L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

venerdì 30 novembre 2012

il Governo; nessun taglio in vista, per il personale dell’amministrazione penitenziaria

Public Policy, 30 novembre 2012

Nessun taglio all’organico dell’amministrazione penitenziaria. Lo ha ribadito in Commissione Giustizia alla Camera il sottosegretario al ministero di via Arenula, Antonino Gullo, rispondendo a un’interrogazione di Roberto Rao (Udc).



L’organico dell’amministrazione penitenziaria, si legge nella risposta di Gullo, “È ad oggi composto da 381 dirigenti penitenziari, 35 dirigenti di Area e 6.660 unità appartenenti al comparto ministeri. Al 1° luglio 2012, il personale effettivamente presente è costituito da 363 dirigenti penitenziari, 33 dirigenti di area I e 6.174 unità del comparto ministeri”.



“È evidente che un’ulteriore riduzione, anche in considerazione delle note sofferenze del settore, finirebbe per ingenerare problematiche, tali da incidere in modo negativo sull’attuale equilibrio. Il ministro della Giustizia - si legge ancora - ha già preso posizione in merito all’applicazione, anche al settore penitenziario, di un’ulteriore riduzione di organico”.

Angelo Sinesio nominato Commissario straordinario infrastrutture

Il Consiglio dei ministri ha nominato, su proposta del Presidente del Consiglio, il prefetto Angelo Sinesio Commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, a decorrere dal 1° gennaio 2013.



Ddl pene alternative per i reati fino a 4 anni, la Camera approva la prima parte del

 di Claudia Fusani- L’Unità, 30 novembre 2012

Il Ministro Severino al Pdl: “Nessuna amnistia”. Contro il sovraffollamento una legge sulle punizioni alternative, da varare prima di Natale.



A suo modo è una rivoluzione. Per la prima volta nel sistema complesso e delicato delle pene, che misura il livello di civiltà di un paese, entra per legge una punizione che non prevede come prima opzione il carcere. Come seconda opzione viene prevista anche la richiesta, da parte dell’imputato, con il consenso della vittima e dopo la decisione del giudice, la cosiddetta “messa alla prova”, che si traduce nella trasformazione della detenzione in lavori socialmente utili. Non retribuiti.

In questo scorcio di fine legislatura, teso e ostaggio dei rapporti di forza dei partiti, ieri l’aula di Montecitorio ha approvato la prima parte del disegno di legge “in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie e sospensione del provvedimento nei confronti degli irreperibili”.

Il voto finale è previsto la prossima settimana. L’obiettivo è che farlo approvare dal Senato anche prima di Natale. Che dopo diventa tutto molto più a rischio. È un argomento che certo non ha l’appeal dello scontro nel centrosinistra tra Renzi e Bersani né il fascino perverso del destino ancora indefinito del centro destra. Ma è politica, vera, quella che assume decisioni e decide i cambiamenti del patto di cittadinanza.

Il provvedimento è la terza gamba del piano di governo del ministro Guardasigilli Paola Severino e che prevedeva lotta alla corruzione, riforma dei distretti giudiziari e miglioramento delle condizioni dei detenuti nelle carceri. Dopo lo “svuota carceri” (ai domiciliari gli ultimi 18 mesi di detenzione; stop alle detenzioni due poche ore, il fenomeno delle porte girevoli) è il provvedimento che interviene a monte del fenomeno del sovraffollamento dei penitenziari.

“Mi pare che non ci sia nulla di più distante da un’amnistia” ha tuonato ieri mattina in aula il ministro Severino difendendo con le unghie e con i denti il suo disegno di legge dagli attacchi, prevedibili, di Lega, Idv, gli ex An e un pezzo di Pdl. “L’amnistia estingue reati e pene. Qui invece c’è un giudice che, caso per caso, per reati non pericolosi socialmente e in ogni caso puniti con pene non superiori ai quattro anni, può decidere di far scontare la pena non in carcere ma agli detenzione domiciliare”.

Sempre agguerrita il ministro Severino. Ma poche volte, in questo anno intenso per il dicastero della Giustizia, lo è stata come in questi due giorni (tra mercoledì e giovedì) in cui la Camera ha cominciato la votazione del provvedimento.

“Il catastrofismo che ho ascoltato nel dibattito in aula sulle pene alternative al carcere è francamente un deja vu. Sono gli stessi allarmi ascoltati in questa aula ai tempi dello svuota-carceri. Ma i numeri ci dicono che quel provvedimento è stato utile visto che i detenuti sono diminuiti di quasi duemila unità (68.047 nel dicembre 2011; 66.687 nell’ottobre 2012, ndr), si contano sulle mani le recidive e non c’è stato alcun allarme sociale di quelli annunciati con tanta dovizia di particolari in questa aula”. Paure figlie di pregiudizi e di un populismo facile.

Il provvedimento che sarà licenziato la prossima settimana prevede che per i reati non gravi, puniti in via definitiva fino a 4 anni, il giudice può di volta in volta valutare di far scontare la pena agli detenzione domiciliare. Una volta valutate le condizioni oggettive del domicilio.

E ascoltato il parere della vittima. Il testo prevede anche la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato. Deve essere l’imputato, cioè, “non oltre l’apertura del procedimento di primo grado” a chiedere la sospensione definitiva del processo e di essere ammesso ai lavori socialmente utili. Obiettivo del disegno di legge è alleggerire il peso sulle carceri e sulle aule di giustizia. In questo senso va la terza parte del provvedimento, quella che sospende i processi per gli irreperibili. “Una manna per spacciatori, clandestini e stranieri colpevoli di reato” è stata la replica di una parte dell’aula.



martedì 20 novembre 2012

FP CGIL: Spending review - Richiesta di incontro urgente





Roma, 19 novembre 2012





Al Capo DAP

Pres. G. Tamburino



Ai vice Capo del DAP

D.ssa S. Matone

Dr. L. Pagano



Al Direttore Generale

del Personale e della Formazione

Dott. R.Turrini Vita

e, p.c.



