriale relativo all’introduzione della Polpen negli UEPE Incontro 17.9.2007
In riferimento alla bozza di Decreto Interministeriale che verrà discussa il 17 c.m. gli operatori dell’Uepe di Catania e Ragusa tornano ad esprimere il loro dissenso per i motivi già esplicitati nei precedenti documenti, fatti pervenire agli intestatari sopra citati.
Non poche sono le perplessità che scaturiscono dalla lettura dettagliata di tale bozza, e non si può fare a meno di premettere qualche considerazione, prima di ribadire le ricadute operative amministrative sull’Esecuzione Penale Esterna dell’Affidamento in Prova al Servizio Sociale con l’introduzione della Polpen negli Uepe.
Ormai siamo tutti a conoscenza che il disagio sociale ( risolto con leggi restrittive della libertà personale) è in forte aumento a seguito della riduzione e, possiamo dire nostro malgrado, con l’assoluta assenza di investimenti per il Welfare State da parte dell’attuale politica di governo.
Ciò non passa inosservato agli operatori del settore, al mondo del volontariato, all’associazionismo, a diverse organizzazioni sindacali, ecc., che già hanno formalmente fatto pervenire le loro rimostranze.
Il fatto che i mass media non amplifichino, come sanno fare per i fatti che inducono nell’immaginario "popolare" allarme- sicurezza, non giustifica che le scelte politiche non tengano conto di concetti culturali e professionali elaborati nell’arco di anni di storia.
Si parla di sviluppo e di lavoro teorico-accademico oltre che giudridico e di attività sul campo con azioni di prevenzione e recupero del "deviante".
Tutto ciò è inaccettabile e di fronte ad una politica che cerca consensi popolari attraverso la promozione di un "giustizialismo populistico", si rimane stupiti, un po’ per cultura e un po’ per convinzione professionale, chiedendosi verso dove si stia orientando l’attuale politica:
verso la costruzione di una società responsabile e attiva?
verso la costruzione di una società sempre più deresponsabilizzata e militarizzata?
Il Decreto in oggetto sembrerebbe rispondere a quest’ultimo orientamento e per stilarlo è stata fatta una interpretazione "molto estensiva" oltre che "adattiva" di tutti gli estremi di legge citati come fondamenti del decreto stesso per raggiungere l’obiettivo prefissato.
A tal proposito si evidenziano i seguenti punti:
Ciò che ha carattere di eccezionalità nelle leggi 121/1981, D.P.R 82/199 ecc("….per eccezionali esigenze di ordine e sicurezza pubblica o di ordine pubblico"….,), con il Decreto sulla sperimentazione della Polpen negli UEPE, diventa ordinario tanto che, per giustificare la scelta politica, si trasforma l’UEPE stesso in un servizio di ordine e sicurezza pubblica.
Si configura un ruolo di Direttore Uepe sempre più assimilabile ad un funzionario di Polizia, piuttosto che ad un funzionario tecnico con l’obbligo di una specifica connotazione tecnico-professionale, inerente al sociale-educativo, oltre che organizzativo di specifici servizi alla persona deviante, come la nostra utenza;
Ciò che è previsto per le misure più restrittive della libertà che vede il detenuto, per esempio nella posizione ex art. 48 D.P.R. 230/00 o art 47 ter O.P., si estende ai soggetti sottoposti alla misura alternativa dell’Affidamento in Prova al Servizio Sociale, seppure prevedendo anche disposizioni del Tribunale di Sorveglianza e/o del Magistrato di Sorveglianza da dare alla Polizia Penitenziaria negli UEPE;
Si teme per il futuro delle misure alternative, in particolare per l’Affidamento in Prova al Servizio Sociale, viste come possibilità di recupero e inclusione sociale.
I firmatari condividono e sostengono le ragioni espresse dal comitato di solidarietà degli assistenti sociali, dal Casg, dagli operatori dell’UEPE di L’Aquila r di Napoli.
Auspichiamo ancora una volta, che la discussione del 17 c.m. con le forze sociali e politiche esamini tutti gli aspetti finora evidenziati:
di identità degli UEPE, che sosteniamo debbano rimanere a connotazione sociale, giuridici, amministrativi, di investimento finanziario in tutti i settori dell’amministrazione penitenziaria, di organicodegli Uepe e degli Istituti Penitenziari; operativo-professionali, gestionali affinché si giunga ad una svolta politica nel settore penitenziario che sia garante dei principi costituzionali della pena, vista come momento di "rieducazione del condannato" (Art. 27).
Catania e Ragusa 14.9.2007
Firamato

