L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

mercoledì 23 gennaio 2013

Pisa : ricerca di Provincia e Uepe; le misure alternative riducono la recidiva del 75%




Il Tirreno, 16 dicembre 2010
La possibilità di partecipare ad attività di esecuzione penale esterna riduce fino al 15% - rispetto alla media del 60% - i casi di ricaduta nel reato da parte dei detenuti. È quanto emerge, a proposito della popolazione carceraria locale, da una ricerca svolta dell’Osservatorio delle politiche sociali della Provincia di Pisa, in collaborazione con l’Uepe, l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna. I risultati di questa indagine sono appena stati raccolti in una pubblicazione (dal titolo: “Le misure alternative alla detenzione”), che per la prima volta si è soffermata in modo dettagliato sul sistema dell’esecuzione penale esterna a Pisa.

La ricerca, avviata nel 2008 e riguardante i soggetti seguiti negli anni dal 2005 al 2007, si è basata su una serie di interviste. L’obiettivo era duplice: da un lato analizzare il funzionamento del servizio fornito dall’Uepe; dall’altro cercare di cogliere il fenomeno della recidiva tra i detenuti che seguono un regime alternativo al carcere (ovvero, soprattutto, l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà oppure la detenzione domiciliare). Considerando i dati degli ultimi trent’anni, si può notare come, fino al 1985, la percentuale di recidivi si attestasse su valori compresi tra il 50 e il 55%.

Nel decennio 1986 - 1995, periodo nel quale vennero emanati due provvedimenti di indulto, tale percentuale diminuì sensibilmente e non superò il 47%. Negli ultimi dieci anni, invece, la percentuale è sensibilmente aumentata e si aggira intorno al 60%, mentre per i soggetti che sono stati in esecuzione penale esterna normalmente è del 15% - 20% inferiore, e nel caso di questa indagine ancora di più. “In un momento in cui il sovraffollamento delle carceri è ad un livello molto alto e le condizioni nelle quali sono costretti i detenuti è intollerabile per un Paese che vuol dirsi civile - commenta la vicepresidente della Provincia, Alessandra Petreri - questa indagine diventa uno strumento utile per riflettere su quali strumenti di supporto possono e devono essere rinforzati o creati, se inesistenti, per consentire all’Amministrazione Giudiziaria e Penitenziaria la più completa attuazione del complesso compito della rieducazione e reinserimento delle persone che hanno commesso reati”.

Gli utenti che hanno partecipato all’indagine sono per l’81% italiani. Dal punto di vista dello stato civile il 55,6% è coniugato oppure convivente; il 16,7% è separato o divorziato, il 22,2% è nubile, il 5,6% vedovo. Circa il 60% degli intervistati risiede in un comune dell’Area Pisana, il 20% circa in Valdera, l’11% nel Valdarno, il 9% circa nell’Alta Valdicecina.

Il 57,4% è formato da persone di età compresa tra i 30 ed i 50 anni, il 31,5% ha tra i 50 ed i 70 anni. I giovani con meno di 30 anni sono invece solo il 5,6%. La ricerca ha evidenziato una particolare difficoltà degli stranieri nell’accedere alle misure alternative a causa della scarsa conoscenza delle norme e delle modalità per l’ingresso (gli stranieri sono il 19% del totale). Chi ha potuto beneficiare del servizio esprime una valutazione positiva rispetto all’assistenza ricevuta. Alla domanda su che cosa secondo loro abbia funzionato meglio nel trattamento, gli utenti hanno risposto di aver ricevuto soprattutto sostegno e aiuto (prima posizione). Al secondo posto “aumento della motivazione al cambiamento”, al terzo “possibilità di reinserimento sociale”. Per il successo della misura alternativa un rilievo significativo è assunto dal ruolo della famiglia.
Ecco quando il giudice revoca i benefici
La decisione riguardo alla concessione o meno delle modalità alternative di esecuzione delle condanne spetta, per legge, ad un organo giurisdizionale: il tribunale di sorveglianza. Possono accedere a queste misure detenuti che devono scontare un residuo di pena nei limiti fissati dalle normative e che hanno evidenziato progressi nel processo di risocializzazione.

La legge prevede inoltre la possibilità di accedere alle modalità alternative direttamente dallo stato di libertà, quando il condannato che riceve l’ordine di esecuzione non è detenuto. Una casistica, quest’ultima, che risulta prevalente sul totale delle misure concesse (la più ampia delle quali è l’affidamento in prova al servizio sociale). Ma queste possibilità possono anche essere revocate di fronte a determinati comportamenti.

