Dopo la legge di riforma 154/2005 della Dirigenza Penitenziaria, non si sono più registrati gli attesi segnali di innovazione e cambiamento ed il DAP si è inspiegabilmente bloccato, mostrando incapacità ad assecondare la volontà parlamentare, impedendosi nei fatti che l’organizzazione penitenziaria potesse avvalersi, utilmente, di un Corpo di Dirigenti Penitenziari che avevano il legittimo diritto di pretendere un incarico definito e perfezionato, per essere concretamente impiegati, dalla periferia al centro, nelle corrispondenti posizioni di responsabilità.
La mancata stipula del primo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della Dirigenza Penitenziaria ha aggravato, ulteriormente, la situazione di paralisi, benché esso potesse rappresentare lo strumento più flessibile ed idoneo per incardinare, all’interno del complesso sistema dell’esecuzione penale, nel rispetto di regole prestabilite, ed in termini di maggiore efficacia ed efficienza, tutta la Dirigenza di diritto pubblico, la quale invocava semplicemente il rispetto della legge 154/2005 e del D.lgs. n. 63/2006.
In perfetto anticipo avevamo rappresentato come fosse necessario intervenire subito sull’organizzazione e sulle strutture penitenziarie, di come la situazione rischiasse a breve di esplodere, di come non ci si dovesse illudere sugli effetti fatui dell’indulto il quale, in sostanza, aveva soltanto differito di un breve periodo la manifesta criticità di un sistema che abbisognava di una solerte rimanutenzione e reingegnerizzazione. A tanto si aggiungeva anche la constatazione di come il predetto sistema, da troppo tempo, mostrasse di essere ostaggio di boutade giustizialiste, dove le farfugliate pretese del sommo rigore e della certezza della pene non erano, però, mai accompagnate dai contemporanei ed effettivi conferimenti di risorse umane e finanziarie; dove poco e nulla si era fatto ed innovato sul piano legislativo, in materia di misure alternative alla pena, soprattutto in tema di tossicodipendenza, al fine di preferire, ai “percorsi carcerari”, le più confacenti “comunità terapeutiche”, idem per una effettiva implementazione degli uffici dell’esecuzione penale esterna, dove non si rilevava da parte del DAP una convinta azione di persuasion sul legislatore, affinché si sostenesse l’utilità di novare con provvedimenti tempestivi e dissuadenti, di natura però amministrativa, il catalogo delle sanzioni che non poteva continuare ad essere essenzialmente di natura penale.
Insomma, non si assisteva al necessario responsabile tentativo di invitare la Politica a calibrare meglio, e ragionevolmente, la reazione dello Stato il quale avrebbe potuto, e può ancora, prevedere un ventaglio di rimedi che non deve incardinarsi, esclusivamente, sulla onerosa e tradizionale soluzione carceraria.
Purtroppo non siamo stati ascoltati, al contrario, ci siamo trovati, soli, nella paradossale situazione di dover dare coraggio alle persone detenute ed agli operatori penitenziari, in particolare a quelli del Corpo di Polizia, sempre più sottonumero, sfruttato, oggettivamente umiliato perchè costretto, nei fatti, a rinunciare alla funzione “nobile” del lavoro carcerario, quella che fa la sicurezza duratura attraverso l’osservazione, il trattamento ed il recupero del condannato, il che non significa automatica “libertà”.
Ebbene è opportuno tornare a ribadire che noi, Direttori Penitenziari d’Istituto e degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna non vogliamo essere complici di un tradimento costituzionale e di una sciagura nazionale, pur rimanendo fermi, per senso di responsabilità, ai nostri posti.
Per questo facciamo appello ai tutti i rappresentanti del potere legislativo ed al Governo perché si inverta la marcia e si avvii una vera urgentissima stagione di riforme, capace per un verso di coinvolgere e motivare tutte le componenti professionali penitenziarie, riconoscendo la possibilità di traguardi di carriera oggi francamente assenti, al fine di rafforzare una dignità di funzione altrimenti umiliata, in quanto non si è voluto distinguere il difficile lavoro penitenziario dagli altri, riconoscendone la peculiarità nella vasta area della “Sicurezza”.
Esigiamo, inoltre, che si disegni realmente un progetto strategico per il sistema penitenziario e si provveda, nel frattempo, a riempire i vistosi vuoti di organico la cui persistenza renderebbe ogni proposta di miglioramento e cambiamento falsa ed ipocrita.
Limitarsi a pensare ad una “Giustizia Giusta”, trattando le problematiche penitenziarie come ammennicoli della “Questione Giustizia”, non solo mostrerebbe cecità politica ma anche di-suma-
ni-tà.
Il Governo, 13 gennaio scorso, ha proclamato LO STATO EMERGENZIALE DELLE CARCERI, si sia perciò coerenti: Le situazioni straordinarie richiedono, per essere affrontate e risolte, risposte altrettanto straordinarie, e non solo nel senso “edilizio” ma, soprattutto, di tipo organizzativo.
La previsione urgente delle necessarie assunzioni di poliziotti penitenziari, di funzionari del Corpo, di Educatori ed Assistenti Sociali, di Collaboratori Amm.vo Contabili, di Psicologi, di Esperti Informatici, di quadri amministrativi e tecnici, nonché di Dirigenti Penitenziari dovrebbe essere di tutta evidenza, così come va riconsiderata la progressione di carriera premiando, in modo VISIBILE, l’esperienza professionale maturata sul campo.
La previsione della costituzione di un ruolo dirigenziale speciale sia per i funzionari apicali ministeriali che per quelli della polizia penitenziaria, non costituirebbe uno scandalo, a fronte dell’obiettiva criticità che si vive nelle carceri, premiando il sacrificio e l’impegno profusi in prima linea dai tanti educatori, assistenti sociali, ragionieri, commissari di polizia penitenziaria, etc., ancorché privi del diploma di laurea.
Nelle carceri “Si è quello che fai e non quello che affermi di essere…”, i paraventi e le fictio non sono credibili.
Infine, ma non per importanza, occorrerà pervenire alla rapida definizione di strumenti normativi finalizzati ad applicare, con semplici automatismi, le misure alternative alla detenzione ad una platea più vasta di destinatari, temperando il limite della recidiva ove si tratti, soprattutto, di persone detenute tossicodipendenti.
Siamo convinti che i costi economici delle misure che suggeriamo risulteranno sensibilmente minori rispetto a quelli che altrimenti dovranno essere affrontati, in termini di rischi, non più teorici, di implosione-esplosione del sistema penitenziario, ai quali si aggiungeranno gli ulteriori che fanno capo ai tradizionali apparati di sicurezza: in caso contrario, dovremo soltanto confidare nella manzoniana Divina Provvidenza.
Enrico SBRIGLIA
Segretario Nazionale