All'Ufficio per le Relazioni Sindacali

Dssa P. Conte



Oggetto : Spending review - Richiesta di incontro urgente





Facendo seguito alle determinazioni risultanti dall'incontro del 13 novembre u.s. tra le OO.SS. ed il Ministro della Funzione pubblica riguardanti i tagli comportati dalla spending review nella pubblica amministrazione nonché alle dichiarazioni mezzo stampa dello stesso Ministro, questa OS chiede con urgenza un incontro al fine di acquisire informazioni e dati riguardanti la situazione del DAP.

Restiamo in attesa di sollecito urgente riscontro .



La Coordinatrice Nazionale DAP

Lina Lamonica



12 dicembre Conerenza Nazionale sulla Esecuzione Penale

lunedì 19 novembre 2012

Fp-Cgil; troppi tagli al personale, il carcere sta perdendo la sua missione rieducativa


 www.fp.cgil.it, 19 novembre 2012

Il carcere sta perdendo la sua missione rieducativa. Barbara Campagna, coordinatrice regionale Fp-Cgil Lombardia del Ministero Giustizia-Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), lancia l’allarme: si rischia “un sistema dell’esecuzione penale sempre più orientato alla privatizzazione”, con al centro solo “sicurezza e contenzione”.

Il governo mostra tutta la sua incoerenza quando da un lato, dichiara di voler ridurre il sovraffollamento carcerario con più misure alternative alla detenzione, e poi dall’altro, con la “spending review”, taglia. Il 10% dei funzionari e il 20% dei dirigenti a esse preposte.

E prevede pure la riduzione degli Uepe, gli uffici di esecuzione penale esterna (con accorpamento alla sede del capoluogo regionale). Ma non si toccano gli sprechi, come quei 10 milioni l’anno dal 2001 in bilancio per i “braccialetti elettronici”. Incoerenti sono anche gli ultimi due concorsi per 500 educatori (dopo oltre 8 anni di stop), con ruolo di fatto svuotato. Le conseguenze di queste misure vanno dall’allungamento dei tempi per trasmettere ai tribunali di sorveglianza le relazioni del servizio sociale all’impossibilità sia di spostamento (mancano già risorse economiche e mezzi) sia dell’attività effettiva di questi lavoratori.

I numeri parlano chiaro: in Italia ci sono circa 67mila detenuti e 30mila persone in misura alternativa; in Lombardia, a fine luglio, 9374 detenuti e 6711 le misure alternative seguite. Qui, nei 7 Uepe (Milano, Pavia, Bergamo, Brescia, Mantova, Como, Varese), lavorano 112 educatori (sui 145 previsti) e 103 assistenti sociali (sui 198 previsti). Basilari. I primi - di cui una ricerca del Dap ha mostrato l’efficacia a fronte del calo dei tassi di recidiva - sempre più centrati sulla persona, attraverso ad esempio la formazione e la promozione del reinserimento sociale, i secondi anche per le relazioni con i vari soggetti sul territorio (famiglie, enti locali, Asl, cooperative sociali, volontari, ecc.).

Ma la stessa Amministrazione penitenziaria, come evidenzia la dirigente sindacale, “non ha potuto, o non ha voluto, insistere validamente per un incremento di questi operatori ed ha sempre più subordinato la loro opera a logiche di contenimento e controllo più che di valorizzazione ed impulso delle diverse azioni che avrebbero potuto essere messe in rete e potenziate nell’ottica del reinserimento”.

La sproporzione - per cui lo scorso 9 novembre è stata inviata una lettera al ministro Severino e al capo del Dap Tamburino - tra i 38mila poliziotti penitenziari italiani (4063, sui 5353 previsti in Lombardia, dato a luglio 2012) e i 6400 circa operatori e dirigenti Uepe (372, sui 690 previsti in Lombardia) è di per sé indicativa. Ma pure gli operatori penitenziari hanno le loro grane: a tutela di un sistema carcerario servizio pubblico Campagna ragiona in termini d’interazione.



Con spending review sulle carceri falcidiati assistenti sociali e personale penitenziario

L’Unità, 19 novembre 2012- di Davide Madeddu

La scure della spending review sulle carceri. Il risultato, per il momento ipotizzato da sindacati e associazioni, è che “si rischia di far affondare una barca già piena d’acqua”. Perché con meno risorse si dovrà impiegare meno personale.

E si tratta di educatori, assistenti sociali e altre figure professionali civili che garantiscono all’interno delle prigioni d’Italia, i servizi per i detenuti. Il risultato che si otterrebbe è chiaro: taglio ai servizi per chi in carcere sconta una pena.

I numeri elaborati dalle organizzazioni sindacali sono tutt’altro che confortanti: a causa della spending re-view si dovrà fare a meno di circa un migliaio di figure professionali. Lina Lamonica, educatrice penitenziaria e dirigente della Funzione pubblica della Cgil non nasconde la preoccupazione per il futuro e il disappunto per gli effetti che i tagli, se attuati, potrebbero produrre. Parte da un fatto la sindacalista: “la rideterminazione degli organici è stata avviata nel 2006 e non si fanno concorsi per determinate figure da 10 anni”.

II resto è presto spiegato. “Rispetto alla pianta organica del 2006, gli assistenti sociali vengono falcidiati più di tutte le altre qualifiche - spiega Lina Lamonica - con numeri che si aggirano intorno al 35%: ossia - 567 su 1621”. Altra riduzione poi dovrebbe riguardare gli educatori: “I tagli sono del 27% , ovvero - 369 su 1367”. Risultato finale? “Su 2988 figure professionali che si occupano della cosiddetta area trattamentale e sociale - argomenta la sindacalista - se ne dovrebbero perdere 936, cioè il 31 per cento”.

