L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

martedì 31 marzo 2009

Pene alternative: più umane e meno costose

fonte: antigone
di Stefano Anastasia
47 miliardi di dollari: tanto è costato nel 2008 il “sistema correzionale” statunitense, il 6,9% della spesa pubblica globale del Paese. Tutto ciò per far fronte a uno dei più recenti e significativi primati mondiali statunitensi: la popolazione in carcere o comunque sottoposta a limitazione della libertà per motivi di giustizia. “Uno ogni 31”, come titola il suo recente rapporto il Pew Center on the States .
Indifferente all’andamento della criminalità (diminuita del 25% negli ultimi vent’anni), la crescita della detenzione non sembra incidere sulla recidiva, rimasta sostanzialmente costante. Con il risultato – secondo Sue Urahn, managing director del Pew - che i tagli di spesa pubblica sono fatti in settori nei quali effetti dannosi a lungo termine sono certi (istruzione e assistenza sanitaria), e non dove – nel sistema penitenziario, appunto – potrebbero essere fatti con buoni o addirittura migliori risultati in termini di resa del servizio.
L’indicazione dei ricercatori del Pew è per un investimento nelle alternative alla detenzione, che costano meno di un decimo per persona (un detenuto costa mediamente 29mila dollari l’anno; una persona in libertà vigilata o messa alla prova costa tra i 1250 e i 2750 dollari l’anno), e che invece sono destinatarie solo di un decimo delle risorse del sistema penitenziario, nonostante abbiano sotto controllo più del doppio delle persone detenute (più di 5 milioni di persone contro 2.200.000).
Non diversamente dalle indicazioni del Pew Center on the States, la Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita dal negletto Governo Prodi il 12 giugno dello scorso anno consegnava al subentrato Ministro Tremonti un Rapporto per la revisione della spesa pubblica in cui, «nell’ambito di una opportuna riflessione sull’attuale conformazione del sistema penale italiano» si raccomandava «di valutare la possibilità di un più intenso ricorso a forme di detenzione alternative alla reclusione». Nel Rapporto intermedio, reso pubblico dal Ministro Padoa Schioppa a dicembre del 2007, si sosteneva che «il ricorso a servizi e strutture di sostegno alle misure alternative e sostitutive alla detenzione, ampiamente diffuso in altri paesi europei …, oltre a garantire un percorso di riabilitazione del detenuto in grado di fornire una più incisiva forma di inclusione della persona nel tessuto sociale, sarebbe in grado di consentire un importante risparmio di risorse, essendo ridotto, rispetto a quello carcerario, il rapporto di agenti e detenuti».
Del resto, uno studio dell’Osservatorio delle misure alternative istituito presso il Ministero della giustizia dice che a sette anni dalla archiviazione della misura alternativa alla detenzione, l’81% dei beneficiari non risulta recidivo, mentre nello stesso periodo è rientrato in carcere il 68,45% dei condannati che vi avevano finito di scontare la pena senza poter accedere a misure alternative alla detenzione. Non male, quanto a evidenza scientifica e implicazioni di politica della sicurezza. Ma il Governo fa il contrario e minaccia il carcere per ogni dove, dai giornalisti, ai molestatori, agli indagati per violenza sessuale anche in assenza dei requisiti ordinari per la custodia cautelare in carcere (ai palazzinari no!); e spende i pochi quattrini che ha per l’improbabile costruzione di nuove strutture detentive, anche sottraendo ai detenuti e alle loro famiglie i fondi che loro stessi hanno versato in una apposita Cassa per la loro assistenza e per il proprio reinserimento.
Povero Berlusconi, che annunciava l’ultimo decreto-legge sulla sicurezza farfugliando che i reati però erano in calo: finirà vittima delle sue stesse macchinazioni. La prima legge delle politiche della sicurezza è che si tratta di un atou di parte: se si contende su quello vince la destra (e Rutelli e Veltroni dovrebbero ormai saperlo bene). La seconda legge delle politiche della sicurezza è che con il populismo penale si vince una elezione sola, non due di seguito. Quanti malcapitati manderanno in galera - Berlusconi e Alemanno - prima di capirlo?
(09/03/2009)

giovedì 26 marzo 2009

GIUSTIZIA: NUOVE NOMINE AL DAP

fonte: la voce
L’ex direttore di San Vittore: "Sono onorato, ma mi piace il lavoro che faccio"
Pagano verso la nomina a vicecapo del DapIl provveditore regionale alle carceri lombarde in pole position per via Arenula
Roma - Il provveditore regionale alle carceri della Lombardia, Luigi Pagano potrebbe affiancare Franco Ionta nella gestione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E’ quanto appreso dalla Voce da ambienti del dicastero di via Arenula vicini al Guardasigilli Angelino Alfano. L’ex direttore di San Vittore, informato della notizia, si è limitato a dirsi “onorato” per la proposta.

martedì 24 marzo 2009

CGIL: NO AL PASSAGGIO AL RUOLO TECNICO DEL COMPARTO SICUREZZA

Un intero anno trascorso discutendo sulla questione "passaggio al ruolo tecnico", sembra aver prodotto un solo risultato: soffocare ogni altro argomento di rivendicazione.