I dati sulle revoche continuano ad apparire confortanti. Ciò è confermato dal quasi assente tasso di revoca per commissione di nuovi reati nell’arco temporale della misura; e dal fatto che gli unici casi di revoca sono quelli in cui le motivazioni della revoca stessa sono ascrivibili a fattori comportamentali (ad esempio, il soggetto non rispetta le prescrizioni impostegli dalla magistratura) e non collegati a reati commessi durante la fruizione della misura. Semmai, può accadere che durante la fruizione di una misura alternativa sopraggiunga un nuovo titolo di esecuzione per un reato commesso in precedenza. In questo caso non si configura la recidiva, ma la pena aumenta a tal punto che non ci sono più i requisiti temporali previsti dalla legge (tre anni) per continuare a fruire della misura. Sul totale dei casi seguiti, l’andamento delle revoche va dall’8,56% del 2004 al 3,37% del 2007, fino al 4,43% dello scorso anno. Saranno i dati relativi al 2010 a confermare oppure no il leggero incremento delle revoche iniziato nel 2008, dopo il significativo decremento degli anni precedenti.

Pisa è al terzo posto in Toscana

Ma qual è il quadro dei reati nella provincia di Pisa? L’Istat ha da poco pubblicato i dati ufficiali relativi al 2008. Nel territorio pisano sono stati denunciati 20.849 delitti. Con un quoziente di criminalità di 5.082 reati ogni 100.000 abitanti, la provincia di Pisa occupa la terza posizione preceduta soltanto da Firenze (5.811) e Prato (5.355). La media regionale è di 4.884 delitti ogni 100.000 abitanti. La provincia di Pisa ha il livello più alto di furti insieme a Firenze: 3.053 ogni 100mila abitanti. I furti rappresentano la maggioranza (60,7%) dei reati denunciati. La sezione Sicurezza Urbana dell’Osservatorio per le politiche sociali della Provincia di Pisa realizza studi e ricerche su questo tema, sostenuti dalla Regione Toscana nell’ambito di uno specifico accordo. Nel 2010, oltre al completamento dell’indagine sulle cause di recidiva dei detenuti in misura alternativa (con relativa pubblicazione del volume dedicato), è stata avviata un’indagine dal titolo “L’integrazione dei cittadini stranieri e la loro percezione della sicurezza urbana in provincia di Pisa”.





Misure alternative: una soluzione non solo al sovraffollamento delle carceri

Toscana Oggi

Un incremento delle misure alternative potrebbe aiutare a risolvere molti problemi legati all’aumentare della popolazione detenuta, ma anche alla rieducazione.

16/01/2013 di Fabio Figara

Il problema del sovraffollamento delle carceri torna continuamente sulle prime pagine dei giornali: Marco Pannella è dovuto ricorrere - per l’ennesima volta - allo sciopero della fame e della sete per portare l’attenzione sulle condizioni disumane in cui versano i detenuti negli istituti di pena italiani, situazione contraria ad ogni principio umano e cristiano. Secondo la nostra Costituzione "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27)". Ma le problematiche sono molto profonde e complesse, e una delle soluzioni sarebbe l’applicazione, in misura maggiore, delle cosiddette "misure alternative", cioè di progetti atti al recupero o al reintegro nella società civile di coloro che hanno a carico una condanna penale.

Per fare un punto sulla situazione delle carceri abbiamo intervistato Salvatore Nasca, responsabile dell’Ufficio Esecuzioni Penali Esterne (UEPE) presso il Tribunale livornese.
«Proprio con i problemi attuali delle carceri - spiega Nasca - sarebbe opportuno pensare ad un rafforzamento delle politiche di recupero e di reinserimento. A questo proposito, non scorderò mai le parole di Giovanni Paolo II nel giorno della visita ufficiale in Parlamento: egli non propose, come molti politici continuano a sostenere strumentalmente, l’amnistia ma, anzi, sottolineò "l’inutilità di provvedimenti di clemenza che "lasciano le cose come stanno" e sollecitò le istituzioni a predisporre "percorsi di recupero improntati alla responsabilità". Proprio su questo principio la legge ha da anni previsto l’istituzione dell’UEPE, il cui compito è quello di organizzare e seguire le diverse persone sottoposte a varie tipologie di misure alternative sul nostro territorio, per il loro reintegro all’interno della società civile. I detenuti possono essere ammessi al programma sia inoltrando richiesta dal carcere sia successivamente alla condanna e prima di essere arrestati: la maggior parte di coloro che sono in misura alternativa, e che pertanto hanno rapporti solo con l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna, "non passa" dal carcere».

Secondo quanto previsto dall’attuale ordinamento giuridico, più di duecento persone sono attualmente affidate in prova presso i servizi sociali, inviate a svolgere lavori di pubblica utilità oppure poste agli arresti domiciliari o in libertà vigilata, tutte seguite da Nasca e dai suoi collaboratori.

