L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

mercoledì 26 maggio 2010

CONFSAL UNSA GIUSTIZIA SCRIVE AI VERTICI DAP SUL LAVORO DEGLI ASSISTENTI SOCIALI

Modalità di lavoro degli assistenti sociali – riferimento circolare n. 148384 del 07/04/2010 Apertura di un dibattito
Nella lettera indicata in oggetto, codesto dipartimento, in conformità con l’atto di indirizzo del Ministro della Giustizia del 19 settembre 2009, entra nel merito della “migliore gestione delle misure alternative alla detenzione carceraria”, emanando istruzioni operative che dovrebbero essere poste a sistema.
La circolare premette che “il numero di affidati oggi è maggiore, ma resta compatibile con l’applicazione della direttiva citata” e in particolare “non è ulteriormente ammissibile” l’abbandono di uno strumento tecnico sociale definibile di “prossimità frequente”, pena l’impoverimento che ne risulterebbe, tale da inficiare non solo i momenti di verifica ma anche la diretta conoscenza delle condizioni di vita della persona presa in carico e del loro mutamento.
Da questa premessa, che tratteggia giudizi limitativi e perentori sul lavoro degli assistenti sociali, codesto Dipartimento conclude sottolineando la “rarefazione delle funzioni di controllo e di verifica”. Pertanto, con tono altrettanto dirigista, dispone il contenimento del lavoro applicato alle riunioni interne, tra servizi e persino il lavoro in équipe a favore degli incontri con l’utenza (performance diretta verso l’utenza, si potrebbe dire).
Si ritiene che tale circolare sia generica e riduttiva rispetto alla portata del lavoro degli assistenti sociali inerente la rieducazione ed il reinserimento sociale delle persone sottoposte a provvedimenti penali.
Nulla quaestio ovviamente in merito alla corretta gestione delle misure alternative e neppure relativamente all’importanza della conoscenza del contesto e dell’incontro con l’utenza.
Tuttavia incentrare, e significare, la portata dell’intervento dell’assistente sociale in termini di prevalente funzione di controllo e di verifica appare, di certo, semplicistico e riduttivo.
Il controllo esterno, si ricorda, per essere efficace necessita di essere correlato all’interiorizzazione per far parte del funzionamento mentale della persona. Il meccanismo stesso di acquisizione del valore morale, le dottrine insegnano, diventa acquisito quando da eterodiretto muta in autodiretto: tale processo è legato alla cooperazione e, più in generale, ad un processo educativo-sociale.
Ora, focalizzare l’attenzione sulla quantificazione e non sulla qualità del rapporto, il richiamare un intervento di sistema incentrato sull’aspetto strettamente nomotetico versus quello idiografico sembra, per chi scrive, il risultato di un meccanismo di spostamento, che denota una dose di ingerenza nell’autonomia professionale degli assistenti sociali, riconosciuta ex lege.
Aprire, di contro, un ampio dibattito sul trattamento in termini di percorso penale, di organizzazione degli Uffici, di risorse umane e finanziarie, alla luce di una consolidata professionalità degli assistenti, appare il viatico da percorrere.
Tenuto conto delle predette considerazioni e della situazione di emergenza che attraversa il servizio sociale e la situazione carceraria in generale (leggasi aumento esponenziale dell’utenza, carenza risorse umane e materiali, che ha portato alla proclamazione dello stato di agitazione del personale in numerosi Uffici EPE), la scrivente Organizzazione Sindacale ritiene improcrastinabile la convocazione di un tavolo nazionale per affrontare le suddette criticità.
Considerata l’urgenza delle questioni poste, in attesa di urgente riscontro, si porgono distinti saluti.

Contro il sovraffollamento penitenziario bisogna ritrovare il coraggio di credere che un’alternativa al carcere esiste

Un Contributo al Dibattito sul DDL Alfano e sul Problema del Sovraffollamento del Carcere

Le riflessioni di alcuni operatori dell’U.E.P.E. di Venezia


Dovendo affrontare il tema in discussione e cioè il sovraffollamento delle carceri italiane, riteniamo necessario fare un passo indietro per rendere l'idea di come gli operatori dell'area del trattamento stanno vivendo l'involuzione del sistema penitenziario.

Si deve tornare al famoso indulto del 2006, criticato a posteriori da molte parti, ma ritenuto allora assolutamente necessario a fronte di condizioni di sovraffollamento inferiori alle attuali.

Noi operatori penitenziari dopo quell'evento, che è stato indicato come ultimo provvedimento clemenziale possibile, ci aspettavamo a breve grandi cambiamenti nel sistema della giustizia.

Consideriamo solo tre fatti :

· Da tempo stava lavorando l'ennesima commissione per la riforma del nostro vecchio Codice Penale, che doveva ridisegnare ed aggiornare il nostro principale sistema sanzionatorio.

· Esisteva un disegno di legge per l'applicazione della messa alla prova, anche agli adulti , purchè condannati a pene inferiori ai due anni.

· Sin dal congresso ONU di Vienna del 2000, l'Italia si era impegnata ad introdurre nel nostro sistema penale strumenti e metodi della giustizia riparativa fra i quali la mediazione penale.

Cosa è successo ?: ….........nulla di tutto questo.

· Il lavoro della commissione per la riforma del codice penale è stato tenuto in un cassetto come ha sottolineato il Procuratore Carlo Nordio, già presidente della precedente commissione

· L'idea di applicare anche ai condannati adulti la messa alla prova è stata ripresa solo a distanza di quattro anni col ddl Alfano

· L'introduzione nel nostro ordinamento di strumenti riconducibili alla giustizia riparativa non può certo essere costituita dall'inserimento obbligatorio del lavoro di pubblica utilità previsto dal ddl Alfano nell'ambito dell'affidamento in prova, della messa alla prova per gli adulti e della libertà controllata.

Che cosa è accaduto invece?