La Cgil ritiene dunque di dover dire basta ad una discussione vera quanto un reality show, per restituire il dibattito alle ragioni dei lavoratori che ogni giorno vivono sulla loro pelle il dramma della realtà penitenziaria.

Per questo oggi affermiamo con ancora maggiore forza e chiarezza le ragioni del nostro assoluto dissenso. Dissenso che nasce dalla volontà di riaffermare il valore dei principi che portarono alla riforma del '75, nonché dall'analisi di una situazione politica che renderebbe ogni "passaggio" un rischiosissimo ed improbabile salto nel buio: non verso le "pingui" retribuzioni della Polizia Penitenziaria, ma nella direzione della dissoluzione dei diritti del lavoro che già ha contraddistinto il "passaggio" dei Vigili del Fuoco.

Istituire in assenza di finanziamenti ad hoc il tanto decantato "ruolo tecnico" per il personale Comparto Ministeri dell'amministrazione penitenziaria, significherebbe infatti mantenere ferme le retribuzioni in atto intervenendo in senso peggiorativo sullo status giuridico, così come già accaduto per quei dipendenti del Ministero dell'Interno.

E ad oggi non risulta che ne' l'amministrazione ne' l'esecutivo abbiano mai comunicato l'esistenza di fondi disponibili per questa o per altre virtuali riforme.

Certo, tutto questo i paladini del "passaggio" non lo raccontano.

Così come non raccontano di aver firmato un contratto che toglie diritti ( ad esempio non piu' piena retribuzione in caso di malattia) per sostituirli con la carità (pochi euro di aumento); non raccontano di aver firmato un FUA che non riconosce neppure i diritti dei lavoratori che si assentano per donare il midollo osseo; ma che soprattutto non raccontano di aver presentato, in barba ad ogni "passaggio" annunciato nelle diverse assemblee, piattaforme contrattuali riguardanti il nuovo contratto integrativo di comparto, anticipando l'amministrazione e confermando, così, l'esistenza del comparto Ministeri.
Noi invece vogliamo raccontarvi tutto questo e molto di più.

Lo faremo attraverso i nostri comunicati ed attraverso le assemblee sui luoghi di lavoro per denunciare con forza:
- L'attacco in essere ai diritti fondamentali (sciopero, malattia, equa retribuzione, pensione)
- Le insostenibili condizioni di lavoro (povertà di risorse, assenza di sicurezza, carichi operativi da costante emergenza)
- Lo spreco tutt'ora in essere (le tre diverse indennità percepite dal Dr. Ionta, il crescente numero di consulenze esterne, il sacco della Cassa delle Ammende a favore dei privati, l'annunciata cessione a privati della gestione degli spacci)

La nostra sarà una capillare campagna informativa, per porre l'accento sulle giuste e doverose rivendicazioni:
- L'attuazione di un corretto modello contrattuale (pieno recupero del potere d'acquisto, reintroduzione dei diritti cancellati dai decreti Brunetta/Tremonti, rispetto della contrattazione integrativa)
- Un piano industriale di sviluppo dell'amministrazione (maggiori risorse, politiche di assunzione e formazione, corretta e trasparente gestione delle procedure di mobilità)
- Corretto riconoscimento dei diritti contrattuali (erogazione buoni pasto, anticipo e rimborso spese di missione, permessi)
- Un utilizzo della Cassa delle Ammende realmente rispondente all'obiettivo previsto dalla Legge più che a costruire nuovi carceri, i fondi devono servire a perseguire l'obiettivo del reinserimento dei detenuti. Ciò significa potenziare le risorse umani e strumentali utili al trattamento intra ed extra murario, ciò significa anche ridare dignità alla condizione lavorativa degli operatori.

Denunce da far conoscere ed obiettivi da condividere per opporsi ad un disegno che mira a smantellare il trattamento penitenziario come strumento di sicurezza sociale, che vede nell'edilizia carceraria il solo investimento, che apre in definitiva la via alla privatizzazione degli istituti.

Per tutto questo la Cgil dice no ad un salto nel buio; per tutto questo la Cgil vi invita ad affiancarla nella difesa dei vostri diritti.


La Delegazione Trattante
del Coordinamento nazionale Penitenziari - C. Ministeri

mercoledì 18 marzo 2009

PACCHETTO SICUREZZA: NUOVO COMUNICATO STAMPA ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI

COMUNICATO STAMPA: “Tornano i figli di nessuno?”
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali continua ad esprimere un forte allarme sul “pacchetto sicurezza” e si allea a tutte le categorie degli operatori sociali in un appello al buon senso.

