L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

venerdì 31 agosto 2007

ORDINE ASSISTENTI SOCIALI TRENTINO ALTO ADIGE


Questo Ordine regionale ha ricevuto, nei mesi scorsi, una nota inviata dagli assistenti sociali che lavorano presso l’Ufficio di esecuzione penale esterna di Trento, a cui è seguito un incontro tra alcuni di loro ed alcuni componenti del Consiglio. In questa sede i colleghi hanno ribadito la preoccupazione rispetto ai cambiamenti proposti dalla bozza di Decreto Ministeriale prima ed ora Interministeriale.Il nostro intervento nasce quindi dalla necessità di tutelare il Servizio Sociale nei vari contesti dell’esercizio professionale tenendo in debita considerazione tutte le istanze che arrivano dalle varie realtà operative, con uno spirito costruttivo e non rivendicativo, di cui questo Ordine regionale vuole farsi portavoce.In merito alla questione del nucleo di verifica della Polizia penitenziaria presso gli UEPE, stiamo seguendo con profondo interesse l’evolversi di una situazionelegislativa che pone in grave disagio professionale gli assistenti sociali che operano negli UEPE sul territorio nazionale.Siamo in accordo con quanto scritto dal Consiglio regionale d’Abruzzo in data 01 agosto 2007, da altri Ordini regionali nei mesi precedenti e dallo stesso Ordine nazionale nel documento di maggio c.a.; abbiamo raccolto e letto vario materiale in merito, attraverso il sito del Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia (www.casg.it) e nell’apposito sito www.solidarietaasmilano.blogspot.com, così come ci è sembrato particolarmente delicata e da non sottovalutare la posizione indicata dal CNCA nel documento di data 19 luglio 2007 (“No alla polizia penitenziaria negli Uffici di esecuzione penale esterna” in www.cnca.it).Il tema è di grande rilevanza proprio perché coinvolge differenti professionalità, e crediamo vada prestata la giusta attenzione affinché non si riduca ad un mero conflitto tra di esse, bensì si cerchi di far rispettare quanto indicato nel nostro Codice Deontologico, poiché è la parte che ci compete (si vedano art. 10, artt. 41 e 42, artt. 44 e seguenti).Riteniamo fondamentale che il Consiglio Nazionale mantenga il proprio ruolo di interlocutore con i due Ministri (di Giustizia e dell’Interno) in quanto soggetto legittimato ad inserirsi nel processo in atto al fine di poter garantire la tutela della competenza e del mandato istituzionale e professionale del Servizio Sociale della Giustizia. Al contempo siamo disponibili ad affiancare l’Ordine Nazionale sia partecipando ai futuri incontri sull’argomento (come previsto nella seduta del Consiglio Nazionale del 14 e 15 giugno 2007), sia condividendo azioni omogeneesu tutto il territorio nazionale di cui ogni Ordine regionale può e deve farsi portavoce nel proprio territorio di competenza.
Distinti saluti.
Il PresidenteAnna Lisa Zambotti

SPAZIO: PENSIERI LIBERI

Polizia Penitenziaria negli Uepe: confronto e informazione
di Eustachio Vincenzo Petralla (Dirigente di Esecuzione Penale Esterna)
Lettera a Ristretti Orizzonti, 31 agosto 2007

Gentile Redazione, ricevo regolarmente il vostro notiziario che è strumento di informazione e diffusione del dibattito davvero molto utile; per questo mi sento di scriverle questa lettera.
Seguo con particolare attenzione il dibattito sulla questione della sperimentazione dell’impiego della polizia penitenziaria nell’esecuzione penale esterna, perché sono direttamente interessato, essendo operatore del settore. Personalmente ritengo che si stia creando un allarmismo eccessivo e che la sperimentazione non comporterà la mortificazione o l’espropriazione del ruolo del servizio sociale negli Uepe. Ma non è questo il tema della mia lettera, perché si sa che su questa questione vi sono posizioni differenziate, a favore o contro, tra gli operatori del settore: e questo è, direi, naturale nel nostro contesto.
Mi preme, però, portare alla vostra attenzione una notizia da voi pubblicata, perché ritengo quantomeno singolare il modo con cui è stata presentata, modo che mi pare non coerente con un
ruolo “terzo” di diffusore delle diverse posizioni sul tema.
Mi riferisco alla notizia apparsa sul notiziario del 7 agosto “Polizia penitenziaria negli Uepe:
continua confronto tra operatori”.
Nel testo si dà notizia, in maniera davvero molto succinta (7 righe su 46), della posizione favorevole sulla sperimentazione espressa dal presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia, Giovanni Tamburino, riportando brevemente alcuni passi del documento; nel prosieguo dell’articolo, invece, (39 righe su 46) si argomenta al fine di dimostrare quanto sbagliata sia quella posizione, addirittura estrapolando anche pezzi di un’intervista concessa dal presidente Tamburino proprio a “Ristretti” nel 2002.
Di fatto la notizia di rilievo, cioè la posizione a favore espressa da una organizzazione autorevole -
il Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza - con una tecnica ben conosciuta dagli
studiosi della comunicazione, viene trasformata nel suo opposto.
A questo riguardo, e sempre che il documento in riferimento sia quello di cui ho notizia io, vorrei
dire che non è un buon servizio al dibattito ed al confronto, per le seguenti ragioni:
• Le affermazioni e tutta l’intervista cui si fa riferimento, oltre ad essere di 5 anni addietro, riguardano la situazione interna agli istituti, dove è preponderante l’aspetto custodiale, non l’esecuzione penale esterna, dove l’intervento previsto sarebbe assolutamente integrativo e non
pervasivo (per gli Uepe più grandi, dove lavorano da 30 a 70 assistenti sociali, saranno impiegate non più di 6-12 unità: dove sarebbe il rischio per “la connotazione sociale degli Uepe e del sistema dei Servizi Sociali della Giustizia operante nel settore adulti”?). • Nell’intervista del 2002 il presidente Tamburino poneva e si poneva domande sulle prospettive del trattamento rieducativo, sulla necessità di esplorare strade e percorsi nuovi per dare nuovi contenuti e forza alla rieducazione, sulle esperienze di altri paesi europei: offriva, cioè, tutta intera la visione di un approccio problematico ad un tema così complesso. Tutto il contrario del semplicismo di un metodo fondato su affermazioni assolute nel cui orizzonte non vi è la possibilità di porsi domande.
• Il presidente Tamburino, inoltre, poneva in evidenza una differenza di mentalità - reale e, di per sé, non negativa - per dire che entrambe le mentalità debbono tenere conto dell’altra. Avendo alla mente il “modello” spagnolo, che ha citato nel corso del colloquio dal quale è stata ricavata la intervista. Ebbene, ciò che è negativo è che le due mentalità non si comprendano e non si integrino, non già che esista una preoccupazione custodiale, accanto a quella “riabilitativa”.
• In questo caso non si tratta solo dell’opinione individuale, pur autorevolissima, (al pari di altri magistrati espressisi in maniera contraria ed alle cui opinioni è stato dato ben altro risalto), di un
magistrato, ma di un documento ufficiale del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza (lil cui peso dovrebbe, quantomeno, essere considerato pari a quello di altri coordinamenti) del quale il presidente Tamburino è coordinatore nazionale; mi pare che ben altro rilievo avrebbe dovuto essere dato al documento e ben altre riflessioni avrebbe dovuto stimolare in chi, anche per affermata vocazione professionale, dovrebbe porsi nell’ottica di interrogarsi sulle posizioni altrui.
• Infine il lavoro paziente di confronto, proposta ed elaborazione di soluzioni alternative e migliorative concrete, non i pronunciamenti di aprioristica opposizione, probabilmente otterranno il risultato di rimodulare il progetto nel senso di prevedere l’intervento ordinario della polizia penitenziaria solo per la detenzione domiciliare, per la semilibertà su richiesta dell’istituto, per gli affidati solo su disposizione della Magistratura di Sorveglianza. Penso che il notiziario “Ristretti” sia interessato a mantenere, in questo caso, un ruolo di soggetto terzo rispetto alle posizioni che si confrontano sul tema. Naturalmente, ben può se lo ritiene, sposare una tesi invece che l’altra, ma chiederei alla redazione, nel riportare le posizioni pubblicate nell’autodefinito Blog di solidarietà, di tenere conto che non si tratta della “verità”, bensì dell’opinione di una parte, legittima altrettanto quanto altre di segno opposto.
Anche perché l’avvio di questo progetto potrebbe essere la strada per un ampliamento nel ricorso alle misure alternative che, credo sia nelle attese di tutti, a cominciare dalla redazione di Ristretti.
Eustachio Vincenzo Petralla

