martedì 23 febbraio 2010
Giustizia: arresti domiciliari e messa alla prova per i reati lievi
di Matteo Bartocci
Le carceri scoppiano: 66.288 detenuti per 44mila posti. Dopo i "superpoteri" alla Bertolaso concessi al capo del Dap Ionta, il ministero della Giustizia pensa finalmente anche a una misura che svuoti almeno in parte le galere dalle persone che si possono considerare recuperate alla società.
Il ministro Alfano ha spedito una bozza di legge a tutti i capigruppo e, per conoscenza, anche alla radicale Rita Bernardini che su questo 19 giorni fa aveva iniziato uno sciopero della fame. "Il provvedimento - evidenzia Bernardini - segna un’importante inversione di tendenza della politica di carcerizzazione e mi auguro che porti un po’ di sollievo nel disumano mondo penitenziario".
Nel testo preparato a via Arenula si affacciano misure positive, come la concessione quasi automatica dei domiciliari ai detenuti che devono scontare l’ultimo anno di pena e l’allargamento della messa in prova nei processi per reati con pena inferiore a 3 anni. Secondo Alfano c’è già un accordo politico che consentirebbe una corsia preferenziale in parlamento in sede legislativa. Nella bozza ci sarebbero anche misure dubbie, come un giro di vite sulle misure alternative (che devono essere concesse solo per lavori socialmente utili o per la "riparazione" alle vittime) e l’aumento da 1 a 5 anni per il reato di evasione.
Più in dettaglio, i domiciliari andrebbero concessi anche ai recidivi e possono essere scontati nell’abitazione oppure in "altro luogo pubblico o privato di assistenza e cura", un’indicazione chiave per tossicodipendenti e stranieri senza dimora. Sono ovviamente esclusi delinquenti abituali e mafiosi. Con l’allargamento della messa in prova invece il processo per reati lievi può essere sospeso e poi annullato se l’imputato si "comporta bene" dopo lavori socialmente utili per massimo due anni.
"È una proposta che va nella direzione giusta - commenta Patrizio Gonnella di Antigone - purché alla fine sia veramente deflattiva e non venga bilanciata da paure e ripensamenti. Per esempio, includere la "riparazione" tra i requisiti per le misure alternative rischia di renderle più difficili e addirittura impossibili per i reati senza vittima come quelli legati al consumo di droghe o all’immigrazione". I condannati con fine pena entro un anno sono circa 10mila.
domenica 21 febbraio 2010
Ordine del giorno su assunzione assistenti sociali, educatori, psicologi di Donatella Ferranti e P
19 febbraio 2010
La Camera,
l'articolo 17-ter stabilisce che, per l'attuazione del cosiddetto «Piano carceri» si conferiscono pieni poteri al Commissario straordinario che, per individuare la localizzazione delle aree destinate alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie, d'intesa con il Presidente della regione territorialmente competente e sentiti i sindaci dei comuni interessati, potrà agire in deroga alla normativa urbanistica vigente, velocizzando procedure e semplificando le gare di appalto, utilizzando il modello adottato per il dopo terremoto a L'Aquila, derogando anche all'obbligo previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, volto a consentire agli interessati, proprietari delle aree che si intendono espropriare, la necessaria partecipazione al procedimento amministrativo;
la localizzazione costituisce di per sé variante e produce l'effetto di imporre il vincolo preordinato all'espropriazione e contro di essa non sarà possibile ricorrere al giudice amministrativo e si introduce anche una deroga al limite dei subappalti, che potranno aumentare dall'attuale 30 per cento fino al 50 per cento, in deroga all'articolo 118 del codice dei contratti pubblici; in sostanza, si affidano pieni poteri al Commissario straordinario, che potrà avvalersi anche del Dipartimento per la protezione civile per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzioni lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali, in deroga ai criteri di trasparenza e pubblicità e in palese contraddizione con la mozione Franceschini ed altri n. 1-00302 (approvata sostanzialmente all'unanimità alla Camera il 12 gennaio di quest'anno e accettata dal Governo) che impegnava chiaramente il Governo a garantire, nell'ambito dei progetti della nuova edilizia penitenziaria, i criteri di trasparenza delle procedure e l'economicità delle opere evitando il ricorso a procedure straordinarie, anche se legislativamente previste,
impegna il Governo
a verificare l'adeguatezza, in proporzione alla popolazione carceraria, delle piante organiche riferite non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, avviando un nuovo piano programmato di assunzioni che vada oltre il turn-over dovuto ai pensionamenti previsto dalla legge finanziaria per il 2010 e che garantisca le risorse umane e professionali necessarie all'attivazione delle nuove strutture penitenziarie, anche distribuendo meglio il personale sul territorio, concentrandolo nei compiti di istituto, sottraendolo ai servizi estranei, consentendogli un adeguato, costante ed effettivo aggiornamento professionale. 9/3196/13.- Donatella Ferranti.
