L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

lunedì 31 marzo 2008

Carceri- Sappe: Occorrono “larghe intese” per riforma sistema

Roma, 31 mar (Velino) - “La fotografia odierna delle carceri italiane immortala due dati incontrovertibili rispetto al quale sarebbe auspicale davvero una ‘larga intesa’ politica per la sua risoluzione: da un lato abbiamo il numero dei detenuti in netto aumento – circa 52 mila oggi, con ciò ponendo una pietra tombale sugli effetti del provvedimento di indulto del 2006 – e dall’altro una carenza negli organici di Polizia penitenziaria pari a circa 4.300 unità”. Lo ha affermato oggi a Verona Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, organizzazione di categoria con dodicimila iscritti, nella conferenza stampa di presentazione del XIX Consiglio nazionale del Sappe che si svolge nella città scaligera fino al 2 aprile prossimo. “La situazione – ha aggiunto Capece - sta rapidamente volgendo verso l’emergenza e quindi ci vuole un impegno responsabile e urgente nel settore da parte di chi andrà a governare il paese nelle prossime settimane con l’inevitabile contributo della opposizione parlamentare. Perché la sicurezza dei cittadini, dei poliziotti, dell’Italia non può e non deve avere colorazione politica ma deve essere un impegno primario per tutti”. Capece ha avuto parole di apprezzamento e di sincero ringraziamento per i messaggi pervenuti al Sindacato dal capo dello Stato Giorgio Napolitano e dai presidente di Senato e Camera, Franco Marini e Fausto Bertinotti, e ha aggiunto: “Il tema della sicurezza non deve rimanere uno slogan elettorale, ma servono impegni precisi”.
“Oggi - ha spiegato Capece -, a fronte di una capienza regolamentare di circa 43 mila posti nei 205 istituti penitenziari italiani, abbiamo 5mila detenuti. Subito dopo l’indulto, che ne fece uscire 27 mila, ne rimasero in carcere poco più di 35 mila. Non sono state fatte le riforme strutturali nel sistema penitenziario, da noi più volte sollecitate, e oggi le carcere sono di nuovo nel caos. E la politica, soprattutto chi si appresta a guidare l’Italia, non può tralasciare questo importante e delicato tema”. Il Sappe ha dunque auspicato una politica di larghe intese su tre questioni fondamentali per il sistema penitenziario: una modifica del sistema penale – sostanziale e processuale – che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico; l’impegno ad assumere nuovi poliziotti penitenziari, stante la grave carenza di personale che si registra nel paese; l’impegno a costituire, attraverso il ministro della Giustizia, la direzione generale del Corpo di Polizia penitenziaria nell’ambito del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Preannunciato, per domani il saluto del sindaco di Verona Flavio Tosi al XIX Consiglio nazionale del Sappe (che ha concesso anche il patrocinio all’importante Assise sindacale). Federica Mogherini, responsabile Istituzioni del Partito democratico, e Lanfranco Tenaglia, responsabile Giustizia del Pd, hanno inviato al Sappe un messaggio.

Giustizia/Carcere- Il ricatto securitario "consegna" l’Italia alla destra


di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti di Firenze)- Il Manifesto, 31 marzo 2008

Sono tante le campagna elettorali a cui ho partecipato come cittadino o come militante dal lontano 1963. Confesso che questa in corso si rivela come la più mediocre e insulsa. È impressionante la mancanza di passione che si percepisce tra attori e spettatori e che non può derivare solo dal meccanismo della ignobile legge elettorale che prevede lo scontro al momento delle candidature e poi la delega del confronto mediatico ai supposti leader. Basti pensare alla intensa mobilitazione popolare di due anni fa sull’onda della speranza di cancellare l’esperienza incandescente del quinquennio di governo berlusconiano.
Il fallimento del governo Prodi viene prima della rottura traumatica della legislatura ad opera di transfughi e apprendisti stregoni. Una lunga catena di errori - dalla nomina di entrambi i presidenti di Camera e Senato, alla composizione pletorica dell’esecutivo, fino all’elezione del Capo dello Stato, senza il coinvolgimento dell’opposizione - determinata dalla incapacità di riflettere sull’esito elettorale e sul senso da dare ad una fase decisiva per la democrazia.
Avere messo da parte la sfida, seppure in condizioni difficili, della ricostruzione civile del Paese e avere dato la priorità a una visione ragionieristica della realtà economica e sociale si è rivelata come la sanzione finale della crisi della politica.
La vicenda dell’indulto si è rivelata emblematica. Doveva essere l’inizio di una stagione riformatrice con al centro l’abrogazione delle leggi criminogene su droghe e immigrazione e l’approvazione del nuovo Codice Penale e invece, di fronte all’offensiva giustizialista della stampa, anche di quella sedicente progressista, è prevalsa la paura e si è subito il ricatto securitario e il riflesso d’ordine.
Il risultato è catastrofico: l’operazione del risanamento dei conti sta riconsegnando l’Italia alla destra più estrema d’Europa e paradossalmente un’azione di rigore viene imputata alla sinistra. Contestualmente si assiste a un rafforzamento di un senso comune piccolo borghese ingaglioffito e canagliesco. I segni sono tanti e preoccupanti. La criminalizzazione del sessantotto, l’offensiva sanfedista contro le donne e l’aborto, l’affermarsi del partito dei familiari delle vittime del terrorismo sono solo alcuni degli spettri che stanno prendendo corpo.
Siamo in pieno terremoto, le ipotesi di un decennio si sono bruciate. L’Ulivo e l’Unione hanno lasciato il campo al Partito Democratico e la Sinistra è in una condizione di debolezza come mai nella storia di questo dopoguerra. Si presenta un compito immane al cui confronto la partita elettorale è poca cosa. La ricostruzione di un pensiero e di una prospettiva di alternativa è urgente.
Ha ragione Marco Revelli a evocare un’Altra Italia, laica e intransigente. Il tema delle droghe, praticamente assente dai programmi e dalla campagna elettorale, tranne qualche spazio di polemica fatua e ripetitiva, dovrà diventare un indicatore e un discrimine per una forza che consideri essenziali welfare e diritti, autonomia degli individui, garantismo, diritto penale minimo e mite, carcere e pena secondo i principi della Costituzione. Dipenderà da noi. Da un movimento capace di costruire egemonia su un terreno che non va lasciato all’etica da quattro soldi. Abbiamo deciso di convocare l’Assemblea di Forum Droghe dopo il risultato delle elezioni del 13 aprile per non perdere un minuto per un nuovo inizio. Ovviamente non diamo indicazioni di voto. A chi si è appellato al voto utile rispondiamo con il richiamo al principio sempre valido e concreto della riduzione del danno.

sabato 29 marzo 2008

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA NAZIONALE DEL COORDINAMENTO NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI GIUSTIZIA


Cari colleghi


Come vi avevo annunciato nella lettera del 29/01 u.s. in data 19 aprile 2008 dalle ore 9.30 alle 16.30 presso la Città dell’altra economia in Largo Dino Frisullo, snc (ex Via di Monte Testaccio), all'interno del Campo Boario nell'ex Mattatoio. è convocata l’ assemblea annuale degli iscritti CASG, la prima parte della mattinata sarà dedicata alla discussione su:

-stato del settore giustizia e del sistema penale alla luce del quadro politico emerso dalla competizione elettorale - le valutazioni del Coordinamento;
-quali prospettive per il servizio sociale della giustizia a seguito delle modifiche organizzative avviate dal precedente governo e rimaste incompiute;
-quali le iniziative sindacali e professionali da attivare per dare visibilità e salvaguardare la specificità del servizio sociale nel settore penitenziario anche in vista della contrattazione integrativa di Ministero?

Nell’ anno appena trascorso abbiamo potuto dimostrare che si può modificare l’ordine delle cose purché lo si voglia, pertanto non possiamo stare solo a guardare e aspettare che gli altri ci riconoscano, è nostro dovere mobilitarci perchè gli Uepe mantengano la loro identità professionale e per fare questo è necessaria una forte azione di coordinamento fra tutte le sue componenti.
E' quindi importante avviare una discussione a tutto campo, tra gli iscritti e non al Coordinamento a cominciare dall’ assemblea annuale, dove auspichiamo una massiccia partecipazione, nella quale delineare le future iniziative da intraprendere.
Sono stati invitati a partecipare anche quelle componenti del mondo sindacale, politico e professionale che con noi hanno condiviso nello scorso anno una mobilitazione per una esecuzione penale esterna aderente ai principi dell’ Ordinamento Penitenziario e del Nuovo Regolamento di esecuzione.

L’assemblea procederà nel primo pomeriggio, per i soli iscritti, sul seguente o.d.g.:

resoconto attività anno 2007e iniziative 2008
rinnovo cariche statutarie
bilancio consuntivo 2007
varie ed eventuali


Si ricorda agl’iscritti che è possibile, a norma di statuto, rappresentare i colleghi assenti con deleghe, fino ad un massimo di 5.

saluti
La segretaria nazionale
Anna Muschitiello

Per raggiungere la sede, Dalla Stazione Termini:Metro, linea B, scendere a Piramide Con autobus: linea 75, scendere alla fermata Marmorata-Galvani

LETTERA APERTA DEL COORDINAMENTO ASSISTENTI SOCIALI GIUSTIZIA

Alle OO. SS.
Loro sedi

Al Consiglio dell’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali
Roma

Il Coordinamento non rinuncia a porre l’attenzione sui temi della giustizia e dell’esecuzione delle pene, anche in un periodo come l’attuale , in cui questi temi sembrano messi in secondo piano, anzi non risultano essere affatto al centro della campagna elettorale in corso.
Dobbiamo purtroppo prendere atto che:
– Non sarà possibile arrivare a riformare in tempi accettabili il sistema giustizia in generale e sanzionatorio in particolare;.
– E’ sotto gli occhi di tutti l’impatto che stanno avendo e ancora di più avranno nel prossimo futuro sul sistema carcerario leggi quali: “Bossi – Fini”, “ex Cirielli” e “Fini – Giovanardi”;
– Il periodo intercorso dall’indulto ad oggi non è assolutamente stato utilizzato per migliorare il sistema organizzativo.
In sintesi si può dire che la situazione della giustizia in Italia che avrebbe la necessità di essere affrontata con provvedimenti urgenti e tempestivi è invece scomparsa dall’agenda della politica, in una campagna elettorale tutta centrata sulla “sicurezza”, sull’inasprimento delle pene e sulla necessità di costruire nuove carceri.
Riteniamo che, finita la campagna elettorale, chiunque si troverà a governare dovrà necessariamente sciogliere i nodi rimasti irrisolti sia dal punto di vista legislativo, ma anche dal non meno importante punto di vista organizzativo e gestionale, compresi gli aspetti contrattuali e professionali degli operatori.