Un dato che andrebbe in contraddizione con una eventuale politica incentrata sulla esternalizzazione della pena e delle pene alternative. “Se mancano queste figure professionali - spiega ancora la dirigente sindacale

- diventa poi difficile poterlo fare”. Lina Lamonica, cita un altro dato: “Oggi la pianta organica del Dap prevede 1630 assistenti sociali; considerato che le misure alternative seguite dagli Uepe (uffici esecuzioni penali esterne) sono pari a 24.743 e che con l’approvazione della messa alla prova e l’introduzione di nuove pene non detentive si stima che potranno esserci 40.000 condannati in esecuzione penale esterna, l’organico degli assistenti sociali (funzionario della professionalità del servizio sociale) dovrà essere necessariamente pari a 3260”. Per Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone la spending review “rischia di dare un colpo mortale a un sistema già al collasso”.

L’esponente dell’associazione che quotidianamente si occupa dei problemi del mondo carcerario fa una riflessione: “I tagli imposti dal governo Monti al personale dirigenziale sono stati interpretati, pare, - spiega - in modo da ridurre la presenza dei direttori e rafforzare le posizioni della polizia penitenziaria”. Motivo? “Pare sia intenzione della Amministrazione Penitenziaria tagliare del 20% le piante organiche dei direttori di carcere, lasciare vacanti le sedi carcerarie con meno di cento-centocinquanta detenuti affidandone la gestione ai commissari di polizia, i quali entro breve potrebbero a loro volta acquisire funzioni e competenze dirigenziali”.

Non nasconde la perplessità Massimo Di Rienzo, direttore del carcere di Sulmona e Lanciano. “La preoccupazione è che il carcere perda la sua funzione rieducativa assumendo una funzione securitaria di mero contenimento”. Motivo? “Si vanno a tagliare gli assistenti sociali, gli educatori, i dirigenti e direttori del servizio sociale - spiega - quelli che si occupano del settore trattamentale e della rieducazione”.

Non è tutto. “La figura del direttore come autorità civile e momento di equilibro e compensazione verrebbe a scomparire - spiega - perché ogni direttore dovrebbe dirigere più di una struttura. Se tagliano l’organico ci saranno 70 direttori in meno per gli istituti penitenziari d’Italia”.

Toto Chiaramonte, segretario nazionale della Funzione pubblica della Cgil non usa giri di parole. “Ci troviamo davanti a un problema che è quello dei cosiddetti esuberi, in questo caso ballano circa mille posti di lavoro. Il fatto vero è che si dovrebbe invece rafforzare un sistema che dovrebbe ricevere più lavoro”. Per l’esponente della Cgil la soluzione al problema passa per un cambiamento politico. Il modo? “Uno degli strumenti più semplici è quello della depenalizzazione di reati come quelli legati agli stupefacenti, o all’immigrazione”.



lunedì 12 novembre 2012

carceri paralizzate dalla spending review




11 Novembre 2012

Pensiero Italiano

Nessun commento In un comunicato unitario i sindacati penitenziari lanciano l’allarme: trovate soluzioni o non potranno celebrarsi i processi. Un documento breve e conciso che, in calce, sottolinea persino la “condivisione degli obiettivi del Ministero della Giustizia”. Della serie: tagliare sì, no agli sprechi. Però con criterio. Invece la “road map” stabilita dalla Spending review messa a punto dal Commissario Enrico Bondi a quanto pare sta letteralmente mettendo in ginocchio le carceri italiane, che già non brillano per efficienza dei servizi. Così i sindacati delle varie figure che lavorano nei penitenziari – la polizia, penitenziaria, ma anche la dirigenza e i comparti dei ministeri – hanno inviato un comunicato al governo chiedendo un incontro urgente. I sindacati scrivono che il micidiale corto circuito tra Spending review e blocco del turn over porterà alla riduzione di alcune figure dirigenziali e di diversi dipendenti come educatori, assistenti sociali e dipendenti tecnico-amministrativi. Risultato: si bloccheranno – scrivono i sindacati – i corsi di educazione e reinserimento sociale all’interno delle carceri, sarà bloccato l’accesso alla pena alternativa e la stessa celebrazione dei processi, e sarà molto più difficile “garantire la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e quindi dell’intera società”. http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=35276&typeb=0&Guardie-penitenziarie-carceri-paralizzate-dalla-spending-review

Emergenza carceri aggravata dalla spending review. Si intervenga sulla legge di Stabilità

Tempi  novembre 2012 Redazione
Le organizzazioni sindacali del mondo penitenziario chiedono al governo di trovare altre soluzioni rispetto ai tagli prospettati. Il comunicato del Sidipe

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa del Sidipe.

Il Si.Di.Pe. – che è l’organizzazione sindacale che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari di diritto pubblico ex D.Lgs. n.63/2006 del ruolo di istituto penitenziario e di quello di esecuzione penale esterna– insieme a importanti organizzazioni sindacali di tutto il personale penitenziario, ha firmato l’allegata nota sindacale unitaria, del 29.10.2011, diretta al Presidente del Consiglio dei Ministri Prof. Mario Monti, al Ministro della Giustizia Prof. Avv. Paola Severino, al Ministro dell’Economia Prof. Vittorio Umberto Grilli, al Ministro per la Pubblica Amministrazione e della Innovazione Presidente Filippo Patroni Griffi, con la quale hanno lanciato un solidario grido di allarme per gli effetti devastanti che discenderanno al sistema penitenziario italiano, in termini di sicurezza e di funzionamento della giustizia, a causa dell’inspiegabile e incoerente riduzione degli organici del personale penitenziario e del blocco del turn over per la polizia penitenziaria discendenti dal provvedimento di spending review approvato con decreto legge 6 luglio 2012, n.95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n.135, a fronte del dichiarato stato di emergenza delle carceri da parte del Governo e la previsione di apertura di nuovi istituti e padiglioni detentivi nonché di implementazione delle misure alternative alla detenzione.



L’unione di tutte le organizzazioni sindacali del personale penitenziario su questo documento costituisce non solo un fatto inedito ma è il segno evidente della gravissima situazione di emergenza delle carceri.