Assistenti Sociali e Precarietà
Assistenti sociali, con crisi più precari e meno servizi
http://www.okkupati.rai.it/news_lettura,4818.htmlAssistenti sociali, con crisi più precari e meno servizi Franca Dente (Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali): “ La crisi ha comportato tagli agli enti locali e riduzione del personale. Non potendo fare pubblici concorsi gli enti locali hanno attivato contratti co.co.co o a progetto. La precarietà si è aggravata e, di fatto, impedisce di mantenere il livello dei servizi, ricadendo addosso ai cittadini”.
Una professione trasversale a enti locali, ministeri, sanità, privato sociale, legata agli interventi di aiuto e ai servizi alla persona. E’ quella dell’assistente sociale, esercitata da 36 mila professionisti che, in tutta Italia, sono chiamati a intervenire nelle situazioni di disagio o nei percorsi di rispetto dei diritti, soprattutto dei più deboli. Ma anche questo settore così delicato ha dovuto fare i conti con la crisi economica. “La crisi ha comportato tagli agli enti locali -dice a LABITALIA Franca Dente, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali- e riduzione del personale. Non potendo fare pubblici concorsi, infatti, gli enti locali hanno attivato contratti co.co.co o a progetto. Insomma -denuncia la presidente- la precarietà si è aggravata e, di fatto, impedisce di mantenere il livello dei servizi, ricadendo addosso ai cittadini”.
“I servizi sociali -aggiunge Dente- vengono meno al cittadino che si trova sempre più spesso in una condizione di povertà, di crisi, anche di relazione,di identità, di autorealizzazione. In una parola: si trova sempre di più solo, perché non ha nessuno che lo ascolta e lo aiuta”. Insomma, in un momento in cui si acuisce il bisogno di servizi alle persone, ci sono meno professionisti che possono affiancare. Ma il problema del precariato (per Dente, “11% nel settore non profit e non quantificabile negli enti locali”) ha anche un altro risvolto. “Non si può pensare -sottolinea la presidente- che una persona che stabilisce un rapporto di fiducia con l’utente, poi, cambi dopo 4-5 mesi e tutto ricominci da capo. La continuità in un rapporto di aiuto è fondamentale: per questo, non ci sta bene la precarietà, non solo per di tutelare i nostri iscritti, ma anche e soprattutto gli utenti dei servizi sociali”.
Franca Dente dice che “è già difficile far comprendere la gravità della situazione”. “Qualunque governo che si è succeduto negli anni -ricorda- non ha investito nel sociale e ora ci troviamo con questi problemi. Dai dati Istat diffusi ad agosto 2009, sappiamo che la spesa sociale si riduce sempre di più nelle regioni, dove si va da un minimo di 25 euro pro capite all’anno della Calabria a un massimo di 360 della Val d’Aosta, passando dai 151 euro dell’Emilia Romagna; insomma, c’è un divario tra le regioni enorme. Bisogna trovare dei correttivi per riequilibrare tutto questo -auspica Dente- e si doveva già fare nel 2000, quando è stata varata la legge Turco”. La legge 328 introdusse, infatti, sia per la sanità sia per i servizi sociali, i ‘Livelli essenziali di assistenza’ (Lea), parametri al di sotto dei quali non si poteva andare. “Bisognava focalizzare i Lea dei servizi sociali -avverte Dente- perché questo invece avrebbe riequilibrato la situazione. Invece -nota amareggiata la presidente- la frattura all’interno dei territori si è addirittura aggravata”. Con la legge sul federalismo, la questione è stata ripresa, ma, aggiunge Dente, “si individuano non i Lea, ma gli standard di costo, che sono una cosa molto diversa”.