Considerato che:
– le risorse…si sono ulteriormente ridotte.
– in due anni non si è riusciti a concludere la fase riorganizzativa del DAP con la definizione delle funzioni dirigenziali e quindi tutto il sistema vive ancora oggi nella più completa incertezza.
– l'esistenza di ben quattro diversi riferimenti contrattuali per il personale,
infatti: oltre alla Polizia Penitenziaria che ha sempre avuto un contratto di lavoro di natura pubblica con la cosiddetta legge Meduri e il conseguente decreto D.L. n. 63 del 15.02.2006 anche per la dirigenza penitenziaria è prevista la ricollocazione nell’alveo del rapporto di lavoro di diritto pubblico. Recentemente sono stati inoltre nominati dirigenti con contratto privatistico, riferiti ai profili di educatore, mentre la maggioranza del personale educativo e di servizio sociale rimane inquadrato nel Comparto Ministeri. Per non parlare del personale sanitario, infermieristico ed esperti in psicologia che stanno per transitare al servizio sanitario nazionale.
Appare superfluo considerare che il governo di questa diversità è oltremodo complessa oltre che disfunzionale al buon andamento dell’Organizzazione. Assistiamo, inoltre, ad un sistema del tutto sperequato con la presenza di attribuzioni e competenze uniche sotto il profilo normativo dei vari uffici e contemporaneamente con un diverso inquadramento contrattuale di chi vi opera.
Situazione questa particolarmente rilevante nell’esecuzione penale esterna, alla quale siamo direttamente interessati, ad esempio ben 21 assistenti sociali ricoprono, senza alcun riconoscimento economico (che giustifichi il rischio e le responsabilità ricoperte, del tutto simili a quelle dei colleghi che occupano sedi dirigenziali), gli incarichi di direttore reggente degli UEPE.
Sono quindi doverose alcune domande:
· non sarebbe opportuno che per gli assistenti sociali che ricoprono l'incarico di direttore reggente negli UEPE siano anche previsti adeguati trattamenti economici ?
· non sarebbe opportuno prevedere anche per gli assistenti sociali possibilità di carriera?
· gli incarichi di Capo Area, responsabili di Sede di Servizio, di referenti/coordinatori di zona…non dovrebbero avere anche un riconoscimento economico?
Quello che emerge in realtà è:
· una netta frattura a livello contrattuale tra gli operatori dei servizi e chi li dirige;
· la necessità di individuare risposte adeguate a quanto sopra esposto all’interno del contratto integrativo di Ministero;
· la necessità di prevedere l'accesso alla funzione dirigenziale anche da parte degli operatori che acquisiscono professionalità ed esperienza all’interno degli uffici.
· La necessità di salvaguardare la specificità di servizio sociale per le direzioni degli uffici di esecuzione penale esterna a livello locale, regionale e dipartimentale.
Questi temi saranno occasione di dibattito all’interno dell’assemblea annuale del Coordinamento.
L'ordine del giorno della mattinata riguarderà i seguenti punti:
stato del settore giustizia e del sistema penale alla luce del quadro politico emerso dalla competizione elettorale - le valutazioni del Coordinamento;
quali prospettive per il servizio sociale della giustizia a seguito delle modifiche organizzative avviate dal precedente governo e rimaste incompiute;
quali le iniziative sindacali e professionali da attivare per dare visibilità e salvaguardare la specificità del servizio sociale nel settore penitenziario anche in vista della contrattazione integrativa di Ministero?

Saremo pertanto lieti averVi presenti alla assemblea CASG il 19 aprile 2008 - ore 9.30 / 13.00 - presso la Città dell’altra economia in Largo Dino Frisullo, snc (ex Via di Monte Testaccio), all'interno del Campo Boario nell'ex Mattatoio.

Per il Consiglio Nazionale
Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia (CASG)
Anna Muschitiello – segretaria nazionale

Giustizia/Carcere- Mantovano (Pdl): benefici minano certezza pena

Adnkronos, 29 marzo 2008

"È la possibilità di sommare i benefici previsti dall’ordinamento a rendere la sanzione penale qualcosa di virtuale anche rispetto a reati molto gravi", minando il principio della certezza della pena. Lo ha sottolineato Alfredo Mantovano (Pdl), intervenendo allo "Speciale Elezioni 2008" dell’Adnkronos. "La legge Cirielli - ha rilevato Mantovano - è stata criticata pesantemente nella parte che riguardava i termini di prescrizione, ma non è stata adeguatamente valorizzata per la parte nella quale si limitano i benefici dell’ordinamento penitenziario per coloro che li strumentalizzano per tornare a commettere reati".
Riguardo ad una Commissione parlamentare d’inchiesta sul G8, Mantovano ha detto che avrebbe "il solo scopo di criminalizzare le forze di polizia nel loro insieme, di ostacolare il lavoro dell’autorità giudiziaria e di individuare, non sette mesi ma sette anni dopo, delle responsabilità politiche da utilizzare in questi giorni di campagna elettorale".

Giustizia- Fabbrica (elettorale) della paura, nuova barbarie

di Franco Giordano (Sinistra l’Arcobaleno)- Liberazione, 28 marzo 2008

È possibile, anche nel pieno della campagna elettorale e nel fuoco della contrapposizione, lanciare un appello a tutte le donne e gli uomini che un tempo si sarebbero definiti "di buona volontà" e, aggiungerei, di sana ragionevolezza?
È lecito chiedere a tutti, ai politici come agli opinionisti, di fermarsi un attimo a riflettere sui rischi che si corrono, in termini politici, etici e persino di igiene mentale collettiva, continuando a inseguire e blandire le peggiori pulsioni che circolano nell’opinione pubblica sul tema delicatissimo e nevralgico della sicurezza?
Noi non abbiamo mai affermato, nonostante l’immensa distanza che ci divide, che il programma del Pd sia identico a quello della destra berlusconiana. E tuttavia è un fatto, e forse il più preoccupante registrato in queste settimane di campagna elettorale, che sui fronti delle politiche economico-sociali e della sicurezza i discorsi di Walter Veltroni nel nord del paese non si siano distinti in nulla da quelli della Lega e del Pdl, a partire da una forsennata campagna securitaria.
Tutte le forze politiche, a eccezione della Sinistra Arcobaleno, gareggiano nel fomentare e rinfocolare una richiesta di sicurezza declinata in termini di pura militarizzazione del territorio. Accreditano una visione dell’altro da sé, sia esso il povero o l’immigrato, come potenziale minaccia, pericolo latente per definizione. Spalleggiano il miraggio, tanto diffuso quanto bugiardo; di poter lenire i morsi dell’insicurezza dilagante ricorrendo solo a un immaginario repressivo sempre più esasperato.
È un rimedio inefficace e devastante, destinato ad acuire il male che si propone di guarire. A rendere il paese, e in particolare le sue aree del nord e del nord-est, sempre più insicure. Senza una drastica sterzata culturale queste aree sono destinate a alimentarsi di un bisogno permanente e crescente di controllo sociale. Una spirale perversa e infinita. Un vicolo cieco che ci condurrà inevitabilmente in una situazione simile a quella in cui versano oggi gli Usa: un carcerato ogni cento abitanti e nessun risultato in termini di sicurezza.
L’insicurezza che grava come un’ombra cupa in particolare sui cittadini del nord non deriva da una impennata della criminalità. Non riflette un problema reale ma la presenza pervasiva di uno spettro, tanto più inquietante perché sfuggente e impalpabile: quello di un’esistenza diventata precaria a tutti i livelli, dal lavoro alla pace alla sopravvivenza stessa del pianeta.
Questa paura onnipresente e immateriale "liquida" (direbbe Baumann), diventa almeno più sopportabile se la si attribuisce a qualche minaccia tangibile come gli immigrati o gli scippatori. Il meccanismo classico della "fabbrica ella paura".
L’intera Italia vive oggi in una situazione collettiva che somiglia a quella del "Grande Fratello": si può essere esclusi dalla "casa comune" senza un motivo preciso, casualmente. L’insicurezza si afferma come vera e propria dimensione esistenziale. Una "insicurezza ontologica primaria" avrebbe detto lo psichiatra inglese Ronald Laing, che proprio in questa condizione di sofferenza esistenziale rintracciava le radici della schizofrenia.
Trasferita però a livello di massa e non più solo di singolo individuo. La feroce metafora simbolica del "Grande Fratello" illustra anche la contraddizione di fondo che rende la situazione irresolubile. Lo schema stesso di quella competizione impone infatti la rinuncia prioritaria a ogni solidarietà tra gli abitanti-vittime, la cancellazione di ogni spazio di vera e sostanziale socialità.
Viene così eliminato il solo elemento in grado di contrastare con successo il senso di solitudine, precarietà e insicurezza esistenziale: un saldo vincolo solidale e sociale. Si diffonde, di conseguenza, una sensazione di minaccia latente e indefinita. E come ci raccontano le cronache quotidiane, questa minaccia non assedia le case inutilmente blindate dall’esterno, ma penetra al loro interno.
Esplode nella proliferazione di casi traumatici di violenza e di follia o nella perenne ansia esistenziale. Non è filosofia da anime belle. Sono le nude statistiche, che registrano nelle violenze in famiglia (e nel vicinato) la principale causa di morte violenta in Italia. Questa condizione di insicurezza permanente, questa diffusione di disagio psichico, questo quadro che non è esagerato definire "dissociazione di massa" costituisce, alla lunga, una minaccia per il vivere civile, e per la democrazia stessa.
Non credo lo si possa dire meglio di come ha fatto Enzo Mazzi alcuni giorni fa: "Uno degli elementi che emergono con prepotenza nella società attuale è certamente l’insicurezza e la paura. E la paura, come si sa, ci fa regredire, ci rende bambini, ci induce a affidarci figure mitiche di salvatori, abdicando alla propria responsabilità e autonomia e svuotando la rete delle relazioni".
La sola terapia per l’insicurezza di massa, per la crisi profonda che da anni si registra nel nord del paese, è invece proprio la ricostruzione di quella rete di relazioni. Uno spazio pubblico capace di restituire per intero una dimensione di comunità in cui ricostruire il vincolo sociale smarrito. Cancellato dall’imporsi di una logica puramente competitiva, fondata sulla contrapposizione con altri territori nello scenario globale. Il nodo della sicurezza e quello della costruzione di un sistema economico-sociale diverso, a conti fatti, sono facce del medesimo prisma, non problemi distinti.
È l’imporsi di un preciso sistema produttivo diffuso nel territorio, fondato sulla massima competitività, che ha desertificato le relazioni sociali ed umane in quelle regioni. Il percorso che dobbiamo intraprendere è dunque opposto a quello del leghismo, che precisamente sull’esaltazione di quel modello produttivo, dell’identità territoriale e dell’isteria securitaria fonda da sempre le proprie fortune. Eppure in Italia un enorme problema di sicurezza esiste. Condiziona e imprigiona le energie di tanti giovani nella società meridionale.
Parlo della criminalità organizzata, che sposa la modernizzazione capitalistica ed investe in controllo del territorio e valorizzazione economica e finanziaria dei propri interessi. Parlo della violenza bestiale di cui sono tornate a essere vittime le donne, non per colpa dei "diversi", ma dei loro padri e mariti. Di una dimensione del lavoro che sempre più somiglia a un fronte bellico: nelle fabbriche e nei cantieri italiani, negli ultimi anni, sono morti più lavoratori dei soldati americani periti in Iraq.
E ancora delle devastazioni ambientali che si traducono con crescente puntualità in vere e proprie catastrofi. Sono questi i temi che una politica responsabile e interessata alla costrizione di una società alternativa mette in testa al capitolo dedicato alla sicurezza: non la costruzione di muri inutili, non una insensata militarizzazione del territorio.
Per riannodare i fili spezzati dell’intima insicurezza esistenziale occorre dunque una grande e molecolare battaglia politico-culturale. Serve una vera e propria mobilitazione democratica. Non si può inseguire la destra sul suo terreno cercando di ereditarne le parole d’ordine. È totalmente sbagliato, come si è visto, dire che il tema della sicurezza non è né di destra né di sinistra.
Per quella via non si può che finire, come hanno fatto i sindaci del Pd con la campagna contro i lavavetri, per scatenare un bestiale conflitto tra gli ultimi e i penultimi, non si può che scambiare la guerra contro la povertà per una guerra contro i poveri. Altro che problema "né di destra né di sinistra"! Al contrario, sembra oggi proprio questa la frontiera che separa la più moderna e schizofrenica tra le barbarie o un nuova civiltà fondata su relazioni umane più ricche.