Le organizzazioni sindacali della dirigenza penitenziaria (Si.Di.Pe, DPS, FPCGIL, Codipe UIL. Confsal-UNSA), della polizia penitenziaria (Sappe, Osapp, Uil- Penitenziari , UGL -Polizia Penitenziaria, FPCGIL) e del comparto ministeri (FPCGIL, Uil-Penitenziari, Confsal-UNSA , USBP. I.) condividendo gli obiettivi annunciati dal Ministro della Giustizia, hanno chiesto al Governo che si trovino adeguate soluzioni nell’ambito della Legge di stabilità poiché diversamente il provvedimento di di spending review chiesto si tradurrà inevitabilmente:



1) nella impossibilità di garantire la gestione delle carceri e gli obiettivi statuiti dalla Carta Costituzionale in termini di rieducazione e reinserimento sociale



2) nella impossibilità di garantire la sicurezza degli istituti penitenziari e quindi dell’intera collettività



3) nella impossibilità di garantire la celebrazione dei processi e l’accesso e la gestione delle misure alternative .



Il Si.Di.Pe. ha sempre sostenuto che l’esecuzione delle pene detentive e delle altre misure privative della libertà personale non è altra cosa rispetto al “sistema sicurezza” né, tantomeno, rispetto al “sistema giustizia”, dei quali incontrovertibilmente fa parte. Difatti per quanto attiene l’aspetto “sicurezza” è di tutta evidenza che la sicurezza penitenziaria è sicurezza dentro e fuori dal carcere e che la rieducazione del condannato è sicurezza per i cittadini poiché la restituzione alla società di uomini migliori e capaci di reinserirsi dopo la detenzione comporta una effettiva riduzione della recidiva.



Per questa ragione ritiene incomprensibile come possano esserci dubbi circa l’applicabilità al sistema penitenziario, come sistema della sicurezza del Paese, la esclusione già prevista espressamente per le forze di polizia, così come fissato nell’Ordine del giorno n.9/5389/53, approvato dalla Camera dei Deputati il 7 agosto scorso1, che impegna il Governo a interpretare l’articolo 2, comma 7, del D.L 95/2012 nel senso che sono esclusi dalla riduzione di cui al comma 1 del medesimo articolo anche i dirigenti penitenziari ed il restante personale penitenziario, che è stato accettato dal Governo ma che è rimasto ancora inesitato e diversi Parlamentari hanno presentato interrogazioni parlamentari2.



Per quanto riguarda l’aspetto “giustizia”, invece, non può esservi dubbio alcuno che il carcere e gli uffici di esecuzione penale esterna (U.E.P.E.) fanno parte del “sistema giustizia” nel suo complesso, perché la giustizia non si ferma nelle aule dei tribunali e delle corti ma si attua all’interno dei penitenziari e attraverso gli uffici di esecuzione penale esterna, questi ultimi, in vero, oggi oramai del tutto svuotati di ogni risorsa (a partire dai dirigenti penitenziari del ruolo di esecuzione penale esterna e sino agli assistenti sociali. non meno del personale amministrativo) mentre, invece, l’esecuzione penale esterna dovrebbe costituire il volano per ridare respiro alle carceri oramai oltremodo sature, in un’ottica di diritto penale minimo nel quale la pena detentiva dovrebbe essere l’extrema ratio.



Per questa ragione, pure non si comprende come il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari e il personale di magistratura (art.1, comma 5, D.L. n.138/2011). sia stato escluso dai tagli mentre ciò non sia stato fatto per quello penitenziario che opera nello stesso ministero della Giustizia, così come aveva chiesto il 24 luglio scorso la 2a Commissione permanente Giustizia del Senato della Repubblica nell’esprimere, per quanto di competenza, il proprio parere favorevole al provvedimento già citato di “spending review” di cui al D.L. 95/2012 allorquando aveva apposto tra le condizioni, quella che dalla riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni sia esentato il personale degli uffici centrali di amministrazione della giurisdizione, tenuto conto dell’incidenza che su di essi hanno già avuto i tagli lineari realizzati dal precedente esecutivo; in particolare si ritiene necessario che siano esclusi dall’ambito di applicazione dell’articolo 2, il personale degli uffici del ministero della giustizia, del dipartimento della giustizia minorile e il personale amministrativo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.



Il Segretario Nazionale

Rosario Tortorella

Funzionari Educatori; con "spending review" sistema sbilanciato su ordine-sicurezza



Ansa, 12 novembre 2012
Nel sistema carcerario italiano gli Educatori sono troppo pochi: "l’ultima immissione in ruolo di direttori di istituto risale al 1997 e di direttori di Uepe", ossia gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna, "risale al 1998", mentre, "di contro, dal 2005 al 2012, sono stati immessi in ruolo 516 commissari di polizia penitenziaria cui è stato attribuito il compito di assicurare ordine e sicurezza all’interno degli istituti, avvalendosi del corpo di polizia".
La spending review produrrà, quindi, "un effetto devastante" in questo quadro caratterizzato da scelte che "testimoniano in modo evidente un’attenzione prevalente dell’Amministrazione penitenziaria alla garanzia dell’ordine e della sicurezza". È quanto rilevano i funzionari giuridico-pedagogici delle carceri in una lettera inviata al ministro della Giustizia, Paola Severino, e al capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino.

Le cifre riportate nella lettera parlano di 415 dirigenti, 1.007 funzionari giuridico-pedagogici (educatori), 1.062 funzionari di servizio sociale a fronte di 516 commissari e 37.127 poliziotti penitenziari. E questo indica una sproporzioni - sostengono i firmatari - rispetto alle finalità di "rieducazione del condannato" che gli istituti carcerari dovrebbero avere. Negli ultimi anni "si è assistito ad un nuovo trend ascendente di episodi gravemente conflittuali, sempre drammatici e talvolta sanguinosi, fra i detenuti e fra detenuti e operatori. Il caso Cucchi è diventato emblematico", si legge nella lettera.