Per le persone già detenute esistono invece due tipi di misure alternative indicate e seguite dall’UEPE, di comune accordo con le singole organizzazioni penitenziarie di appartenenza: sono la "semilibertà" ed il "lavoro all’esterno". I soggetti che rientrano in questi programmi, per buona parte della giornata, sono impegnati fuori dal carcere per lavorare o per altri servizi e rientrano giornalmente nell’istituto carcerario.
«In realtà - continua Nasca - seguiamo anche gli altri detenuti, o meglio collaboriamo con il carcere per le attività di osservazione e trattamento interno, per la preparazione delle misure alternative, per le indagini che ci chiede la magistratura, e per molti altri casi. Sotto questo punto di vista la situazione che si delinea all’interno delle carceri livornesi è ben monitorata: attualmente abbiamo 89 lavoratori esterni e 12 in semi-libertà, la maggior parte provenienti dal carcere di Porto Azzurro, in cui il sovraffollamento ha raggiunto livelli incredibili, dovendo ospitare anche una certa parte dei detenuti delle Sughere, i cui reparti sono in ristrutturazione».

Anche per gli Uffici Esecuzione Penale Esterna uno dei problemi principali è oggi la mancanza di risorse. «I nostri sono ormai "uffici ad esaurimento", nel senso che da anni molti operatori sono andati e stanno andando in pensione senza che siano previste assunzioni o sostituzioni, e così già oggi alcuni uffici toscani hanno un numero sempre più limitato di unità. È chiaro, perciò, che qualsiasi protocollo, qualsiasi convenzione, possa risultare difficilmente concretizzabile con una tale carenza di risorse».



Tamburino (Dap) difende la scelta dei “circuiti regionali” e della "vigilanza dinamica"




Comunicato stampa DAP/ 22 gennaio 2013

Giovanni Tamburino, Capo del Dap, affida a un breve comunicato parole di stima per il suo vice Luigi Pagano che lo ha sapientemente coadiuvato nell’elaborazione del progetto riguardante l’attuazione dei circuiti regionali, un progetto che ridisegna l’intera “architettura penitenziaria” e realizza così lo spirito dell’Ordinamento del 1975 sulla territorializzazione della pena.

Vigilanza dinamica, patti di responsabilità, redistribuzione efficace delle risorse: questi sono i principi contenuti nella circolare sui circuiti regionali emanata lo scorso giugno. “Un progetto articolato e sistemico - dichiara Giovanni Tamburino - che ha introdotto apprezzabili novità che vanno ad incidere su una più efficace distribuzione delle risorse umane e materiali e quindi sul miglioramento delle condizioni di vita detentiva e sull’organizzazione del lavoro della Polizia Penitenziaria. Pieno sostegno a Luigi Pagano - continua il Capo del Dipartimento - oggetto di strumentali attacchi per avere portato avanti con convinzione e con la riconosciuta esperienza professionale un progetto condiviso dall’Amministrazione Penitenziaria che, in tutte le sue articolazioni, centrali e regionali, ha assicurato piena e leale collaborazione.





Istat, aumenta ricorso a misure alternative detenzione


News 18.12.2012

(ASCA) - Roma, 18 dic - Aumenta il ricorso alle misure alternative alla detenzione. Alla fine del 2011 risultano in corso 22.423 misure alternative alla detenzione (affidamento in prova al servizio sociale, semiliberta', detenzione domiciliare, liberta' vigilata, liberta' controllata, semidetenzione), in aumento del 21,6% rispetto all'anno precedente
Queste misure riguardano donne nell'8,2% dei casi, nel 15,7% stranieri e nel 17,1% persone dipendenti da alcool e droghe.

E' quanto emerge dall'annuario statistico italiano, la pubblicazione con cui l'Istat dal 1878 racconta il nostro Paese attraverso i numeri.

Come nel 2010, le misure piu' utilizzate sono l'affidamento in prova al servizio sociale (44,4%) e la detenzione domiciliare (37,3%).







Assistenti sociali: «Il carcere non deve umiliare»



vita.it /Redazione
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali esprime grande preoccupazione per la situazione delle carceri in Italia.

«La condanna di Strasburgo è solo l’ultimo dei richiami che vengono rivolti al nostro Paese per l’emergenza sovraffollamento dei penitenziari – dichiara Edda Samory, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine. L’enorme disagio che si vive nelle carceri italiane ci impone l’obbligo, non solo morale, di dedicarvi maggiori risorse. Per la nostra professione, il carcere significa rieducazione, come scritto nell’art. 27 della Costituzione. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, e questo deve significare un adeguamento delle condizioni di vita nelle carceri che tenga conto dei principi basilari propri di uno stato democratico».