giovedì 27 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Risorse per sicurezza, programmi Pd e Pdl distanti

di Antonella Autero- Il Denaro, 27 marzo 2008

Obiettivo: sicurezza. È uno dei punti cardine dei programmi di Pd e Pdl, che pongono il ripristino della legalità in testa ai propri impegni elettorali. "La sicurezza, prima di tutto" recita il vademecum di Walter Veltroni. "Subito azioni di contrasto alla criminalità organizzata e un piano di emergenza per la legalità" replica Silvio Berlusconi in una delle sue "sette missioni". Ma è sull’impiego di risorse, sia finanziarie sia logistiche, che i due poli risultano distanti. Il Popolo della libertà punta su un aumento progressivo delle risorse per la sicurezza e su una maggiore presenza di poliziotti e carabinieri di quartiere. Si impegna, invece, per la "qualità" e la riorganizzazione delle forze in campo il Pd, per il quale la sicurezza non è solo "questione di entità delle risorse pubbliche ", ma anche di migliore impiego di quelle umane e finanziarie.
Maggiore presenza o migliore organizzazione delle forze armate sul territorio, un freno all’immigrazione clandestina, certezza della pena, incentivi all’utilizzo di sistemi avanzati di videosorveglianza. In apparenza, la ricetta per la sicurezza ha gli stessi ingredienti per Pd e Pdl. Ma è sul ruolo e l’utilizzo delle risorse che i poli divergono.
Si impegna per un aumento progressivo delle risorse il leader del Pdl Silvio Berlusconi. Che propone una sorta di decalogo della sicurezza: aumento di poliziotti e carabinieri di quartiere per rafforzare la prevenzione dei "reati diffusi"; incentivi per istallazione di sistemi di sicurezza nei pubblici esercizi; lotta al terrorismo interno ed internazionale. E ancora: tutela dell’ordine pubblico dagli attacchi dei "disobbedienti" e aumento delle pene per reati contro forze dell’ordine.

Più organizzazione

La sicurezza non è solo questione di entità delle risorse pubbliche dedicate, ma anche di migliore impiego delle risorse umane e finanziarie disponibili. La pensa così, invece, il Pd di Walter Veltroni, secondo il quale "se si vogliono più agenti in divisa a presidio dl territorio, di giorno e di notte, in centro e in periferia, nelle città e nelle campagne, si impone l’adozione di un vero e proprio nuovo modello di sicurezza". Il Pd pensa, in particolare a un’azione di riordino strutturale e organizzativo. L’obiettivo è eliminare ogni duplicazione funzionale tra quelle a competenza generale e quelle a competenza specialistica.

Clandestini

Capitolo a sé quello che riguarda i rapporti con gli immigrati. Il Pdl si dichiara contrario a qualsiasi sanatoria per i clandestini, ma pronto ad aprire nuovi Centri di permanenza temporanea. Nel programma si annuncia una corsia preferenziale per l’immigrazione regolare ai lavoratori dei paesi che garantiscono la reciprocità dei diritti, impediscono la partenza di clandestini dal proprio territorio e accettano programmi comuni di formazione professionale nei loro paesi. C’è, inoltre, la conferma del collegamento stabilito nella Legge Bossi-Fini fra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Lotta alla clandestinità anche dal fronte Pd, che si propone di favorire la regolarità dell’ingresso e della permanenza nel Paese e contrastare duramente la criminalità. A tale scopo Veltroni propone di dare "migliore efficacia ed effettività" ai provvedimenti di espulsione e di organizzare un sistema di contrasto della clandestinità in cui siano presenti i Centri di Identificazione e Garanzia per la determinazione dell’identità degli irregolari.

Certezza della pena

La certezza della pena è un altro comune denominatore dei programmi di Pd e Pdl. Una garanzia che per Berlusconi deve concretizzarsi con la previsione che i condannati con sentenza definitiva scontino effettivamente la pena inflitta ed esclusione degli sconti di pena per i recidivi e per chi abbia commesso reati di particolare gravità e di allarme sociale. E non solo: il Popolo delle libertà punta anche sull’inasprimento delle pene per i reati di violenza sui minori e sulle donne; il gratuito patrocinio a favore delle vittime; la costruzione di nuove carceri e la ristrutturazione di quelle esistenti. La certezza della pena, per il Pd, passa invece attraverso l’approvazione di quella parte del "Pacchetto Sicurezza" che ha ampliato il numero dei reati di particolare allarme sociale, prevedendo la cosiddetta custodia cautelare obbligatoria; il giudizio immediato per gli imputati detenuti; l’applicazione d’ufficio (e non più a richiesta del Pm) della custodia cautelare in carcere già con la sentenza di primo grado (e non più con quella d’appello); l’immediata esecuzione della sentenza di condanna definitiva senza meccanismi di sospensione.

mercoledì 26 marzo 2008

News dalle Organizzazioni Sindacali



Convocazioni DAP
In vista della riunione aggiornata al 1 aprile 2008, la Direzione Generale del Personale e della Formazione del DAP ha preliminarmente fornito alle OO.SS. alcune informazioni relative all'assegnazione degli incarichi provvisori dei dirigenti penitenziari di diritto pubblico.

Giustizia/Carcere- Programmi elettorali e disinformazione sul carcere


di Giancarlo Trovato- Rinascita, 26 marzo 2008

Riempire le carceri è la maggiore aspirazione dei diversi contendenti elettorali, i quali assicurano di riuscire a sistemare tutti i problemi della giustizia con questa comune soluzione. In effetti, in comune ci sono soprattutto una. profonda disinformazione ed una colpévole incompetenza. Avendo compreso che la paura dei cittadini, intimamente collegata al problema della sicurezza, ha un grande impatto mediatico e un buon tornaconto elettorale, si dà ampio rilievo al tema "giustizia e sicurezza" invocando sbrigativamente e superficialmente - come unica soluzione e sicura panacea - la certezza della pena, la quale è appunto confusa con il riempire le carceri.
A parte far osservare che la sicurézza sociale è raggiunta non quando non si fa Uscire nessuno, dal carcere, ma quando si riesce a non farci entrare nessuno, è opportuno far osservare che le carceri sono già piene, anzi stracolme, sin dal 31 dicembre scorso. A tale data, infatti, su ima capienza regolamentare di 42.213 posti i detenuti erano 49.442.
Di questi ben 30.853 privi di condanna definitiva e, pertanto, "presunti innocenti" in espiazione dell’anticipazione, di una pena, priva della certezza di essere inflitta. Esiste, pertanto, la reale necessità di un serio impegno per assicurare la certezza della sentenza e, intimamente collegata, la certezza dell’effetto rieducativo della pena.
La prima eviterebbe la detenzione di numerosi innocenti e lo spreco di soldi dello Stato per ripagare i medesimi per il periodo ingiustamente trascorso in carcere.
La seconda garantirebbe la tutela della collettività esterna, poiché ogni individuo recuperato alla società civile è un delinquente in meno in giro per le strade del Paese.
Il carcere attualmente mantiene esclusivamente la funzione afflittiva e non è in grado di offrire un’adeguata occupazione lavorativa e/o formativa al suo interno. Tantomeno un reinserimento, una volta scontata la, pena. Da tempo è stato dimenticato che l’interesse di tutèla della collettività esterna dovrebbe passare attraverso tale istituzione, che è un tremendo ed assurdo passivo per lo Stato a causa dell’essere unicamente un deposito d’esseri umani, ricchi d’ozio nell’attesa dello scorrere degli anni della pena.
Anche se solo nell’ottica meramente afflittiva, al lavoro per i detenuti ci ha pensato Gianfranco Fini: "Molte volte chi delinque non ha paura del carcere, ma ha paura di essere condannato a lavorare. La mia proposta è quella di condannarli a lavorare tanti giorni e tante ore finché non hanno pagato il debito con lo Stato".
Un’ulteriore prova di disinformazione e d’incompetenza: gli è sfuggito che proprio questo è quanto reclama da anni la maggioranza dei detenuti, anche se con minor astio e senza cattiveria, ma con maggior realismo. Se è utile reperire un lavoro in libertà, maggiormente lo diventa in carcere" ove non esistono né industrie né aziende. Nel 1991 i detenuti che lavoravano erano il 34%. Oggi non si raggiunge il 25%.
Colpa del sovraffollamento e dei posti di lavoro che sono sempre gli stessi, nonostante il numero dei detenuti sia in continuo aumento. Colpa del mondo del lavoro che ha paura di entrare in carcere e, quando c’entra, lo fa esclusivamente per un proprio tornaconto personale, cercando solo di incamerare i contributi pubblici, senza costruire nulla di utile.
Non bisogna nemmeno dimenticare che molti si trovano in carcere, proprio perché la società non ha permesso loro di svolgere un’attività lavorativa o li ha cacciati in mezzo ad una strada. Tra le tante minacce e promesse elettorali in tema di giustizia e sicurezza, compresa quell’assurda di costruire nuove carceri (e il personale?., e i soldi?), al momento va dunque salvata solo quella di Fini, anche se semplicemente come punto di partenza per giungere a garantire alla gran maggioranza dei detenuti un lavoro, gratificato da eque retribuzioni, in modo tale da pagare il mantenimento in carcere, risarcire le parti offese e pure inviare qualche soldo alla famiglia.

martedì 25 marzo 2008

Dal Programma Elettorale della Lista La Destra

SICUREZZA E IMMIGRAZIONE
Certezza della pena- Revisione della Legge Gozzini e riduzione dei benefici di legge in relazione alla carcerazione per tutti quei reati che creano allarme sociale; stretti controlli sull’applicazione della pena; introduzione obbligatoria del “braccialetto elettronico” per accedere ai programmi di reinserimento sociale per i detenuti. No ad ogni nuovo indulto e/o amnistia

Lotta durissima tanto contro la microcriminalità ( vera e propria piaga endemica diffusa su tutto il nostro territorio nazionale) quanto contro il crimine organizzato e il racket con innalzamento delle pene oggi previste.

Tolleranza zero contro lo spaccio di stupefacenti – innalzamento della pena fino all’ergastolo per i grandi spacciatori.

Castrazione chimica per i pedofili - Inasprimento delle pene per i reati di violenza carnale.

Togliere la prostituzione dalle strade: abolire la Legge Merlin e al contempo contrastare pesantemente lo sfruttamento della prostituzione da parte della criminalità.

Subordinare la concessione del “permesso di soggiorno lavorativo” alla firma di accordi bilaterali con gli Stati di origine relativamente allo scontare nelle carceri di quei paesi le pene per eventuali reati commessi in Italia dagli immigrati. Rilevazione delle impronte digitali e del DNA per tutti gli stranieri extracomunitari che chiedano un permesso di soggiorno superiore ai 6 mesi di permanenza sul territorio nazionale. Mappatura completa del fenomeno migratorio in Italia e blocco di ogni ipotesi di sanatoria più o meno mascherata.

Ospitalità nei campi nomadi inderogabilmente legata alla dimostrazione della possibilità di mantenimento per sé e il proprio nucleo familiare.