venerdì 24 agosto 2007

GARANTE DEI DETENUTI SICILIA

La Sicilia 24 agosto 2007
L’attenzione dello Stato verso il cosiddetto "pianeta carcere" - sostiene Fleres - è prossima allo zero, e rileva che "quando l’organico degli operatori sociali, degli psicologi penitenziari e dei magistrati di sorveglianza presenta rapporti di 1 a 300 ed oltre, fino ad 1 a 1.000 reclusi, non ci si deve meravigliare se non sempre i provvedimenti di scarcerazione sono corretti e adeguati.

Con tutto il rispetto nei confronti del Ministro della Giustizia - aggiunge - mi fanno sorridere le sue indagini sulle cosiddette "scarcerazioni facili", perché piuttosto non si impegna ad adeguare gli organici del personale penitenziario, con particolare riferimento ad educatori, assistenti sociali, psicologi, medici e a potenziare la magistratura di sorveglianza?".

martedì 14 agosto 2007

OPERATORI UEPE E C.C.TRIESTE

Al Presidente della Repubblica Sen. Giorgio Napolitano


Al Presidente del Consiglio Sen. Prodi


Al Ministro della Giustizia Sen.Clemente Mastella


Al Sottosegretario di Stato per la Giustizia Prof. Luigi Manconi


Al Capo del D.A.P. Dr. Ettore Ferrara


Al Direttore Generale E.P.E. Dr. Riccardo Turrini Vita


Al Direttore Generale del Personale Dr. Massimo De Pascalis


Al Coordinamento Nazionale Assistenti Sociali Giustizia


Alle Organizzazioni Sindacali:


C.G.I.L.-F.P. C.I.S.L.-F.P./P.P. U.I.L.-P.A. S.A.P.Pe O.S.A.P.P. Si.N.A.P.Pe. F.S.A.-C.N.P.P. Si.A.L.Pe.-A.S.I.A. S.A.G.-P.P. U.S.P.P.-UGL FNPP CLPP LISIAPP RDB/CUB


I lavoratori civili dell'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Trieste e della Casa Circondariale di Trieste trasmettono l'allegato documento che esprime profondo dissenso rispetto alle penalizzazioni subite con il rinnovo del contratto per gli Statali, che riguarda anche il personale civile operante nel Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.


Il personale civile del D.A.P. (assistenti sociali e personale amministrativo) opera sia nei Provveditorati Regionali che negli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (che gestiscono l'area penale esterna, con n.42290 persone in carico nel 2006 secondo i dati ufficiali del D.A.P. nel 2006, di persone in esecuzione penale ma NON DETENUTE), sia ancora nelle carceri (dove svolge mansioni nelle aree amministrativa e trattamentale).


Oltre infatti alle penalizzazioni subite con il rinnovo del contratto (mancato riconoscimento dell'aumento per tredici mensilità, etc.), nel settore dell'amministrazione penitenziaria si evidenzia infatti una ulteriore, forte ed iniqua sperequazione di trattamento contrattuale, economico e di carriera rispetto ai Dirigenti ed alla Polizia Penitenziaria: ? non viene riconosciuto il lavoro usurante con lo scivolo di un anno ogni cinque, pur operando tutti, pur con ruoli diversi, con la stessa "difficile" Utenza nell'identico contesto usurante; ? non vengono riconosciute né le varie agevolazioni previste per la polizia penitenziaria (asili nido, alloggi ad affitti agevolati, assicurazioni, convenzioni, etc.) né l'aumento dei giorni di ferie, etc. I lavoratori civili dell'Amministrazione Penitenziaria ricordano che tutto il settore penitenziario non si risolve nell'area sicurezza delle carceri (senza nulla voler togliere all'importanza ed alla gravosità di impegno della Polizia Penitenziaria), esiste anche un'area penale esterna che NON E' CARCERE ed esiste anche negli istituti carcerari l'indispensabile area amministrativa e l'area trattamentale, che da sempre soffre di croniche carenze di organico, di spazi e di risorse materiali: si chiede pertanto parità di riconoscimento dell'impegno profuso negli anni, di trattamento, di risorse. Speriamo nella Vostra attenzione.


