di Zygmunt Bauman
La Repubblica, 16 settembre 2008
In un mondo globalizzato allo slogan rivoluzionario "Liberté, Egalité, Fraternité" si è sostituito il motto "Sicurezza, Parità, Rete".
Quando venne proclamato per la prima volta, in Francia, nel pieno dell’eccitazione rivoluzionaria, lo slogan "Liberté, Egalité, Fraternité" era, allo stesso tempo, l’espressione sintetica di una filosofia di vita, una dichiarazione di intenti e un grido di battaglia. La felicità è un diritto umano e il suo perseguimento è un’inclinazione umana naturale e universale - così suonava l’assunto, implicito e evidente, di questa filosofia di vita. Per conseguire la felicità, gli uomini avevano bisogno di essere liberi, uguali e affratellati (tra fratelli, la simpatia, il soccorso e l’aiuto sono diritti di nascita, non un privilegio che deve essere guadagnato ed esibito prima di vederselo riconosciuto).
Come sostenne in maniera memorabile John Locke, anche se come le persone erano state abituate a credere da secoli di appelli improntati al memento mori, gli uomini possono scegliere e percorrere "solo un cammino" verso la felicità eterna (il cammino della pietà e della virtù, che conduce all’eternità del Paradiso), resta valido quanto segue: una sola tra queste è la vera via della salvezza. Ma tra le mille che gli uomini imboccano, qual è quella giusta? Né la cura dello stato, né il diritto di far leggi hanno svelato con maggior certezza al magistrato la via che conduce al cielo di quanto non l’abbia svelato a un privato cittadino la propria ricerca.
Queste assunzioni, riguardanti il legame intrinseco e indissolubile tra la qualità del "commonwealth" e le chance di felicità individuale, hanno perso, o stanno rapidamente perdendo, la loro validità assiomatica, e tale declino avviene tanto nel modo di pensare della gente così come nella loro versione intellettualmente sublimata. Ed è forse per questa ragione che le condizioni implicite della felicità individuale stanno scivolando dalla sfera sovra-individuale della Politica verso il dominio della bio-politica individuale, postulata come terreno di iniziative eminentemente personali, in cui vengono impiegate per lo più, se non esclusivamente, risorse possedute e gestite a livello individuale. Lo spostamento riflette il mutamento delle condizioni di vita, risultante dai processi liquido-moderni di deregulation e privatizzazione, cioè "sussidiarietà", "outsourcing", "sub-contratti" e così via, con cui si rinuncia progressivamente ad elementi che prima facevano parte delle funzioni svolte dal commonwealth. La formula che si sta oggi profilando, in ordine al perseguimento dell’obiettivo (immutato) della felicità, è espressa al meglio dal motto: "Securité, Parité, Reseau" (Sicurezza, Parità, Rete).
Il valore della "sicurezza" sta scacciando quello della libertà. Questo "scambio", caratteristico della nostra civiltà, si manifestò per la prima volta allorché Sigmund Freud, in Il disagio della civiltà, pubblicato nel 1929, mise in luce la tensione e gli scivolamenti che caratterizzano il rapporto tra questi due valori, ugualmente indispensabili e altamente considerati, eppure difficili da riconciliare. In meno di un secolo, il continuo progresso della libertà individuale di espressione e di scelta ha raggiunto un punto in cui il prezzo di tale progresso, cioè la perdita di sicurezza, ha cominciato ad essere giudicato esorbitante - insostenibile e inaccettabile - da un numero crescente di individui emancipati, o costretti ad andare per la propria strada di punto in bianco. I rischi implicati dall’individualizzazione e dalla privatizzazione del perseguimento della felicità, uniti al graduale ma progressivo smantellamento delle reti di sicurezza (pensate, costruite e offerte a livello sociale) e dell’assicurazione contro i rovesci della sorte (stipulata sempre a livello sociale), si sono dimostrati enormi.
L’incertezza generatrice di paure che ne é seguita ha avuto come effetto uno scoraggiamento diffuso. L’idea di una vita riempita in misura leggermente maggiore da certezza e sicurezza, anche se in parte a scapito della libertà personale, ha guadagnato all’improvviso seguito e potere seduttivo (...).