Ø Dopo l'indulto del 2006 abbiamo assistito al tentativo di costituire i nuclei di polizia penitenziaria presso gli uffici di esecuzione penale esterna. Una sperimentazione prevista da bozze di decreti ministeriali ed interministeriali che indicavano la presenza di tali nuclei come condizione indispensabile per rassicurare la magistratura di sorveglianza al fine di rimotivare la stessa magistratura alla concessione di misure alternative.

Dopo l'indulto del 2006 i dati sul rapporto fra persone detenute e persone ammesse alle misure alternative parlano chiaro:

Ø rispetto al 2005, anno in cui in carcere c'erano circa 60 mila persone e in misura alternativa quasi 50 mila;

Ø nel 2007 il rapporto è passato a 44mila detenuti contro quasi 11 mila in esecuzione alternativa al carcere e nel 2008 51mila detenuti contro 9400 misure.

Ø Anche i dati relativi al 2009, sino al mese di settembre, indicano che le misure alternative pur in crescita restano limitate a 10mila unità in rapporto a ben 63 mila detenuti.

Ø Nel mese di luglio 2009, infine, è entrato in vigore il decreto sicurezza che ha introdotto nel nostro ordinamento, tra l'altro, un nuovo reato quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.

Di fronte a questo scenario noi operatori penitenziari siamo rimasti disorientati e siamo diventati spettatori, privi di un reale potere di incisione, che hanno assistito ad un rapido peggioramento delle condizioni di vita dentro il carcere e delle condizioni di lavoro di chi vi opera .

Ciò che sorprende è che dopo un periodo in cui abbiamo registrato un evidente disinteresse per la ricerca di soluzioni che avrebbero potuto impedire il sovraffollamento del carcere e dopo una stagione di sostanziale frenata della magistratura di sorveglianza nella concessione delle misure alternative all'improvviso venga presentato il disegno di legge Alfano che cerca di costruire una via d'uscita preferenziale dal carcere nell'ultimo anno di pena.

Ci sorprende che l'impedimento della recidiva valga per l'accesso alla sospensione dell'esecuzione della pena dalla libertà e rispetto alla concessione di alcune misure alternative e nei casi previsti dal disegno di legge alfano non abbia più peso-

Ci sorprende che il procedimento di sorveglianza attraverso il quale si arriva alla concessione di tale misura sia il più rapido, quello della “camera di consiglio senza presenza delle parti” e che per l'istruttoria di tale procedimento sia sufficiente una semplice relazione sul comportamento del detenuto.

Certo la spiegazione di questa inversione di rotta è con ogni probabilità l'urgenza del ministro di sfollare il carcere, ma il guaio è che abbiamo seri dubbi circa gli effetti di questo “escamotage” perchè un sicuro effetto del provvedimento sarà la congestione degli uffici di sorveglianza e il sovraccarico per gli altri uffici coinvolti nelle pratiche necessarie per consentire l’accesso al benefici (area trattamentale degli istituti/ uffici di esecuzione penale esterna)

Qualora tutti detenuti con residuo pena di un anno richiedano la detenzione domiciliare, tutto il sistema verrà impegnato negli accertamenti necessari:

quelli delle Forze dell'ordine sull'esistenza e controllabilità del domicilio;

quelli sul comportamento tenuto dal ristretto;

quelli che con ogni probabilità richiederà la magistratura di sorveglianza agli uffici dell'esecuzione penale esterna relativamente alla situazione familiare.

Ci si chiede, infatti, come sia possibile che la Magistratura di Sorveglianza, già definita dalla nostra Amministrazione diffidente verso le misure alternative esistenti, che prevedono un lavoro di preparazione del detenuto svolto dal équipe di osservazione e trattamento e del richiedente dalla libertà svolto dagli uffici di esecuzione penale esterna, possa invece concedere sulla base della sola relazione comportamentale una misura che comunque prevede il rientro sul territorio di un condannato nell'ultimo anno di pena.

La probabile congestione degli Uffici di Sorveglianza andrà a scapito dei tempi di concessione delle altre misure alternative.

Ci si chiede, inoltre, come possa essere gestito il controllo di un gran numero di detenuti domiciliari da parte delle forze dell'ordine.

Ci ricordiamo infatti che non molto tempo fa si ventilava la necessità di costituire i nuclei di polizia penitenziaria presso gli Uffici di esecuzione penale esterna muovendo dalla considerazione che le Forze dell'Ordine venivano distolte dal controllo sul territorio a causa degli impegni connessi alle misure alternative.

Il controllo di un detenuto domiciliare è sicuramente più impegnativo per le forze dell'ordine rispetto al controllo di un affidato in prova al servizio sociale, non fosse altro perchè il primo se non trovato al domicilio commette il reato di evasione, mentre il secondo viene proposto per la revoca della misura.

Oltre a ricevere indicazioni così contrastanti, noi operatori penitenziari vediamo ridurre progressivamente le risorse a disposizione dell'area del cosiddetto trattamento:

· il rapporto educatori detenuti la dice lunga sulla reale possibilità di svolgere significative attività di trattamento delle persone ristrette in carcere.

· Gli uffici di esecuzione penale esterna non hanno mai visto completare gli organici del personale, specie nelle sedi del nord Italia e restando collegati alla dislocazione degli Uffici di Sorveglianza, non sono ancora del tutto decentrati su sedi provinciali, con i conseguenti problemi organizzativi e di spostamento sul territorio.

· A seguito della generalizzata contrazione della spesa pubblica anche i nostri Servizi hanno visto tagliare i trasferimenti e di conseguenza venir meno alcune risorse come le auto di servizio per effettuare visite domiciliari e sul lavoro e in alcuni casi non avere la possibilità di effettuare telefonate a causa del mancato pagamento delle bollette.

Il quadro generale è perciò alquanto desolante.