Rafforzamento dell’ordine sociale anche attraverso politiche che riconoscano alle forze armate e alle forze dell’ordine (e più in generale, a chiunque operi come pubblico ufficiale nell’ambito delle sue competenze), ruolo, dignità e possibilità operative con adeguata considerazione delle necessità di struttura, logistica e personale. All’uopo considerando e risolvendo problemi alloggiativi, adottando politiche salariali adeguate allo status e all’operato, provvedendo al riordino e alla riqualificazione della carriere, e all’eliminazione del precariato, tanto nelle forze armate che dell’ordine.

Basta con i fogli di via che diventano carta straccia. Espulsione reale ed immediata con provvedimento del Prefetto di tutti i clandestini che girano in Italia senza regolare permesso di soggiorno. Applicazione del reato di riduzione in schiavitù nei confronti degli scafisti.

Albo delle moschee e registro pubblico degli Imam. Edificazione di luoghi di culto estranei alle ipotesi concordatarie subordinata all’approvazione del Ministero dell’Interno oltreché all’autorizzazione del Sindaco e introduzione per legge dell’obbligo di pronunciare i sermoni in lingua italiana allo scopo di scongiurare il fomento dell’integralismo religioso. Divieto di indossare il velo islamico nelle scuole e comunque alle minorenni.

No a qualsivoglia riduzione dei tempi necessari all’ottenimento della cittadinanza italiana.
No al diritto di voto amministrativo per i residenti privi di cittadinanza.

Preferenza nazionale nell’assegnazione degli alloggi e nella scuola di ogni ordine e grado, a partire dagli asili nido e dalla scuola materna.

No all’ingresso della Turchia nella Comunità europea.

GIUSTIZIA
Separazione funzionale delle carriere tra Magistratura inquirente e magistratura requirente.

Per evitare l’attuale degenerazione delle correnti della Magistratura, che deve rimanere così indipendente anche dalla “casta” dei magistrati politicizzati, proponiamo l’elezione a sorteggio dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura tra coloro che ne hanno i requisiti.
Aumentare efficienza e soprattutto rapidità del corso della Giustizia sia per ciò che concerne l’azione penale sempre e comunque doverosamente orientata ai criteri di “certezza del diritto-certezza della pena” sia per ciò che concerne lo scandaloso stato in cui si trova la “giustizia civile”. Completamento della riforma del codice di procedura civile: snellimento dei tempi di definizione delle cause e forme di incentivo alle procedure extra-giudiziali.

Dal Programma Elettorale del Partito della Libertà

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA NEL SEGNO DELLA LEGALITA’, DELLA GARANZIA DEL DIRITTO E DELLA SICIUREZZA
L’obiettivo è quello di accelerare i tempi dei processi, garantire la certezza della pena, snellire le procedure civili, migliorare il sistema carcerario, per ridare al Paese una giustizia funzionante. Drastica riduzione della durata dei processi, definendo puntualmente l’ammissibilità dell’appello di merito e dotando il sistema delle strutture indispensabili; netta separazione dei percorsi professionali tra magistratura inquirente e giudicante; aumento del numero dei magistrati, richiamando alle funzioni loro proprie gran parte di coloro altrimenti impiegati; dotare i magistrati di ausiliari giuridicamente qualificati, come avvocati e ricercatori universitari; maggior utilizzo dei magistrati onorari per lo smaltimento delle cause civili; applicare rigorosamente le norme contro le liti temerarie e introdurre sanzioni per i comportamenti dilatori; argine agli abusi mediatici e allo sfondamento delle competenze territoriali; reintroduzione del reato di falso in bilancio definendone con precisione le fattispecie per un’azione d’ufficio della magistratura; norme per un’esecuzione effettiva delle pene irrogate, che sono in sé il reale percorso di riabilitazione; istituzione di figure con competenze manageriali coadiuvanti la direzione dei tribunali; depenalizzazione dei reati minori; piano di costruzione di nuove carceri, dotate anche di reparti separati per i casi di ricorso alla detenzione preventiva, che deve comunque restare un provvedimento a carattere eccezionale.

Dal Programma Elettorale del Partito Democratico

CITTADINI E IMPRESE PIÙ SICURE
Più agenti in divisa per strada, più tecnologia in città
Malgrado l’impegno generoso delle forza dell’ordine, i cittadini si sentono più insicuri: la qualità della vita ne viene gravemente danneggiata. E il danno è più grave per chi è più debole.E’ questione di entità delle risorse pubbliche dedicate, certo. Ma è anche questione di migliore impiego delle risorse umane e finanziarie disponibili. Se si vogliono più agenti in divisa a presidio dl territorio, di giorno e di notte, in centro e in periferia, nelle città e nelle campagne, si impone l'adozione di un vero e proprio "nuovo modello di sicurezza"
.1. Immediata approvazione, in Parlamento, del "Pacchetto Sicurezza" approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 ottobre 2007 e bloccato dalla opposizione della sinistra antagonista; e pronta attuazione del Piano d'azione contro la violenza sulle donne. In questo contesto, per il personale delle forze che tutelano la sicurezza interna ed esterna, è necessario adottare misure di protezione sociale sulla certezza del loro rapporto di lavoro e per la conciliazione delle esigenze del sevizio con quelle della vita privata
. 2. Azione di riordino strutturale e organizzativo, volta a ridefinire su schemi più moderni e funzionali la mission istituzionale e l'impiego operativo delle diverse forze di polizia e ad eliminare ogni duplicazione funzionale tra quelle a competenza generale (Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri) e quelle a competenza specialistica (Guardia di Finanza, Corpo Forestale e Polizia Penitenziaria). In questa direzione, vanno ridotti al minimo indispensabile gli "sconfinamenti" delle forze di polizia a competenza specialistica nei campi di attività di quelle a competenza generale, concentrandone l'azione nei settori operativi di rispettiva attribuzione
.3. Estendere a tutti i Comuni capoluogo di Provincia il "Patto per la Sicurezza" già sperimentato, con ottimi risultati, in alcune delle principali città italiane. In questo quadro, devono essere trasferite ai Comuni le competenze in materia di passaporti e permessi di soggiorno. Sperimentare da subito questo trasferimento nei capoluoghi di Regione, tra cui Milano e Roma, già protagonisti del "Patto per la Sicurezza"
.4. Mobilità interna alla Pubblica Amministrazione di personale civile oggi sottoutilizzato, per impiegarlo nelle attività amministrative di supporto (es. Archivi) alle attività di polizia
.5. Adottare, nell'azione contro la criminalità organizzata, un approccio operativo orientato all'aggressione degli affari e dei patrimoni mafiosi.
In questo ambito vanno attribuiti alla Direzione Investigativa Antimafia - che in futuro dovrà operare in collaborazione sempre più stretta con la Guardia di Finanza - nuovi e più incisivi poteri in materia di vigilanza sugli appalti pubblici. È necessario destinare personale specializzato e risorse alle Questure e agli Uffici giudiziari per le procedure di sequestro e confisca dei beni mafiosi
.6. Le reti senza fili a larga banda (WI-FI, WIMAX) consentono un’infinita possibilità di controllo del territorio.
Nel più assoluto rispetto del diritto alla riservatezza, si possono aiutare i cittadini più esposti alla paura: le donne che escono sole di notte, gli anziani che si muovono nel quartiere, i bambini che vanno a scuola, possono essere protetti dal sistema georeferenziale della rete, attivando un allarme in caso di pericolo. Le stesse iniziative di video sorveglianza dei privati, che nascono come funghi, potrebbero avere convenienza a diventare un terminale interoperabile della rete, contribuendo alla sua espansione e ottenendo in cambio preziosi vantaggi. Le stazioni del trasporto possono diventare le boe della sicurezza nel mare metropolitano: informazioni sui servizi, collegamenti agili con le forze dell’ordine, telecamere, piccole attività commerciali, reti sociali di protezione.
Più certezza ed effettività della pena
Il cittadino pretende di essere certo che chi ha compiuto gravi reati contro la persona ed è stato condannato, sconti effettivamente la pena che gli è stata inflitta.Il Governo del PD offrirà questa garanzia.
Verrà infatti immediatamente approvata quella parte del "Pacchetto Sicurezza" (30-10-2007) che ha ampliato il numero dei reati di particolare allarme sociale - fra questi la rapina, il furto in appartamento, lo scippo, l’incendio boschivo e la violenza sessuale aggravata - prevedendo la cosiddetta custodia cautelare obbligatoria; il conseguente giudizio immediato per gli imputati detenuti; l’applicazione d’ufficio (e non più a richiesta del P.M.) della custodia cautelare in carcere già con la sentenza di primo grado (e non più con quella d’appello); l’immediata esecuzione della sentenza di condanna definitiva senza meccanismi di sospensione.Specularmente, va assicurato il massimo sostegno - sociale e psicologico - alle vittime delle azioni criminali
DIRITTO ALLA GIUSTIZIA GIUSTA, IN TEMPI RAGIONEVOLI
Ridurre i tempi e aumentare l’efficienza della giustizia
Nella classifica relativa ai tempi della giustizia l’Italia è agli ultimi posti in Europa e nel confronto coi Paesi avanzati di tutto il mondo.
I cittadini e le imprese italiane vedono ridursi i loro diritti in presenza di un sistema giudiziario che impiega anni e anni per risolvere le controversie.La ragionevole durata del processo, principio affermato dalla Carta Europea dei Diritti dell'Uomo e dalla Carta costituzionale, è un principio cui deve ispirarsi ogni intervento riformatore. È indispensabile completare la stagione di riforme '96-'02, portando a compimento innanzitutto le misure già avviate sul processo civile (razionalizzazione e accelerazione del processo) e penale (razionalizzazione e accelerazione del processo, prescrizione dei reati, recidiva, tenuità del fatto); sviluppare in sede comunitaria l'iniziativa per giungere ad una sorta di "codice civile europeo"; riprendere e approvare il disegno di legge contro lo stalking e l'omofobia, già approvato dalla Commissione Giustizia della Camera nella XV Legislatura.Il bilancio del Ministero della Giustizia deve essere considerato non solo sotto l'aspetto delle spese, ma anche sotto quello delle entrate. Solo il 3% circa delle somme per pene pecuniarie e spese processuali sono effettivamente recuperate; eppure si tratta di somme non indifferenti,cui deve aggiungersi l'enorme patrimonio costituito da beni in sequestro o confiscati, che giacciono per anni in depositi infruttiferi.Ci sono alcuni provvedimenti che possono essere presi immediatamente, per accrescere l’efficienza del sistema giudiziario italiano
.1.Accorpare i tribunali, ridistribuendo i magistrati e le risorse
.2.Creare dell'Ufficio per il processo, che consentirà anche la riorganizzazione delle cancellerie e la valorizzazione e riqualificazione del personale
.3. Realizzare rapidamente il processo telematico, strettamente legato all'Ufficio per il processo, eliminando gli infiniti iter cartacei che assorbono risorse preziose per la loro gestione e archiviazione
.4. Favorire la specializzazione dei magistrati, in particolare nel settore dei diritti fondamentali (famiglie e minori, diritti della persona, libertà personale, espulsioni)
.5. Ampliare la specializzazione delle sezioni per le tematiche economiche
.6. Adottare misure straordinarie per la definizione del contenzioso arretrato
.7. Favorire una modifica dei contratti tra avvocati e clienti verso forme basate su premi alla rapidità
.8. Sottoporre le diverse sedi giudiziarie ad un sistematico monitoraggio, al fine di far emergere le migliori pratiche, da valorizzare, diffondere e mettere alla base di forme di premialità nella ripartizione delle risorse
.9. Incentivare la gestione manageriale degli Uffici giudiziari - anche prevedendo la figura del manager dell'Ufficio Giudiziario, un magistrato appositamente formato per l'assolvimento di questo compito - che sono ormai grandi organizzazioni, con tante risorse umane e materiali
.10. Eliminare la sospensione feriale dei termini processuali
.11. Creazione e rafforzamento di (e sistematico ricorso ad) un sistema di composizione extragiudiziale delle liti.b) Intercettazioni sì, violazione dei diritti individuali no
Lo strumento delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche, informatiche e telematiche è essenziale al fine di contrastare la criminalità organizzata ed assicurare alla giustizia chi compie i delitti di maggiore allarme sociale, quali la pedofilia e la corruzione.
Bisogna conciliare tali finalità con diritti fondamentali come quello all’informazione e quelli alla riservatezza e alla tutela della persona.
Il divieto assoluto di pubblicazione di tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misura cautelare fino al termine dell’udienza preliminare, e delle indagini, serve a tutelare i diritti fondamentali del cittadino e le stesse indagini, che risultano spesso compromesse dalla divulgazione indebita di atti processuali.
E’ necessario individuare nel Pubblico Ministero il responsabile della custodia degli atti, ridurre drasticamente il numero dei centri di ascolto e determinare sanzioni penali e amministrative molto più severe delle attuali, per renderle tali da essere un’efficace deterrenza alla violazione di diritti costituzionalmente tutelati.
Per l'autodeterminazione del paziente, Il PD riconosce il diritto inalienabile del paziente a fornire il suo consenso ai trattamenti sanitari a cui si intende sottoporlo, così come previsto dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione di Oviedo. Il PD si impegna inoltre a prevenire l'accanimento terapeutico anche attraverso il testamento biologico.
Diritti della persona che convive stabilmente Il Governo del PD promuove il riconoscimento giuridico dei diritti, prerogative e facoltà delle persone stabilmente conviventi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
STATO SOCIALE: PIÙ EGUAGLIANZA E PIÙ SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA, PER CRESCERE MEGLIO
Asili nido per tutti e bambini più felici, dai primi giorni di vita
L'asilo nido deve diventare un servizio universale, disponibile per chiunque ne abbia bisogno. Grazie alla cooperazione con le Regioni e gli enti locali, al lavoro avviato dal Governo Prodi e alle risorse già disponibili, è conseguibile l'obiettivo di quadruplicare il numero dei posti entro cinque anni, con servizi che coprano il 25% dei bambini da 0 a 3 anni, contro il 6% attuale. A questo scopo, va superato qualsiasi eccesso di minuziosa regolazione. Un bambino su tre incontra determinanti difficoltà di sviluppo nei primi dieci mesi di vita. In molti, troppi casi questo ritardo iniziale non verrà più recuperato. Questo fondamentale fattore d'esclusione va dunque aggredito, fornendo alle mamme in situazioni di disagio economico/sociale l'aiuto individuale di Assistenti di maternità, che intervengano prima ancora dell'ingresso del bambino all'asilo nido e gli garantiscano le prime settimane di vita in un contesto affettivo stabile ed accogliente.
Il buono-servizio per i non autosufficienti e i diversamente abili
Elevare gradualmente l’importo mensile dell’indennità di accompagnamento da 455 fino a 600 euro in media per il 30% degli utenti (450.000 persone) che hanno maggiore bisogno di assistenza, mantenendo il valore attuale per le altre. L’accesso alla misura rimane sulla base del bisogno: l’ammontare è determinato in base all’Indicatore di Situazione Economica Equivalente.2. Affiancare all’indennità di accompagnamento monetaria per i cittadini non autosufficienti e i diversamente abili la possibilità per loro di optare per una dotazione mensile, di valore maggiore dell’indennità e finanziata anch’essa dallo Stato, di buoni-servizio per l’acquisto di servizi di assistenza domiciliare integrata organizzati dai comuni:- i buoni sono nominativi e non trasferibili;- possono essere spesi dal cittadino solo per l’acquisto di servizi offerti dai comuni o da erogatori (cooperative, organizzazioni no profit, etc.) accreditati e regolati dai comuni.