Le R.S.U e i lavoratori dell'UEPE e della Casa circondariale di Trieste

domenica 12 agosto 2007

ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI


UEPE: le prospettive del servizio sociale del settore penale adulti-Ipotesi per una conferenza nazionale.
Il Consiglio Nazionale intende incontrare gli assistenti sociali degli UEPE in un meeting da organizzare il prossimo mese di ottobre.
Con l’obiettivo di assumere il ruolo di attivatore di una fase di riflessione fra tutti i soggetti coinvolti nella gestione delle misure alternative, il Consiglio Nazionale, nella seduta di Consiglio del 15/16 giugno scorso ha deciso di farsi promotore di una Conferenza nazionale sul servizio sociale del settore penale adulti, da tenersi nell’ottobre prossimo. Il successivo rinvio di ogni decisione in merito al decreto interministeriale, stabilito dai vertici Dap in occasione dell’incontro avuto con le OO.SS l’11 luglio scorso, attribuisce a tale iniziativa una valenza ancora maggiore. Infatti, la conferenza potrà veramente essere sede e occasione di confronto fra punti di vista anche diversi, nonché di attenta e schietta valutazione di tutti gli elementi che compongono e incidono sul complesso mondo della esecuzione penale esterna e sul ruolo, in tale ambito rivestito, dal servizio sociale.
Il servizio sociale della Giustizia del settore adulti sta attraversando, oggi, una delle più difficili fasi di tutta la sua ultratrentennale storia. Infatti la recente proposta del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di inserire la polizia penitenziaria, con funzioni di controllo, nell’esecuzione penale esterna e, nello specifico, nella detenzione domiciliare e nell’affidamento in prova al servizio sociale (proposta, che si è concretizzata in due distinte bozze di decreto, uno del Ministero della Giustizia e, il secondo, interministeriale - Ministeri della Giustizia e dell’Interno), ha suscitato forti reazioni e allarme per il futuro del servizio sociale di tale settore, sia nella maggioranza degli assistenti sociali degli Uffici Esecuzione Penale esterna (Uepe), sia nel mondo del volontariato penitenziario e dell’associazionismo. Preoccupazione e sconcerto sono stati espressi anche dal Coordinamento degli assistenti sociali della Giustizia (Casg) e da molte organizzazioni sindacali, fra cui la Cgil, l’Ugl, il Sag Unsa, la Federazione delle RdB e il Salpe.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali ha raccolto il disagio degli operatori degli Uepe e, ponendosi l’obiettivo di assolvere il proprio compito di tutela della professione, è intervenuto attivandosi su più fronti, anche al fine di allargare l’area di riflessione. A tale scopo ha incontrato sia il Ministro della Giustizia Clemente Mastella, sia i vertici del DAP, ai quali sono state sottoposte valutazioni e proposte in merito all’ipotesi di riforma. Tali valutazioni e proposte sono esposte ed illustrate nella documentazione allegata, scaricabile dal collegamento sottostante. (http://www.cnoas.it/ primo piano 08.07)

martedì 7 agosto 2007

DISEGNO DI LEGGE LAVORO USURANTE

Con preghiera di inviare l'appello agli onorevoli promotori della proposta di legge e per conoscenza alle varie OO.SS. del settore penitenziario