La denuncia delle carenze di personale e delle risorse per far funzionare i nostri Servizi può risultare scontata in tempi come questi, ma ci preme far comprendere che siamo assolutamente motivati a cimentarci nella realizzazione della messa alla prova degli adulti; ciononstante l'esperienza degli U.S.S.M., che da diversi anni si cimentano in questo tipo di intervento, ci insegna che la realizzazione della messa alla prova richiede il coinvolgimento della collettività, intesa come comunità locale dove vive il reo, (famiglia, servizi sociali territoriali, amministrazione locale, associazioni etc.)

Da questa importante caratteristica della misura della messa alla prova discende la necessità che la sua esecuzione sia curata da Servizi ben inseriti nel territorio, in grado di investire anche risorse in gestione diretta nel progetto che viene approvato dalla Magistratura, servizi capaci di promuovere sul territorio l'accettazione del reo in prova.

Se nei confronti di un minorenne è più facile incontrare una buona disposizione verso il “metterlo alla prova” è probabile che altrettanta disponibilità non si troverà per l'adulto, specie in questo momento storico.

Eppure una recente circolare del Capo Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria richiama i dirigenti degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna alla necessità di diminuire lo spazio dedicato ai contatti con gli enti locali e ad altri incontri con operatori al fine di garantire una intensificazione delle visite domiciliari effettuate dagli assistenti sociali nei confronti degli affidati.

Tale accorgimento viene direttamente collegato alla necessità di assicurare un maggior controllo ritenuto funzionale alla rassicurazione della magistratura di sorveglianza verso la concessione di quella particolare misura alternativa.

Questa indicazione operativa la dice lunga sulla scarsa conoscenza della situazione in cui versano tali Uffici ed è emblematica di quanto siano contraddittorie le indicazioni sul ruolo di questi Uffici, da un lato invitati a ridurre i contatti col territorio e dall'altro chiamati a progettare e gestire la messa alla prova degli adulti che quegli stessi contatti richiede di intensificare.

Risulta evidente che privi di un'adeguata territorializzazione e delle necessarie risorse gli u.e.p.e. affronteranno questo nuova misura con grandi difficoltà, che andranno a scapito di una efficace gestione della misura stessa.

Nell'ambito della messa alla prova per gli adulti, così come concepita dal disegno di legge Alfano, analogamente a quanto previsto per gli affidati in prova al servizio sociale, si prevede un'' azione di riparazione verso la vittima del reato in questi termini “L'ordinanza che dispone la messa alla prova deve contenere : (..) b) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la conciliazione dell'imputato con la persona offesa”.

In altri Paesi Europei, soprattutto a fronte della sospensione del processo, il coinvolgimento della vittima del reato per la definizione dell'attività di riparazione più opportuna è imprescindibile e alla mediazione fra vittima e reo si dedicano apposti servizi specializzati in materia

Evidentemente anche in questo caso l'introduzione di questa nuova misura risponde maggiormente alla necessità di diminuire gli ingressi in carcere per concorrere allo sfollamento che all'individuazione di nuove forme di esecuzione penale che possano ridurre la domanda di carcere della collettività attraverso un adeguato preparazione del confronto fra reo e vittima del reato.

Merita una considerazione a parte l'introduzione del lavoro di pubblica utilità sotto forma di “ingrediente” da aggiungere ovunque:

come obbligo accessorio della messa alla prova

come “conditio sine qua non” per l'accesso all'affidamento in prova al servizio sociale

come strada obbligata per ottenere la conversione in libertà controllata della pena pecuniaria

Anche questa scelta sembra sintomatica del fatto per rendere più “digeribile” l'applicazione delle misure alternative e della messa alla prova è stato necessario aggiungere questo ingrediente in forma obbligatoria.

Non si tiene conto che già nell'ambito dell'esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale e con limitate risorse a disposizione gli u.e.p.e hanno svolto una difficile attività di promozione sul territorio, presso enti locali e associazioni di volontariato, al fine di rendere possibile lo svolgimento dell'attività di riparazione a favore della collettività dell'affidato.

Non si tiene conto che già nell'ambito della conversione delle pene pecuniarie esiste la possibilità di scegliere il lavoro sostitutivo ma che tale opzione viene raramente applicata in assenza di apposite convenzioni con gli enti locali siglate dai Tribunali di Sorveglianza.

Non si tiene conto che lo svolgimento di un'attività di pubblica utilità dovrebbe configurarsi, più che come un obbligo accessorio della messa alla prova, come il risultato di un processo di presa di coscienza del reo rispetto ai danni procurati con la propria azione, primariamente nei confronti della vittima del reato e poi nei confronti della collettività.

Un'opportuna e necessaria riorganizzazione delle misure alternative alla carcerazione in altre parole richiede un grosso impegno della Pubblica Amministrazione affinchè si promuova presso l'opinione pubblica l'idea che il carcere non è l'unica esperienza penale possibile.

A giudicare dalle modifiche che si stanno apportando al ddl alfano e soprattutto al fatto che avrà scadenza a Dicembre 2013, quando si presume che il Piano Carceri avrà trovato piena realizzazione non sembra che sia questo lo spirito del legislatore.

Non osiamo pensare cosa possano diventare altri istituti di pena, oltre a quelli esistenti, senza la prospettiva di impegnare le persone che vi sono ristrette in un'attività che dia speranza in un futuro e sostentamento per il presente.

Non dimentichiamo, infatti che un detenuto costa alla collettività ma anche alla famiglia da cui proviene; questa condizione è ancora più vera per i detenuti che provengono da altri Paesi, soprattutto quando la migrazione è stata sostenuta dalla famiglia per inviare all'estero un proprio membro alla ricerca di migliori condizioni di vita.

L'accesso ad effettive opportunità di lavoro per il detenuto ed una formazione finalizzata all'occupazione rappresentano una condizioni necessarie perchè le carceri italiane non si trasformino in un'enorme parcheggio per futuri diseredati Ulteriori facilitazioni per l'accesso al lavoro delle persone in esecuzione penale, insieme allo svolgimento di lavoro di pubblica utilità possono costituire , inoltre, un'occasione di rilancio delle misure alternative alla carcerazione.

