IL POTENZIAMENTO DELLE MISURE ALTERNATIVE IN UNA PROSPETTIVA RIFORMATRICE
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Il SISTEMA PENITENZIARIO: ipotesi di riforma e proposte di medio
periodo per il potenziamento delle misure alternative. di Milena CASSANO – Direttore UEPE Lombardia Per affrontare il tema occorre fare riferimento :
Il sistema dell’esecuzione penale è tema di attualità, ma è un sistema da anni gravato da un livello esponenziale di complessità endogene ed esogene: non è possibile parlare di sovraffollamento delle carceri senza porre l’accento sul sistema nel suo complesso e non solo sul suo epifenomeno. La recente legge 9/2012 ha il merito di aver messo in discussione l’ineluttabile uso del carcere (il fenomeno delle cosiddette porte girevoli); è un passo importante e simbolicamente significativo se finalizzato a consolidare l’idea del carcere come extrema ratio, richiamo invocato da più parti, ma che conseguentemente deve indurre politici e amministratori a consolidare il sistema dell’esecuzione penale esterna. Il titolo della legge (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento) attesta che l’attenzione è – anche per ovvi motivi - ancora concentrata sugli effetti prodotti dal sistema penale, nonostante il dibattito parlamentare, gli impegni assunti, le diverse proposte di riforma attestino la consapevolezza di avere ormai un corpus normativo non organico e fonte di pronunciamenti giurisprudenziali anche contrastanti. . Per la verità nelle scelte sottese alla legge 199 e più di recente, alla legge 9/2012 pesano gli interventi della Corte Europea, e sono ancora numerosissimi i ricorsi presentati per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo. Se si considera la prospettiva europea occorre fare riferimento alle diverse raccomandazioni e risoluzioni e fra tutte:
In sostanza viene introdotta una misura temporanea (non a caso non inserita sistematicamente nel Capo VI dell’Ordinamento Penitenziario), proprio perché si è in attesa di una riforma complessiva delle misure alternative. Il passaggio è indicativo perché sposta l’attenzione sul corpus normativo che oggi abbiamo e che non corrisponde più al sistema organico dell’O.P del 75; ad esso si innestano, infatti, per interventi successivi (e non sempre coerenti) nuove leggi a valenza penitenziaria (ovvero norme di carattere procedurale, testi unici di settore ecc…) che come corollario hanno previsto modifiche tali da determinare l’impossibilità di una visione sinottica del sistema. Chi oggi si trovi a declinare in maniera rigorosa i requisiti di accesso alle misure alternative deve necessariamente fare i conti con una varietà di requisiti relativi alle condizioni di ammissibilità (per la verità non univoche) e a preclusioni non riconducibili a criteri coerenti, né con riferimento ai reati, né con riferimento a criteri di pericolosità. Si è in sostanza determinata una frattura fra la realtà penitenziaria e la realtà fattuale e conseguentemente ciò determina l’impossibilità di una visione globale del sistema, che sembra rispondere sempre a logiche contingenti, più che a strategie di intervento complessivo. Nel giro di pochi anni si sono susseguite norme che si fondano su opzioni diverse, alternate da provvedimenti clemenziali, da profili di ineffettività delle norme (si pensi al lavoro di pubblica utilità, alla legge 62/2011) e questo determina una difficoltà collaterale: è pressoché impossibile valutare l’impatto delle norme (si pensi alla legge 49/2006 e alla possibilità di concessione della misura alternativa in relazione a pene sino a 6 anni, in concreto non applicata. I meccanismi di accesso alle M.A. sono stati modificati numerose volte, tanto che oggi (chiarificatore è in proposito la complessa lettura dell’art. 4 bis) è realmente difficile definire chi può accedere alle misure e tutto è reso ancor più complicato dalla modifica dell’art 656 c.p.p., introdotta sempre con la legge 251 che in concreto ha snaturato la legge 165/98, determinando un aumento degli ingressi di detenuti definitivi anche se di non elevata pericolosità e questo perché la nozione di recidiva reiterata è generica e non introduce parametri connessi alla gravità del reato, e da ultimo la legge 199 richiamando quale condizione ostativa concetti quali l’abitualità e la professionalità ( e per inciso tali elementi non previsti per le misure alternative diventano un ulteriore elemento di schizofrenia del sistema). Alle preclusioni di legge (si pensi anche alla legge 38/2009 e 94/2009) si aggiungono le difficoltà di ordine personale che caratterizzano molti potenziali fruitori di misure alternative: l’assenza di una casa, di un lavoro, le differenti tempistiche della pena e dei programmi terapeutici, le comunità terapeutiche che non riescono a far fronte alle domande di inserimento, la mancata determinazione dei posti presso le C.T., prevista dall’art. 1 c. 7 della legge 199 e non ancora formalizzata con decreto. Sul piano concreto in molte regioni sono state realizzate buone pratiche, per inciso anche in questo caso occorre essere