Dal Consiglio nazionale dell’Ordine sono venute anche critiche ad alcune scelte come i voucher o la social card. “Sono soldi tolti al Fondo per le politiche sociali -attacca Dente- e sono scelte che riportano alla vecchia logica dei buoni pasto e delle tessere di povertà che etichettavano le persone con problemi di reddito”. “Le politiche sociali sono in una sorta di black out -commenta Dente- e, dunque, crescono le difficoltà delle persone. E la mancata applicazione delle tariffe porta i colleghi ad avere contratti con un onorario assolutamente squalificante, a volte a meno 10 euro l’ora per professionisti con una laureati di base triennale, e spesso con una laurea magistrale di altri due o addirittura dottorati di ricerca”. Un altro problema per questa professione, secondo il Consiglio nazionale dell’Ordine, è sorto sul piano operativo. “Il fatto è -spiega la presidente- che ci troviamo ad affrontare spesso persone in difficoltà, anche immigrate e la legge attuale sulla sicurezza ci pone in una brutta condizione. Molti colleghi lavorano in enti pubblici e dunque sono incaricati di pubblico servizio e della funzione di pubblico ufficiale. Ma, in virtù di questa legge, sono tenuti non ad aiutare, ma a denunciare il clandestino, perché la clandestinità è diventata reato”.
Una “contraddizione di fondo -denuncia la presidente- che mette in crisi la nostra deontologia e la nostra operatività perché non ci mette più nella condizione di lavorare nella direzione dell’aiuto, ma in quella della denuncia”. “Su questo -conclude Dente- abbiamo fatto tanti interventi, richieste al governo e anche un’interpellanza al ministero dell’Interno, per la quale ora aspettiamo una interpretazione autentica. La nostra professione nasce da un mandato costituzionale, perché l’articolo 38 dice che c’è un diritto all’assistenza e, in base a questo, noi non possiamo negare a chicchessia il nostro aiuto”. Minori, anziani, stranieri, disabili, ma anche famiglie e immigrati. L'assistente sociale è una figura fondamentale per la tutela delle categorie più deboli e la si trova negli ospedali, nelle Asl, nelle scuole, nei Comuni e in molte delle organizzazioni del cosiddetto 'privato sociale' (onlus, cooperative sociali, associazioni di volontariato).
Per svolgere la professione di assistente sociale, si deve conseguire una laurea triennale in Servizio sociale e superare un esame di Stato. Dopo la triennale, c'è la possibilità di proseguire gli studi con la laurea specialistica (due anni), i master di primo e secondo livello e i dottorati di ricerca. L'assistente sociale è una professione ordinistica: l'Ordine degli assistenti sociali è stato istituito con la legge 23 marzo 1993 n. 84. La stessa legge ha sancito l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale per poter svolgere la professione di assistente sociale sia in regime di lavoro autonomo, sia in regime di lavoro dipendente. L'Ordine degli assistenti sociali è articolato su base territoriale ed è pertanto costituito da 20 Ordini regionali e dal Consiglio nazionale. Gli Ordini regionali, dotati ciascuno di un proprio Consiglio, curano la tenuta dell'albo, provvedendo alle iscrizioni e alle cancellazioni dei professionisti ed effettuandone la periodica revisione; spetta loro anche la funzione disciplinare.
Il Consiglio nazionale è tenuto alla promozione e al coordinamento delle attività degli Ordini regionali dirette alla tutela della dignità e del prestigio della professione, esprimendo anche pareri su questioni di carattere generale che interessano la professione stessa. Decide, inoltre, i ricorsi avverso le deliberazioni dei Consigli degli Ordini regionali in materia elettorale e disciplinare o riguardo l'iscrizione e la cancellazione dall'albo.
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SCIOPERO DELLA FAME ASSISTENTI SOCIALI [HQ]- LA PRECARIETA' DEGLI OPERATORI SOCIALI E' ALLA BASE DI UNO STATO SOCIALE ASSENTE
venerdì 19 febbraio 2010
Senato approva mozioni e odg su emergenza carceri
Via libera del Senato alle mozioni e agli ordini del giorno sull’emergenza carceri. "Le due approvazioni della mozione presentata da 90 senatori, in gran parte del Pd, e dell’ordine del giorno rappresentano un risultato importante nell’attuazione di politiche serie e lungimiranti tese alla soluzione dell’allarmante situazione carceraria italiana", commenta soddisfatta la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro in merito alle approvazioni.