Agli On.li Silvio Crapolicchio e Ferdinando Benito Pignataro
Illustri Onorevoli,
Gli Assistenti Sociali firmatari, nel ringraziare le S.S.L.L. per l’attenzione posta alle figure professionali che operano nel mondo penitenziario, con la Loro proposta di legge recante "Norme in materia previdenziale in favore di lavoratori e lavoratrici del sistema penitenziario" chiedono che vengano indicate più esplicitamente le "figure professionali, sia interne che esterne" che operano in connessione con l’istituzione carceraria, visto che non viene fatto riferimento né all’area trattamentale né al ruolo del Servizio Sociale .
Invero, la Loro proposta, pur se apprezzabilissima perché considera una serie di problemi e disagi vissuti da chi opera nel mondo carcerario, ha però il limite, ci si consenta la critica, di muovere da una visione dell’esecuzione penale "monodimensionale", cioè solo come "intramuraria".
Orbene, anche in ambito strettamente carcerario è fondamentale il ruolo attribuito al Servizio Sociale dall’Ordinamento Penitenziario.
L’Assistente Sociale, infatti, non solo partecipa come soggetto obbligatorio all’équipe di osservazione e trattamento, ma è la professionalità di collegamento cui il detenuto si rivolge per il mantenimento del rapporto con il suo ambiente familiare e di provenienza.
Spesso gli interventi dell’Assistente Sociale sono estremamente utili per "tranquillizzare" il detenuto, ed abbassare così anche la tensione nella struttura penitenziaria, aumentandone la sicurezza.
Tuttavia, come dicevamo, la visione dell’esecuzione penale, così come prospettata nella Loro proposta non considera tutta un' altra dimensione che essa ha: quella dell’esecuzione penale esterna.
Questa dimensione, che ha pari dignità con quella intramuraria, sia per numeri che per contenuti, e che dà compiuta attuazione al secondo comma dell’art. 27 della Costituzione, vede il Servizio Sociale come professionalità di base a cui il legislatore affida il reinserimento sociale del condannato ed addirittura il controllo di una particolare Misura Alternativa che è l’Affidamento in prova al Servizio Sociale.
Fino ad oggi gli Assistenti Sociali hanno sempre adempiuto al loro compito nel modo migliore possibile (fanno fede gli stessi dati del DAP), nonostante la scarsità di personale, con i CSSA (oggi UEPE) sempre endemicamente sotto organico, con carichi di lavoro spesso ingestibili; da soli ad "inseguire " gli utenti in ambienti non certo rassicuranti (pensino alle Vele di Secondigliano o a Comuni ad altissima densità criminale come Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa nel Casertano ecc.); in rapporto continuo con una umanità (dentro e fuori dal carcere) che, comunque la si voglia giudicare, si trova in un periodo difficilissimo della propria vita, e che perciò stesso tende a scaricare sulla figura professionale dell’Assistente Sociale il proprio disagio, la propria sofferenza, i propri problemi, che annichiliscono l’operatore quando si rende conto di non poter intervenire in maniera compiuta, spesso nel silenzio di un territorio non attrezzato e talvolta non interessato al reinserimento sociale effettivo della persona condannata; e ciò è particolarmente vero, come è noto, in alcune realtà geografiche.
Se le S.S.L.L. avessero la possibilità di parlare direttamente con questi operatori, verrebbero a conoscenza di una miriade di casi drammatici che non lasciano indifferenti e che coinvolgono nel profondo l’umanità dell’operatore.
Quello dell’Assistente Sociale Penitenziario è un lavoro che non consente di "staccare la spina", di attenersi rigidamente all’orario di lavoro: "il caso" e le sue implicazioni drammatiche seguono l’operatore anche a casa, anche in ferie!
Non a caso il burn-aut è una malattia professionale molto diffusa.
Tutto ciò però non è mai stato valorizzato, anzi oggi viene del tutto misconosciuto: agli Assistenti Sociali è stata tolta l’indennità di missione (che già di per sé era una miseria: pochi centesimi a ora); non viene riconosciuto l’aumento dei giorni di ferie annuali, col passare degli anni; così come non viene riconosciuto nessuno dei benefici che vengono invece elargiti alla Polizia Penitenziaria e ai Dirigenti, pur non avendo questi ultimi, per la funzione che svolgono, nessun contatto con le persone condannate e con gli ambienti a rischio; soprattutto, il lavoro dell’Assistente Sociale Penitenziario non viene riconosciuto come lavoro usurante.
Ecco perché i firmatari di questo appello chiedono alle S.S.L.L. di indicare chiaramente nella proposta di legge di cui sono autori, il Servizio Sociale come professionalità importante nel mondo penitenziario, con l’estensione anche agli Assistenti Sociali del riconoscimento del lavoro usurante e dei benefit di cui gode la Polizia Penitenziaria, al fine di sancire la "pari dignità" tra tutte le figure professionali che operano nel Penitenziario.

SPAZIO: PENSIERI LIBERI

UN'ALTRO MISTERO CHE DOVREBBE ESSERE SVELATO E' QUESTA DECISIONE DI INTRODURRE LA POLIZIA PENITENZIARIA NEGLI UEPE. RIPETUTAMENTE SUI GIORNALI DI TUTT'ITALIA SI SUSSEGUONO LE LAMENTELE DEGLI AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA RELATIVAMENTE ALLE CARENZE DI PERSONALE. A CHE SCOPO, QUINDI, TRASFERIRLI PRESSO UN SERVIZIO CHE DOVREBBE ESSERE APPANNAGGIO DEGLI ASSISTENTI SOCIALI? FORSE CHE GLI ASSISTENTI SOCIALI NON LAVORINO BENE? SIANO IMPREPARATI? NON DIANO UN BUON SERVIZIO? PERCHE' NON SI E' PIU' CHIARI SU QUESTE DECISIONI?
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Mi sembra che fra tanto dire, sia sfuggita una sfaccettatura che andrebbe posta in evidenza, una sfaccettatura d'immagine. Un'immagine non apparente, ma sostanziale. 32 anni di lavoro degli Assistenti Sociali della Giustizia tenuti nascosti dall'Amministrazione penitenziaria, un lavoro di costruzione di reti sul territorio, sia con gli Enti Locali che col Volontariato ed il Terzo Settore, non meno che con la Polizia di Stato ed i Carabinieri, con cui sono state condivise le misure alternative alla detenzione e le misure di sicurezza extradetentive.
I CSSA prima e gli UEPE dopo, hanno sempre vissuto e vivono un oscurantismo da parte del DAP, mentre ora, coi nuclei di verifica, i Poliziotti Penitenziari, saranno i portatori dei buoni risultati ottenuti in questi anni dai CSSA/UEPE, pur non essendo cambiata la tipologia di condannati e a fronte dei positivi riscontri sulle misure alternative alla detenzione delle ricerche universitarie.
Quale migliore momento per mietere il successo? Il DAP, attraverso la Polizia Penitenziaria, già in TV, porterà l'immagine di questi buoni risultati alla popolazione.
Nuclei di verifica di polizia penitenziaria, con quei mezzi ed uomini sempre negati agli UEPE, che in accordo con il Ministero degli Interni ed un impiego di controllo limitato a stretti ambiti territoriali e su indicazioni degli UEPE daranno il via ad una sperimentazione ben preparata, a rischio zero, che cioè non può fallire! Ne perderebbe l'immagine non solo il Corpo di polizia Penitenziaria, ma la stessa Amministrazione Penitenziaria. E, si sa, quel che conta è un buon inizio per presentarsi sul territorio.
I giornalisti percepiranno solo così la realtà delle misure extradetentive, finalmente, anche se invero, sarebbe tempo, che quegli stessi giornalisti ed i mass-media in generale, si accorgessero anche della realtà reale, per quella che è, e non solo pescando informazioni solo dagli uffici stampa ministeriali.
Gli assistenti sociali si possono usare e denigrare quando non soddisfano le aspettative di chi li vorrebbe come li desiderano.
Essi non hanno immagine, non sono tutelati nell'immagine dal proprio datore di lavoro, né dai Sindacati in maniera adegata.
La loro visibilità è diafana, non si sono resi visibili alla gente in 32 anni, e di questo ne sono in buona parte colpevoli, eppure seguono oltre 50.000 condannati adulti l'anno, sopratutto in esecuzione penale extradetentiva con trattamenti psico-sociali individualizzati e progetti, di sicuro valore professionale che incide significativamente sull'abbattimento della recidiva.
L'invisibilità è tuttavia la loro connotazione, un non essere presenti nella storia, nella politica, nell'Amministrazione penitenziaria ed il DAP sceglie altri, per dare visibilità all'esecuzione penale extradetentiva, cogliendo la richiesta di una società che vuole "vedere polizia" più che "sapere" che le misure alternative alla detenzione funzionano anche senza altra polizia, perché già funziona quella che c'è.
Così, c'è chi ha costruito, ma non si vede e chi si vede e raccoglie.
Forse però, lo dico senza rinunciare alla speranza, sarebbe tempo che anche gli assistenti sociali della Giustizia uscissero dal nascondimento, che accettassero una veste, che fossero categoria, che evitassero le divisioni sindacali, che mostrassero con forza la loro identità professionale, che c'è, che si unissero al di là del colore, che incominciassero a dimostrare di "essere", che incominciassero a fare politica.
Trentadue anni di storia d'Italia, di esecuzione penale extradetentiva dei condannati adulti, con una recidiva bassissima, che ha fatto venire meno l'ergastolo bianco, che ha riconvertito i condannati in cittadini rispettosi delle leggi, che ha prodotto reinserimenti sociali significativi, che ha permesso a tossico ed alcoolcodipendenti, ammalati di mente, ma anche comuni cittadini di sperimentare un rapporto con l'autorità non violento, seppure sotto un regime di controllo e direttivo, di non può passare inosservata, coperta da un fascio di luce blu che tende a coprire, cancellandolo, tutto un passato, fatto d'impegno, di sofferenza, di studio, di confronto, di aperture e promozioni, di sensibilizzazione ai vari soggetti sociali ed istituzionali, con mezzi e risorse ridottissimi.
Così, senza nulla togliere a chi di questa luce blu sarà portatore, perché la politica ed i tempi storici vanno rispettati, ritengo che proprio per la democrazia e la giustizia, quella giustizia che non è controllo formale e rispetto rispetto di regole, si deve vedere emergere quella luce bianca che gli assistenti sociali della giustizia non hanno finora saputo proiettare, in parte per impedimento, in parte per inconsapevolezza, in parte per incapacità di sapersi mostrare nell'agorà sociale e politica, ma che è parte stessa di un agire professionale che continua a permettere quell'inclusione sociale pacifica, senza la quale si rischia di tornare con un balzo all'indietro, ad un'esecuzione penale meramente retributiva, in un periodo storico in cui tutta l'Europa sta riscoprendo una variabilità di misure alternative e sostitutive alle detenzione, affidate ad agenzie di mediazione sociale.
g. luigi (http://www.casg.it/)
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Le norme legislative e la validità dell'esperienza concreta sono dalla parte del servizio sociale, che è mosso non da interessi corporativi, ma dal desiderio di salvaguardare un assetto normativo e organizzativo che ha dato buoni risultati. Speriamo che non prevalgano spinte di altro genere.
anna (http://www.solidarietaasmilano.blogspot.com/)