Gli Assistenti Sociali che giorno dopo giorno operano per la riabilitazione dei detenuti, avvertono fortemente la necessità di discutere con loro il loro progetto di vita, per riuscire ad andare oltre il luogo di pena, verso il lavoro e l’inserimento nel tessuto sociale del nostro Paese.



«Chiediamo quindi – continua Samory – che le nostre Istituzioni raccolgano finalmente l’avvertimento dell’Unione Europea e di quanti già si sono espressi su questa linea fortemente condivisa dalla Professione. Auspichiamo anche che si possa prevedere uno snellimento delle procedure burocratiche per pensare sempre meno alle detenzioni all’interno delle carceri e sempre più a impegni e percorsi di riabilitazione. Come Ordine degli Assistenti Sociali confermiamo la nostra massima disponibilità a collaborare con le autorità e con le associazioni, per ripensare la riabilitazione dei carcerati mettendo finalmente al primo posto le persone, sia che si tratti di uomini, donne o minori, in un percorso comune di reinserimento sociale».



giovedì 3 gennaio 2013

ddl misure alternative, un provvedimento insufficiente… e lo stesso è stato bloccato







di Maria Chiara Sicari- www.agoravox.it, 2 gennaio 2013

Uno tra gli ultimi provvedimenti che il Ministro della Giustizia ha provato ad affrontare (bloccato dalla Lega ed Idv, ma non per motivi che elencherò) è il ddl misure alternative finalizzato principalmente allo svuotamento degli istituti di pena come alternativa all’amnistia.

Tale discussione non è mai stata affrontata dalle Camere, anche se l’emergenza carceraria è stata sollecitata dal Presidente della Repubblcia nel luglio 2011, e soprattutto, mai più richiamata all’ordine e all’attenzione della politica a dei cittadini.

In realtà il significato delle misure alternative al carcere è un altro: reinserimento socio-lavorativo e risocializzazione del condannato. Dietro tali misure c’è un grande lavoro di professionisti penitenziari e le difficoltà che tali figure si trovano a dover affrontare nel quotidiano sono numerose tra cui, non indifferente, la continua diminuzione dell’organico che non permette un lavoro continuo e costante danneggiando sia il detenuto che la società stessa.

Statistiche riportano che solo il 18% dei detenuti che hanno usufruito delle misure alternative tornano a delinquere, mentre, per chi non ne usufruisce, ha un tasso di recidiva pari al 79%.

Oggi le misure enunciate da Gozzini sono cambiate: in questi ultimi anni si preferisce concedere misure controllabili come la detenzione domiciliare (misura che, a parer mio, non permette la risocializzazione e il reinserimento) e, l’affidamento in prova al servizio sociale (nocciolo delle misure alternative), sta sparendo in quanto viene camuffato dalla “detenzione domiciliare con permessi lavorativi” e, quei pochi che vi accedono hanno un fine pena di pochi mesi. Per di più, le misure alternative vengono concesse con molta parsimonia: sono davvero poche le persone che ne usufruiscono a fronte di quante ne avrebbero diritto.

Inoltre, come si può chiedere una maggiore concessione di misure alternative, che prevedono il lavoro come primo elemento costitutivo per il reinserimento, se non è stata rifinanziata la legge Smuraglia? Con questo sistema numerose cooperative sono state costrette a chiudere riducendo il lavoro dei soggetti in esecuzione penale esterna. Vittime di questi tagli sono stati anche gli enti locali, i quali non hanno più possibilità di finanziare progetti lavorativi come misura alternativa.

Delle misure alternative di oggi ne devono discutere gli operatori preposti e la Magistratura di Sorveglianza perché, purtroppo, tali misure non sono più quelle previste dalla Gozzini, ma completamente reinterpretate e riorganizzate in base alla comodità del momento. In questa situazione non possiamo chiederne l’aumento finalizzato allo sfollamento delle carceri. Le originali misure alternative della l. 663/86 stanno scomparendo per colpa di questi provvedimenti “cerotto” come ad esempio la l. 199/10, la l. 211/11 etc. che, sempre di più, mirano alla reclusione continua e perpetua del soggetto all’interno del proprio domicilio senza la possibilità di reinserimento e risocializzazione.

Se vogliamo rendere efficace tale provvedimento bisogna reintegrare l’organico carente degli uffici preposti al reinserimento, rivalorizzare la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale e, chissà, magari limitare la detenzione domiciliare e iniziare l’utilizzo del braccialetto elettronico.