"L’impegno che il Senato ha oggi dettato al governo attraverso queste approvazioni risiede anche - spiega - nella possibilità di risolvere quella che viene comunemente definita "emergenza carceri" senza ricorrere a deroghe o a "norme emergenziali", bensì attraverso tutte le opportunità offerte dalla nostra legislazione che si ispira alla Costituzione e che prevede la pena certa ma anche una rieducazione certa.
E quindi, riforma della legge Gozzini, miglioramento della struttura giudiziaria, miglioramento e impegno di spesa prioritario per riutilizzo e riadattamento delle strutture carcerarie già esistenti, istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti e coordinamento di quelli regionali, creazione di istituti a custodia attenuata per tossicodipendenti, esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini, piena attuazione della riforma sanitaria penitenziaria, adeguamento degli organici della magistratura di sorveglianza, del personale penitenziario e amministrativo, dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi".
giovedì 18 febbraio 2010
Lettera Ordine Nazionale Assistenti Sociali
Prot. n. 359/2010
Al Sig. Ministro della Giustizia
On. Avv. Angelino Alfano
Al Sottosegretario per la Giustizia
Sen. Elisabetta Alberti Casellati
Al Sottosegretario per la Giustizia
Sen. Giacomo Caliendo
Al Capo Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Presidente Franco Ionta
Al Capo Dipartimento
Giustizia Minorile
Dott. Bruno Brattoli
Al Direttore Generale
Direzione esecuzione penale esterna
Dott. Riccardo Turrini Vita
Al Direttore Generale
del Personale e della Formazione
Dott. Massimo De Pascalis
CISL
CGIL
UIL
CONF.SAL – UNSA
FLP
LORO SEDI
OGGETTO: Ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale Integrativo del personale non dirigenziale del Ministero della Giustizia.
L’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali, preso atto delle ipotesi di Contratto Collettivo Integrativo sottoscritto dalla parte pubblica e da due sigle sindacali (CISL e CONF.SAL-UNSA) per il personale dell’Amministrazione Penitenziaria, dalla parte pubblica e da tre sigle sindacali (CISL, UIL e CONF.SAL-UNSA) per il personale dell’Amministrazione della Giustizia Minorile, esprime viva preoccupazione per il processo di banalizzazione e di azzeramento della specificità professionale dell’Assistente Sociale che si evince in maniera inequivocabile dall’esame dei suddetti documenti.
Il Servizio Sociale, che è stato ed è impegnato in prima fila sui temi della giustizia, costituisce un baluardo innegabilmente valido rispetto al dilagante disagio sociale ed alla necessità di mettere in atto adeguati interventi di prevenzione della devianza e recupero di quei soggetti, minori e adulti, che sono entrati nel circuito penale.
Numerosi sono i punti che evincono la scarsa considerazione per la specificità del percorso formativo e professionale dell’Assistente Sociale.
In particolare, si denuncia la mancanza della specificazione che sia la figura dell’Assistente Sociale l'unica titolata per la Direzione degli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni e per gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna.
Altra grave dimenticanza, che viola i principi normativi che regolamentano l’esercizio della professione dell’Assistente Sociale, riguarda la non previsione tra i requisiti per l’accesso dall’esterno e dall’interno dell’obbligatorietà dell’iscrizione all’Albo Professionale. Inoltre, si evidenzia una confusività nella elencazione dei titoli di studio riguardanti la Professione e la mancanza dei titoli di Laurea triennale, o Diploma di laurea (vecchio ordinamento) in Scienze del Servizio Sociale nonché la Laurea Specia listica in Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali nonché la Laurea Magistrale in Servizio Sociale e Politiche Sociali tra i requisiti per l’accesso ad alcuni profili professionali, come, ad esempio, “Funzionario dell’Organizzazione”.
Pertanto, si chiede una immediata ri-considerazione delle ipotesi formulate di cui all’oggetto e, contestualmente, un urgente incontro con le SS.LL.
In attesa di sollecito riscontro, si inviano i più cordiali saluti.
La Presidente
mercoledì 10 febbraio 2010
La prossima settimana,si discutera' la mozione sul sistema penitenziario nell'assemblea del senato.