Roma, 16 marzo 2009 - Aumenta l’allarme degli Assistenti sociali italiani a fronte di quanto sta emergendo dal ddl contenente “Disposizioni in materia di sicurezza”, passato al Senato e ora all’esame delle commissioni della Camera.
Sono soprattutto due gli aspetti che, se confermati, sarebbero incompatibili con i principi deontologici dell’Assistente sociale.
La trasformazione dell’immigrazione clandestina in reato perseguibile d’ufficio imporrebbe all’Assistente sociale, così come ad ogni altro pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio, di denunciare (ai sensi di quanto disposto dall’articolo 331 del C.P.P.) l’immigrato irregolare con il quale dovesse aver a che fare nel suo lavoro. Ciò è inaccettabile per un professionista che ha come compito primario, attribuitogli dallo Stato e dal proprio Codice deontologico, quello di offrire sostegno e aiuto a chi si trova in condizione di bisogno e di disagio sociale, nel rispetto assoluto del valore e della dignità di ogni persona, qualunque sia la sua condizione. Questo gli Assistenti sociali hanno sempre fatto all’interno dei servizi pubblici e privati e questo continueranno a fare. Il rispetto delle leggi è dovuto ma, sopra tutto, c’è il rispetto della persona.
Cresce l’indignazione anche per quanto sembra essere previsto nel decreto sull’impossibilità di registrare all’anagrafe il neonato figlio di immigrato clandestino (art. 45, comma 1 lett. f). Con questa norma il nostro paese si metterebbe fuori da ogni regola di rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti dei bambini. Non va dimenticato che il Patto internazionale sui diritti civili e politici, approvato a New York nel 1966, e la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n° 176) prevedono, il primo all’articolo 24 e, la seconda, all’articolo 7, il diritto del bambino ad essere registrato immediatamente dopo la nascita e il diritto al nome e all'identità.
Si pensa di poter garantire la sicurezza, creando un esercito di bambini invisibili e aumentando anche il rischio di parti clandestini? Gli Assistenti sociali non potranno mai accettare che in nome della sicurezza si colpiscano i bambini!
E’ per questo che gli Assistenti sociali si uniscono al coro delle organizzazioni mediche, dei giuristi, degli operatori sociali e di larga parte della società civile, richiamando l’attenzione del Governo sul provvedimento che, se ratificato dalla Camera, rischia drammatiche ripercussioni.
La Presidente
Franca Dente

lunedì 16 marzo 2009

Mobilità volontaria - Interpello educatori

Al Direttore Generale del Personale
Dr. M. De Pascalis

e, per conoscenza

All'Ufficio per le Relazioni Sindacali
Dssa P. Conte



Oggetto: Mobilità volontaria - interpello educatori

Sono giunte a questa O.S. da parte degli educatori stabilizzati alcune lagnanze in merito al fatto che l'Amministrazione non ha dato loro l'opportunità di poter partecipare alla mobilità volontaria prevista dall'accordo specifico siglato nel luglio 2008 e a tal proposito alleghiamo la nota pervenutaci.
In particolare gli stessi, consapevoli di non poter partecipare all'interpello ordinario emanato dalla Direzione Generale del Personale perché non in possesso del requisito dell'anzianità (cinque anni), chiedono che venga emanato un interpello straordinario, ai sensi dell'art. 16 dell'accordo, in previsione della prossima assunzione degli 89 educatori penitenziari vincitori del concorso pubblico a 397 posti.
Gi stessi rivendicano pari opportunità dei loro colleghi contabili stabilizzati ai quali, in occasione dell'assunzione di 50 vincitori del concorso a 110 posti di contabile avvenuta lo scorso anno, con interpello straordinario, procedura prevista dall'accordo in questione, fu loro consentita la mobilità per alcune sedi.
La Fp Cgil ritiene necessario che codesta Direzione Generale, per garantire pari opportunità ai lavoratori e al fine di non contravvenire alle procedure previste dall'accordo di mobilità, prenda effettivamente in esame tale richiesta e ne valuti la fattibilità.
Confermiamo fin da ora disponibilità al confronto sulla questione esposta e restiamo in attesa di sollecito riscontro.

La coordinatrice nazionale
Penitenziari- C.M.
Lina Lamonica

Antigone: più misure alternative, invece del carcere

Ansa, 16 marzo 2009

"Condividiamo pienamente l’affermazione del ministro Alfano sull’inumanità della pena scontata nelle carceri italiane ma la soluzione non è quella di costruirne di nuove, bensì di introdurre sanzioni alternative alla detenzione". A dichiararlo è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti negli istituti di pena.

"La soluzione scelta dal ministro - dice Gonnella - non può essere quella giusta se pensiamo che, la storia penitenziaria ci insegna che per costruire un nuovo carcere di 200-300 posti servono almeno dieci anni e 200 milioni di euro. Per la costruzione di nuovi istituti non c’è, dunque il tempo né le condizioni economiche, aggiunge Gonnella visto che con la nuova legge sulla prostituzione e le norme del pacchetto sicurezza saranno molti di più degli attuali mille al mese, i nuovi ingressi in carcere".

Secondo il presidente di Antigone, "è invece necessario prendere coscienza che non si possono chiudere in carcere tutti quelli che creano fastidio sociale: tossicodipendenti, prostitute, immigrati clandestini. Servono misure alternative, fin dalla decisione del giudice. Solo così si lascerà lo spazio adeguato alla reclusione di chi è realmente socialmente pericoloso".

Le pene alternative... sono più umane e meno costose

di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)

Il Manifesto, 16 marzo 2009

47 miliardi di dollari: tanto è costato nel 2008 il "sistema correzionale" statunitense, il 6,9% della spesa pubblica globale del Paese. Tutto ciò per far fronte a uno dei più recenti e significativi primati mondiali statunitensi: la popolazione in carcere o comunque sottoposta a limitazione della libertà per motivi di giustizia. "Uno ogni 31", come titola il suo recente rapporto il Pew Center on the States.