lunedì 6 agosto 2007

ORDINE ASSISTENTI SOCIALI ABRUZZO

Prot. 466
L’Aquila, 01 agosto 2007
Al Consiglio NazionaleOrdine Assistenti Sociali
Alle Colleghe dell’U.E.P.E.di L’Aquila
e p.c. Agli Ordine RegionaliAssistenti Sociali
LORO SEDI

In qualità di Presidente e di rappresentante legale dell’Ordine Regionale per l’Abruzzo degli Assistenti Sociali, ho ricevuto una nota inviata dalle colleghe Assistenti Sociali dell’UEPE.Nella nota ricevuta, le Colleghe dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) facevano presente che nel mese di aprile di questo anno veniva reso pubblico, da parte del Ministero di Grazia e Giustizia, la bozza di un Decreto Ministeriale relativo all’intervento del Corpo di polizia penitenziaria nell’esecuzione penale esterna, fino ad allora materia di competenza esclusiva degli Assistenti Sociali.
In seguito a tale provvedimento le colleghe dell’UEPE, hanno tempestivamente informato l’Ordine e chiesto "un intervento di tutela della professione dell’Assistente Sociale e tutta l’attenzione per impedire la sperimentazione della Polizia Penitenziaria nel controllo dei sottoposti alle misure alternative, in particolare dei sottoposti all’Affidamento in prova al Servizio Sociale (art. 47 L. 354/1975").
Questo Ordine Regionale prende atto che l’attuale normativa di riferimento, prima dell’intervento del citato Decreto Ministeriale, descrive espressamente la figura professionale, i compiti e le funzioni del personale addetto al controllo dei sottoposti all’affidamento in prova ai servizi sociali.In particolare, la Legge 354 del 1975 così si esprime:L’articolo 47 comma 1 "Affidamento in prova al Servizio Sociale": "Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al Servizio Sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare."
L’art. 47 comma12-bis:" All'affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54.L’art. 9 : "Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita."
Appare chiaro che l’enunciato riportato dalla legge e le intenzioni del Legislatore non lascino spazi ad equivoci e fraintendimenti : il controllo dell’affidato in prova al servizio sociale, per le competenze che la stessa Legge richiede a chi effettua il controllo, deve rimane di esclusiva competenza della figura professionale dell’Assistente Sociale.L’ipotesi di affiancare all’Assistente Sociale il personale della polizia penitenziaria è un non senso e provocherebbe il fallimento dell’intero Istituto dell’affidamento in prova.
Infatti, a quale titolo e con quale professionalità, il personale della Polizia Penitenziaria opererebbe il controllo del "concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità" (art. 47 comma 1 Legge 375/1975) ?
Ed ancora, quali strumenti professionali possiede il personale della Polizia penitenziaria per "aiutare a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita" (art. 47 comma 12 bis Legge 375/1975) ?Risulta del tutto evidente che l’affiancamento del corpo della Polizia penitenziaria agli Assistenti Sociali nell’affidamento ai servizi sociali rischia di vanificare tutti i risultati raggiunti e gli sforzi compiuti dai colleghi assistenti sociali compiuti in questo delicato compito svolto presso l’UEPE.
Come affermano le stimate colleghe dell’UEPE, l’Affidamento in Prova al Servizio Sociale è la misura alternativa per eccellenza, tant’è vero che la persona condannata non ha lo status giuridico di detenuto, dunque l’affiancamento del personale della Polizia Penitenziaria è del tutto immotivato anche da un punto di vista giuridico, non aiuta le colleghe anzi le metterebbe in una scomoda posizione nella loro opera di controllo e di recupero degli utenti loro affidati.
Senza volere entrare in polemica con le istituzioni e per quanto di competenza di questo Ordine Professionale, riteniamo che in questo particolare ambito, l’Ordine Nazionale e tutti gli Ordini Regionali debbano far sentire forte la loro voce ed, in particolare, le ragioni professionali,giuridiche, tecniche e di semplice buon senso che di fatto contrastano con l’ipotesi dell’affiancamento alle nostre colleghe dell’UEPE previsto dal Decreto Ministeriale del Ministero di Grazia e Giustizia.Infine un’ultima breve riflessione: questa vicenda è emblematica di quanto spesso avviene in altri ambiti lavorativi, dove la figura professionale dell’Assistente Sociale viene, a volte, ricondotta a competenze ed ambiti che non le sono propri ed, anzi, spesso la nostra professione viene "confusa" per ignoranza o scientemente a figure professionali atecniche.
Questo Ordine Regionale vorrebbe che la tutela della nostra professione sia l’intervento prioritario cui l’azione dei vari Ordini deve tendere.A noi sembra che la difesa, in ambito istituzionale, delle colleghe dell’Ufficio esecuzione penale esterna sia un buon banco di prova per attivare questa nostra missione.
Pertanto, invitiamo l’Ordine Nazionale e i vari Ordini Regionali a promuovere tutte le iniziative più idonee ed opportune in favore di tale causa.
IL PRESIDENTE DELL’ORDINE REGIONALE
f.to dott.ssa Maria PALLESCHI