Ci auguriamo, infatti, che, ampliando le opportunità di accesso al lavoro dei detenuti, la Magistratura di Sorveglianza possa tornare a concedere le misure alternative alla carcerazione nella stessa misura che ha contraddistinto il periodo pre-indulto.

Tali misure sono sicuramente perfezionabili, ma per quanto ci risulta, alla luce di una ricerca sulla recidiva, hanno dato buoni risultati. Le persone che scontano interamente la pena in carcere ricommettono reati più frequentemente che le persone ammesse alle misure alternative.

In questo senso riteniamo che, pur non appartenendo al comparto sicurezza, noi operatori penitenziari abbiamo la convinzione, per alcuni presunzione, che anche il nostro lavoro e l'opportunità di usufruire di una misura alternativa al carcere concorra a produrre sicurezza .

Crediamo in via conclusiva che un metodo efficace per deflazionare il carcere non possa essere congestionare gli uffici di sorveglianza e oberare le forze dell'Ordine che presidiano il territorio, ma scelte più convinte come l'abrogazione degli articoli della Bossi Fini che fanno finire in carcere una quantità di cittadini extracomunitari e l'abrogazione della Legge ex Cirielli che impedisce l'accesso alle misure alternative già esistenti.

Ci auguriamo che questa convinzione possa estendersi nell'opinione pubblica e per questo ringraziamo Antigone e tutte le associazioni che si interessano del carcere, anche attraverso la creazione di occasioni per parlarne pubblicamente.

Assistenti Sociali:

Benazzato Margherita

Bernacchia Ines

Bovo Paola

CarraroChiara

Coniglio Isabella

Falagario Laura

Fratini Federica

Mastrosimone Paola

Menetto Patrizia

Vincenzi Michela

Antigone: Il protagonismo degli operatori - Come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani


Venerdì 28 maggio 2010 ore 9.30 – 17.00
Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso - Via R. Majetti 70, Roma

Saluti iniziali di Carmelo Cantone Direttore Rebibbia N.C.
Introduce Patrizio Gonnella Presidente Antigone

Modera Giovanni Anversa Conduttore Rai

Aprono l’Assemblea:
Stefano Anastasia Difensore civico di Antigone
Giuseppe Cascini Segretario Associazione Nazionale Magistrati
Roberto D’Errico Unione delle Camere Penali italiane
Mauro Palma Presidente Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura



In nome degli operatori

Rita Andrenacci Direttrice UEPE PRAP Lazio; Leo Beneduci Segreteario Osapp; Patrizia Ciardiello Operatrice penitenziaria; Lina Lamonica Responsabile nazionale FP CGIL Comparto Ministeri; Francesco Quinti Responsabile nazionale FP CGIL Comparto sicurezza; Nanda Roscioli RDB Penitenziari; Fabrizio Rossetti Responsabile nazionale FP CGIL Sanità; Eugenio Sarno Segretario UILPA Penitenziari; Don Sandro Spriano Cappellano di Rebibbia

Interverranno anche

Desi Bruno Garante Comune di Bologna; Daniele Capezzone Portavoce Pdl; Gabriele Cinti Segreteria Garante Regione Marche; Giancarlo Condoleo LILA; Franco Corleone Garante Comune di Firenze; Daniela De Robert Vic-Caritas; Roberto Di Giovan Paolo senatore Pd; Donatella Ferranti deputato Pd; Ornella Favero Ristretti Orizzonti; Sandro Favi Responsabile carcere Pd; Silvia Giacomini Ora d’Aria; Dario Ginefra deputato Pd; Elisabetta Laganà Cnvg; Carlo Leoni Responsabile giustizia Sinistra ecologia e libertà; Sandro Libianchi Co.n.o.s.c.i; Luigi Manconi A Buon diritto; Angiolo Marroni Garante Regione Lazio; Aldo Morrone INMP; Luigi Nieri Sinistra ecologia e libertà; Gaetano Pecorella senatore Pdl; Stefano Pedica senatore Idv; Stefano Regio Cnca; Piero Rossi Coop. Vita Nuova; Giovanni Russo Spena Responsabile giustizia Prc; Irene Testa Il detenuto ignoto; Adriana Tocco Garante Regione Campania; Franco Uda Arci

Hanno assicurato la propria presenza il Capo del DAP Pres. Franco Ionta, il Vice-capo del DAP dott. Emilio Di Somma, la Direttrice generale dell'Ufficio dell'Esecuzione Penale Esterna del DAP dott.ssa Luigia Mariotti Culla

per partecipare all’iniziativa non c’è bisogno dell’accredito

info: segreteria@associazioneantigone.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo , tel. 0644363191/3395889039

Donatella Ferranti (PD):piano programmato di assunzioni di assistenti sociali, educatori.....

Fp Cgil; altro che legge “svuota carceri”, a casa solo qualche centinaio detenuti


Stampa
Ansa, 26 maggio 2010

“Altro che provvedimento svuota carceri!: il numero delle persone recluse negli istituti di pena che riuscirà a beneficiare della detenzione domiciliare sarà limitato a non più di qualche centinaio di unità”; con il risultato di lasciare sostanzialmente invariata la situazione carceraria. A denunciare lo svuotamento del ddl Alfano, che porterà a rendere sempre più drammatica la condizione dei quasi 68mila detenuti ristretti all’interno dei 205 istituti di pena italiani è la Funzione pubblica Cgil.
Il segretario nazionale Antonio Crispi fa notare che non solo la parte relativa alla “messa alla prova” presso i servizi sociali per i reati puniti con la pena pecuniaria o con il carcere non superiore a tre anni è stata stralciata, ma è stato anche eliminato l’automatismo nell’assegnazione dei domiciliari per chi deve scontare l’ultimo anno di pena, visto che sarà il Magistrato di Sorveglianza a valutare caso per caso l’assegnazione delle misure cautelari sulla base della relazione comportamentale e sociale nonché di sintesi delle attività di osservazione della personalità svolte nel corso della detenzione.
“Un impianto normativo - afferma la Fp Cgil - che annuncia una serie di azioni che graveranno sui lavoratori, sull’esiguo numero di operatori penitenziari preposti al trattamento, educatori ed assistenti sociali in primis, nonché sugli Uffici di Sorveglianza già fortemente provati da gravi carenze di organico e carichi di lavoro insostenibili, con conseguenze che porteranno in molti casi alla paralisi”.