Indifferente all’andamento della criminalità (diminuita del 25% negli ultimi vent’anni), la crescita della detenzione non sembra incidere sulla recidiva, rimasta sostanzialmente costante. Con il risultato - secondo Sue Urahn, Managing Director del Pew - che i tagli di spesa pubblica sono fatti in settori nei quali effetti dannosi a lungo termine sono certi (istruzione e assistenza sanitaria), e non dove - nel sistema penitenziario, appunto - potrebbero essere fatti con buoni o addirittura migliori risultati in termini di resa del servizio.

L’indicazione dei ricercatori del Pew è per un investimento nelle alternative alla detenzione, che costano meno di un decimo per persona (un detenuto costa mediamente 29mila dollari l’anno; una persona in libertà vigilata o messa alla prova costa tra i 1250 e i 2750 dollari l’anno), e che invece sono destinatarie solo di un decimo delle risorse del sistema penitenziario, nonostante abbiano sotto controllo più del doppio delle persone detenute (più di 5 milioni di persone contro 2.200.000).

Non diversamente dalle indicazioni del Pew Center on the States, la Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita dal negletto Governo Prodi il 12 giugno dello scorso anno consegnava al subentrato Ministro Tremonti un Rapporto per la revisione della spesa pubblica in cui, "nell’ambito di una opportuna riflessione sull’attuale conformazione del sistema penale italiano" si raccomandava "di valutare la possibilità di un più intenso ricorso a forme di detenzione alternative alla reclusione".

Nel Rapporto intermedio, reso pubblico dal Ministro Padoa Schioppa a dicembre del 2007, si sosteneva che "il ricorso a servizi e strutture di sostegno alle misure alternative e sostitutive alla detenzione, ampiamente diffuso in altri paesi europei…, oltre a garantire un percorso di riabilitazione del detenuto in grado di fornire una più incisiva forma di inclusione della persona nel tessuto sociale, sarebbe in grado di consentire un importante risparmio di risorse, essendo ridotto, rispetto a quello carcerario, il rapporto di agenti e detenuti".

Del resto, uno studio dell’Osservatorio delle misure alternative istituito presso il Ministero della giustizia dice che a sette anni dalla archiviazione della misura alternativa alla detenzione, l’81% dei beneficiari non risulta recidivo, mentre nello stesso periodo è rientrato in carcere il 68,45% dei condannati che vi avevano finito di scontare la pena senza poter accedere a misure alternative alla detenzione.

Non male, quanto a evidenza scientifica e implicazioni di politica della sicurezza. Ma il Governo fa il contrario e minaccia il carcere per ogni dove, dai giornalisti, ai molestatori, agli indagati per violenza sessuale anche in assenza dei requisiti ordinari per la custodia cautelare in carcere (ai palazzinari no!); e spende i pochi quattrini che ha per l’improbabile costruzione di nuove strutture detentive, anche sottraendo ai detenuti e alle loro famiglie i fondi che loro stessi hanno versato in una apposita Cassa per la loro assistenza e per il proprio reinserimento.

Povero Berlusconi, che annunciava l’ultimo decreto-legge sulla sicurezza farfugliando che i reati però erano in calo: finirà vittima delle sue stesse macchinazioni. La prima legge delle politiche della sicurezza è che si tratta di un atout di parte: se si contende su quello vince la destra (e Rutelli e Veltroni dovrebbero ormai saperlo bene). La seconda legge delle politiche della sicurezza è che con il populismo penale si vince una elezione sola, non due di seguito. Quanti malcapitati manderanno in galera - Berlusconi e Alemanno - prima di capirlo?

La vergogna di celle strapiene e le prigioni fantasma

di Paolo Berizzi

La Repubblica, 16 marzo 2009

C’è tutto: le piastrelle, i bagni. Belle toilette verde acqua, una per cella. In fondo ai corridoi luminosi, spezzati dalle cancellate di ferro, verdi anche quelle, larghi finestroni e scale di marmo che collegano i due piani dell’edificio. Ecco le telecamere a circuito chiuso. All’interno e all’esterno. Gli spazi sono umani; non gli otto metri cubi previsti (per ogni detenuto) dall’Unione europea - nessuna regione italiana è in regola - , ma insomma, non si dovrebbe stare affatto male. Un padiglione nuovo di zecca. Ancora incellofanato. Una trentina di celle, quattro detenuti per ognuna.

A vederlo così, il carcere di Via Gleno, pare di essere tornati agli anni 80 quando lo chiamavano "Grand Hotel", e chi veniva spedito qui sembrava dovesse andare in vacanza dietro le sbarre. Peccato che nella nuovissima ala della casa circondariale di Bergamo (complessivamente 525 reclusi, posti regolari 340) non c’è un anima. Vuota. Pronta da un anno e mezzo ma disabitata.