Martedì 16 Febbraio (16,30-20)
Mercoledì 17 Febbraio (9,30-13) (16,30-20)
Giovedì 18 Febbraio (9,30-14)
Mozione n. 227, Di Giovan Paolo ed altri, sulla situazione carceraria:
DI GIOVAN PAOLO , VITA , NEROZZI , SERRA , MUSI , BIONDELLI , GRANAIOLA , DELLA MONICA , BONINO , MERCATALI , MAGISTRELLI , MAZZUCONI , GARAVAGLIA Mariapia , FONTANA , DONAGGIO , SIRCANA , CARLONI , MARINARO , INCOSTANTE , GHEDINI , BUBBICO , PEGORER , TOMASELLI , NEGRI , COSENTINO , LEDDI , MARCENARO , GARRAFFA , ADRAGNA , FRANCO Vittoria , TONINI , RANDAZZO , PERTOLDI , SANGALLI , BERTUZZI , RANUCCI , BAIO , CHIURAZZI , ROSSI Paolo , BOSONE , CERUTI , TREU , GIARETTA , CECCANTI , SOLIANI , PIGNEDOLI , FOLLINI , STRADIOTTO , CHIAROMONTE , SANNA , VIMERCATI , FIORONI , FERRANTE , SERAFINI Anna Maria , CASSON , SCANU , MARINO Ignazio , MARINO Mauro Maria , BLAZINA , ROILO , FILIPPI Marco , GALPERTI , MOLINARI , ASTORE , MARITATI , SBARBATI , SANTINI , PORETTI , BASTICO , VITALI , PASSONI , DEL VECCHIO , DELLA SETA , AMATI , CHITI
Il Senato,
premesso che:
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che ad oggi supera le 65.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e «tollerabile» di 64.111, produce un sovraffollamento insostenibile delle strutture penitenziarie italiane, che colpisce detenuti e carcerati come i servitori dello Stato che lealmente e con grande spirito di abnegazione vi prestano servizio;
il tasso di crescita dei detenuti è di poco inferiore alle 800 unità al mese, sicché si prevede che a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100.000 nel giugno 2012). In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia-Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento, in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia è intorno al 160 per cento;
tutto questo accade mentre i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione che li rende non più aderenti al dettato costituzionale e all'ordinamento penitenziario; e ciò ha generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato all'ordine a più riprese dal Consiglio d'Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato dal commissario Gil-Robles già nel 2005, il quale sottolineava proprio la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano;
da un recente studio del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta infatti che, degli oltre 65.000 detenuti presenti nelle carceri italiane, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento verrà assolto all'esito del processo; un dato abnorme, un'anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Paesi europei; in pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose;
sulla base delle statistiche e di alcuni studi dell'amministrazione penitenziaria, la metà degli imputati che lascia il carcere vi è rimasto non più di dieci giorni, mentre circa il 35 per cento esce dopo appena 48 ore; questo pesante turn-over non fa altro che alimentare l'intasamento, il sovraffollamento ed il blocco dell'intero sistema penitenziario, dissipando energie nonché risorse umane ed economiche;
quasi il 40 per cento dei 65.000 carcerati si trova recluso in cella per aver violato il testo unico sulle droghe; mentre il 27 per cento della popolazione detenuta è tossicodipendente. Secondo il sesto rapporto sulle carceri redatto dall'associazione Antigone, il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano dalle carceri italiane (26.646 nel 2006, 24.371 nel 2007, solo per fare un esempio) è decisamente superiore a quello di coloro che transitano dalle comunità terapeutiche (17.042 nel 2006, 16.433 nel 2007), il che dimostra come l'approccio terapeutico per questo tipo di detenuti sia stato concretamente dismesso. Al sistema penitenziario viene dunque affidata la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, e questo è un problema sociale e politico assieme, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti;
al 10 novembre 2009, i detenuti stranieri reclusi negli istituti di pena risultavano essere 24.190 (pari a circa il 37 per cento del totale); gli stranieri ristretti nei nostri istituti di pena sono, nella maggioranza dei casi, esclusi dall'accesso ai benefici penitenziari per la carenza di supporti esterni (famiglia, lavoro e altro) ed il loro reinserimento sociale appare sempre più problematico a causa della condizioni di irregolarità che li riguarda;
tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 64,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò accade nonostante le statistiche abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28 per cento), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati, aumentando la sicurezza sociale;
solo un detenuto su quattro ha la possibilità di svolgere un lavoro, spesso peraltro a stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto che altrimenti non avrebbe questa opportunità; mentre la percentuale delle persone recluse impegnate in corsi professionali è davvero irrisoria e non arriva al 10 per cento. Circa l'85 per cento dei lavoranti è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto; il restante 15 per cento è costituito per la maggior parte da semiliberi che svolgono attività lavorativa in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Nella stragrande maggioranza dei casi, l'impossibilità di avviare i detenuti a programmi di lavoro è dovuta all'insufficienza degli educatori presenti in carcere, cioè di coloro che sono chiamati a stilare le relazioni a sostegno della concessione del lavoro esterno;