Polizia Penitenziaria negli UEPE: in attesa della nuova bozza di decreto continua il confronto tra gli operatori della giustizia

Ansa.it-Wikio.it-Ristretti.it
La polizia penitenziaria può operare con compiti di controllo su soggetti sottoposti a misura alternativa alla detenzione ma per farlo gli agenti vanno formati e non devono venire meno ai doveri istituzionali. Lo sostiene il Conamas, nel prendere atto del progetto di inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe. Per Conams, in un documento a firma di Giovanni Tamburino, la scelta di affidare anche o prevalentemente a personale di polizia penitenziaria i compiti in questione consente una migliore realizzazione degli obiettivi delle misure.
E, ciò- avverte Tamburino- sia per l'appartenenza della polizia penitenziaria al medesimo comparto organizzativo(Dipartimento amministrazione Penitenziaria) dipendente dal Ministero della Giustizia, sia per il dovere, rientrante tra i compiti istituzionali della polizia penitenziaria, di partecipare alla realizzazione delle finalità di riabilitazione proprie della pena, sia, infine per la specifica, competenza, esperienza, posseduta dalla polizia penitenziaria.
Per il Conams, l'esigenza centrale è comunque quella di non snaturare le caratteristiche delle misure alternative al carcere, in particolare dell'affidamento in prova al servizio sociale, un fatto che si realizzerebbe se divenisse preponderante o, comunque squilibrato, un atteggiamento di controllo rispetto alla operatività di indirizzo e sostegno del detenuto in stato di libertà. Per questo, per il Conams è centrale una specifica formazione del personale di polizia penitenziaria destinato ai nuovi compiti, per renderne l'intervento non conflittuale, ed anzi pienamente armonico, con quello delle altre componenti addette al trattamento del condannato.
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Rispetto al progetto di inserimento della polizia penitenziaria all'interno degli Uepe (Uffici di esecuzione penale esterna) con compiti di controllo su quanti sono sottoposti a misure alternative alla detenzione, Giovanni Tamburino, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, già direttore dell' Ufficio Studi del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP), ritiene che cio "consente una migliore realizzazione degli obiettivi propri delle misure". Occorre, tuttavia, che l'obiettivo venga realizzato compatibilmente con "l'esigenza di non snaturare le caratteristiche delle misure alternative, e in particolare quella dell'affidamento in prova al servizio sociale", predisponendo "una specifica formazione del personale destinato ai nuovi compiti, per renderne l' intervento non conflittuale e anzi pienamente armonico con quello delle altre componenti addette al trattamento del condannato sottoposto alle misure". "Importantissima a questo proposito - prosegue la nota - sara' la previsione che i controlli vengano effettuati in modo da non compromettere il lavoro e le relazioni ambientali che favoriscono il reinserimento del condannato".

Il segretario della UIL PA-Penitenziari, Eugenio Sarno, plaude all'intervento del presidente del Tribunale di Sorveglianza di Venezia affermando: "Vogliamo sperare che le parole del Dr Tamburino sullla opportunità di impiego della polizia penitenziaria presso gli Uepe pongano fine a tutte le polemiche; ma non possiamo non sottacere che il Dr. Margara (già capo del DAP) sostiene esattamente l'opposto. Tantomeno riteniamo che l'eventuale impiego della polizia penitenziaria in compiti di controllo possa snaturare le caratteristiche delle misure alternative. Lo abbiamo ripetuto tante volte"- conclude Eugenio Sarno- noi puntiamo ad un progetto che salvaguardi le varie competenze e professionalità senza duplicazioni, o indebite ingerenze, nei rispettivi ruoli. si tratta, semplicemente, di organizzare un nuovo Servizio di controllo sui soggetti ammessi alle misure alternative".

