Resoconto intervento al Senato Ministro della Giustizia sulla situazione delle carceri italiane
Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 606 del 21/09/2011
Intervento del Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma
PALMA, ministro della giustizia. Signor Presidente, onorevoli senatori, «Evidente in generale è l'abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona». Queste sono le parole del presidente Napolitano al convegno «Giustizia in nome della legge e del popolo sovrano». Inutile dire che la pena, nel binario delimitato dalla sua funzione e dalla restrizione della libertà personale, non consente cedimenti rispetto a quegli ulteriori diritti e a quegli ulteriori principi che sono sanciti dalla nostra Costituzione, quale ad esempio il diritto alla salute previsto dall'articolo 32.
Il presidente Napolitano ha affermato altresì che «la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise». Non mi nascondo la diversità che caratterizza il centrodestra e il centrosinistra nella visione globale del fenomeno giustizia e di quello carcerario; ciò nonostante, in considerazione della difficoltà del momento e della gravità della situazione carceraria, intendo qui evitare ogni contrapposizione, ogni tentazione di analisi comparativa: in una, ogni polemica. Intendo rappresentare la situazione per come essa è, esporre valutazioni in ordine ai dati oggettivamente emersi. Trovare con voi la soluzione ad una emergenza e aprire un discorso franco e sereno sulla possibile costruzione di un sistema normativo che disegni, forse per la prima volta, in sintonia con la Costituzione, cosa deve essere il carcere e come il carcere debba inserirsi nel più vasto e articolato mondo della giustizia.
E se non vi devono essere cedimenti rispetto ai valori costituzionali, è doveroso fin da subito affermare che nel carcere deve essere assicurato l'ordine, deve essere garantita la salute e deve essere imposto, anche sotto il profilo logistico, il sereno svolgimento dell'espiazione della pena e della custodia cautelare. L'ordine, presidio del rispetto delle regole e ostacolo al formarsi delle sacche di anarchica confusione da cui originano la illegalità, la prevaricazione, la sottomissione degli uni agli altri, deve essere garantito da tutti gli operatori carcerari, direttori di carceri, educatori, polizia penitenziaria, ai quali tutti, indistintamente, va il nostro ringraziamento per la professionalità, l'abnegazione e l'umanità con cui quotidianamente adempiono ai loro doveri.
E, al riguardo, non può non rilevarsi come, nonostante la recente integrazione di 820 unità, la scopertura di organico ammonti a 5.877 unità e come tale scopertura generi preoccupazione anche nel caso in cui - come si auspica - dovesse andare in porto l'assunzione di altre 1.611 unità per il 2012. Non è un caso, quindi, che, anche in adesione a specifica richiesta di organizzazione sindacale, si proseguirà nella strada già intrapresa di ridurre al minimo i comandi e i distacchi del personale della Polizia penitenziaria presso altre amministrazioni così restituendolo ai servizi di istituto, nonché di ridurre l'impiego del personale di Polizia penitenziaria nei servizi di scorta, a ciò aggiungendosi che l'enorme numero di traduzioni (185.755 nel 2010 per quasi 300.000 detenuti con un impiego di 769.000 unità di personale) e dei piantonamenti in ospedale aggrava vieppiù la scopertura dell'organico.
Certo, anche le traduzioni rientrano tra i compiti di istituto. Ma è certo anche che se si modificasse l'articolo 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, sì da rendere cogente che l'udienza di convalida avvenga in carcere e non presso l'ufficio giudiziario, ovvero si prevedesse che in caso di rito direttissimo l'arrestato o il fermato non transiti per il carcere ma resti nelle camere di sicurezza, ovvero ancora se la stessa procedura (arresto, convalida, direttissimo) fosse realizzata in modo più similare a quanto avviene nei Paesi con rito accusatorio, le traduzioni diminuirebbero vertiginosamente, e maggiore sarebbe la possibilità di utilizzare il personale della Polizia penitenziaria nel mondo del carcere.