attualmente nelle carceri poco meno di 650 persone sono sottoposte al cosiddetto «carcere duro», ossia a quel regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario che è stato sensibilmente inasprito con l'approvazione della recente legge n. 94 del 2009, la quale ha definitivamente reso la detenzione speciale una modalità ordinaria e stabile di esecuzione della pena; ciò, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, al di là di ogni opinione di merito sui diritti umani, pone evidenti problemi di organizzazione e compatibilità comunque da prendere in seria considerazione (si pensi all’onere di lavoro per esempio per i magistrati di sorveglianza del Lazio);
a causa del sovraffollamento, un numero sempre maggiore di detenuti è costretto a scontare la condanna all'interno di istituti di pena situati a notevole distanza dalla propria regione di residenza, il che, oltre a contrastare con il principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, non consente di esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue della persona reclusa con i propri familiari e con i servizi territoriali della regione di residenza; senza considerare gli ingenti ed elevati costi, in termini sia economici che umani, che le continue e lunghe traduzioni dei detenuti, dal luogo di esecuzione della detenzione al luogo di celebrazione del processo, comportano per i bilanci dell'amministrazione penitenziaria;
da un recente rapporto sullo stato della sanità all'interno degli istituti di pena esaminato nell'ambito dell'attività conoscitiva avviata dalle Commissioni riunite 2a (Giustizia) e 12a (Igiene e sanità) del Senato risulta che appena il 20 per cento dei detenuti risulta sano, mentre il 38 per cento di essi si trova in condizione di salute mediocri, il 37 per cento in condizioni scadenti ed il 4 per cento in condizioni gravi e con alto indice di co-morbosità, vale a dire più criticità ed handicap in uno stesso paziente. Solo per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse, ben il 27 per cento dei detenuti è tossicodipendente (2.159 di loro sono in terapia metadonica), il 15 per cento ha problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e di altri disturbi psichiatrici, il 13 per cento soffre di malattie osteo-articolari ed il 10 per cento di malattie al fegato; oltre al fatto che la stessa tossicodipendenza è spesso associata ad AIDS (circa il 2 per cento dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali;
a fronte di una morbosità così elevata, la medicina penitenziaria continua a scontare un'evidente insufficienza di risorse, di strumenti e di mezzi, il che svilisce i servizi e la professionalità degli operatori sanitari, oltre ovviamente a pregiudicare le attività di trattamento, cura e assistenza degli stessi detenuti. L'attuale situazione di sofferenza in cui versa la medicina penitenziaria è anche dovuta al fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», non risulta essere stato ancora attuato nella parte in cui stabilisce il trasferimento alle Regioni delle risorse finanziarie relative all'ultimo trimestre dell'anno 2008 (per una somma pari ad 84 milioni di euro) e a tutto il 2009, il che non consente di attuare una seria e radicale riorganizzazione del servizio sanitario all'interno degli istituti di pena;
nonostante il passaggio delle competenze al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, non risultano ancora essere stati definiti modelli operativi adeguati all'assistenza in carcere, ciò a causa del fatto che le stesse Regioni sono ben lungi dall'essere attrezzate in modo da poter fornire i servizi medici nei penitenziari, così come, peraltro, ancora ambigua risulta la gestione dei relativi contratti di lavoro e ruoli professionali;
negli istituti di pena italiani sono rinchiusi 71 bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le madri detenute, il che continua ad accadere nonostante risulti ampiamente dimostrato quanto lo stato di reclusione prolungato possa esporre questi soggetti a seri rischi per la loro salute;
le piante organiche della Polizia penitenziaria, stabilite con decreto ministeriale dell'8 febbraio 2001, prevedono l'impiego di 41.268 unità negli istituti di pena per adulti; al 20 settembre 2009 nelle carceri italiane risultavano in forza 35.343 persone, con uno scoperto di 5.925 unità (circa il 14 per cento); per il personale amministrativo è previsto un organico di 9.486 unità, mentre i posti coperti risultano essere 6.300, con uno scarto di 3.186 persone. Complessivamente, quindi, nell'amministrazione penitenziaria il personale mancante è pari a 8.882 unità;
anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il Ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'amministrazione penitenziaria, pur in presenza di tutte le risorse economiche, non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ad un sistema di frammentarie collaborazioni precarie e insufficienti;
l'alto numero dei suicidi in carcere registrato nel 2009 dipende anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte a regimi carcerari più restrittivi rispetto a quello ordinario;