Come una ventina di carceri italiane. Alle quali se ne aggiungono almeno altre venti. Inutilizzate o sotto utilizzate. La mappa delle prigioni fantasma va da Pinerolo a Reggio Calabria, da Castelnuovo Daunia a San Valentino in Abruzzo: migliaia di celle lasciate marcire, impolverate. Addirittura occupate da senza tetto e sfrattati. Come a Monopoli, nel cuore della Puglia maglia nera dell’abbandono dell’edilizia carceraria. Il tutto mentre le carceri italiane scoppiano: in nove mesi siamo passati da 52.992 detenuti (fine aprile 2008) ai 60.570 attuali.

A questo ritmo - il flusso è di 700 nuovi detenuti al mese - entro marzo si supererà nuovamente il livello pre-indulto (60.710 detenuti al 31 luglio 2006). Una bomba pronta a deflagrare, e che oltre al danno conterrà anche la beffa. Perché alle attuali e precarie condizioni di detenzione - tra strutture fatiscenti, sovraffollamento e suicidi (48 nel 2008) - fa da sfondo uno scenario che rischia di essere imbarazzante per il Ministero della giustizia. Angelino Alfano ha annunciato che costruirà 75 nuovi penitenziari: 17 mila nuovi posti entro il 2012. Lo prevede il piano carceri (approvato dal Cdm il 23 gennaio scorso) la cui realizzazione è affidata al commissario straordinario Franco Ionta, già capo del Dap. Nei documenti ufficiali si parla di un programma di interventi "ampiamente di massima".

In effetti la prudenza pare quanto mai opportuna. Per diversi motivi. Prima di analizzarli conviene dare un’occhiata a tutti quei penitenziari che, a fronte di un quadro esplosivo - con carceri tipo San Vittore (Milano) o l’Ucciardone (Palermo) dove i detenuti vivono uno sull’altro - restano deserti e in naftalina. Molti offrono lo stesso scenario, paradossale, del nuovo padiglione di Bergamo. A piano terra ci sono cataste di mobili impilati, tavolini, sedie, armadi, mensole, brande, materassi ancora confezionati.

"In un giorno sarebbe tutto arredato", dice il guardiano. Per farlo funzionare manca solo una cosa: gli agenti di polizia penitenziaria. È uno dei punti dolenti del progetto Alfano. Le "guardie" sono già sotto organico: 5.250 in meno rispetto alle 44.406 previste dall’organico.

Come se non bastasse, secondo le previsioni del ministero della giustizia, quest’anno gli stanziamenti per il personale sono in diminuzione: da 1.276 milioni del 2008 a 1.184 milioni nel 2009 (-7,2%). Risultato: saranno tagliati da 500 a 1.000 altri "secondini".

Attacca il parlamentare Pd Antonio Misiani: "Come pensa il ministro Alfano di far funzionare le carceri che vuole costruire se taglia le risorse per gli agenti? Non gli basta vedere che ci sono almeno una decina di penitenziari vuoti proprio perché mancano le guardie? In generale, il piano carceri appare in gran parte come un libro dei sogni...".

A una recente interrogazione di Misiani, proprio sul caso Bergamo, Alfano ha risposto così: "Allo stato, la situazione non permette di destinare presso l’istituto ulteriori risorse umane oltre le 9 unità recentemente assegnate". Magari il problema fossero soltanto le carceri fantasma. Il problema sono anche quelle nuove. Alfano le vuole "ecosostenibili", a energia solare. Ma prima di decidere con quali materiali tirarle su, bisogna capire dove trovare i soldi. Il piano prevede "nuovi interventi" per 1,1 miliardi: 356 milioni, stando a fonti del ministero, sarebbero coperti. Altri 200 sono stati stanziati una settimana fa dal Cipe.

I restanti 460 sono da cercare. La prima ipotesi è il coinvolgimento dei privati con il project financing: peccato che a smontarlo sia proprio una relazione del Dap (2008), che definisce la soluzione "impraticabile in quanto non sostenibile per la parte finanziaria a carico dello Stato". La seconda è il ricorso alla Cassa ammende dell’amministrazione penitenziaria, i cui fondi, in teoria, sarebbero riservati a programmi di reinserimento dei detenuti.

In tutto questo a Reggio Calabria c’è un carcere chiuso perché manca la strada per arrivarci. Finito nel 2005, è costato 90 milioni e potrebbe ospitare fino a 300 detenuti. La via d’accesso è un sentiero che passa tra i vigneti. Tra imbarazzi e fiumi di denaro pubblico sprecato (per custodirlo vuoto ci sono voluti finora 2,5 milioni), il provveditore regionale Paolo Quattrone dice che questa "è una telenovela infinita".

Mille chilometri più su, a San Vittore, ci sono detenuti che dormono su materassi per terra. "Non c’è spazio per le brandine da campo", ammette Luigi Pagano, provveditore lombardo alle carceri. La prima prigione di Milano è datata 1872. Ogni giorno arrivano 50 nuovi detenuti ("È il risultato di un sistema giudiziario dove il carcere è visto come una discarica sociale", ragiona il deputato radicale Maurizio Turco). Potrebbe ospitarne 700, ce ne sono 1500. Alla faccia del grand hotel.