venerdì 14 settembre 2007

ASSISTENTI SOCIALI UEPE VERONA

NUOVO SCHEMA DI DECRETO MINISTERIALE
Abbiamo letto con molta attenzione lo schema del nuovo decreto riguardante l’inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uffici Esecuzione Penale esterna per il controllo delle misure alternative.
In questi mesi sono state fatte osservazioni di ogni tipo sull’opportunità o meno di avviare tale sperimentazione tanto che ormai pare veramente difficile aggiungere dell’altro.
Ci sembra che un elemento si sia perso di vista ed è,a nostro avviso, l’aspetto più debole dell’esecuzione penale.Gli studi fatti sulle percentuali di recidiva hanno messo in evidenza come l’indice più alto di insuccessi sia rilevabile proprio tra le persone che non hanno usufruito di alcuna misura alternativa e che quindi hanno espiato per intero la loro pena in situazione detentiva. Viene da sé che se un intervento è necessario riguarda appunto la parte di esecuzione delle pene che esprime una criticità, non il settore dell’esecuzione penale esterna che invece ha dimostrato, questa volta scientificamente, di produrre buoni risultati.
In tutti questi mesi si è concentrata l’attenzione solo sull’esecuzione penale esterna.
Chi si è ricordato del numero ormai preoccupante di persone detenute ad un anno di distanza dall’applicazione dell’indulto?
Chi si è preoccupato di pensare ad un intervento in grado di supportare il personale di Polizia Penitenziaria che tutti i giorni deve affrontare situazioni sempre più complesse?
Chi si è attivato per adeguare il numero di educatori in rapporto al numero di detenuti?
Si è invece preferito mettere mano ad un settore (quello dell’esecuzione penale esterna) che ha sì bisogno di interventi relativi, caso mai, all’aumento di assistenti sociali ed esperti per aumentare il livello di professionalità all’interno degli UEPE.
La sperimentazione che si vuole realizzare viene svenduta come la risposta alla richiesta di maggiore sicurezza fatta dai cittadini, ben consapevoli del fatto che non sono certo le persone in esecuzione penale esterna i protagonisti degli episodi di micro e macro criminalità che generano
Nel momento in cui si sta definendo l’avvio della sperimentazione ci permettiamo di porre all’attenzione alcuni aspetti:
nel caso la sperimentazione si realizzi chiediamo che il nucleo di polizia penitenziaria venga logisticamente collocato al di fuori degli UEPE l’avvio della sperimentazione rappresenta comunque un momento importante e delicato. Proprio in considerazione di questi elementi proponiamo che avvenga negli UEPE di maggiore rilevanza è fondamentale prevedere criteri chiari e definiti circa la valutazione che deve necessariamente essere fatta alla conclusione del periodo indicato per la sperimentazione stessa.
Ci resta comunque l’amarezza rispetto ad un’Amministrazione che non ha saputo rivolgere una sola parola di apprezzamento nei confronti del lavoro svolto dagli operatori che per trenta anni hanno gestito senza adeguate risorse l’esecuzione penale esterna contando sostanzialmente sulla professionalità, sul senso del dovere e sul buon senso individuale.
Giovanna Marani Letizia Verrengia
Elisabetta Maria De Angelis Bevilacqua Rafaella
Francesca Mulè Grazia Sardella
Patrizia Mulas Sofia Fontana
Verona 14.9.2007