A seguito della riforma della medicina penitenziaria e della legge finanziaria 2008, si è realizzato il trasferimento delle funzioni sanitarie al Servizio sanitario nazionale. I rapporti tra carcere e ASL sono disciplinati da una serie di atti adottati dalla Conferenza Stato-Regioni. Il bilancio della riforma varia molto, a seconda delle realtà territoriali, con maggiori difficoltà di garanzia dei precedenti livelli di efficacia e continuità assistenziale medico-infermieristica nelle Regioni interessate ai piani di rientro debitorio. Incidenter tantum: dalla riforma deriva l'aumento del numero dei piantonamenti e del numero delle traduzioni ogni qualvolta (invero spesso) le ASL decidono di esternalizzare determinati servizi specialistici. Né posso tacere che, tra le Regioni a statuto speciale,
la Sicilia, diversamente dalle altre, non ha adottato alcun intervento normativo per regolamentare il trasferimento delle funzioni sanitarie, con conseguente ricaduta di impegno sull'amministrazione penitenziaria che, per il solo esercizio del 2011 ha dovuto stanziare 12.400.000 euro per far fronte a quelle esigenze sanitarie che non le competono.
Un'emergenza nell'emergenza penitenziaria è costituita dagli ospedali psichiatrici giudiziari e chiama in causa altri soggetti istituzionali che dovrebbero a pieno titolo farsi carico di un sistema che oggi offende la civiltà del diritto. L'insanabile contraddizione di una misura che si regge sul binomio carcere-manicomio gestita in luoghi che producono sofferenza, degrado, violazione della dignità e dei diritti fondamentali delle persone non può più essere tollerata in un Paese civile. Ancora oggi assistiamo alla odiosa sopravvivenza di questi luoghi che non curano, ma si limitano a contenere persone di cui nessuno vuole farsi carico, neanche quando è accertato il venir meno della pericolosità sociale che ne ha determinato l'internamento.
La responsabilità della soluzione dello specifico problema penitenziario deve essere necessariamente condivisa con altri soggetti istituzionali giungendo alla completa sanitarizzazione, sul modello di Castiglione delle Stiviere, superando la presenza della Polizia penitenziaria, impegnata spesso in compiti non propri, e affidandone la completa gestione al Servizio sanitario nazionale.
Nei giorni scorsi ho visionato il filmato realizzato dopo le ispezioni effettuate nei sei ospedali psichiatrici giudiziari, e non posso che condividere quanto scritto dal Presidente della Repubblica il 21 gennaio 2011, e cioè: «Ho così potuto prendere conoscenza di contesti igienico-sanitari e di vicende umane che hanno creato in me grande preoccupazione e profondo turbamento. Confido che non mancherete di adottare, nell'ambito delle rispettive competenze, ogni misura amministrativa, organizzativa e legislativa idonea a consentire il superamento di situazioni che, in pochi casi, mi sono apparse assolutamente incompatibili con il più elementare rispetto della dignità delle persone e tali da integrare gravi violazioni di principi fondamentali della Costituzione».
Una prima, concreta risposta a questo autorevole appello dovrà riguardare l'incredibile situazione dei 215 soggetti internati che permangono negli ospedali psichiatrici giudiziari, nonostante sia stata clinicamente accertata l'assenza di pericolosità sociale: una valutazione clinica cui non è seguita una analoga valutazione giuridica da parte del magistrato di sorveglianza, il quale, al contrario, ha ritenuto la sussistenza della pericolosità. E mi auguro che ciò, contrariamente a quanto taluno ipotizza, non derivi dalla mancata disponibilità degli enti locali all'idoneo riposizionamento del non più pericoloso. Bisognerà, altresì, pensare ad interventi legislativi finalizzati alla modifica dell'attuale sistema che consente, di fatto, la possibilità di applicare la misura di sicurezza sine die, indipendentemente dalla natura e dalla gravità del reato commesso.
L'individuazione di un piano di trattamento sanitario con periodica rivalutazione potrebbe, ad esempio, consentire al giudice l'adozione di una misura analoga a quella prevista dall'articolo 286 del codice di procedura penale coinvolgendo in primis i dipartimenti di salute mentale. Così come potrebbero essere approfondite le soluzioni adottate in alcuni ordinamenti stranieri, quale quello spagnolo, che prevede un parallelismo tra la durata delle pene e la durata delle misure di sicurezza. Appare, inoltre, necessaria la creazione di strutture pubbliche di ricovero intermedio che, favorendo un più stretto raccordo tra magistratura e servizi psichiatrici territoriali, possano costituire un'adeguata alternativa alla scelta tra ospedale psichiatrico giudiziario e ricorso a modalità di libertà vigilata, oggi stimate non sufficientemente sicure. A tal fine, potrebbe essere presa in considerazione la creazione di strutture di piccole dimensioni, facilmente individuabili sul territorio tra i piccoli ospedali soppressi o da sopprimere, con vantaggio anche per la completa regionalizzazione degli internati.