In merito alla dichiarazione del Dr. Tamburino, il Comitato di solidarietà assistenti sociali, considera le condizioni poste dal magistrato non garantibili, anche per i motivi evidenziati dallo stesso Dr Tamburino alcuni anni fa, all'epoca direttore dell’Ufficio Studi del DAP, in un'intervista rilasciata alla redazione di Ristretti Orizzonti (www.ristretti.it/interviste/giustizia/tamburino.htm)- dove affermava:"L'attribuzione al personale di custodia di compiti anche trattamentali risale alla legge del 92, che ha riformato il corpo degli agenti di custodia, facendoli diventare polizia penitenziaria: cambiamento di denominazione, civilizzazione, cioè non più corpo militare ma corpo civile e, in uno degli articoli della legge, si dice chiaramente che la polizia penitenziaria concorre, con gli altri operatori, all’attuazione delle attività trattamentali. Da allora, sul piano della formazione, direi che si fa abbastanza per dare questa nuova impostazione, questo nuovo taglio, alla polizia penitenziaria. Diciamo però che rimane un problema di fondo, quello di mettere insieme due competenze che, a un certo momento, divergono e, forse, sono difficilmente compatibili. Probabilmente il problema di conciliare questi due compiti (la custodia e il trattamento), ma anche due mentalità, due preparazioni diverse, esiste dappertutto. Parliamoci con franchezza, la preparazione destinata alla custodia, alla tutela dal rischio, è una preparazione che deve basarsi sulla sfiducia, sul sospetto, sulla preoccupazione. Questo atteggiamento è difficile da conciliare con l’atteggiamento educativo, che si fonda invece sulla fiducia. Allora vedete che qui, alla radice, c’è una spaccatura che è difficile da conciliare". Sempre secondo il Comitato di solidarietà- " la sensazione è che vi sia soprattutto l'interesse da parte del DAP di far partire il progetto senza troppi ma e perchè, senza le necessarie prerogative richieste per una qualsiasi reale sperimentazione in quanto la loro maggiore preoccupazione sembra essere quella di non far sfigurare il Ministro il quale, forse grazie ad incauti consiglieri, a pochi mesi dal suo insediamento in via Arenula, aveva annunciato l'istituzione sul territorio di Commissariati di polizia penitenziaria con compiti di controllo anche sulle misure alternative. Rispetto alla specifica formazione del personale destinato ai nuovi compiti che il dott. Tamburino considera inprescindibile, è utile ricodare quanto affermato dal Segretario nazionale UIL- penitenziari in un comunicato stampa riferito al confronto sulla bozza di decreto del Ministro Mastella (www.polpenuil.it- La P.P. negli UEPE: confronto difficile, ma si va avanti!): " il personale sarà deputato a compiti di controllo, quindi a compiti di polizia, pertanto non ravvediamo alcuna necessità di corsi di formazione. La polizia penitenziaria ha già l'adeguata professionalità per svolgere tali compiti".

Il Comitato di solidarietà, ribadisce la propria posizione: " condividiamo gli approfondimenti di tipo giuridico effettuati sulle bozze di decreto fino ad oggi presentate dalla Direzione Generale dell'Amministrazione Penitenziaria, da giuristi ed esperti del settore che dimostrano l'estranità alle attuali previsioni normative dell'introduzione della Polizia penitenziaria negli UEPE con funzioni operative nell’ambito degli Uffici, così come estraneo, con le attuali caratteristiche previste dall’ordinamento, è il controllo che verrebbe svolto dalla polizia penitenziaria per la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale". "Modifiche di tale portata"- sempre secondo il Comitato- "non possono essere definite per decreto ministeriale ma per legge". "Per non snaturare le caratteristiche delle misure alternative "- continua il Comitato di solidarietà assistenti sociali- "si trovino all’interno di un progetto complessivo di riforma del sistema delle misure alternative, altri strumenti e soluzioni. Si escluda dall'eventuale sperimentazione l'affidamento in prova al servizio sociale, proprio per le caratteristiche di tale misura e se si vogliono realmente salvaguardare le varie competenze e professionalità, senza creare duplicazioni, indebite ingerenze, non si metta a rischio la connotazione sociale degli Uepe e il sistema dei Servizi Sociali della Giustizia operante nel settore adulti, creando un Servizio nel Servizio, ma si trovi eventualmente una diversa collocazione per i nuclei di polizia penitenziaria.

venerdì 3 agosto 2007

REDATTORE SOCIALE

CARCERE
17.36 - 03/08/2007
Polizia penitenziaria negli Uepe, l'Anfu: ''Bene, ma servono i commissariati''

Parla l'Associazione nazionale dei Funzionari della Polizia Penitenziaria: ''L'istituzione di articolazioni autonome a cui poter affidare la responsabilità di tali organi, eviterebbe sterili diatribe fra diverse figure professionali''
"Appare lodevole l’iniziativa del Ministro della Giustizia Clemente Mastella, di concerto con il Ministero dell’Interno, di far trasmigrare le competenze sui controlli di polizia dei soggetti in esecuzione penale esterna ai penitenziari da altri Corpi di Polizia alla Polizia penitenziaria". A dichiararlo è Mariano Salvatore, segretario nazionale dell’Anfu, l’Associazione nazionale dei Funzionari della Polizia Penitenziaria. Per Salvatore, "ciò oltre a rappresentare la giusta attribuzione di compiti all’organo appropriato, consentirebbe il recupero di unità alla Polizia di Stato ed all’Arma dei Carabinieri permettendo una migliore razionalizzazione delle risorse umane fra tutti i Corpi di Polizia". Tuttavia, per l’Anfu, "la proposta organizzativa non appare per nulla aderente a quanto inizialmente annunciato dal Ministro della Giustizia che ha sempre asserito di voler dar vita, in funzione di ciò, a commissariati di polizia penitenziaria".
"L’istituzione di articolazioni autonome della polizia penitenziaria - afferma - oggi finalmente dotata di personale direttivo del Corpo a cui poter affidare la responsabilità di detti organi, eviterebbe superflue e sterili diatribe fra diverse figure professionali operanti nell’amministrazione penitenziaria, eluderebbe sovrapposizioni di competenze e renderebbe giustizia ai commissari della polizia penitenziaria, ad oggi formalmente privati delle funzioni direttive cui sarebbero demandati ad adempiere".
"L’auspicio - conclude - e che ciò si realizzi e che le sedi delle istituenti articolazioni possano essere individuate nei Tribunali di Sorveglianza con dipendenza funzionale del personale di detti uffici, dai magistrati di sorveglianza (come peraltro avviene nel procedimento penale con le sezioni di polizia giudiziaria) attraverso la costituzione di nuclei che oltre ai controlli sull’esecuzione penale esterna possano rappresentare una vera e propria polizia dell’esecuzione penale sia intra che extra muraria".