Dal Programma Elettorale della Sinistra Arcobaleno

POTENZIARE LA RETE DEI SERVIZI, RICONOSCERE DIRITTI CERTI ED ESIGIBILI
Il Fondo nazionale per le politiche sociali, che è fonte di finanziamento degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, attraverso la rete integrata dei servizi creata sul territorio (strumento essenziale per finanziare i servizi socio-assistenziali forniti dai Comuni), era stata portata a 550 milioni di euro dal governo delle destre. Rifinanziato, ammonta oggi a 1660 milioni di euro, ma è comunque fortemente inadeguato per dare una risposta efficace ai bisogni sociali. La modifica del titolo V della Costituzione, con le regioni nuovi attori delle politiche sociali, ha determinato inoltre l’impossibilità di strutturare una programmazione pluriennale degli interventi su base nazionale, aumentando di fatto le differenze tra regioni ricche e povere.
Noi vogliamo:
• aumentare significativamente il Fondo nazionale per le politiche sociali, definendo una quota pro capite;
• Definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, esigibili in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale;
• Portare a termine le procedure di ratifica della Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità e costruire un sistema di protezione sociale dove sia garantita la partecipazione delle persone interessate e le loro organizzazioni, incentivandone l’autodeterminazione;
• Sviluppare la rete dei servizi per le bambine e i bambini, mettendo al centro il piano per l’incremento degli asili nido;
• Realizzare un piano nazionale di inclusione di rom e sinti che superi la logica ghettizzante dei campi;
• Abrogare la legge Fini Giovanardi sulle droghe. Occorre decriminalizzare le condotte legate al consumo personale in una prospettiva non proibizionista. Va attuata la politica dei 4 pilastri, prevenzione ed informazione corretta, cura e riabilitazione, sperimentazione e consolidamento delle politiche di riduzione del danno, lotta al narcotraffico;
• definire un piano nazionale contro la povertà e l’esclusione sociale. Contro lo stato sociale minimo e la guerra ai poveri delle politiche della tolleranza zero, occorre rispondere contrastando le nuove marginalità sociali;
• riconoscere e promuovere il ruolo sociale ed educativo dello sport, contrastandone la mercificazione in atto. Lo sport è un diritto di cittadinanza che va garantito a tutte e a tutti, con un’organica riorganizzazione del sistema sportivo, partendo dalla liquidazione della Coni Servizi Spa, e con una ridistribuzione delle risorse verso lo sport sociale e popolare.

UNA GIUSTIZIA EQUA E LA LOTTA AI POTERI CRIMINALI
L'ordinamento della giustizia deve fondarsi sull'eguaglianza davanti alla legge. Le "leggi vergogna", volute dal governo di centrodestra, e che le resistenze moderate hanno impedito di abrogare nei due anni di governo di centrosinistra, vanno quindi abolite, a cominciare da quella sul falso in bilancio. Garantismo vuol dire basta con la giustizia diseguale: forte con i deboli e debole con i forti.
L'autonomia e l'indipendenza della magistratura costituiscono un fondamentale diritto dei cittadini, e devono essere organizzate a tal fine, e non come privilegio di una corporazione.
Del diritto alla giustizia è aspetto fondamentale il diritto alla difesa, a cominciare da una normativa più adeguata sulla difesa d’ufficio e sul patrocinio dei non abbienti. Decisivo per le garanzie dei diritto di difesa è il ruolo dell’avvocatura, e una riforma della professione forense che la ponga nelle condizioni di svolgere al meglio tale funzione.
La percezione di insicurezza diffusa non trova spiegazioni nella dimensione qualitativa e quantitativa del crimine. Essa va comunque tenuta in considerazione in quanto è insoddisfatta la domanda di giustizia e di tutela dei diritti. La magistratura deve assicurare efficienza attraverso processi dalla durata ragionevole. Un nuovo codice penale di ispirazione garantista – come quello delineato dalla Commissione Pisapia -, la riduzione del numero complessivo di reati, la depenalizzazione delle pratiche di consumo delle droghe e della condizione di immigrato, l’abolizione dell’ergastolo e dei circuiti di massima sicurezza, oltre ad avere ricadute positive sul sovraffollamento penitenziario avrebbero una immediata ripercussione positiva sul lavoro dei magistrati che così potrebbero concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia. Più in generale, vanno razionalizzate le risorse destinate alla giustizia al fine di ridurre i tempi per addivenire ad una decisione finale senza che vengano sacrificate le garanzie e i diritti dei cittadini in sede penale, amministrativa e del lavoro.
Va rivisitato inoltre il sistema sanzionatorio, che dopo l’approvazione della legge ex Cirielli sulla recidiva, è definitivamente improntato a giudicare la storia socio-penale degli imputati piuttosto che i singoli e concreti fatti da loro compiuti. È necessario ritornare al diritto penale del fatto ponendolo in contrapposizione al nuovo e pericoloso diritto penale del reo e alla deplorevole prassi dei c.d. pacchetti sicurezza, che altro non sono che misure emergenziali populiste e inefficaci.
È necessario, al contrario, investire nelle misure alternative, come dimostrato dalle statistiche, vero antidoto alla recidiva. Per queste ragioni va tenuta ferma la riforma c.d. Gozzini, con l’espansione dell’intervento degli enti locali in tema di tutela e promozione dei diritti delle persone private della libertà personale, in primis in tema di tutela e promozione della salute e del rapporto tra detenute madri e prole.
La giustizia penale non può superare un limite invalicabile, quello costituito dai diritti fondamentali della persona. Per questo va prevista, oltre all’abolizione dell’ergastolo e alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, l’introduzione di garante delle persone private o limitate nella libertà.
A oltre vent’anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura, va conseguito l’obiettivo dell’introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale. L’Italia versa oggi in un pericoloso e umiliante vuoto normativo che va urgentemente colmato. La tortura è un crimine contro l’umanità e la legislazione penale vigente è assolutamente insufficiente.
L’impegno e il contrasto alle mafie debbono rappresentano una priorità del programma della sinistra arcobaleno per avviare una stagione di forte discontinuità soprattutto nelle regioni del sud. Punti principali di questo rinnovato impegno sono:
• Creazione di un Testo unico della legislazione antimafia, per armonizzare e garantire maggiore organicità ad una materia così complessa e articolata
• Una legge che permette di perseguire con efficacia gli intermediatori illegali delle armi
• Una nuova normativa in materia di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose per garantire il ripristino effettivo della legalità all’interno delle amministrazioni comunali e sostenere, anche con maggiori risorse finanziarie, l’azione dei commissari prefettizi.
• Rafforzamento della normativa in materia di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nella gestione degli appalti, a garanzia della trasparenza e della legalità nei contratti di lavoro, servizio e fornitura della Pubblica Amministrazione.
• Rafforzamento degli strumenti di aggressione alle ricchezze delle mafie (anche attraverso una razionalizzazione della legislazione in materia di patrimoni di mafia) e creazione di un’Agenzia nazionale per la gestione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata
• Estensione dell’uso sociale dei beni confiscati ai delitti contro la Pubblica Amministrazione (ad es. corruzione)
• Adottare nuovi strumenti e rafforzare quelli previsti dalla legge n. 44/99 per una maggiore incisività dell’attività delle associazioni antiracket .