E ancora: rispetto "alla carenza di personale di polizia, l’esperienza di altri paesi europei ci dimostra che il rapporto numerico agente/detenuto in Italia è fra i più alti e che forse il problema è piuttosto di tipo culturale ed organizzativo. Ad ulteriore riprova di ciò, si segnala che in l’Italia, di contro, il rapporto numerico personale addetto al trattamento/detenuto è fra i più bassi: ed è proprio quel personale che viene considerato da questo Governo in esubero".



FP CGIL LOMBARDIA: TRATTAMENTO PENITENZIARIO E “SPENDING REVIEW”



Nota di Barbara Campagna, Coordinatrice regionale Ministero Giustizia  FP CGIL Lombardia


La sicurezza sociale, la rieducazione ed il reinserimento sul territorio, tutte parole che rischiano di suonare vuote di significato se è vero, come si preannuncia, che i già esangui numeri degli operatori del cosiddetto “trattamento” penitenziario verranno ulteriormente falcidiati del 10 e del 20 per cento.

I numeri sono presto fatti: 6400 circa fra dirigenti e personale tecnico amministrativo con 38000 operatori di polizia penitenziaria e commissari gestiscono quasi 67000 detenuti e 30000 persone in misura alternativa (da statistiche Ministero della Giustizia).

La polizia penitenziaria, col blocco del turn over, si avvierà mestamente a seguire i colleghi delle altre polizie invecchiando i propri ruoli che, salvo quelli apicali, nonostante tre arruolamenti di circa 1000/1500 unità non coprono il turn over delle unità pensionate.

In questo quadro l’accorpamento delle direzioni degli istituti penitenziari di medie dimensioni produrrà l’effetto di carceri materialmente gestite dai soli commissari di polizia penitenziaria, con l’invio in missione, eventualmente, del direttore dell’istituto più grande, con buona pace degli equilibri democratici… perchè affidare gli istituti solo alla polizia, vista la scarsità del personale restante, che contemporaneamente si sta ulteriomente riducendo, grazie alla spending review, significa tornare ad un’idea di carcere che è tutta sicurezza e contenzione con nessuna prospettiva di rieducazione. Questa scelta del Governo è in netta contraddizione con quanto più volte dichiarato dal Presidente della Repubblica Napolitano: “L’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona, è una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita”.

I tagli annunciati dalla spending review sono orientati irrazionalmente a considerare solo le spese del personale, ignorando i risparmi che di potrebbero ricavare evitando le macroscopici incongruenze e sprechi evidenziati dalla Corte dei Conti nel settembre scorso (un esempio per tutti: 10 milioni di euro annui dal 2001 per i cd. braccialetti elettronici, una spesa non economica e inefficace rimessa in bilancio).

Un lavoro silenzioso e discreto, quello degli educatori penitenziari e degli assistenti sociali che però, negli anni di maggior investimento nelle misure alternative, aveva dato i suoi frutti, abbattendo significativamente i tassi di recidiva come si può estrapolare da una ricerca sulla recidiva commissionata dallo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Introdotti nei penitenziari grazie alla riforma del 1975, dopo gli anni delle drammatiche rivolte contro una detenzione inutilmente afflittiva, (vissuti come sostegno del detenuto) i primi, gli educatori, hanno visto delegare alla loro figura professionale sempre più attività utili alla persona ristretta, dalla formazione alla cultura allo sport; hanno assunto un ruolo sempre più attivo di promozione del reinserimento sociale dei condannati cercando sempre più di sottolineare nelrapporto con la magistratura di sorveglianza gli sviluppi comportamentali dei detenuti e spesso hanno stabilito contatti significativi con il territorio d'intesa e con la cooperazione degli assistenti sociali penitenziari che, invece, che da sempre operavano sul territorio per fare da tramite con le diverse realtà in gioco (famiglie, Enti Locali, ASL, cooperative sociali e anche con la collaborazione con altri soggetti del territorio quali: volontari, operatori degli enti locali, agenti di rete ecc.).

Gli assistenti sociali, dal canto loro, nonostante i proclami del Governo di voler incrementare le misure/pene alternative alla detenzione per ridurre il sovrappopolamento carcerario e considerare la pena detentiva solo come extrema ratio, vedono ridurre, grazie alla spending review, sia il numero dei Funzionari di Servizio Sociale sia molte sedi degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (UEPE). Parrebbe che, per le singole regioni tutti gli UEPE verrebbero accorpati alla sede del capoluogo. Ciò non potrà che aggravare una situazione già difficile, con la impossibilità di spostarsi (per assenza di risorse: economiche, di auto o di benzina, se le auto sono “prestate” dagli istituti penitenziari). Con un territorio molto vasto su cui operare, si allungheranno i tempi per la redazione delle relazioni di servizio sociale da trasmettere ai Tribunali di Sorveglianza, ma anche le funzioni di aiuto e controllo dei sottoposti alle misure alternative sul territorio diventeranno impraticabili.

L’Amministrazione penitenziaria, involuta in questi ultimi anni a timido spettatore dello scenario politico e sociale non ha potuto, o non ha voluto, insistere validamente per un incremento di questi operatori ed ha sempre più subordinato la loro opera a logiche di contenimento e controllo più che di valorizzazione ed impulso delle diverse azioni che avrebbero potuto essere messe in rete e potenziate nell’ottica del reinserimento.

In quest’ottica non paiono convincenti nemmeno i due concorsi per “funzionario giuridico pedagogico” che hanno fatto assumere, dopo oltre 8 anni dall’espletamento del concorso circa 500 unità educative, poiché si sono inseriti operatori in un ruolo i cui contenuti venivano e vengono svuotati di sostanza.

Circuiti penitenziari, finanziamenti per la formazione, visibilità esterna, tutto è stato orientato verso l'enfasi del ruolo del personale di polizia e verso l'irrigidimento delle posizioni, la muscolarità di un’amministrazione ormai incapace di aprirsi al dialogo con i lavoratori e con la cittadinanza in modo dinamico e convincente.