i fondi della Cassa delle ammende, con i quali lo Stato dovrebbe investire in progetti educativi e/o di reinserimento sociale dei detenuti, non vengono utilizzati o vengono destinati ad altre finalità, il che continua ad accadere nonostante il sostegno economico-finanziario delle iniziative volte al reinserimento sociale e alla riabilitazione dei detenuti, insieme all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, costituisca lo strumento più significativo di contrasto alla recidiva e quindi di tutela e sicurezza dei cittadini. Ed invero la bassa percentuale di detenuti che lavorano, unita alla cronica esiguità delle risorse finanziarie destinate al loro reinserimento sociale, comporta un alto tasso di recidiva, come dimostrato dalle più recenti evidenze statistiche sopra richiamate;
alcuni dei più rilevanti interventi legislativi adottati in questi ultimi anni - a partire dalla legge n. 251 del 2005 (cosiddetta legge «ex Cirielli») - hanno introdotto forti limitazioni all'applicazione dei vari benefici «extramurari» ai recidivi, i quali costituiscono la maggior parte degli attuali detenuti: si pensi all'aumento della popolazione carceraria a seguito delle introdotte limitazioni per i recidivi specifici o infraquinquennali reiterati per quanto riguarda i permessi premio, la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova al servizio sociale, posto che gli stessi non possono più usufruire della sospensione dell'esecuzione della pena ex articolo 656, comma 5, del codice di procedura penale, ciò a seguito dell'inserimento di una nuova lettera c) al comma 9 del predetto articolo;
occorre dunque riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che - soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi - ha finito per imprimere il colpo «mortale» alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario generalizzare l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
è pertanto necessaria ed urgente un'azione riformatrice che parta da una comune riflessione che favorisca la reale attuazione del principio costituzionale di cui all'articolo 27, comma terzo, della Costituzione; dette riforme devono procedere nel senso di garantire al detenuto il rispetto delle norme sul «trattamento» all'interno delle carceri e sull'accesso alle misure alternative, cercando di risolvere non solo il problema del sovraffollamento delle carceri ma anche tutti i problemi del mondo giudiziario che ruotano intorno ad esso,
impegna il Governo ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire un reale ed efficace rispetto del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento e su un piano di reciproca parità con i garanti regionali dei detenuti o altre autorità locali e con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi che non possono essere tutti occupati in via giudiziaria;
d) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini» (legge n. 663 del 1986), da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario;
e) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione della pena relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
f) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva;
g) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
h) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali all'interno della regione di residenza;
i) la revisione del sistema di sospensione della pena al momento della definitività della sentenza di condanna, abolendo i meccanismi di preclusione per i recidivi specifici e infraquinquennali reiterati nonché per coloro che rientrano nell'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario; introducendo, nel contempo, termini perentori entro i quali i tribunali di sorveglianza devono decidere sulla misura alternativa richiesta;
l) l'abolizione del meccanismo delle preclusioni di cui all'articolo 4-bis della citata legge n. 354 del 1975 con recupero da parte della magistratura di sorveglianza e degli organi istituzionalmente competenti del potere di valutare i singoli percorsi rieducativi in base alla personalità del condannato, alla sua pericolosità sociale e a tutti gli altri parametri normativamente previsti;
m) la radicale modifica dell'articolo 41-bis della citata legge n. 354 del 1975, in modo da rendere il cosiddetto «carcere duro» conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente;
n) l'adeguamento degli organici della magistratura di sorveglianza, del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
o) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
p) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato, e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
q) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
r) la limitazione dell'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque l'adozione degli opportuni provvedimenti legislativi volti ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;
s) la possibilità per i detenuti e gli internati di coltivare i propri rapporti affettivi anche all'interno del carcere, consentendo loro di incontrare le persone autorizzate ai colloqui in locali adibiti o realizzati a tale scopo;
t) l'istituzione di un'anagrafe digitale pubblica delle carceri in modo da rendere la gestione degli istituti di pena trasparente al pubblico;
u) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, come previsto dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
v) la modifica del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in particolare prevedendo che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente destinata ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993.