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Giustizia/Carcere- Dal programma elettorale dell'UDC: Più sicurezza e certezza della pena

PIU' SICUREZZA: immigrazione extracomunitaria controllata e condizionata alla disponibilità di lavoro, abitazione e regolarizzazione fiscale. Integrazione nel rispetto non solo della nostra legge ma anche della nostra cultura e tradizione. Previsione di una effettiva e celere espulsione degli stranieri autori di reati. Accentuazione del ruolo di raccordo del Prefetto tra le autonomie locali e tra queste e lo Stato. Lotta senza quartiere alla microcriminalità, al traffico di stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione e alla riduzione in schiavitù. Ripristino degli stanziamenti di bilancio precedenti alle ultime due finanziarie del governo Prodi a favore delle Forze dell'Ordine. Reperimento delle risorse per aprire il tavolo negoziale per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto sicurezza e difesa per il biennio 2008/2009. Corpose anche le misure per rendere la giustizia certa e rapida. L'Udc propone una completa riorganizzazione della geografia giudiziaria. Una ''rottamazione'' delle cause civili: incentivazione delle conciliazioni delle cause pendenti attraverso bonus fiscali; il ricorso alla risoluzione alternativa delle controversie tramite gli organismi di conciliazione (introduzione della conciliazione per le liti condominiali); introduzione di sanzioni significative per chi agisce o resiste in giudizio in modo palesemente infondato. ''Se lo puoi arrestare lo puoi giudicare'': contestualità di giudizio tra libertà e colpevolezza; collegialità nei giudizi sulla libertà personale; incentivazione del giudizio con il rito immediato e per direttissima. CERTEZZA DELLA PENA: il giudice del giudizio decide anche le modalità di esecuzione della pena; sfoltimento delle misure alternative al carcere, limitate a casi tassativi dopo aver scontato effettivamente almeno 2/3 della pena; introduzione del rito abbreviato su richiesta del pm per i reati meno gravi e contravvenzionali. Responsabilità del pm per l'esercizio dell'azione penale. Semplificazione dei riti civili e penali con attribuzione al giudice della responsabilità della ragionevole durata del processo con adozione di protocolli di gestione e programmazione delle udienze. Riforma della Sezione Disciplinare del Csm come organo esterno composto di personalità indipendenti. Attribuzione alla Polizia giudiziaria di un reale potere di indagine e di investigazione, fissando termini perentori per la durata delle indagini preliminari

Carcere- Alemanno: pronto a chiudere il carcere di Regina Coeli

Gianni Alemanno ha visitato il carcere romano di Regina Coeli dove, insieme a una cinquantina di detenuti, ha partecipato alla Via Crucis nella rotonda della struttura. «Ho partecipato alla Via Crucis - ha detto il candi­dato sindaco del Pdl che per la prima volta è stata fatta qui su iniziativa del carcere. C'era an­che Suor Paola, è stata una cerimonia commovente. Credo che sia giusto, nel momento stesso in cui si fa una campa­gna elettorale, ricordarsi anche dei cittadini romani che sono detenuti e sono quelli che vi­vono momenti di sofferenza». «Il carcere di Regina Coeli rappresenta indubbiamente un grande problema perchè da un lato è una istituzione carcera­ria che sta dentro la città e quindi ha i suoi vantaggi ma è anche un istituto molto ·antico che tante volte si è ipotizzato di chiudere per riutilizzarlo in al­tro modo. Credo che debba es­sere fatta una riflessione in questo senso perchè credo sia opportuno costruire un nuovo carcere oltre a quello di Rebib­bia, che è già strapieno, per po­ter liberare la struttura di Re­gina Coeli», ha aggiunto. Per­ché «il carcere è molto antico, e per quanto siano state fatte tante opere di manutenzione secondo me va chiuso. C'è una struttura di fondo che non può essere modificata». Il che in­fluisce sulle condizioni dei detenuti e di chi ci lavora: «Sono venuto qui diverse volte. Ho fatto le ispezioni per vedere le condizioni carcerarie. Ho parlato con gli agenti di custodia che hanno delle situazioni abbastanza critiche». Alemanno ha quindi spiegato che Regina Coeli potrebbe essere utilizzato come museo o sul versante culturale: «Bisognerà ragionare col ministero della Giustizia per fare queste trasformazio­ni». In serata, precisa che questa proposta rappresenta «una prospettiva, non un fatto im­mediato», perché «è necessa­rio prima costruire un carcere nuovo».

Giustizia/Carcere- Casini (Udc): misure alternative? dopo 2/3 di pena

Apcom, 25 marzo 2008

"Sfoltire le misure alternative al carcere, limitandole a casi tassativi dopo aver scontato effettivamente almeno due terzi della pena". Lo afferma Pier Ferdinando Casini nel suo intervento che verrà pubblicato domani sulla pagina di Radio Carcere del Riformista.
"La revisione delle misure alternative - spiega Casini - deve portare alla costruzione di un sistema penitenziario complesso, carcerario ed extracarcerario, dotato di strutture, competenze e professionalità adeguate. In tale ottica è urgente il riordino del Corpo di polizia penitenziaria e la revisione della geografia carceraria".
Altra soluzione proposta da Casini è la contestualità di giudizio tra libertà e colpevolezza: "Se lo puoi arrestare lo puoi giudicare - spiega Casini - Occorre l’incentivazione del giudizio con il rito immediato e per direttissima. Prevediamo, nell’immediato, un intervento sul potere di privare della libertà personale chi è in attesa di giudizio, attraverso una modifica della competenza sulle misure cautelari e un ripensamento del processo per direttissima o del rito abbreviato, affrontando in tal modo tre delle questioni più scottanti: garanzia dei diritti fondamentali della difesa, tutela della sicurezza dei cittadini, riduzione dell’enorme numero di detenuti in attesa di giudizio".

sabato 22 marzo 2008

Carcere, codice penale: presentato il testo Pisapia


Redazione (redazione@vita.it)

La riforma prevede la cancellazione dell'ergastolo, sostituito da una pena massima di 32 anni, elevabile a 38 per i reati più gravi
Abolizione dell'ergastolo, una condanna che e' "piu' simile alla pena di morte". E' la novita' tra le piu' significative del ddl di riforma della parte generale del Codice penale, schema presentato oggi al ministro della Giustizia Luigi Scotti. La commissione di studio presieduta da Giuliano Pisapia stabilisce che il massimo della pena da infliggere ad un condannato deve essere di 32 anni, elevabili fino a 38 anni per i casi di reati piu' gravi.
La relazione del documento sottolinea che sulla scelta di sostituire nel Codice l'ergastolo con la "detenzione di massima durata c'e' stata una lunga e approfondita riflessione". Si e' tenuto conto "della contrarieta' di gran parte dell'opinione pubblica e dei paventati rischi di indebolire la lotta alla criminalita' organizzata"; ma la commissione a larga maggioranza ha deciso "di non prevedere la pena dell'ergastolo", sulla base di dati oggettivi "che dimostrano come la pena perpetua, cosi' come la pena di morte, non ha mai avuto quell'efficacia deterrente che molti prospettano".
L'ergastolo, si sottolinea, e' "una pena iniqua che pone non pochi dubbi di legittimita' costituzionale"; e cancellarlo e' anche un "atto di civilta' imposto da ragioni di carattere etico-politico perche' l'ergastolo non e' assimilabile alla reclusione ma e' una pena assai piu' simile alla pena di morte". La commissione aggiunge poi che il carcere a vita non c'e' in molti paesi europei, come Norvegia, Portogallo, Spagna, Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina. In altri Stati, ricorda la commissione, seppure previsto in astratto l'ergastolo "non viene applicato in concreto", come in Olanda, Polonia, Albania, Serbia e Ungheria.
Testo e relazione del progetto di disegno di legge (http://www.giustizia.it/)

venerdì 21 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Osapp: dopo l'indulto mancato reinserimento sociale

Ansa, 21 marzo 2008

Il provvedimento d’indulto che ha messo fuori, fino ad oggi, 27.279 detenuti si è rivelato fallito. È quanto afferma il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, che si unisce all’analisi del vice segretario del Pd Dario Franceschini che ha giudicato l’indulto sbagliato e frutto di una scelta che il Governo aveva subìto.
"A questo punto se, dopo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Ministro della Giustizia, anche il vicesegretario del Partito più grande del centrosinistra giudica fallimentare l’esperienza di due anni fa, rimettiamo all’opinione pubblica il giudizio su un’iniziativa - aggiunge Beneduci - frutto allora del consenso di due terzi del Parlamento, che fino adesso non ha realizzato altro che 8.612 rientri, nessun reinserimento sociale, niente eliminazione della recidiva, e nessuna politica di investimento per l’edilizia carceraria.
Nelle carceri italiane ci sono oltre 51mila detenuti e dunque l’indulto ha fallito. È il parere dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp), che commenta le dichiarazioni del numero due del Pd Dario Franceschini. "Il provvedimento d’indulto che ha messo fuori, fino ad oggi, 27.279 detenuti si è rivelato un fallimento, ha dichiarato in un nota il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci che "si unisce all’analisi del vice segretario del Pd Dario Franceschini che parlando oggi a ‘Repubblica TV’ aveva giudicato l’indulto sbagliato e frutto di una scelta che il governo aveva subito".
Beneduci rileva però che ‘a questo punto se, dopo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il ministro della Giustizia, anche il vicesegretario del partito più grande del centrosinistra giudica fallimentare l’esperienza di due anni fa, rimettiamo all’opinione pubblica il giudizio su un’iniziativa, frutto allora del consenso di due terzi del Parlamento, che fino adesso non ha realizzato altro che 8.612 rientri, nessun reinserimento sociale, niente eliminazione della recidiva, e nessuna politica di investimento per l’edilizia carceraria".
Il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane secondo i dati dell’Osapp è di 51.317 unità. Beneduci, conclude che dunque, "ci domandiamo a questo punto chi abbia subìto il provvedimento, se i politici o gli istituti di pena, che allo stato attuale presentano una capienza non più tollerabile di 51.317 detenuti, e soprattutto un corpo di polizia penitenziaria ormai allo stremo delle possibilità.

Giustizia/Carcere- Antigone: le priorità per una nuova politica penale

Giustizia: Antigone; le priorità per una nuova politica penale

Associazione Antigone, 21 marzo 2008

Le nostre proposte: una giustizia equa e una difesa pubblica; il diritto penale deve giudicare i fatti e non le storie di vita; i diritti vanno promossi e protetti; la tortura va messa fuorilegge
La percezione di insicurezza che viene sbandierata al fine di giustificare provvedimenti di natura repressiva non trova spiegazioni nella dimensione qualitativa e quantitativa del crimine. Essa va comunque tenuta in considerazione in quanto insoddisfatta è la domanda di giustizia e di tutela dei diritti. La magistratura deve assicurare efficienza attraverso processi dalla durata ragionevole. Un nuovo codice penale di ispirazione garantista, la riduzione del numero complessivo di reati, la depenalizzazione delle pratiche di consumo delle droghe e della condizione di immigrato, oltre ad avere ricadute positive sul sovraffollamento penitenziario avrebbero una immediata ripercussione positiva sul lavoro dei magistrati che così potrebbero concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, riducendo i tempi infiniti della giustizia.
La giustizia non è al centro di questa campagna elettorale. Laddove lo è viene declinata in termini di sicurezza urbana. Non ci si preoccupa oramai più della cifra ignota del crimine, del sistema investigativo che non riesce a risolvere i veri (o presunti) crimini più gravi, della giustizia oramai al collasso, dell’inefficienza dei tribunali, della lentezza e iniquità dei processi. Dopo un quindicennio durante il quale il gioco delle corporazioni e il pro o anti-berlusconismo ha fortemente condizionato le politiche e le parole della giustizia ora è calato il silenzio. Un silenzio che non fa presagire niente di buono.
Noi pensiamo che la giustizia debba essere riformata nel segno della equità, della ragionevolezza, della minimizzazione dell’impatto penale. Non rinunciamo all’idea che il diritto penale debba essere un diritto penale minimo, che la pena carceraria debba essere la extrema ratio, che vada individuata una gerarchia di beni fondamentali da proteggere e che per tutti gli altri vadano trovate forme di protezione giuridica diverse. Riteniamo che la giustizia debba essere un terreno su cui sperimentare un modello di comunità capace di includere, di costruire coesione sociale, di restituire dignità e memoria.