Da anni, a parte le citazioni vuotamente retoriche della centralità della missione rieducativa, ovunque negli atti ufficiali e nelle concrete scelte amministrative e organizzative come di quelle programmatiche le figure trattamentali sono ridotte a comparse e confinate sullo sfondo di uno scenario in cui in prima linea vengono sempre più e sempre più spesso collocati i direttori di istituto e il personale di Polizia.

Questo personale di vertice, dunque, è chiamato, nei fatti, a sostituire ruoli e funzioni delle categorie professionali trattamentali, aggravando i propri oneri in un disegno organizzativo che vede sempre più numerosi i posti di vertice e sempre meno gli agenti e contribuendo a generare inopportune commistioni.

Eppure le stesse Regole Penitenziarie Europee, sottolineando che quello penitenziario è un servizio pubblico, precisano che “Gli istituti penitenziari devono essere posti sotto la responsabilità di autorità pubbliche ed essere separati dall’esercito, dalla polizia e dai servizi di indagine penale”.
Domani i tagli che verranno operati partendo dagli operatori più anziani di servizio e più esperti di dinamiche penitenziarie potranno solo subordinare maggiormente questi ruoli all’assetto custodialistico e caritatevole che si sta approntando, ma sicuramente non servirà né alla sicurezza sociale né ai cittadini avere un sistema dell’esecuzione penale sempre più orientato alla privatizzazione.

Vogliamo rappresentare questa realtà senza rabbia o inutili lamentele, perché non si pensi e non si abbia un carcere come luogo di abbandono o beauty farm ma come la Costituzione indica, come luogo in cui detenere e riassociare le persone alla società in dignità e salute quando hanno pagato il loro debito penale.

Milano, 5 novembre 2012

sabato 10 novembre 2012

Carcere e legge stabilita' : il grido d'allarme del personale penitenziario


di Mauro W. Giannini- www.osservatoriosullalegalita.org

A luglio 2012, la Corte dei diritti dell'uomo ha stabilito che lo Stato è responsabile per il suicidio di un detenuto che abbia mostrato problemi psicologici e tendenze suicide ove l'amministrazione non abbia messo in atto adeguate misure di prevenzione e controllo a seguito di segnalazione del servizio medico competente, violando conseguentemente l'articolo 2 (diritto alla vita) e l'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. E' una sentenza da ricordare oggi, nel momento in cui le scelte in materia di personale carcerario contenute nel Decreto Legge 95 del 6 luglio 2012, con la relativa legge di conversione ormai approvata, rischiano di peggiorare una situazione già preoccupante.



Proprio per denunciare tale situazione, i dirigenti penitenziari avevano scritto al ministro Paola Severino ed al Capo del Dap Luigi Tamburino per sottolineare che , produrrà un effetto devastante nel sistema penitenziario. l’ultima immissione in ruolo di direttori di istituto risale al 1997 e di direttori di Uepe risale al 1998 e che di contro, dal 2005 al 2012, sono stati immessi in ruolo n. 516 commissari di polizia penitenziaria, a cui è stato attribuito il compito di assicurare l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti, avvalendosi del corpo di polizia, composto, al 31 agosto 2012, da n. 37.127 poliziotti penitenziari. In conseguenza di queste scelte, ogni istituto ha in forza uno o addirittura più Commissari, ma neanche un Direttore titolare, per cui il potere di assumere decisioni importanti per la vita di tutto l’istituto e quindi di tutti i detenuti, oltre che degli altri operatori civili presenti (Educatori, Psicologi, Contabili, Amministrativi) viene demandato a professionalità che rappresentano e sono responsabili direttamente soltanto di uno dei compiti dell’istituzione.



I funzionari Giuridico-Pedagogici hanno invece appena predisposto una petizione per il Ministro della Giustizia per evidenziare, anche con dati numerici, la netta disparità che attualmente esiste nel sistema penitenziario tra controllo e trattamento. Per Paola Giannelli, Segretario Nazionale Società Italiana Psicologia Penitenziaria, si tratta di "aspetti entrambi necessari che, se fossero in equilibrio, potrebbero produrre: sicurezza per la comunità, riabilitazione per i detenuti. Viceversa, quando si parla dei problemi del carcere si riduce tutto a due punti: il sovraffollamento (problema drammaticamente reale) e la carenza del personale di Polizia Penitenziaria che non sembra essere così grave, o almeno, lo è molto meno rispetto a quella del personale del trattamento e di questa funzione che è in estinzione".



Nella lettera-petizione, i funzionari chiedono il rispetto "delle norme del nostro ordinamento che finalizzano il compito dell’Amministrazione Penitenziaria alla rieducazione del condannato attraverso un’azione tesa da un lato ad accertare “i bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, che sono state di pregiudizio all’instaurazione di una normale vita di relazione” (art 27 DPR 230/00), dall’altro alla RESPONSABILIZZAZIONE DEL DETENUTO/CONDANNATO, sia rispetto alla condotta che lo ha portato a delinquere, sia rispetto all’assunzione di impegni e comportamenti utili alla “tenuta” sul piano sociale in vista del suo ritorno allo stato libero".



La lettera al ministro Severino chiede quindi "di realizzare la coraggiosa scelta di “educare” l’opinione pubblica, trovando il coraggio di affermare che “certezza della pena” corrisponde a qualcosa di ben più complesso che alla semplice equazione punizione=sicurezza. A testimonianza di questo parlano i fatti. In poco più di trenta anni si è, di fatto, consumata la spinta ideale che aveva prodotto una riforma penitenziaria fra le più avanzate d’Europa. La riforma è datata 1975 e l’immissione dei primi operatori cosiddetti “del trattamento” all’interno degli istituti penitenziari e nell’area penale esterna (educatori e assistenti sociali) è avvenuta nel 1979. Con grande fatica e indicibile spirito di adattamento questi operatori hanno lavorato all’abbattimento delle barriere fra carcere e città, producendo un proliferare di iniziative di civiltà, con il contributo di enti locali, associazioni di volontariato, singoli cittadini, e dei molti operatori amministrativi e poliziotti penitenziari che hanno saputo cogliere l’elemento di progresso ed interesse professionale in una concezione della pena che avesse caratteristiche non solo di umanità ma anche strumento di ricostruzione del patto sociale infranto con il reato. Il clima interno così modificatosi ha permesso fra l’altro la drastica riduzione di situazioni di conflitto e violenza fino a quel momento all’ordine del giorno, relegando ad un passato che appariva remoto le rivolte dei detenuti, i sequestri degli agenti, i fatti di sangue fra gruppi rivali. Un risultato notevole – pertanto – proprio in termini di ordine e sicurezza".