Il ddl sulla detenzione domiciliare otterrà “sede legislativa”, ma polemiche non mancano


Stampa
Il Velino, 26 maggio 2010

Sul ddl cosiddetto “svuota carceri” sono state raccolte le firme necessarie (36 su 45) per chiedere l’assegnazione del provvedimento in sede legislativa alla commissione Giustizia della Camera. Lo riferisce il capogruppo Pdl in commissione Enrico Costa. Il ddl sarà quindi approvato - se l’aula accoglierà la richiesta - senza passare per l’assemblea. “Il testo - spiega Costa - è stato assegnato alle commissioni competenti per i pareri”.
Per domani è atteso il parere della commissione Bilancio “che è il più importante perché la commissione Bilancio - osserva Costa - potrebbe mettere dei paletti” per assicurare la copertura al provvedimento. Il ddl del governo prevede la detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena inferiore a un anno. Dopo l’intervento del ministro dell’Interno Roberto Maroni, dal provvedimento - concepito per affrontare l’emergenza del sovraffollamento dei nostri penitenziari - è caduto l’automatismo nell’assegnazione dei domiciliari, che spetterà invece al giudice di sorveglianza. È stata inoltre stralciata la parte che prevedeva l’estensione anche agli adulti della “messa in prova” - istituto già previsto per i minori - con l’assegnazione ai servizi sociali.
Sono state poi introdotte aggravanti per chi commette reati durante la detenzione ai domiciliari e previsti aumenti di organico per la polizia penitenziaria. Modifiche che hanno portato ad una larga convergenza sul testo finale. In dirittura d’arrivo in commissione giustizia della Camera anche il “Piano straordinario contro le mafie”, comprendente la delega al governo in materia di normativa antimafià. Oggi il voto per assegnare il mandato al relatore è slittato perché, per un problema tecnico, non è arrivato in tempo il parere della Commissione Bilancio. Ma la commissione Giustizia è convocata per domani mattina alle 9 per la discussione generale. Sia sul ddl carceri sia su quello antimafia “si è creato un buon clima - assicura Costa - . Credo che saranno approvati a larghissima maggioranza”. Sulle modifiche ddl “svuota carceri” è arrivato anche il giudizio della sesta commissione del Csm. Un parere nel complesso “positivo”, anche se l’organo di autogoverno della magistratura ammonisce: “Basta agli interventi dettati dall’onda dell’emergenza”.

Mussolini (Pdl): lo “svuota carceri” consegna le vittime ai carnefici

La legge sugli arresti domiciliari mette le vittime di reati a sfondo sessuale nelle mani dei carnefici. Alessandra Mussolini denuncia un “clamoroso errore” contenuto nel testo del provvedimento cosiddetto svuota - carceri, all’esame della commissione Giustizia della Camera in sede legislativa. “Hanno previsto che la decisione di concedere gli arresti domiciliari a chi abbia commesso reati come lo stalking, la pedofilia, il maltrattamento sia a discrezione del giudice e non sia espressamente vietata. In questo modo - dice Mussolini - è possibile che un coniuge accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, e da questa denunciato, se la veda ritornare a casa per decisione del magistrato. La vittima torna nelle mani del carnefice”. Mussolini spiega di aver chiesto la correzione del testo, senza ottenere risposte. “Domani porrò la questione in commissione affari sociali che deve esprimere il parere - aggiunge - ma chiedo alla commissione giustizia di cambiare quel testo perché è vera e propria follia”.

Ferranti (Pd): grazie a noi corretta norma allucinante

“Grazie al Pd i carnefici non torneranno nelle case delle loro vittime. Detto questo, Mussolini dovrebbe pretendere chiarimenti dal ministro Alfano che si è presentato in Parlamento con un provvedimento profondamente sbagliato che non escludeva questo allucinante paradosso”. Così Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione Giustizia di Montecitorio, replica alle dichiarazioni di Alessandra Mussolini sugli effetti del ddl carceri all’esame della Camera. “Nel corso dell’esame in commissione - conclude Ferranti - è stato infatti approvato un nostro emendamento sull’idoneità dei domicili che dovrà essere valutata dal magistrato di sorveglianza anche e soprattutto in relazione alle esigenze delle vittime, comprese quelle di violenza domestica”

Rao (Udc): testo cambiato in commissione grazie a minoranza

“Le preoccupazioni odierne dell’on. Mussolini sui possibili effetti dell’applicazione a maglia larga della norma sul ddl svuota - carceri, soprattutto per reati di stalking, di violenza familiare e pedofilia sono talmente fondate che l’opposizione le ha manifestate durante la discussione in commissione, giungendo ad una profonda modifica del testo”. Lo dichiara in una nota il deputato centrista dell’Udc Roberto Rao componente della commissione Giustizia della Camera dei deputati. “I suoi timori - continua Rao - sono stati anche i nostri e per questo abbiamo mosso fondati rilievi contro l’automaticità dell’applicazione dei domiciliari. Siamo convinti che il filtro obbligatorio del giudice, introdotto in commissione, possa rivelarsi migliorativo se non addirittura risolutivo”.

lunedì 24 maggio 2010

COMUNICATO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE PENITENZIARI COMPARTO MINISTERI



In questo difficile momento le carceri risentono di un sovraffollamento senza precedenti: gli utenti sono in larga parte indigenti, psichiatrici, tossicodipendenti e stranieri privi di permesso di soggiorno.