Alfano: carceri strapiene e "fuori dalla Costituzione"

Corriere della Sera, 16 marzo 2009

"La maggior parte delle carceri è stata costruita in secoli lontani. Il risultato è che talvolta siamo fuori dal principio costituzionale dell’umanità ". A dirlo è il ministro della Giustizia Angelino Alfano, convinto che "per questo dobbiamo costruire nuove carceri". Perché fuori dal principio costituzionale dell’umanità della pena?

Il sovraffollamento, prima di tutto. Secondo i dati diffusi da Antigone, associazione per i diritti dei carcerati, i detenuti nei penitenziari italiani hanno raggiunto quota 60.570 contro una capienza ufficiale di 43.100 posti. A Napoli siamo addirittura a 2.700 detenuti per 1.300 posti: quello di Poggioreale è il carcere più affollato d’Europa. Lì come nel resto d’Italia l’effetto indulto è stato annullato da tempo e siamo tornati alla situazione di sempre.

Il ministro Alfano ha ricordato che il piano straordinario approvato dal governo a gennaio prevede la creazione di 17 mila nuovi posti, esattamente quelli che mancano oggi. L’intervento, approvato con il decreto milleproroghe, prevede l’ampliamento delle strutture esistenti e la costruzione di nuovi istituti.

’accordo con Alfano, ma solo a metà, il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella: "È vero che le condizioni sono inumane ma per risolvere il problema non occorre costruire nuove carceri. La storia ci insegna che per realizzare un istituto di 200-300 posti servono dieci anni e 200 milioni di euro. Piuttosto si dovrebbero introdurre sanzioni alternative alla detenzione".

Ma quando parla di inumanità nelle carceri italiane il ministro della Giustizia non si riferisce solo al sovraffollamento. Pochi lo sanno ma in Italia dietro le sbarre ci possono finire anche gli innocenti per definizione, i neonati. Al momento la legge prevede che i bambini figli di detenute vivano in carcere fino a quando compiono tre anni.

"Oggi - ha detto Alfano - ci sono circa 60 bambini che vivono nelle carceri italiane assieme alle madri detenute. Per noi è importante tutelare questi bambini e quindi non vogliamo che nessuno di loro stia in un istituto di pena perché figlio di una madre detenuta". D’accordo il ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna: "Nessun bambino merita di crescere dentro ad un carcere, non è giusto che qualcuno paghi per colpe che non sono sue. Spero che entro pochi mesi, insieme col ministero della Giustizia, riusciremo a portarli tutti fuori".

Anche questo è un intervento che Alfano ha annunciato più volte, come già i suoi predecessori al ministero della Giustizia. L’idea è quella delle cosiddette strutture a custodia attenuata, senza sbarre e con agenti non in divisa, sul modello di un istituto aperto a Milano da un paio di anni. "Le parole troppe volte ripetute - dice Irene Testa, segretario dell’associazione radicale "Detenuto ignoto" - diventano sterili. Il problema è grave ma anche relativamente semplice da affrontare, visto che riguarda poche decine di casi".

martedì 10 marzo 2009

Lettera al Capo Dap su problematiche UEPE della Sicilia

Roma 10 marzo 2009


Al Capo del DAP
Pres. F. Ionta

Al Vice Capo Vicario del DAP
Dr. E. di Somma

Al Direttore Generale
del Personale e della Formazione
Dr. M. De Pascalis

Al Direttore Generale
dell'Esecuzione Penale Esterna
Dr.R. Turrini Vita
e, per conoscenza
Al Provveditore Regionale A.P
della Sicilia.
Dr. O. Faramo

All'Ufficio per le Relazioni Sindacali
Dssa P. Conte

Alle Segreterie Regionale e territoriali
Fp Cgil -Sicilia
Ai Delegati ed Eletti RSU FpCgil nei posti di lavoro
Prot.N.CM 59/2009

Oggetto: Problematiche UEPE della Sicilia

I forti tagli alle risorse apportati dal DL n.112 del 25 giugno 2008 convertito in Legge n.133 del 6 agosto 2008 stanno evidenziando nell'amministrazione penitenziaria i previsti devastanti effetti e i primi segnali del gravissimo disagio operativo dagli stessi determinati ci giungono dagli UEPE, gli Uffici dell'Esecuzione penale Esterna , che stanno rischiando la paralisi operativa.

In particolare intendiamo rappresentare le notevoli difficoltà operative determinatesi presso gli UEPE della Sicilia per i quali la decurtazione delle risorse risulta essere stata per l'anno 2009 di circa l'80-90% rispetto al 2008 con pesanti ricadute sul quotidiano espletamento del mandato istituzionale.

La grave carenza di risorse finanziarie, infatti, incide negativamente sulla possibilità di poter disporre degli strumenti (auto di servizio,utilizzo delle linee telefoniche) indispensabili all'espletamento dei compiti istituzionali degli UEPE, come previsto dall'art.72 L.354/75, e pone gli operatori del settore, gli assistenti sociali, in una condizione di grave disagio operativo e di mortificazione professionale in quanto limita e vanifica il loro intervento istituzionale che, giova ricordare, si esercita particolarmente sul territorio (inchieste sociali) ed in sinergia con le istituzioni pubbliche e del privato sociale per promuovere programmi e progetti di inclusione sociale delle persone in esecuzione penale
Le auto di servizio, guidate dal personale di polizia penitenziaria, necessarie per espletare interventi in zone e/o quartieri ad alto rischio di criminalità e/o non facilmente raggiungibili dai mezzi pubblici, sono praticamente inutilizzabili perché le risorse economiche a disposizione (€500,00 nel primo semestre 2009 per la manutenzione auto) rendono impossibile l'acquisto della benzina e non viene, neppure, assicurato ai lavoratori il rimborso dei biglietti e/o abbonamenti dei mezzi pubblici.