Esprimo poi il mio apprezzamento per il lavoro della Commissione d'inchiesta, le cui conclusioni appaiono condivisibili. Con la stessa franchezza, devo però rilevare che l'adozione dello strumento del sequestro preventivo utilizzato per le strutture di Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino desta in me perplessità giuridica, mitigata solo dalla piena comprensione delle finalità che l'hanno determinata. Comunque, dando seguito ai provvedimenti emessi dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, con decreto dell'agosto 2011 è stata istituita presso la casa circondariale di Palermo Pagliarelli la "sezione detenuti minorati psichici", si è provveduto ad effettuare lo sgombero delle zone detentive degli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino e di Barcellona Pozzo di Gotto, si è attivato il procedimento di adeguamento ai rilievi mossi.
Sul piano logistico, rilevante è stato l'intervento del Ministero, che ha provveduto nel triennio alla costruzione di 440 nuovi posti, alla previsione di costruzione di 3.410 nuovi posti entro il 2013, alla ristrutturazione di 1.138 posti ed alla previsione di ristrutturazione di altri 710 posti sempre entro il 2013. Sono state, infine, aperte le strutture carcerarie di Rieti, Trento e Favignana ed è di prossima apertura quella di Gela, essendosi risolto il problema della condotta d'acqua.
Il commissario delegato, infine, è impegnato nella rapida realizzazione della obsoleta struttura di Arghillà, monumento all'inefficienza del passato. A ciò deve aggiungersi che, in attuazione del piano carceri, sono state avviate le procedure di gara per l'assegnazione dei lavori di 20 padiglioni aggiuntivi, per un totale di 4000 posti, con un impegno di spesa per 239 milioni di euro, lavori che saranno ultimati nel dicembre 2012. Altresì, previa riunione dell'apposito comitato di sorveglianza, si provvederà a varare, senza alcun danno per la sicurezza dei cittadini, il progetto di costruzione di carceri a bassa sicurezza per circa 5000 posti, in sostituzione degli 11 istituti penitenziari classici originariamente ipotizzati.
I lavori saranno ultimati entro dicembre 2013, con un impegno di spesa di 349 milioni di euro.
I 206 istituti penitenziari consentono una presenza regolamentare di 45.732 detenuti ed una tollerabile di 69.194 detenuti. Allo stato sono presenti negli istituti penitenziari 67.377 detenuti, ossia circa 2.000 in meno della soglia finale di tollerabilità. Quasi il 70 per cento della popolazione detenuta straniera è formata da marocchini (per il 20 per cento), da rumeni (per il 15 per cento), da tunisini (per il 13 per cento), da albanesi (per l'11 per cento), da nigeriani (per il 5 per cento) e da algerini (per il 3 per cento).
I detenuti in custodia cautelare sono 28.300, pari a una quota del 42 per cento sul totale, e il totale complessivo dei detenuti stranieri è del 36,10 per cento, tetto a cui si giunge nello spazio di tre anni (quattro anni fa il tetto dei detenuti stranieri era del 32 per cento). Di questo 36,10 per cento, 12.035 sono in attesa di giudizio e 12.147 in espiazione di pena: una percentuale questa davvero molto lontana dalle analoghe percentuali che caratterizzano la detenzione italiana. La tipologia dei reati all'origine della detenzione registra il primato dei reati contro il patrimonio, dei reati in materia di stupefacenti e dei reati contro la persona. Seguono i reati previsti dalla legge sulle armi e i reati contro la pubblica amministrazione.
L'analisi dei dati consente di affermare che il tasso di crescita della popolazione detenuta è calcolabile in varie migliaia all'anno. Più precisamente, l'aumento è stato di circa 5.000 unità nell'anno 2009-2010 e di circa 2.500 unità nell'anno 2010-settembre 2011. Ciò si afferma in quanto, ai soli fini della valutazione del tasso di crescita, non può non calcolarsi il numero dei detenuti, circa 3.000, che nell'anno in corso hanno beneficiato della legge sulla detenzione domiciliare nell'ultimo anno di pena.