La Fp CGIL ed i lavoratori penitenziari hanno, in questi anni, condotto un'azione di denuncia costante dei danni che questo stato di cose avrebbe provocato, ma dobbiamo ammettere che si è preferito soffiare sul fuoco delle paure collettive piuttosto che approntare un organico "Piano carceri" che restituisse civiltà e sicurezza al nostro paese in coerenza dell'art. 27 della Costituzione.

Oggi, ancora una volta, dobbiamo misurarci con il facile sensazionalismo del piano carceri varato dal governo Berlusconi, un impianto normativo che annuncia una serie di azioni che graveranno sugli esigui numeri degli operatori trattamentali, educatori ed assistenti sociali in primis, chiamati dalla legge a contribuire con atti ed indagini sociali rimesse alle valutazioni della Magistratura di Sorveglianza.

In questo quadro i danni della giustizia si intrecciano con le vite di quelle persone e di quelle famiglie che si trovano a vivere il dramma della carcerazione, meritata o immeritata che sia, e che non possono contare sulla speranza di un reinserimento sociale potendo essere sicuri del solo contenimento fisico in strutture sempre più affollate e ipocritamente "aperte".

Non resta che la forza di un'idea, quella di un paese che sostiene di essere ancora in democrazia e per questo i lavoratori penitenziari chiedono di poter svolgere compiutamente il loro mandato con i mezzi ed i numeri necessari per farlo: non si può pensare ad un reinserimento sociale senza un intervento sul territorio, sulle persone e sui meccanismi di emarginazione che inevitabilmente si attivano non appena scatta la detenzione.

Il nuovo "Piano carceri" non ci convince, non ci piace nella sua ipocrisia e non ci sembra sufficiente a risolvere il sovraffollamento penitenziario che invece si nutre delle crisi sociali e dell'incremento di nuove fattispecie di reato.

Per poter declinare efficacemente le azioni necessarie alla salvaguardia della sicurezza sociale ed al rispetto della civiltà serve credere davvero nell'azione risocializzante della pena e nella sua efficacia verso tutti.

Auspichiamo una maggiore attenzione delle forze politiche impegnate in questi giorni nella disamina degli articoli del DDL.

Auspichiamo che dalla propaganda mediatica sull'uso di "braccialetti" o di edilizia carceraria selvaggia si passi a pensare, invece, al carcere come elemento di un sistema sociale vivo che necessita di un numero congruo di operatori trattamentali e di collegamenti di rete con il territorio, contesto ove dover incidere per limitare le recidive e la paura sociale.

In caso contrario assisteremmo per l'ennesima volta al triste ed irrispettoso scenario al quale l'attuale compagine governativa ci ha abituati ove gli interessi e le incapacità risultano essere i veri protagonisti. Una immagine vergognosa che, nel caso specifico, oltre all'incremento abnorme della popolazione detenuta ha ulteriormente depotenziato e svilito il mandato istituzionale delle professionalità preposte.

"Il grado di civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri" (Voltaire)

FP CGIL SCRIVE AI VERTICI DEL DAP SULLA GRAVE SITUAZIONE DEGLI UFFICI PER L'ESECUZIONE PENALE ESTERNA


La Fp Cgil ed i lavoratori degli UEPE da tempo, oramai, denunciano la grave crisi organizzativa ed operativa in cui versa il settore, una crisi che parte da lontano e che non ha mai trovato nell’amministrazione la volontà né, tanto meno, l’impegno politico ed istituzionale mirati a definirne le criticità che nel corso degli anni non solo si sono acuite ma si sono stratificate notevolmente nell’indifferenza dell’amministrazione.

Forte è lo stato di incertezza e di preoccupazione per il futuro in cui si trovano gli operatori del settore, un futuro tra l’altro prossimo considerando gli ultimi interventi normativi in materia di esecuzione penale collegati al famigerato “Piano carceri”, nonché le disposizioni emanate dalla Direzione Generale EPE con una circolare a firma del Capo del DAP.

Interventi “d’emergenza”, per usare un eufemismo, che rischiano, da una parte, di imballare il sistema per la grave carenza di organico degli assistenti sociali, dall’altro di svilire il valore e l’autonomia professionale di tali operatori annullando il background storico culturale degli UEPE che ha radici nella politica dei servizi.

Gli interventi propagandistici e di facciata proposti dal governo e le direttive dell’amministrazione evidenziano un contesto politico ed amministrativo che si caratterizza sempre più per la sua involuzione culturale dove al confronto sindacale e alla condivisione si preferiscono interventi unilaterali, a volte maldestri e di non facile attuazione che evidenziano una superficiale conoscenza del contesto e delle problematiche afferenti siano esse di natura strutturale, organizzativa e/o professionale.

I forti tagli alle risorse apportati dagli ultimi interventi governativi stanno evidenziando nell’amministrazione penitenziaria i previsti devastanti effetti ed evidenti sono i segnali del gravissimo disagio operativo dagli stessi determinati negli UEPE, gli Uffici dell’Esecuzione penale Esterna , che stanno rischiando la paralisi operativa.

Gravissima ed endemica, dunque, è la carenza di risorse umane che caratterizza il settore determinando in molti uffici e sedi UEPE, al personale un pesante aggravio di carichi di lavoro con forte ricaduta sulla loro operatività anche quotidiana.

La grave carenza di risorse finanziarie, inoltre, incide negativamente sulla possibilità di poter disporre degli strumenti (auto di servizio,utilizzo delle linee telefoniche) indispensabili all’espletamento dei compiti istituzionali degli UEPE, come previsto dall’art.72 L.354/75, e pone

gli assistenti sociali, in una condizione di grave disagio operativo e di mortificazione professionale in quanto limita e vanifica il loro intervento istituzionale che, giova ricordare, si esercita particolarmente sul territorio ed in sinergia con le istituzioni pubbliche e del privato sociale per promuovere programmi e progetti di inclusione sociale delle persone in esecuzione penale .