Una giustizia equa e una difesa pubblica

Il sistema della giustizia si presenta fortemente discriminatorio. Il totale delle garanzie è a disposizione dei soli che possono permettersi una adeguata difesa tecnica. I non abbienti sono esclusi da ogni forma di tutela processuale. Il sistema di difesa dell’imputato non può più prescindere dall’istituzione di una difesa pubblica realmente funzionante, complementare rispetto alla libera professione. A questo fine, vanno anche riviste le due differenti figure del difensore d’ufficio e del gratuito patrocinio, a oggi non effettivamente in grado di garantire una difesa usufruibile dalla totalità dei cittadini.

Il diritto penale deve giudicare i fatti e non le storie di vita

Va rivisitato il sistema sanzionatorio, che dopo l’approvazione della legge ex Cirielli sulla recidiva, è definitivamente improntato a giudicare la storia socio-penale degli imputati piuttosto che i singoli e concreti fatti da loro compiuti. Il nostro sistema penale tende a giudicare in modo diseguale due persone che hanno compiuto lo stesso reato a seconda dei precedenti loro contestati, della loro storia personale. La recidiva, la delinquenza abituale, professionale e per tendenza sono oggi causa di pene elevatissime per fatti non gravi. È necessario ritornare al diritto penale del fatto ponendolo in contrapposizione al nuovo e pericoloso diritto penale del reo. È necessario investire nelle misure alternative, come dimostrato dalle statistiche, vero antidoto alla recidiva.

I diritti vanno promossi e protetti


La giustizia penale non può superare un limite invalicabile, quello costituito dai diritti fondamentali della persona. Per questo va prevista l’introduzione di un meccanismo indipendente di tutela delle persone private o limitate nella libertà. Figura necessaria, anche alla luce di recenti obblighi internazionali (protocollo Onu alla Convenzione sulla tortura, firmato nel 2003 ma non ancora ratificato dall’Italia). Nelle carceri, nelle caserme delle forze dell’ordine, nei luoghi di detenzione amministrativa per immigrati in via di espulsione, i diritti sono inevitabilmente e quotidianamente a rischio.

La tortura va messa fuorilegge

A oltre vent’anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura va conseguito l’obiettivo dell’introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale. L’Italia versa oggi in un pericoloso e umiliante vuoto normativo che va urgentemente colmato. La tortura è un crimine contro l’umanità e la legislazione penale vigente è assolutamente insufficiente.

giovedì 20 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Carceri strapiene... pur con tutto l’indulto possibile

www.dazebao.org, 20 marzo 2008

Correva l’anno 2002, quando gli esperti in materia giudiziaria vivevano nell’illusione che la stagione in questione, con 56.000 detenuti - circa 13 mila in più di quelli previsti da regolamento - avrebbe rappresentato l’annus horribilis della giustizia italiana, superato il quale non ci sarebbe stato che da risalire.
La risalita arrivò puntuale, ma in un altro, amarissimo senso: il numero di detenuti, grazie anche a qualche legge scriteriata in materia di immigrazione (Bossi-Fini su tutte) sarebbe cresciuto esponenzialmente, fino a oltrepassare l’incredibile e disumana quota 60.000 nel 2006. Il rimedio a tale stato di cose sarebbe arrivato nel luglio dello stesso anno, non cercando di correggere - come eticamente e logicamente auspicabile - qualche obbrobrio in essere in forma di legge, bensì con il tanto discusso e vituperato indulto, fortemente a trasversalmente voluto dal quasi intero arco costituzionale: se ne dissociarono An e Lega.
Oggi, dopo circa un anno e mezzo di somme tirate, emerge in tutta la sua avvilente miseria il fallimento di tale soluzione. I numeri innanzitutto: dei 26.722 detenuti beneficiari dell’intervento nel luglio 2006 - cifre che avevano più che dimezzato la popolazione carceraria -, 6.049 avevano esperito tale misura come una sorta d’ora d’aria prolungata, facendo ritorno al carcere già nel settembre successivo: cruda e lampante dimostrazione di come una simile misura non si possa mettere in atto senza creare le adeguate condizioni per il reintegro dei beneficiari nella società civile.
Reintegro che quasi sempre si mostra particolarmente difficile, considerato che la carenza assoluta di strutture deputate al reinserimento sociale e al recupero (se ne contano poche e spesso inadeguate, tra cui quelle gestite da ex detenuti che rischiano di diventare una sorta di ghetto) s’accompagna ai pregiudizi e alla chiusura della popolazione nei confronti degli ex detenuti.
Tali condizioni, unite alla cecità assoluta con cui è stato varato il provvedimento del luglio 2006, hanno fatto sì che a un anno esatto di distanza dallo stesso il 23,8% dei beneficiari d’indulto sia tornato direttamente in cella. A questi s’è poi aggiunta una percentuale di nuovi ingressi che ha portato, a settembre 2007, a superare quota 45.000; in parole povere, dodici mesi più tardi la popolazione carceraria era nuovamente in esubero - duemila unità - sulla soglia massima prevista da regolamento. Tutto ciò per quanto concerne l’inefficacia del provvedimento e le sue carenza strutturale.
Tornando invece al tema degli obbrobri giudiziari, va segnalata l’attuale normativa in merito all’immigrazione che ha colpito una massa ragguardevole di cittadini extracomunitari per reati legati a questa, riversando di fatto nelle carceri un numero impressionate di stranieri che per via della legge Bossi-Fini si trovano impossibilitati a vivere in condizioni dignitose. Le cifre attuali, a riguardo, parlano del 37% della popolazione carceraria composta da cittadini stranieri - non a caso più che raddoppiata rispetto agli anni Novanta - provenienti da 144 Paesi.
A questo s’aggiungono i tempi fisiologicamente biblici della giustizia, la non trascurabile porzione di detenuti in attesa di giudizio e la lungaggine dei processi penali, a sovraccaricare una situazione già di per sé penosa. Le ultime soluzioni proposte dall’ex ministro Mastella parlavano di una nuova frontiera di lotta al sovraffollamento.
Riconosciuto il clamoroso fallimento dell’indulto, si è proposto di agire sulla vera causa del fenomeno, partendo stavolta con l’abbattere le carenza strutturali: i posti letto sono pochi, quindi aumentiamoli. L’obiettivo era di costruirne ex novo oltre 5.800, ai quali aggiungerne altri mille circa nel corso del 2008. A tale progetto ha fatto eco l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio di Pietro, che ha parlato di ampliamento di strutture penitenziarie al fine di recuperare 3.300 posti letto per l’immediato e ulteriori 4.000 entro il 2009.
A oggi e a seguito della caduta del governo Prodi, nessuno immagina o sa a quali fondi attingere - si parla di settanta milioni di euro circa - per finanziare tali provvedimenti infrastrutturali e soprattutto con quali danari pagare il nuovo personale da assumere per gestire i nuovi spazi. Ad avere occhi per guardare, tutto lascerebbe pensare a una bella soluzione all’italiana, una patata bollente da lasciare in dote al nuovo esecutivo che s’insedierà nella prossima primavera. E chissà che chi si accinge a governare non stia già pensando a una qualche nuova forma di amnistia.

mercoledì 19 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Amato: i successi anti-crimine e i ritardi a sinistra