Nel corso degli ultimi anni, ricordano i fnzionari Giuridico-Pedagogici, si è assistito invece "ad un nuovo trend ascendente di episodi gravemente conflittuali, sempre drammatici e talvolta sanguinosi, fra i detenuti e fra detenuti e operatori. Il caso Cucchi è diventato emblematico per la crudezza delle immagini e la determinazione dei parenti, ma a nostro avviso la quantità e la qualità delle morti in carcere, il numero crescente di episodi di autolesionismo, la povertà e la disperazione della gran parte della popolazione detenuta, testimoniano di una deriva culturale, morale e sociale di cui il caso Cucchi è la punta dell’iceberg. Sentiamo il dovere - afferma la lettera - di mettere in dubbio l’opinione diffusa secondo la quale il “problema” carcere, di cui oggi si sente parlare più che in passato, sia generato principalmente dal sovraffollamento e dalla carenza di personale di polizia penitenziaria. Il sovraffollamento è un problema serio e reale, che non può che diventare tragico se la vita quotidiana scorre all’interno della cella per oltre venti ore al giorno, dove persone di etnie, religione e cultura diverse condividono uno spazio irrisorio, in cui il divario economico fra detenuti pesa come un macigno e rende i più diseredati ostaggio dei più fortunati, in una dimensione relazionale di forte dipendenza da una autorità vaga e contraddittoria, che pensa e fa troppo spesso il contrario di quello che afferma. In quanto alla carenza di personale di polizia, l’esperienza di altri paesi europei ci dimostra che il rapporto numerico agente/detenuto in Italia è fra i più alti e che forse il problema è piuttosto di tipo culturale ed organizzativo. Ad ulteriore riprova di ciò, si segnala che in l’Italia, di contro, il rapporto numerico personale addetto al trattamento/detenuto è fra i più bassi: ed è proprio quel personale che viene considerato da questo Governo in esubero."



Anche 104 Psicologi Penitenziari operanti in vari istituti di pena avevano scritto al Guardasigilli chiedendo un intervento, ma non vi sono stati ad ora esiti concreti. Giannelli evidenzia che l'apporto della figura dello psicologo "è divenuto ormai virtuale: in media 5 ore al mese!" e pertanto "I detenuti per i quali non è possibile fare un approfondimento psicologico restano in carcere, alimentando il sovraffollamento".







venerdì 9 novembre 2012

Severino, dopo l'anticorruzione tocca a pene alternative



Clicca suIntervista a Il Messaggero

..... Che tempi prevede per consentire il lavoro esterno a tutti coloro che ne hanno i requisiti? E per l'approvazione del provvedimento della messa alla prova?
Abbiamo già in atto verifiche con il Dap affinchè si adottino tutte le iniziative per valorizzare gli UEPE e per quanto di competenza del Ministero della giustizia, quelle per il provvedimento del lavoro di pubblica utilità.....

09 Novembre 2012 - 09:02

(ASCA) - Roma, 9 nov - Dopo l'anticorruzione il prossimo obiettivo e' ''il completamento del pacchetto carceri avviato con il decreto salvacarceri . Ora intendiamo ultimarlo con il ddl sulle misure alternative attualmente all'esame della Camera''. Lo rende noto il ministro della Giustizia, Paola Severino in un'intervista a Il Messaggero.



Il provvedimento, spiega il Guardasigilli, ''riguarda l'introduzione di pene detentive non carcerarie, come la reclusione o gli arresti domiciliari, e dell'istituto della messa alla prova''. In particolare, la logica della messa alla prova e' quella di ''di prevedere, rispetto a delitti che non destano allarme sociale, puniti in astratto con pene sino a 4 anni, che l'imputato, su sua richiesta, possa essere sottoposto a una 'prova' consistente nella prestazione di un lavoro di pubblica utilita', in eventuali condotte riparatorie e in un programma di trattamento rieducativo''.



Una misura, afferma, che ''certamente'' consentirebbe di evitare il processo perche' la concessione della messa alla prova da parte del giudice ''comporterebbe la sospensione del procedimento sino al completamento della prova, previa interruzione della prescrizione. In caso di esito positivo, il reato verrebbe dichiarato estinto. In caso invece di revoca della prova, ad esempio per gravi trasgressioni durante il suo svolgimento o in caso di valutazione negativa della prova da parte del giudice - dice Severino - il procedimento riprenderebbe''.



In ogni caso, precisa il ministro, ''abbiamo voluto evitare qualunque automatismo. Sara' sempre il giudice che, sulla base di una valutazione positiva del programma di trattamento oltre che di una prognosi favorevole sulla pericolosita' dell'imputato, prendera' la sua motivata decisione''.



La "spending review" arriva nelle carceri, si va verso il taglio del 20% dei direttori

di Patrizio Gonnella- Italia Oggi, 8 novembre 2012


La spending review arriva in carcere e rischia di dare il colpo mortale a un sistema già al collasso. Il ministero della Giustizia mette mano alla dirigenza penitenziaria e ai fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli istituti penitenziari.