giovedì 2 agosto 2007

REDATTORE SOCIALE

CARCERE 12.2102/08/2007

I garanti dicono "no" alla polizia penitenziaria negli uepe. Plauso dagli assistenti sociali. Il Comitato di solidarietà apprezza la presa di posizione

''Emblematico che da un lato risultano insufficienti le risorse economiche che la finanziaria ha destinato al Carcere, dall'altro si investe su una sperimentazione non preventivata''

In un incontro tenutosi ieri a S. Vittore i Garanti dei diritti dei detenuti (attualmente sono stati istituiti 12 Uffici dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Milano e da 10 comuni) ad un anno dall’approvazione dell’indulto, hanno presentato alla stampa le loro osservazioni su quanto è stato fatto e su quanto ancora deve essere realizzato nel nostro Paese in materia di pene e di carcere.
L’occasione è stata propizia anche per discutere della proposta del Ministro Mastella di attribuire alla polizia penitenziaria competenze di controllo nelle Misure alternative (vale a dire negli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna - Uepe). Desi Bruno, garante del Comune di Bologna, ha espresso il no dei garanti a tale progetto, affermando chiaramente: "Noi siamo contrari all’inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe".
Oggi in una nota, il Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali, nel condividere le osservazioni e le proposte dei garanti dei diritti dei detenuti ad un anno dall’approvazione dell’indulto, afferma di apprezzare la loro presa di posizione sulla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli Uepe, così come quella espressa nei giorni scorsi dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca), "fortemente preoccupati da tale progetto a tal punto da dichiarare che se approvato li porterà a valutare l’opportunità di non accogliere più soggetti in esecuzione penale esterna nelle loro strutture".
"È emblematico che da un lato risultano insufficienti le risorse economiche che la finanziaria per il 2007 ha destinato al Carcere, dall’altro si vuole investire su una sperimentazione finanziariamente non preventivata- dai contenuti e dalle finalità incerte e confuse", afferma il Comitato.
Lo stesso Comitato di solidarietà, infine, auspica "che prevalga il buon senso e che si investa tempo e denaro della collettività per offrire alle persone detenute e in esecuzione penale esterna delle concreti percorsi di responsabilizzazione ed opportunità di reinserimento. Solo in questo modo non prevarrà la demagogia e sarà realmente garantita ai cittadini la sicurezza".

VITA


Indulto un anno dopo: le considerazioni dei Garanti
(redazione@vita.it)02/08/2007
Urgenti le modifiche alla ex Cirielli, alla Bossi-Fini e alla Fini-Giovanardi. E più soldi per i progetti di reinserimento
I Garanti dei diritti dei detenuti fanno il loro bilancio a un anno dall'indulto. Per i 12 Garanti l'indulto era inevitabile per "l'illegalità" che si era venuta a creare a causa del sovraffollamento delle carceri. Ma per superare la logica emergenziale sono necessarie risorse economiche da investire per il reinserimento sociale dei detenuti e per ristrutturare le carceri in modo da adeguarli al regolamento del 2000, invertendo la tendenza delle precedenti manovre finanziarie, che hanno invece visto tagliare sul Carcere".
Franco Corleone, garante Comune di Firenze, ha chiesto impegni precisi al Parlamento e al Governo per non vanificare i risultati podotti dall'indulto. "Le misure più urgenti - ha detto - sono le modifiche della legge ex Cirielli sulle recidive, della Fini-Giovanardi sulle droghe e della Bossi-Fini sull'immigrazione. Provvedimenti che il garante del Comune di Firenze ha definito "criminogeni" e che "portano in carcere persone che non dovrebbero entrarci". Per Giorgio Bertazzini, invece, garante della provincia di Milano, si deve iniziare ad affrontare il tema della sicurezza considerando anche la ricadute positive che hanno sulla recidiva le misure alternative al carcere e offrendo al detenuto dei percorsi di reinserimento sociale.
Rispetto alla proposta del Ministro Mastella di attribuire alla polizia penitenziaria competenze di controllo nelle Misure alternative Desi Bruno, garante del Comune di Bologna, ha espresso il no dei garanti a tale progetto. "Noi siamo contrari all'inserimento della polizia penitenziaria negli Uepe".
I Garanti sono al momento 12, istituiti dalla Regione Lazio, dalla Provincia di Milano e da 10 comuni. All'incontro era presente Stefano Anastasia, capo della segreteria del sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi.
Il Comitato di solidarietà assistenti sociali, nel condividere le osservazioni e le proposte dei garanti dei diritti dei detenuti ad un anno dall'approvazione dell'indulto, apprezza la loro presa di posizione sulla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli uepe, così come quella espressa nei giorni scorsi dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza(CNCA), fortemete preoccupati da tale progetto a tal punto da dichiarare che se approvato li porterà a valutare l'opportunità di non accogliere più soggetti in esecuzione penale esterna nelle loro strutture. E' emblematico che da un lato risultano insufficienti le risorse economiche che la finanziaria per il 2007 ha destinato al Carcere, dall'altro si vuole investire su una sperimentazione finanziariamente non preventivata- dai contenuti e dalle finalità incerte e confuse Il Comitato di solidarietà, auspica che prevalga il buon senso e che si investa tempo e denaro della collettività per offrire alle persone detenute e in esecuzione penale esterna dei concreti percorsi di responsabilizzazione ed opportunità di reinserimento. Solo in questo modo non prevarrà la demagogia e sarà realmente garantita ai cittadini la sicurezza.