Il Corriere della Sera, 19 marzo 2008

Per una strana coincidenza - ma nella politica italiana queste coincidenze non sono poi così rare - l’avvio della nuova serie di "Amministrazione Civile", la rivista del ministero dell’Interno, coincide con la fine della mia esperienza come ministro. Questo articolo assume così, inevitabilmente, i tratti di un bilancio di ciò che è stato fatto, non senza provare a lasciare qualche indicazione per il futuro.
Sono stati due anni di lavoro intenso e difficile, ma con risultati che considero molto positivi. Positivi innanzitutto sui due fronti da cui principalmente dipende, da sempre, la sicurezza in Italia: la lotta alla criminalità organizzata e quella contro il terrorismo.
Certo, in questi ambiti ho trovato un lavoro già ben avviato dal mio predecessore, ma altrettanto certamente è stato nel corso di questa amministrazione che, per la prima volta, con un’attenta attività di indagine, sono stati catturati tutti i componenti di un nucleo di stampo brigatista immediatamente prima che commettesse un attentato.
Ed è stata questa legislatura a registrare il più alto indice di successo nell’arresto dei grandi boss della criminalità organizzata: è stato catturato il numero uno della mafia palermitana Salvatore Lo Piccolo; è stata decapitata la stragrande maggioranza delle famiglie siciliane, a partire dai Santapaola di Catania, così come quelle della camorra; è stato preso il principale boss della ‘ndrangheta, Pasquale Condello.
Mentre tutto questo accadeva, però, abbiamo anche assistito all’accentuarsi, soprattutto in alcune parti del Paese, di un diffuso senso di insicurezza. E si è cominciata a mettere al centro del dibattito pubblico una "questione insicurezza".
Cosa era successo? Da cosa dipendeva questa apparente contraddizione? In parte c’entra la politica. Mai come in questa legislatura, vi sono state aree politiche che, avendo deciso di avviare la loro campagna contro il governo cavalcando il sentimento di insicurezza, hanno eccitato le paure dei cittadini e hanno tirato fendenti contro coloro che quella sicurezza dovevano garantire.
Va detto, inoltre, che non hanno aiutato a restituire certezze ai cittadini neppure le divisioni e le contraddizioni della maggioranza su questo tema. Una parte del centro-sinistra non ha saputo accettare la responsabilità delle politiche per la sicurezza nel loro complesso, conservandone una visione limitata esclusivamente agli interventi sociali mirati a eliminare le cause del crimine. La maggioranza ha dato così la sensazione che sulla sicurezza, più che essere sicura, balbettasse.
La politica, dunque, ha una sua responsabilità, ma quella percezione di insicurezza non è solo il frutto avvelenato di un dibattito che ho avuto modo di definire, in certi momenti, burattinesco: in questi anni sono certamente intervenuti cambiamenti che hanno posto le basi di questo diffuso sentire. Mi riferisco in particolare all’emergere, o meglio all’aggravarsi, di fenomeni di criminalità diffusa, che solo una catalogazione vecchia e sbagliata porta a definire come minore. Sono tendenze di fondo, difficili da contrastare. Ma anche su questo è stato fatto tanto e i risultati stanno finalmente cominciando ad emergere.
Vado per ordine. Si è affrontato con successo, per cominciare, il tema del tutto indigeno della violenza negli stadi. Già i decreti Pisanu avevano avviato una stretta, ma quelle misure erano rimaste in gran parte inosservate. Un drammatico giorno dello scorso anno, il giorno forse più nero di questa mia esperienza da ministro dell’ Interno, la morte dell’ispettore Filippo Raciti ha segnalato a tutti la necessità di fare di più. Quel giorno ha segnato così una svolta: sono state rafforzate le misure previste da Pisanu e si è imposta l’immediata attuazione di vecchie e nuove norme; si è disposto che, negli stadi non ottemperanti, le partite venissero disputate solo a porte chiuse; si sono rafforzati i poteri dell’Osservatorio, che ha cominciato a decidere con severità sul blocco delle trasferte; si è rafforzato il Daspo, il divieto di assistere ad eventi sportivi. I risultati sono stati straordinari.
Purtroppo abbiamo avuto un’altra terribile domenica, quando il giovane Gabriele Sandri è stato ucciso per lo sciagurato errore di un poliziotto. Ma è stato un episodio isolato, del quale resta solo il grande dolore per la morte di quel ragazzo e la ferma aspettativa di una giustizia che accerti senza ambiguità le responsabilità di chi ha sparato.
Abbiamo fronteggiato efficacemente il problema degli incidenti causati da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, in particolare il sabato sera. Abbiamo contrastato la criminalità straniera con operazioni come "Itaro" che, grazie alla collaborazione della polizia romena, ha portato a oltre mille arresti nell’ultimo anno.
Abbiamo approvato un decreto che rafforza l’attuazione della direttiva europea sulla libera circolazione, permettendo ai prefetti di espellere immediatamente i soggetti pericolosi.
Abbiamo, soprattutto, sottoscritto i Patti perla sicurezza con i sindaci delle principali città italiane. La sicurezza, infatti, si realizza quando su ciascuna parte del territorio c’è la presenza dei poliziotti, ma anche l’illuminazione dei luoghi pubblici, quando ci sono le telecamere collegate alla sala operativa della questura, ma anche condizioni non degradate del tessuto urbano.
Ancora una volta, però, la politica ha avuto modo di dimostrare quanto possa semplificare e deformare la realtà, un po’ per ignoranza vera e propria e un po’ per strumentalizzazione di parte. È quanto è accaduto, in particolare, quando abbiamo citato la dottrina per cui il disordine chiama un disordine sempre maggiore, il piccolo delitto fa da trampolino di lancio per il grande delitto. Ebbene, il solo fatto che sulla base di questa teoria alcuni sindaci americani abbiano poi attuato una politica di "tolleranza zero" ha indotto taluni ad accusare me, e soprattutto i primi cittadini che con me avevano firmato i Patti, di esserci trasformati in sceriffi, attribuendo al termine un valore profondamente negativo.
I Patti hanno centrato l’obiettivo. Basta guardare i dati sull’andamento dei delitti nelle grandi città nel secondo semestre del 2007, cioè dopo la firma della gran parte delle intese con gli enti locali. C’è un calo generalizzato nell’ordine di quasi il 10%. Colpiscono, in particolare, i dati relativi alle grandi città con le quali sono stati firmati i Patti. A Milano da anni si registrava un continuo aumento di furti, stupri, borseggi, mentre nella seconda metà del 2007 assistiamo a un nettissimo calo.
In totale a Milano i delitti sono scesi da 160 mila nel primo semestre 2007 a meno di 145 mila. Tendenze analoghe si registrano a Roma, a Torino, a Bologna. Colpisce, poi, il dato degli omicidi a Napoli, in calo da 61 a 50.
Evidentemente i Patti stanno funzionando. Non basta, certo. Per consolidare queste tendenze c’è sicuramente bisogno di altro. Per questo a ottobre avevamo varato i cinque disegni di legge passati alla cronaca come "pacchetto sicurezza". Lì c’è un insieme di norme che continuo a ritenere fondamentale per rispondere, nel pieno rispetto delle tutele costituzionali, al bisogno di sicurezza dei cittadini. Purtroppo il Parlamento non ha avuto il tempo di trasformare quei disegni in leggi dello Stato.
Le politiche per la sicurezza hanno bisogno di una condivisione razionale. In questa legislatura la conflittualità tra maggioranza e opposizione, e all’interno della stessa maggioranza, non lo ha consentito. C’è da sperare che nella prossima si scelga una strada diversa.

Giustizia/Carcere- Amato: i successi anti-crimine e i ritardi a sinistra

Il Corriere della Sera, 19 marzo 2008

Per una strana coincidenza - ma nella politica italiana queste coincidenze non sono poi così rare - l’avvio della nuova serie di "Amministrazione Civile", la rivista del ministero dell’Interno, coincide con la fine della mia esperienza come ministro. Questo articolo assume così, inevitabilmente, i tratti di un bilancio di ciò che è stato fatto, non senza provare a lasciare qualche indicazione per il futuro.
Sono stati due anni di lavoro intenso e difficile, ma con risultati che considero molto positivi. Positivi innanzitutto sui due fronti da cui principalmente dipende, da sempre, la sicurezza in Italia: la lotta alla criminalità organizzata e quella contro il terrorismo.
Certo, in questi ambiti ho trovato un lavoro già ben avviato dal mio predecessore, ma altrettanto certamente è stato nel corso di questa amministrazione che, per la prima volta, con un’attenta attività di indagine, sono stati catturati tutti i componenti di un nucleo di stampo brigatista immediatamente prima che commettesse un attentato.
Ed è stata questa legislatura a registrare il più alto indice di successo nell’arresto dei grandi boss della criminalità organizzata: è stato catturato il numero uno della mafia palermitana Salvatore Lo Piccolo; è stata decapitata la stragrande maggioranza delle famiglie siciliane, a partire dai Santapaola di Catania, così come quelle della camorra; è stato preso il principale boss della ‘ndrangheta, Pasquale Condello.
Mentre tutto questo accadeva, però, abbiamo anche assistito all’accentuarsi, soprattutto in alcune parti del Paese, di un diffuso senso di insicurezza. E si è cominciata a mettere al centro del dibattito pubblico una "questione insicurezza".
Cosa era successo? Da cosa dipendeva questa apparente contraddizione? In parte c’entra la politica. Mai come in questa legislatura, vi sono state aree politiche che, avendo deciso di avviare la loro campagna contro il governo cavalcando il sentimento di insicurezza, hanno eccitato le paure dei cittadini e hanno tirato fendenti contro coloro che quella sicurezza dovevano garantire.
Va detto, inoltre, che non hanno aiutato a restituire certezze ai cittadini neppure le divisioni e le contraddizioni della maggioranza su questo tema. Una parte del centro-sinistra non ha saputo accettare la responsabilità delle politiche per la sicurezza nel loro complesso, conservandone una visione limitata esclusivamente agli interventi sociali mirati a eliminare le cause del crimine. La maggioranza ha dato così la sensazione che sulla sicurezza, più che essere sicura, balbettasse.
La politica, dunque, ha una sua responsabilità, ma quella percezione di insicurezza non è solo il frutto avvelenato di un dibattito che ho avuto modo di definire, in certi momenti, burattinesco: in questi anni sono certamente intervenuti cambiamenti che hanno posto le basi di questo diffuso sentire. Mi riferisco in particolare all’emergere, o meglio all’aggravarsi, di fenomeni di criminalità diffusa, che solo una catalogazione vecchia e sbagliata porta a definire come minore. Sono tendenze di fondo, difficili da contrastare. Ma anche su questo è stato fatto tanto e i risultati stanno finalmente cominciando ad emergere.
Vado per ordine. Si è affrontato con successo, per cominciare, il tema del tutto indigeno della violenza negli stadi. Già i decreti Pisanu avevano avviato una stretta, ma quelle misure erano rimaste in gran parte inosservate. Un drammatico giorno dello scorso anno, il giorno forse più nero di questa mia esperienza da ministro dell’ Interno, la morte dell’ispettore Filippo Raciti ha segnalato a tutti la necessità di fare di più. Quel giorno ha segnato così una svolta: sono state rafforzate le misure previste da Pisanu e si è imposta l’immediata attuazione di vecchie e nuove norme; si è disposto che, negli stadi non ottemperanti, le partite venissero disputate solo a porte chiuse; si sono rafforzati i poteri dell’Osservatorio, che ha cominciato a decidere con severità sul blocco delle trasferte; si è rafforzato il Daspo, il divieto di assistere ad eventi sportivi. I risultati sono stati straordinari.
Purtroppo abbiamo avuto un’altra terribile domenica, quando il giovane Gabriele Sandri è stato ucciso per lo sciagurato errore di un poliziotto. Ma è stato un episodio isolato, del quale resta solo il grande dolore per la morte di quel ragazzo e la ferma aspettativa di una giustizia che accerti senza ambiguità le responsabilità di chi ha sparato.
Abbiamo fronteggiato efficacemente il problema degli incidenti causati da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti, in particolare il sabato sera. Abbiamo contrastato la criminalità straniera con operazioni come "Itaro" che, grazie alla collaborazione della polizia romena, ha portato a oltre mille arresti nell’ultimo anno.
Abbiamo approvato un decreto che rafforza l’attuazione della direttiva europea sulla libera circolazione, permettendo ai prefetti di espellere immediatamente i soggetti pericolosi.
Abbiamo, soprattutto, sottoscritto i Patti perla sicurezza con i sindaci delle principali città italiane. La sicurezza, infatti, si realizza quando su ciascuna parte del territorio c’è la presenza dei poliziotti, ma anche l’illuminazione dei luoghi pubblici, quando ci sono le telecamere collegate alla sala operativa della questura, ma anche condizioni non degradate del tessuto urbano.
Ancora una volta, però, la politica ha avuto modo di dimostrare quanto possa semplificare e deformare la realtà, un po’ per ignoranza vera e propria e un po’ per strumentalizzazione di parte. È quanto è accaduto, in particolare, quando abbiamo citato la dottrina per cui il disordine chiama un disordine sempre maggiore, il piccolo delitto fa da trampolino di lancio per il grande delitto. Ebbene, il solo fatto che sulla base di questa teoria alcuni sindaci americani abbiano poi attuato una politica di "tolleranza zero" ha indotto taluni ad accusare me, e soprattutto i primi cittadini che con me avevano firmato i Patti, di esserci trasformati in sceriffi, attribuendo al termine un valore profondamente negativo.
I Patti hanno centrato l’obiettivo. Basta guardare i dati sull’andamento dei delitti nelle grandi città nel secondo semestre del 2007, cioè dopo la firma della gran parte delle intese con gli enti locali. C’è un calo generalizzato nell’ordine di quasi il 10%. Colpiscono, in particolare, i dati relativi alle grandi città con le quali sono stati firmati i Patti. A Milano da anni si registrava un continuo aumento di furti, stupri, borseggi, mentre nella seconda metà del 2007 assistiamo a un nettissimo calo.
In totale a Milano i delitti sono scesi da 160 mila nel primo semestre 2007 a meno di 145 mila. Tendenze analoghe si registrano a Roma, a Torino, a Bologna. Colpisce, poi, il dato degli omicidi a Napoli, in calo da 61 a 50.
Evidentemente i Patti stanno funzionando. Non basta, certo. Per consolidare queste tendenze c’è sicuramente bisogno di altro. Per questo a ottobre avevamo varato i cinque disegni di legge passati alla cronaca come "pacchetto sicurezza". Lì c’è un insieme di norme che continuo a ritenere fondamentale per rispondere, nel pieno rispetto delle tutele costituzionali, al bisogno di sicurezza dei cittadini. Purtroppo il Parlamento non ha avuto il tempo di trasformare quei disegni in leggi dello Stato.
Le politiche per la sicurezza hanno bisogno di una condivisione razionale. In questa legislatura la conflittualità tra maggioranza e opposizione, e all’interno della stessa maggioranza, non lo ha consentito. C’è da sperare che nella prossima si scelga una strada diversa.