venerdì 5 febbraio 2010
FPCGIL: AI LAVORATORI PENITENZIARI FACCIAMOCI SENTIRE
Per quanto riguarda il contesto penitenziario quotidianamente verifichiamo l'entità dei danni che tali interventi stanno comportando sul versante organizzativo e su quello più ampio della politica e della cultura penitenziaria.
Sono interventi di impatto mediatico che sembrano nascere sull'onda dell'emotività causata da un particolare evento critico. Interventi che, a nostro parere, non solo eludono i principi ascritti nell'art. 27 della costituzione cui si ispira il mandato istituzionale del sistema, ma sono carenti di quella progettualità organica propedeutica e necessaria alla individuazione ed alla implementazione di iniziative che tengono conto di tutte le componenti che caratterizzano il settore. Rileviamo ad esempio che:
* All'incremento della popolazione detenuta si risponde con l'oramai famoso "piano carceri" che dovrebbe far fronte al dichiarato stato di "emergenza" prevedendo la costruzione di nuove strutture, interventi legislativi in materia di esecuzione penale e incremento del personale di polizia penitenziaria. * All'aumento dei suicidi dei detenuti si risponde con l'istituzione dei "gruppi di ascolto" costituiti da personale di polizia penitenziaria che si sostituiranno "improvvisandosi" alle professionalità competenti ( psicologi) per svolgere un compito cui istituzionalmente non sono demandati. Una grave e aberrante iniziativa che evidenzia la non conoscenza del contesto e delle problematiche ad esso afferenti e che dequalifica le professionalità deputate a tale specifico intervento. E inoltre:
* si riducono le dotazioni organiche di tutte le professionalità ( educatori, assistenti sociali, contabili, collaboratori e tecnici) comportando ai lavoratori forti disagi operativi per l'aggravio dei carichi di lavoro e difficoltà nell'espletamento dei compiti istituzionali.
A poco valgono le assunzioni dei 397 educatori vincitori del concorso pubblico indetto nel 2003 previste con fondi stanziati dal precedente governo !
* L'indiscriminato taglio alle risorse impedisce il necessario incremento di personale bloccandone il turn over; impedisce l'incremento di quelle professionalità peculiari all'implementazione delle norme riguardanti l'esecuzione penale alle quali, tra l'altro, il "piano carceri" sta apportando modifiche: le ultime assunzioni degli assistenti sociali risalgono ad oltre dieci anni e gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna rischiano il collasso istituzionale per carenza di mezzi e risorse. * In ultimo l'accordo stralcio del contratto integrativo che sancisce il nuovo ordinamento professionale, un accordo che non abbiamo siglato e che vanifica totalmente le aspettative di tutti i lavoratori mirate alla valorizzazione delle professionalità che oggi, risultano ulteriormente mortificate. Questi in sintesi i motivi per i quali riteniamo valga la pena far sentire il nostro disappunto. Questi i motivi che integrati a quelli dei lavoratori giudiziari evidenziano quanto sia pericolosa la deriva intrapresa dall'intero sistema Giustizia alla quale è necessario porre freno per evitare il punto di non ritorno in termini di diritti , garanzie e legittimità.
Per questi motivi i lavoratori penitenziari Fp Cgil sosterranno la protesta dei colleghi giudiziari partecipando alle assemblee cittadine indette nelle diverse città, manifestando in questo modo una solidarietà attiva e concreta.
Un modo per dar voce al proprio dissenso, per partecipare la condivisione degli obiettivi della protesta , per rappresentare l'unitarietà dei lavoratori della giustizia nella opposizione allo smantellamento della democrazia.
La coordinatrice Nazionale Penitenziari - C. Ministeri
Lina Lamonica
Regolamento sulla formazione continua degli assistenti sociali e degli assistenti sociali specialisti
FPCGIL: Emergenza carceri: il Ministro Alfano ed il "suo" piano carceri.