L'analisi dei dati consente altresì di affermare che ogni anno si registra il transito in carcere di circa 90.000 detenuti provenienti dalla libertà (arresti in flagranza, fermo, custodia cautelare) e che di questi - mi rendo conto di affrontare adesso un dato numerico estremamente noioso, verso il quale vi prego però di prestare la dovuta attenzione - restano in carcere 21.093 fino a 3 giorni, 1.915 fino a 7 giorni, 5.816 fino ad un mese, 5.009 fino a 3 mesi e 9.829 fino a 6 mesi, per un totale di oltre 40.000 persone. Va sottolineato che di questa aliquota di detenuti - come ho detto - la percentuale degli stranieri è superiore a quella degli italiani. I detenuti in custodia cautelare fino ad un mese ammontano nell'anno a 28.824, il che - con tutta l'approssimazione del caso - equivale a dire che tale categoria di detenuti incide per circa 2.333 posti sul dato della presenza carceraria annuale.
Quanto alle cause del sovraffollamento, non vi è dubbio che esse siano molteplici, sia pure con diversa significatività. L'analisi dei dati però consente, sia pure con molta prudenza, di escludere una particolare rilevanza delle norme introdotte nell'ultimo decennio a tutela delle esigenze di sicurezza dei cittadini. Infatti, quanto alle misure alternative e non omettendo di dire che il regime disegnato dalla cosiddetta legge Cirielli è stato in parte attenuato dalla legge del 2010 sulla detenzione domiciliare, si registra un aumento continuo di provvedimenti positivi sulle citate misure: gli affidamenti in prova sono passati da 1.818 del 2006 a 9.778 dell'agosto 2011; le semilibertà sono passate da 649 del 2006 a 921 dell'agosto del 2011; le detenzioni domiciliari (di cui all'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario) sono passate da 1.618 del 2006 a 8.283 dell'agosto 2011. Il che, evidentemente, consente - se si vuole - un ulteriore approfondimento di ragionamento nel senso che per le conseguenze della legge Cirielli tali misure di libertà vanno verso soggetti quasi sempre incensurati o colpiti solo da una recidiva semplice e che scontano pene superiori ai tre anni, perché se fossero inferiori vi sarebbe la sospensione della pena fino a due anni prevista dalla legge Smuraglia o l'affidamento in prova al servizio sociale per condanne inferiori a tre anni.
Analogamente, quanto alle misure dei cosiddetti pacchetti sicurezza, così come nella sostanza modificati dalla giurisprudenza europea, le incidenze sulla presenza carceraria sono limitate, peraltro con termini di non particolare significatività, e correlate a fattispecie criminose quali il favoreggiamento all'immigrazione clandestina, il furto con strappo e il furto in abitazione, cioè a delitti che devono essere seriamente repressi, in ossequio alle ragioni di sicurezza dei cittadini. Se ciò è vero, e a me pare evidentemente vero, la riflessione sull'aumento della popolazione carceraria
non può che incentrarsi su due specifiche cause: la presenza di detenuti stranieri (passata globalmente dal 33 per cento al 36 per cento) e l'uso eccessivo della custodia cautelare.
Quanto alla presenza di detenuti stranieri, il cui aumento è speculare a quanto avviene in Spagna, Francia e Germania, evidentemente conseguenza dei flussi immigratori clandestini, non v'è dubbio che essa incida sul costante aumento della popolazione carceraria. Detti detenuti, infatti, ristretti in carcere per reati contro il patrimonio o attinenti agli stupefacenti o altro non essendo regolarmente presenti in Italia, non beneficiano di norma degli arresti domiciliari (non avendo trovato seguito quella giurisprudenza che immaginava come domicilio anche una panchina), o della liberazione e, per l'effetto, i processi a loro carico seguono le corsie privilegiate dei processi con detenuti ed arrivano rapidamente alla sentenza definitiva (così trasformando i detenuti in attesa di giudizio in condannati all'espiazione della pena). Giova altresì precisare che nei loro confronti è scarsamente applicabile e scarsamente applicata la misura dell'espulsione in sostituzione della pena detentiva sino a due anni; ciò, in ragione delle oggettive difficoltà dell'individuazione della loro provenienza geografica e della difficoltà di rendere operativi i patti di riammissione ove esistenti.