attenti e sottolineare il tema dell’esigibilità degli interventi ( la Commissione Nazionale Consultiva Stato Regioni ha nel 2008 licenziato delle ottime Linee guida, ma non tutte le Regioni le hanno recepite e ancora credo ci si debba anche interrogare sui frequenti richiami ai diritti di cittadinanza che finiscono con l’escludere chi non è cittadino italiano, persone per le quali la giustizia è sempre meno uguale) Qualsiasi progetto di legge non può essere sintomatico, non può partire dal sovraffollamento del carcere che non è la causa, ma l’effetto e soprattutto il carcere non è il luogo in cui si possono determinare le politiche della giustizia (cfr. Risoluzione 15 dicembre 2011, n. 2897 del Parlamento Europeo) Il carcere non è residuale al sistema delle pene, è la pena e se continuiamo a discutere delle numerose e – ovviamente – indispensabili misure organizzative (lavoro, istruzione, formazione, attività trattamentali ecc..) non saremo in grado di apportare alcun cambiamento. Tutti - politici e addetti ai lavori dissertano sulle contraddizioni semantiche e sulle contraddizioni del sistema, ma si collocano sempre più frequentemente nell’ambito di logiche emergenziali. La definizione di un circuito regionale penitenziario è indispensabile, ma il circuito non deve può essere orientato alla sola tipizzazione delle strutture, deve necessariamente comprendere il sistema delle misure alternative, deve prevedere la predisposizione di sezioni per dimittendi, deve essere in grado di intercettare precocemente le situazioni che possono consentire l’ammissione alle misure alternative. . Cambiare approccio e interrogarci sul perché oggi il carcere sia senza prospettive per buona parte dei detenuti significa anche interrogarci su altri concetti : pericolosità e sicurezza, reinserimento, rottura del binomio /equazione pena=carcere. I dati sui reati commessi dalle persone detenute ci dicono che sono prevalenti i reati non gravi e allora siamo sicuri che il carcere sia la pena più idonea? E soprattutto che effetti produce la detenzione e quali sono i costi della detenzione a fronte di risorse umane economiche e umane sempre più esigue. La scelta coerente sarebbe stata quella del diritto penale minimo, ma come è noto non c’è convergenza sulle ipotesi di depenalizzazione e rispetto all’ampliamento di posti detentivi, esiste il rischio di ricondurre il sovraffollamento carcerario (effetto) al solo problema strutturale; è un errore strategico. Va detto che il pacchetto giustizia del Ministro Severino sembra attento ad una visione di sistema, va detto, infatti che significativamente interviene su quattro materie: depenalizzazione; sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili; sospensione del procedimento con messa alla prova; pene detentive non carcerarie. Un’annotazione a margine, ma che sembra importante attiene alla lettura degli atti parlamentari; credo sia un esercizio interessante significativo è il richiamo a diversi progetti di riforma, tutti concordano circa la necessità di sperimentare forme nuove e diversificate di sanzioni penali è, quindi, più volte stata proposta, con differenti modulazioni la messa alla prova che potrebbe oggi diventare realtà. Una precisazione va però fatta : qualsiasi modifica non può essere introdotta con invarianza della spesa (formula significativamente reiterata in più occasioni che sta a significare che la riforma non deve avere costi aggiuntivi). E’ evidente che non è possibile prevedere modifiche senza un contestuale ed indispensabile consolidamento del sistema che deve presidiarlo e, conseguentemente se l’obiettivo è riformare il sistema dell’esecuzione penale, introducendo la messa alla prova e pene non detentive occorre potenziare le articolazioni e le professionalità che dovranno occuparsene, in primis gli Uffici esecuzione penale esterna che registrano attualmente una carenza di personale se si assume come parametro l’organico attuale, cui si aggiunge la non equità nella distribuzione del personale. Ed è di tutta evidenza che le più recenti norme in materia di contenimento della spesa hanno indicato il quantum di riduzione percentuale degli organici e non le professionalità da decurtare; ma le scelte che saranno adottate daranno corpo a scelte di politica penitenziaria irreversibili. Non va sottovalutato che in ogni caso l’introduzione di sanzioni alternative riduce i costi complessivi del sistema, ma non è, non può essere a costo zero. Ribaltare il quadro di riferimento concettuale ponendo al centro un diverso sistema delle pene è condivisibile (anche se occorre esaminare analiticamente le misure) e non finalizzarle al solo deflazionamento del sovraffollamento carcerario, occorre lavorare soprattutto per invertire la tendenza radicatasi negli ultimi anni con la progressiva espansione della sfera di incidenza del diritto penale. L’altra questione che non può essere bypassata è – come si è detto – l’organizzazione che deve presidiare la riforma del sistema dell’esecuzione penale, ovvero occorre pensare :
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