Le auto di servizio, guidate dal personale di polizia penitenziaria, necessarie per espletare interventi in zone e/o quartieri ad alto rischio di criminalità e/o non facilmente raggiungibili dai mezzi pubblici, sono praticamente inutilizzabili perché le risorse economiche a disposizione rendono impossibile l’acquisto della benzina e non viene, neppure, assicurato ai lavoratori il rimborso dei biglietti e/o abbonamenti dei mezzi pubblici.

Una evidente difficile quanto complicata situazione, dunque, che, ribadiamo, rischia di determinare all’intero sistema dell’esecuzione penale, già in profondo disagio, una paralisi istituzionale con ricadute devastanti sui suoi principi istituzionali e sulle professionalità preposte.

Per tali motivi su tutto il territorio nazionale si sta diffondendo la protesta dei lavoratori degli UEPE che con le RSU e le OO.SS. territoriali hanno proclamato lo stato di agitazione del personale.

Le iniziative sono ben note all’amministrazione in quanto dai territori interessati sono state inoltrate le relative comunicazioni alle quali, a tutt’oggi purtroppo, non ha fatto seguito alcun cenno di riscontro a significarne la dovuta attenzione

La Fp Cgil, nel sostenere appieno le iniziative che i lavoratori del settore hanno avviato e ritenendo non ulteriormente procrastinabile la definizione della questione chiede con urgenza l’apertura di un tavolo di confronto sulla materia .

Si resta in attesa di sollecito riscontro e si porgono cordiali saluti.

La coordinatrice nazionale

Penitenziari – Ministeri

Lina Lamonica

FPCGIL LOMBARDIA: GRAVE SITUAZIONE IN LOMBARDIA DELLA GIUSTIZIA PENITENZIARIA


MA CHE FINE HANNO FATTO LE RELAZIONI SINDACALI?

Sono ormai mesi che è partita un’incresciosa escalation, nell’ambito della giustizia penitenziaria in Regione Lombardia, di distruzione delle relazioni sindacali con punte che richiamano il “brunettismo” più pervicace e odioso.
Una volontà, da parte della classe dirigente di questo comparto, di attacco ai diritti sindacali di chi vi lavora e di chi li rappresenta.

Crediamo sia venuta l’ora di dire qualcosa di chiaro e di chiamare con forza alle proprie responsabilità chi le ha e non le esercita; non sappiamo se ciò avvenga perché lo si vuole o perché lo si subisce.
In ogni caso non va per nulla bene.

Condanniamo le posizioni oltranziste e inaccettabili di chi dirige gli UEPE e si connota come rappresentante del più bieco antisindacalismo pretendendo di sostituirsi in uno alle organizzazioni sindacali, al DAP, ai Ministri (vietando ad esempio l’uso delle e-mail alle assistenti sociali) e, magari, potendo, anche al Segretario dell’ONU o del c.t. della Nazionale, viste le dimensioni di certi “ego”.

Condanniamo l’atteggiamento sempre più perfidamente vessatorio nei confronti dei delegati sindacali negli istituti vari della regione dove si stravolgono le regole e, spesso, anche quelle del buon senso, per rendere difficile se non impossibile il lavoro di lavoratori e di lavoratrici (in particolare di queste ultime quando si “permettono” di voler essere a un tempo operatrici o agenti, sindacaliste e “addirittura” mamme).

Condanniamo l’ignavia sempre più diffusa della dirigenza che promette risposte alle questioni poste dal sindacato e poi applica la tattica della dilazione, del rinvio, di quello che un tempo si definiva “muro di gomma” per non assumere la responsabilità di una risposta.

Condanniamo il clima di impotenza che si sta diffondendo nei confronti della situazione degli istituti, che ha valicato ogni limite di sopportazione: quanti suicidi tra i detenuti e il personale dobbiamo ancora attendere prima che anche la dirigenza locale faccia sentire la propria voce?
Non è facendo leva, ancora una volta, sul senso di responsabilità e di coscienza civile di lavoratrici e lavoratori che si affronta la situazione tragica delle carceri.

Condanniamo l’assordante silenzio e anche la miopia dei vertici dell’amministrazione penitenziaria a tutti i livelli, ma anche della politica, per non aver preso coscienza dell’attuale situazione carceraria.
Si parla tanto di rieducazione e di reinserimento del detenuto, ma ci chiediamo: con quali mezzi ? Quali strumenti ? Quali risorse ? E soprattutto con quale personale?
Si sta rischiando che le carceri italiane diventino delle vere e proprie palestre del crimine dove chi sconta una pena anziché essere rieducato impara a delinquere.
Le condizioni inumane dei reclusi, a causa del sovraffollamento degli istituti penitenziari, a nostro avviso, costituiscono una pena supplementare a cui nessuno vuol dare una risposta o una soluzione. Ferme restando tali condizioni denunciamo l’impossibilità, da parte di tutte le figure professionali che operano all’interno delle carceri, di assolvere al proprio mandato istituzionale ma anche del mancato rispetto del dettato costituzionale ( art. 27 della costituzione ) “le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Bisogna urlare in faccia al Ministro, come continuiamo a fare noi, che il piano carceri è un potente bluff, una mera operazione di immagine e basta. Lo scontro nella politica, ma soprattutto all’interno della maggioranza di governo, e cioè tra i Ministeri competenti per l’attuazione del piano carceri, sta allontanando qualsiasi soluzione all’emergenza penitenziaria in Italia.
Le ipotetiche misure deflattive sul sovraffollamento degli istituti penitenziari sono una vera chimera tanto quanto l’assunzione di personale sia di polizia penitenziaria sia del Comparto Ministeri, ma nel frattempo nelle carceri italiane continuiamo a contare i morti tra il personale di polizia penitenziaria e tra i detenuti. Si continua inoltre a lavorare in pessime condizioni senza alcuna garanzia circa i diritti fondamentali dei lavoratori dal punto di vista della sicurezza.
Il crollo verticale delle risorse, umane e materiali non può essere addebitato, come sempre, soltanto ai vertici nazionali del Ministero.
Spettabili dirigenti locali: la responsabilità è, pesantemente, anche vostra!!!!
Una storia di positive relazioni sindacali del passato non può servire a nascondere e giustificare le nefandezze del presente.
Le sollecitazioni che continuiamo a mandare a chi ha in Lombardia la massima responsabilità non possono continuare a rimanere lettera morta.
Per quanto ci riguarda, dopo aver proclamato, ormai da mesi, lo stato di agitazione ci stiamo preparando a far fare un passo in avanti alle nostre forme di lotta sia impegnando i nostri uffici legali, sia prevedendo iniziative pubbliche che evidenzino la situazione e individuino le colpe.


