L'emergenza carceri dimenticata... zero fondi, vuote le nuove prigioni
Il 13 gennaio 2010 il governo proclamò lo “stato d’emergenza” nelle carceri italiane, come di fronte a una catastrofe naturale. Furono stanziati fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre, obiettivo altri 21.749 posti. I detenuti a quella data erano 65.067, per una capienza ferma a 44.055: un’eccedenza di oltre ventimila galeotti, da assorbire attraverso un piano per 47 nuovi padiglioni penitenziari.
Oggi, un anno e quattro mesi dopo, i detenuti sono 67.648 (dato rilevato al 4 aprile dall’associazione “A buon diritto”), cioè 2.658 in più rispetto al numero per cui la situazione fu accostata a una calamità. E i posti in più? Pochi, pochissimi. C’è chi dice duemila, con un’approssimazione probabilmente per eccesso, ma sarebbe comunque una cifra inferiore all’incremento degli “ospiti”. Dunque la realtà è peggiorata.
Ma non solo per la crescita dei detenuti. Parte delle nuove prigioni che si è riusciti a costruire sono vuote perché mancano i soldi per metterle in funzione. E soprattutto manca il personale della polizia penitenziaria. Sempre nel gennaio 2010 il ministro della Giustizia Alfano dichiarò che a breve sarebbero entrati in servizio altri duemila agenti. A luglio ribadì la promessa, abbassando i reclutamenti “in prima battuta” a mille. Sono passati altri
nove mesi, e ancora si attende l’ingresso delle nuove guardie carcerarie. Quando arriveranno, paventa qualcuno, saranno meno di quelle che nel frattempo hanno lasciato il servizio per raggiunta pensione o altri motivi.
Sono i numeri di una crisi che l’annunciato impegno del governo non è riuscito a scalfire. Di cui la politica generalmente si disinteressa - a parte il costante impegno dei radicali e pochi altri esponenti sparsi nei diversi partiti, ma che continua a lasciare i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. E a produrre morti. Carlo Saturno è la quarantesima vittima del 2011; per adesso siamo nella media, nel 2010 i decessi furono 172. Divisi in tre grandi categorie: suicidi, cause naturali 0 da accertare. All’inizio anche la morte di Stefano Cucchi, il tossicodipendente spirato nel reparto carcerario di un ospedale romano a sei giorni dall’arresto, fu classificata come “naturale”, poi s’è capito che forse le cose andarono diversamente e oggi c’è un processo a carico di una dozzina d’imputati. Ufficialmente, tra perizie e controperizie, le vere cause sono passate fra quelle “da accertare”.
Le prime verifiche sul caso del giovane Saturno non fanno dubitare del suicidio, ma dietro c’è ancora una storia da chiarire. Non solo quella del processo a carico di alcuni agenti del carcere minorile in cui fu rinchiuso in passato, accusati di presunte violenze. “L’esperienza ci porta a dire che le carceri sono sovraffollate di molti soggetti che versano in uno stato di tensione personale regolarmente accentuato ed esasperato dalla situazione - spiega Luigi Manconi, presidente di A buon diritto. E in queste situazioni il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo”.
Servirebbero vari tipi d’intervento, non solo nuovi spazi nelle celle. I tagli economici, che colpiscono il pianeta carceri come gli altri settori della pubblica amministrazione, hanno riguardato anche l’assistenza; per dime una, non ci sono soldi per gli psicologi, e la media tra quelli in servizio e i reclusi fa sì che mediamente ogni detenuto possa usufruire di un sostegno per due minuti ogni mese. Qualcosa, in questo “stato d’emergenza” potrebbero fare i Garanti dei diritti della persone private della libertà. Figura che in Puglia, dov’è morto Saturno, esiste sulla carta ma manca nella realtà; per nominarlo serve una maggioranza di tre quarti del consiglio regionale, e non si trova l’accordo sul nome.