Quanto alla custodia cautelare, i dati precedentemente forniti sui detenuti ristretti in carcere per brevi periodi (fino a un mese o tre mesi) denunciano inequivocabilmente come non sia puntualmente rispettato il criterio ordinamentale in base al quale la reclusione in carcere è una extrema ratio. Dubito che ciascuno di noi possa trovare un senso nella restrizione in carcere per tre giorni, per sette giorni, per dieci giorni, per quindici giorni o anche per 30 giorni. E, sia chiaro, anche per evitare inutili polemiche, quanto testé da me detto è ampiamente condiviso dal primo Presidente della Corte di cassazione, il quale ha invitato i magistrati «ad un uso sempre più prudente e misurato della misura cautelare restrittiva». A tacere di quanto affermato dal Presidente della Repubblica nel citato convegno, e cioè che si assiste a «un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione in concreto della carcerazione preventiva».
Che fare quindi? Taluno, sulla cui buona fede non è lecito dubitare, immagina che la strada da percorrere sia quella, squisitamente parlamentare, dell'amnistia o dell'indulto. Cioè, taluno immagina di dover percorrere - forse in termini diversi - quella strada, già intrapresa 22 volte dal 1948 al 1992 e una volta, limitatamente all'indulto, nel 2006, che nel passato è sempre stata utilizzata come strumento emergenziale per risolvere un problema che non si voleva risolvere alla radice, sia per quanto concerne il mondo del carcere, sia per quanto riguarda il mondo della giustizia. Una strada che in passato ha sempre consentito al malato di respirare, ma che ha sempre rapidamente ricondotto il malato nel coma di partenza.
Nel 2006, la presenza carceraria è scesa, in virtù dell'indulto, da 61.000 unità a 39.000 unità. Nulla è stato fatto per operare sul sistema, nulla è stato progettato negli specifici settori, e non è un caso che di lì a due anni la popolazione è andata a 55.000 presenze, per poi schizzare a 68.000 presenze nel 2010.
Certo, siamo in presenza di un'emergenza e siamo costretti, quantomeno nell'immediatezza, a interventi tampone. La legge del 2010 sulla detenzione domiciliare nell'ultimo anno di pena, fortemente voluta dal ministro Alfano, ha avuto effetti positivi, consentendo l'uscita dal carcere a circa 3.000 persone, nessuna delle quali è poi evasa dalla propria abitazione. È una legge temporanea, la cui vita è limitata al dicembre 2013, data di ultimazione del piano carceri e, in considerazione della positiva sperimentazione, potrebbe essere oggetto di un ulteriore approfondimento finalizzato alla sua eventuale estensione. Così come ulteriori approfondimenti meritano, con riguardo ai reati di minore gravità, l'attuale sistema della custodia cautelare e la stessa disciplina dell'arresto facoltativo in flagranza: approfondimenti che tengano presente il concetto della restrizione in carcere come extrema ratio. Ma sono interventi tampone, non risolutivi o definitivi.
Con ciò voglio dire che si deve aprire una stagione di sereno confronto tra le varie forze politiche, che abbia presente la necessità di definire un progetto globale di giustizia che porti la dovuta attenzione al sistema delle garanzie dei cittadini e che immagini il carcere come luogo di recupero, come luogo di cui interessarsi e non come luogo da esorcizzare, mettendo la testa sotto la sabbia come è d'uso per lo struzzo.
In altri termini un progetto e un sistema che considerino l'edilizia carceraria solo come uno strumento logistico da modulare secondo l'obiettivo perseguito e non come la soluzione del problema, che abbiano ben chiari i valori della Costituzione e che abbiano la dovuta considerazione per i detenuti, non dimenticando mai che essi, indipendentemente dai loro misfatti, sono uomini e devono essere trattati come uomini. E come uomini possono essere assaliti dalla fragilità ed arrivare all'ultima scelta. Questo sarà il vademecum, nel settore, della mia azione di Ministro; sono certo che sarà anche il vostro. (Applausi dai Gruppi PdL, LNP, CN-Io Sud-FS ePD e del senatore Serra).