Il Segretario Reg. Comparto Stato FP CGIL Il Coord. Reg. FP CGIL Il Coord. Reg.
Polizia Penitenziaria Comparto Dap- Ministeri
Antimo De Col Calogero Lo Presti Barbara Campagna


venerdì 21 maggio 2010

Giustizia: quanta ipocrisia sul ddl svuota carceri e alla fine usciranno poche centinaia di detenuti

di Alessandro Gerardi

Terra, 20 maggio 2010

In Italia, tra i detenuti che stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4% ha un residuo pena inferiore ad un anno, addirittura il 64,9% inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Si tratta di numeri impressionanti che dimostrano inequivocabilmente come nel nostro Paese il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; il che continua ad accadere nonostante le statistiche abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il detenuto che sconta la pena in misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28%), mentre chi la sconta in carcere torna a delinquere con una percentuale addirittura del 68%.
Prendendo atto di questa semplice realtà, la mozione sulle carceri presentata alla Camera dei deputati dalla radicale Rita Bernardini ha impegnato il governo ad attuare una profonda riforma delle norme sulla esecuzione delle pene prevedendo, tra l'altro, "l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità".
È appena il caso di ricordare che questo passaggio della mozione è stato approvato a larghissima maggioranza sia alla Camera che al Senato, anche dai deputati e senatori della Lega e dell'Italia dei valori. Coerentemente con quanto stabilito in quella mozione, e dopo un digiuno di dialogo condotto sempre da Rita Bernardini, il ministro della Giustizia ha presentato un disegno di legge rubricato "Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno".
L'iniziativa del ministro appare subito coraggiosa e senza precedenti, in quanto per la prima volta viene previsto che la detenzione domiciliare possa essere applicata anche ai recidivi, il tutto attraverso una procedura di concessione praticamente automatica, e quindi sottratta alle valutazioni discrezionali della magistratura di sorveglianza. L'obiettivo dichiarato è quello di compiere un primo importante passo verso il lento e graduale deflazionamento dell'attuale popolazione carceraria. Tutto bene, dunque? Macché.
Appena approdato in Commissione Giustizia della Camera, il disegno di legge è stato sottoposto ad un fuoco incrociato di critiche da parte della Lega, dell'Italia dei Valori e del Partito democratico, i quali si sono subito opposti con forza alla richiesta del Governo di trasferire l'esame del provvedimento alla sede legislativa.
Contro questo atteggiamento ostruzionistico Rita Bernardini ha deciso di intraprendere, insieme ad altri compagni e dirigenti radicali, un ulteriore sciopero della fame (durato quasi un mese), il che però non ha evitato che le misure (positive) originariamente contenute nel provvedimento del ministro Alfano venissero completamente stravolte dagli emendamenti presentati dal governo su impulso dei deputati della Lega, dell'Idv e del Pd.
In pratica, l'impostazione originaria del disegno di legge è stata stravolta laddove viene stabilito che la detenzione presso il domicilio non si possa applicare "quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato ossa commettere altri delitti". La nuova disposizione abroga ogni sorta di automatismo nell'applicazione della detenzione domiciliare e ai fini della concessione del beneficio - richiede la verifica di un requisito soggettivo del condannato di delicata interpretazione: è necessario, infatti, che il magistrato di sorveglianza esprima un giudizio prognostico positivo sulla idoneità della misura alternativa ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. Il legislatore però non si è soffermato sui criteri che dovranno regolare questa valutazione dell'organo giudicante, lasciando così alla magistratura di sorveglianza l'arduo compito di provvedere in merito.
Stando così le cose, è facile prevedere che per supplire alla lacuna normativa la prognosi circa l'idoneità della detenzione domiciliare ad evitare il pericolo di consumazione di altri reati verrà basata, nel caso di concessione della misura prima dell'inizio della esecuzione della pena, sul comportamento tenuto dal condannato successivamente e antecedentemente al reato, con la conseguenza che se il soggetto è persona recidiva, con significativi precedenti penali e carichi pendenti sulle spalle, difficilmente potrà usufruire di questo beneficio.
E quindi, pur essendo vero che in teoria questa nuova forma di detenzione domiciliare potrà essere concessa anche ai recidivi, di fatto, non venendo più applicata in via automatica, il numero dei condannati con precedenti penali che riuscirà a scontare la pena nel proprio domicilio senza transitare per il carcere sarà davvero modesto.
Se invece il condannato si trova già in carcere, il pericolo di ricaduta nel reato da parte del detenuto andrà valutato sulla base della relazione di sintesi delle attività di osservazione scientifica della personalità. Il problema è che questo tipo di relazione non viene quasi mai prodotta secondo i tempi prescritti dalla normativa, e questo a causa della forte carenza degli educatori penitenziari. È facile dunque prevedere che anche il numero delle persone recluse negli istituti di pena che riuscirà a beneficiare della detenzione domiciliare sarà limitato a non più di qualche centinaio di unità.
In conclusione, le nuove disposizioni sulla detenzione domiciliare lasceranno la situazione carceraria sostanzialmente invariata, il che renderà sempre più drammatica la condizione dei quasi 68mila detenuti ristretti all'interno dei 205 istituti di pena italiani. Di tutto questo la Lega, l'Italia dei valori e il Partito democratico saranno presto chiamati ad assumersi le proprie responsabilità di fronte all'intera comunità penitenziaria.