Insomma, la situazione, a dir poco, preoccupante è stata denunciata dalle RSU di tutti gli UEPE della Regione e dalla Fp Cgil Regionale che hanno rappresentato, annunciando lo stato di agitazione, l'urgenza di un intervento da parte dei vertici del DAP presso le sedi opportune per scongiurare le pesanti conseguenze che certe scelte inique e scellerate possono determinare al sistema penitenziario.

La Fp Cgil ritenendo la problematica esposta estremamente drammatica e degna di una urgente e particolare attenzione, chiede che vengano intrapresi con urgenza i necessari interventi atti a non svilire il mandato istituzionale del sistema penitenziario e la professionalità degli operatori cui lo stesso è affidato.

Restiamo in attesa di urgente riscontro e porgiamo distinti saluti.

La Coordinatrice nazionale
Penitenziari -Ministeri
Lina Lamonica

Lettera al Capo del Dap su problematiche PRAP Veneto

Roma, 6 marzo 2009


Al Capo del DAP
Pres. F. Ionta

Al Direttore Generale
del Personale e della Formazione
Dr. M. De Pascalis

Al Provveditore Regionale A.P.
Tri-Veneto
Dr. F. Bocchino
e, per conoscenza
All'Ufficio per le Relazioni Sindacali
Dssa P. Conte

Prot. 56/2009

Oggetto: Problematiche PRAP Tri-Veneto

In quest'ultimo periodo quando le OO.SS. evidenziano la grave carenza di personale afferente al Comparto Ministeri, la risposta dei vertici del DAP, condivisibile ma non esaustiva, è "razionalizzazione delle risorse". Asserzione che pare non trovi riscontro nel Provveditorato del Triveneto che, dalle informazioni in nostro possesso, eludendo l'accordo sulla mobilità siglato nel luglio 2008 e quindi senza confronto con le OO.SS., attiva per alcune professionalità una mobilità indiscriminata nell'ambito del territorio di competenza creando in altri Istituti della Regione forti scompensi di organico e, pertanto, difficoltà operative.

In particolare ci riferiamo alla situazione della CC. di Rovigo dove risulta che gli operatori B2, in virtù di detta discutibile modalità, siano in soprannumero a discapito di altri Istituti penitenziari della regione veneto nei quali, venendo meno l'unità organica messa in mobilità, soffrono di una gravissima carenza di tale professionalità, a volte impropriamente sostituita dal personale di Polizia penitenziaria che dovrebbe istituzionalmente essere adibito in altri compiti.

Ma non è l'unica anomalia che ci risulta messa in atto in quel provveditorato.

Risulta infatti che presso la CC di Rovigo, priva di Dirigente, si rechi in missione da altro istituto penitenziario della Regione un Dirigente alcuni giorni della settimana e per poche ore. Un modus operandi che non certamente giova all'amministrazione in termini organizzativi, di efficienza e di efficacia, nonché in termini economici , considerando i pesanti tagli alle risorse che gravano sugli istituti penitenziari e sugli UEPE cui codesta amministrazione dovrà urgentemente far fronte se non vuole rischiare la paralisi operativa del sistema penitenziario.

Ciò detto, la Fp Cgil crede sia necessario che i vertici del DAP avviino un serio monitoraggio sulla problematica evidenziata, in particolare nel provveditorato in questione, per verificare le anomalie organizzative e gestionali che stanno determinando non solo disfunzioni operative ma anche malumore e disagio tra i lavoratori che risultano da queste fortemente penalizzati per l'aggravio del carico di lavoro.

Restiamo in attesa di urgente riscontro.

La coordinatrice nazionale
Penitenziari -Ministeri
Lina Lamonica

mercoledì 4 marzo 2009

SITUAZIONE UEPE VENETO

COMUNICATO SULLA SITUAZIONE DEGLI U.E.P.E.