Nell’odierna costellazione delle condizioni (e delle aspettative) di una vita decente e piacevole, la stella della parità brilla sempre più luminosa, mentre quella dell’uguaglianza va oscurandosi. "Parità" non è assolutamente sinonimo di "uguaglianza", o meglio, è un’uguaglianza, abbassata a uguale diritto al riconoscimento - a "diritto di essere" e "diritto di essere lasciati in pace". L’idea di livellare il reddito, il benessere, il comfort le prospettive di vita, e ancor più l’idea di un’equa ripartizione nello svolgersi della vita in comune e nei benefici che la vita in comune ha da offrire, stanno sparendo dall’agenda dei postulati e degli obiettivi realistici della politica. Tutte le varietà della società liquido-moderna sono sempre più compatibili con il permanere di un’ineguaglianza economica e sociale. L’idea di condizioni di vita uniformi e universalmente condivise viene via via sostituita da quella di una diversificazione in linea di principio illimitata - fino a coincidere con il diritto di essere e rimanere differenti senza che per questo siano negati dignità e rispetto.
Mentre le disparità verticali nell’accesso a valori approvati e ricercati da tutti tendono ad aumentare ad una velocità crescente, incontrando scarsa resistenza e causando al massimo azioni rimediali di poco conto, sporadiche e di portata molto ristretta, le differenze orizzontali, di converso, si moltiplicano, accompagnate da peana, celebrate e sistematicamente promosse dai poteri politici e commerciali così come da quelli ideologici (ideational). Le guerre per il riconoscimento prendono il posto occupato un tempo dalle rivoluzioni; il campo di battaglia non è più la forma del mondo che verrà, ma il posto, tollerabile e tollerato, in questo mondo; in questione non sono più le regole del gioco, ma solamente l’ammissione al tavolo. Questo è ciò che si intende, alla fin fine, con "parità", l’ultima incarnazione dell’idea di equità: riconoscimento del diritto di partecipare al gioco, rigettando un verdetto di esclusione o allontanando la possibilità che un verdetto del genere possa mai essere formulato.
Infine, la rete. Se "fratellanza" implicava una struttura acquisita, che predeterminava e predefiniva le regole che fissano condotta, atteggiamenti e principi di interazione, la "rete" non ha dietro si sé alcuna storia: la rete è tessuta nel corso dell’azione, e tenuta viva (o meglio, continuamente, ripetutamente ri-creata/resuscitata) soltanto grazie a una successione di atti comunicativi. A differenza del "gruppo" e di qualsiasi altro tipo di "totalità sociale", la rete è ascritta su base individuale ed è individualmente orientata - sua parte originaria, permanente e insostituibile è l’individuo, il nodo volta per volta considerato. Si assume che ogni singolo si porti dietro, assieme al proprio corpo, il suo o la sua propria specifica rete, un po’ come una chiocciola porta la sua casa. Una persona A e una persona B possono appartenere entrambe alla rete di C, ma A può non appartenere a quella di B e viceversa - una circostanza che non poteva verificarsi nel caso di totalità come nazioni, chiese o quartieri. La caratteristica più rilevante delle reti, peraltro, è la non comune flessibilità della loro portata e la straordinaria facilità con cui ne può essere modificata la composizione: le unità individuali vengono aggiunte o tolte con uno sforzo non maggiore a quello con cui si mette o si cancella un numero dalla rubrica del cellulare. I legami eminentemente scioglibili che uniscono le diverse unità delle reti sono tanto fluidi quanto lo è l’identità del nodo della rete, il suo solo creatore, proprietario e gestore. Grazie alle reti, l’"appartenenza" passa da antecedente a conseguenza dell’identità, diventa l’estensione di un’identità eminentemente mutevole, qualcosa che segue immediatamente, e opponendo una resistenza minima, alle successive rinegoziazioni e ridefinizioni identitarie. Con ciò, le relazioni poste in essere e sostenute dai collegamenti in forma di rete si avvicinano all’ideale della "relazione pura": legami unifattoriali facilmente gestibili, senza durata determinata, senza clausole e sgravati da vincoli a lungo termine. In netta opposizione ai "gruppi di appartenenza", ascritti o scelti, le reti offrono al loro proprietario/gestore il sentimento rassicurante (anche se alla fin fine controfattuale) di controllo totale e indiscusso sulle proprie lealtà e sui propri obblighi.