I tagli imposti dal Governo Monti al personale dirigenziale sono stati interpretati, pare, in modo da ridurre la presenza dei direttori e rafforzare le posizioni della polizia penitenziaria. Va ricordato che nelle carceri italiane il direttore non è un poliziotto, bensì è un impiegato pubblico, vincitore di apposito concorso riservato a laureati. Il direttore è posto gerarchicamente al di sopra rispetto a tutti gli altri operatori, compresi i poliziotti penitenziari. È stata questa una scelta organizzativa pensata per assicurare pieno rispetto dell’articolo 27 della Costituzione che assegna alla pena una funzione rieducativa.

La polizia penitenziaria deve quindi eseguire gli ordini del direttore. Approfittando della spending review, dalle bozze che girano in ambienti Dap, pare venga messo in discussione questo modello, e si punti su una organizzazione del lavoro che tenga conto della rappresentanza corposa in termini numerici e sindacale della polizia penitenziaria. Pare sia intenzione della Amministrazione penitenziaria tagliare del 20% le piante organiche dei direttori di carcere, lasciare vacanti le sedi carcerarie con meno di cento-centocinquanta detenuti affidandone la gestione ai commissari di polizia, i quali entro breve potrebbero a loro volta acquisire funzioni e competenze dirigenziali.

Per la prima volta dal dopoguerra le carceri sarebbero gestite non da personale civile ma da personale di Polizia. Una sorta di militarizzazione malvista da tutti gli altri operatori, ovvero educatori, medici, assistenti sociali, psicologi nonché gli stessi direttori. Sarebbero circa cento i direttori di carcere messi in mobilità esterna, molti dei quali divenuti dirigenti con la legge 154 del 2005 (cosiddetta legge Meduri).

Si tratta comunque di persone laureate e con esperienza di gestione degli istituti di pena. Il tutto accade mentre il sistema penitenziario è in forte sofferenza proprio per mancanza di personale qualificato. Già vi sono decine di carceri prive di direttore e che sono affidate di fatto ai comandanti di reparto, formati per gestire la sola sicurezza interna e non anche per occuparsi dei rapporti con il territorio o per far fronte alla parte manageriale più spiccatamente di bilancio e amministrativa. Ugualmente sarebbero tagliati un certo numero di dirigenti del servizio sociale. Va ricordato che da oltre vent’anni non viene espletato un concorso per assumere nuovi direttori di carcere o di servizio sociale.

Pare, inoltre, che verrebbe meno la direzione generale della esecuzione penale esterna, sostituita con una direzione generale della Polizia penitenziaria. È questa una decisione che non pare coerente con le indicazioni del capo dello Stato che più volte ha ribadito l’importanza strategica delle misure alternative alla detenzione per fronteggiare il sovraffollamento crescente.

Infine scomparirebbe la voce di bilancio della spesa per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei fabbricati. Si rischia in questo modo che il patrimonio edilizio - come ricordato da Alessandro Margara, già capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e oggi garante dei diritti dei detenuti in Toscana - vada verso il degrado più totale. Già interi reparti sono qua e là chiusi perché inagibili e i detenuti vengono ammassati nelle sezioni rimaste aperte.

martedì 6 novembre 2012

Alla Camera attesa in settimana conclusione iter ddl su pene detentive non carcerarie



Condividi Asca, 6 novembre 2012

In settimana l’Assemblea ha in programma l’esame del ddl 5019-bis e abbinati di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni sulla sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, dovranno innanzitutto essere discusse le questione pregiudiziale di costituzionalità e la pregiudiziale di merito che sono state presentate.
Il ddl è frutto dello stralcio dal testo originario 5019 del Governo delle disposizioni relative alla depenalizzazione che sono ora oggetto di un distinto provvedimento, cioè il 5019 ter. Lo stralcio è stato deciso dal Governo per non rallentare l’iter delle misure in grado di affrontare l’emergenza del sovraffollamento carcerario viste le divergenze tra i gruppi ancora esistenti sui criteri di depenalizzazione.

Il ddl 5019 bis in esame disciplina, con riguardo a reati puniti con sanzione detentiva fino a quattro anni, la possibilità di applicare la pena detentiva presso l’abitazione e di estinguere il reato in caso di esito positivo della messa alla prova dell’imputato con attività lavorativa di utilità sociale. Prevede inoltre la sospensione del procedimento nei confronti degli imputati irreperibili. La reclusione e l’arresto presso l’abitazione o altro luogo di privata dimora costituiscono due nuove pene detentive non carcerarie, che operano anche per fasce orarie o giorni della settimana, in misura non inferiore a quindici giorni e non superiore a quattro anni, nel caso di delitti puniti con la reclusione non superiore a quattro anni. Il giudice in questi casi dovrà prevedere particolari controlli, anche attraverso mezzi elettronici.

Messa alla prova, nessun automatismo

“Nessun automatismo”, ma sarà il giudice a decidere. È questo l’orientamento al quale la maggioranza ed il Governo stanno convergendo, riguardo al ddl sulla “messa alla prova” che stabilisce pene alternative al carcere per le condanne inferiori ai quattro anni. Oggi pomeriggio, secondo quanto si è appreso, c’è stato un incontro fra i due relatori del provvedimento, Donatella Ferranti (Pd) ed Enrico Costa (Pdl) con il Governo (il sottosegretario alla Giustizia Gullo) nel quale sono stati esaminati in via preliminare, come è prassi, gli emendamenti al testo che sono circa una trentina ed ai quali si aggiungono, sempre secondo quanto si è appreso, due pregiudiziali di costituzionalità avanzati dalla lega. La detenzione domiciliare dunque sarà la pena alternativa al carcere che il giudice potrà stabilire, di fronte ad una condanna definitiva, tenendo conto del soggetto che ha compiuto il reato, della tipologia dell’atto commesso, della recidiva fra gli altri elementi.

Nella maggioranza viene fatto notare che questo provvedimento consentirebbe di diminuire il numero di casi di recidiva, di evitare il contatto con il carcere e di ottenere anche dei risparmi per lo Stato, senza mai abbandonare il concetto di sicurezza. Gli elementi che nei giorni scorsi erano stati, di fatto, tutti sottolineati dal guardasigilli Paola Severino, conversando con i cronisti a Montecitorio