Riguardo alla situazione dell’esecuzione penale esterna si vuole porre l’accento alle seguenti questioni:
1. è piuttosto evidente che a partire dal post-indulto 2006 il ruolo degli UEPE è stato messo in discussione. Segnale inequivocabile è stato il progetto di sperimentazione dei nuclei di polizia penitenziaria negli UEPE per il controllo delle misure alternative;
2. in occasione di fatti di cronaca che hanno visto persone ammesse a misure alternative alla carcerazione commettere altri reati, l’informazione giornalistica è stata imprecisa e sommaria suscitando ulteriormente allarme sociale rispetto alle forme alternative dell’esecuzione penale;
3. parti della Magistratura di Sorveglianza hanno espresso negativi apprezzamenti al riguardo delle misure alternative e in particolare relativamente all’affidamento in prova ai Servizi Sociali considerato una “Scatola vuota” ormai priva di contenuti che la stessa Magistratura di Sorveglianza ha provato a riempire attraverso una discutibile applicazione dell’art. 47 c.p. c. 7, imponendo forme di risarcimento alle vittime dei reati non precedute da un appropriato ascolto alle stesse;
4. in vari momenti si è ipotizzata l’applicazione dell’Istituto della “messa alla prova” anche nel settore penale adulti, dapprima col disegno di legge cosiddetto Mastella che la prevedeva per condanne sino a i 2 anni e più recentemente con la presentazione alla commissione giustizia di una ipotesi di applicazione della messa alla prova per condanne sino ai 4 anni.
Il futuro delle misure alternative e insieme il futuro degli U:E:P:E: appare pertanto incerto e sembra poter prendere le dimensioni più disparate.
Come operatori, che ormai da decine di anni lavorano negli U.E.P.E. ex C.S.S.A. facciamo presente che:
• l’area penale esterna ha gestito nella fase che ha preceduto l’indulto del 2006 un numero di persone soggette ad esecuzione penale esterna quasi pari a quello delle persone detenute;
• una ricerca effettuata su dati del 1998 ha evidenziato che il tasso di recidiva nella commissione di nuovi reati presentato dai soggetti fruitori di misure alternative è risultato nettamente più basso di quello relativo ai detenuti;
• questo risultato è stato ottenuto da Servizi dell’Amministrazione Penitenziaria, i CSSA, mai dotati a pieno degli organici previsti e dai mezzi necessari(auto di servizio ed altri mezzi) e solo parzialmente decentrati sul territorio.
Riteniamo perciò che si debba riflettere sull’esperienza passata prima di metter mano al futuro degli UEPE e cioè che una riorganizzazione dell’esecuzione penale esterna come quella che si profila con la bozza di decreto regolamentare in applicazione dell’art. 71 O.P. NON POSSA PRESCINDERE DA UN PROGETTO PORGANICO CHE RIGUARDI IL SENSO CHE SI VUOLE DARE ALL’ESECUZIONE PENALE ESTERNA. PROGETTO CHE NECESSITA UN CHIARIMENTO GENERALE CHE COINVOLGA ANCHE LA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA IN MERITO AI CONTENUTI E ALLE FORME DELL’ESECUZIONE PENALE, ALTRENATIVA AL CARCERE.
Per quanto riguarda lo specifico, lo stato dell’esecuzione penale esterna nell’area di competenza del Tribunale di Sorveglianza di Venezia si deve registrare un atteggiamento della Magistratura di Sorveglianza molto cauto nella concessione dei permessi premio e un trend relativo alle misure alternative che registra la prevalenza della detenzione domiciliare rispetto all’affidamento in prova al Servizio Sociale. Si osserva, inoltre, un aumento della concessione della semilibertà e cioè l’utilizzo di una misura originariamente concepita per soggetti detenuti che iniziano a sperimentare forme diverse di reinserimento sociale attraverso il lavoro anche a soggetti liberi che richiedono misure alternative.
Giungendo alla situazione concreta degli UEPE del Triveneto si deve rilevare l’insufficienza degli organici non soltanto per quanto riguarda il personale amministrativo contabile e di servizio sociale, ma anche dei Dirigenti degli uffici, allo stato 3 unità per 6 uffici e relative sedi di servizio.
Si deve porre l’accento, inoltre, che il processo di decentramento degli uffici sul territorio che prevedeva una dislocazione provinciale delle sedi di servizio sembra aver trovato una battuta d‘arresto proprio con l’ipotesi di decreto regolamentare nel cui allegati tabellari non si trova traccia delle sedi di: Rovigo e Prodenone, mentre è poco chiaro sull’abbinamento Treviso e Belluno.
Ricordiamo in proposito che la sede di Treviso per mancanza di personale amministrativo è tutt’ora aperta per tre soli giorni alla settimana. I mezzi di servizio a disposizione degli UEPE sono, inoltre, talmente datati che diventa rischioso utilizzarli per le tratte extraurbane, si pone l’accento che gli UEPE del Triveneto devono svolgere servizio anche in zone montuose come le province di Belluno, Udine per non parlare di Trento e Bolzano.
Vogliamo sottolineare, che se si intende attribuire agli UEPE un ruolo più ampio nella gestione dell’esecuzione penale esterna tali servizi devono essere dotati di risorse adeguate.
1. non è pensabile richiedere agli UEPE di adottare un approccio multidisciplinare nell’osservazione del condannato libero senza che tutti i servizi possono contare sull’apporto di psicologi e criminologi in adeguata misura;
2. non si può pensare che gli UEPE svolgono un reale supporto verso il reinserimento sociale dei condannati senza disporre di concrete risorse da spendere per il reinserimento lavorativo di tali soggetti;
3. non è possibile richiedere agli UEPE di predisporre progetti per la messa alla prova di condannati o di mettere in pratica forme di giustizia riparativa senza prevedere un preliminare coinvolgimento degli Enti Locali del terzo settore e della società civile sulla base di un progetto condiviso.

FP-CGIL VENETO RDB- VENETO FPS-CISL VENETO USPP-UGL TRIVENETO